Un chien andalou.
Le pareti del piccolo atrio, ricoperte di coloratissime locandine rigorosamente disegnate a mano anni e anni fa, mi accolgono nel loro rassicurante silenzio.
Scorro con le dita sopra ognuna di esse e penso che nessun altro posto mi sa rendere così sereno.
Non lo so.
Sarò pazzo, ma io amo questo cinema.
Se non fosse per quegli sprazzi di socialità a cui a volte devo costringermi, ci verrei almeno una volta al giorno.
E' solo qui che trovo conforto quando mi sento completamente sopraffatto dalla vita.
Una piccola oasi di pace, un rifugio sicuro, un-
"Simone!"
Un infarto.
Mi stava per venire un infarto.
"Ah!, fatti vedere da Rossana tua!" due braccia morbide mi avvolgono irruenti per poi sbatacchiarmi come un fantoccio.
E' sorprendente la forza che può avere una paffuta sessantenne con istinti materni mai sopiti.
Tossisco a corto di fiato e tento di districarmi dalla morsa.
A fatica ce la faccio.
"Quant si bell!" pure il pizzicotto sulla guancia arriva non necessario a suggellare il complimento.
Questa donna prima o poi mi trasfigurerà i connotati, io lo so.
"Però almeno oggi nu poc e sol o putiv piglià figlio mio eh!"
Un sorriso di circostanza è tutto ciò che riesco ad offrirle prima che, con la sua andatura dondolante, torni dietro il bancone della biglietteria.
"Non sei andato a mare con gli amici tuoi? Ci sta quel guaglione così simpatico con gli occhi da pesce lesso! Quello che ti viene a prendere ogni tanto! Com s chiam... Gianni?"
Scuoto la testa divertito e indicandomi le labbra «Giulio» mimo piano.
"Giulio!" ripete "Ecco, lui mi piace assai! E pure l'altra ragazza, quella bella fatta, Marica!"
«Monica» sussurro battendomi l'indice sul labbro inferiore.
"Monica si... come la Vitti" borbotta tra sé e sé "E che fanno oggi che non sei con loro?"
Uhm...
Sarebbe pure facile da spiegare come concetto, ma il pugno che sale e scende potrebbe essere un'immagine fin troppo icastica e sconcertante per la povera Rossana.
Meglio optare per altri sorrisi di circostanza sperando che capisca anche questi.
Dal modo in cui cambia repentinamente espressione, direi che si, ha capito.
"Ah... e io che lo facevo fesso fesso a quel Gianni!"
«Giulio»
"Giulio certo!" si corregge "e vabé, vuol dire che oggi la tua compagnia sarà" punta gli occhi verso il tabellone mezzo scassato alle sue spalle "Bello! Un cane andaluso di Buñuel!" legge contenta "ti era piaciuto assai questo... E l'hai già visto nu par e volte, si?"
Quattro per la precisione.
Le altrettante dita che sollevo verso l'alto vanno a rispondere al quesito.
Afferra il pollice che era rimasto accovacciato sul palmo "mo fanno cinque allora!" ride e oh! il bicchiere colmo di pop-corn che subito dopo fa materializzare fra le mie mani è sicuramente frutto di un portentoso artificio.
Quasi mi dispiace non aver preparato trucchi da illusionista per estrarre la banconota da 10€ che conservo spiegazzata nella tasca della camicia.
Voilà, Rossana!
Ti pago per il tuo lavoro!
"Non ci provare nemmeno!"
Ecco. Forse non faccio manco quello.
A volte dimentico che non c'è broncio o occhiataccia in grado di convincere questa donna.
E' sempre irremovibile.
"Non signore!" insiste infatti "qui è casa tua, lo sai."
Scuoto la testa.
"E invece si! Oggi poi che non ci sta proprio nisciuno, puoi fare quello che vuoi!"
Accenno timidamente all'ingresso della sala dove a breve verrà proiettato il film e osservo il suo volto attento sciogliersi in un sorriso dolcissimo "e si capisce!, tu vuoi vedere Buñuel! E io t'ho fatto perdere nu poc e tiemp... mi dispiace"
«No!»
Tanta è la foga di dissentire che alcuni dei popcorn nel contenitore stretto contro il mio petto cadono a terra.
«Ops»
"Non ti preoccupare! Poi pulisco io!" replica "ma prima" gli occhi sgranati e un dito rivolto alla piccola tv che blatera sul piano del botteghino "aggià da retta a chist!"
«Roberto e Marina?» mimo già consapevole della replica che seguirà.
"Quelli mi faranno uscire pazza!" esclama infatti "Chissà se camperò abbastanza per vederli finalmente insieme!"
Mi mordo le labbra soffocando una risata e ruoto l'indice un paio di volte.
"E comm no!" si affaccia rapida dal cunicolo in cui è stipata e mi accompagna verso l'ingresso "Quando esci ti racconto tutto... non ti pigliare collera per loro!"
Annuisco divertito salutandola.
Appena un secondo prima che il buio della stanza mi inghiotta "Simone!" urla tornando indietro "tieni!"
Con la stessa enfasi di un prestigiatore che estrae fiori dalla manica della giacca, mi porge un ventaglio merlettato "Così c'hai pure l'aria condizionata!"
Compiuto questo ennesimo trucco, come ogni maga che si rispetti, sparisce.
E' disseminando altri popcorn per tutto il corridoio della sala che raggiungo le sedute più appartate.
Quelle che, anche quando c'è un po' di movimento, non vengono comunque prese in considerazione.
L'unico sottofondo al silenzio tombale in cui sono immerso ora è il mormorio flebile di Rossana che «un nuovo giorno è qui anche per noi» canticchia felice oltre la spessa tenda di velluto dalla quale siamo separati.
Sorrido come un coglione e sprofondo nella piccola poltroncina bordeaux.
Immediatamente il materiale viscoso che la riveste provoca su ogni lembo di pelle scoperta una terribile sensazione di fastidio.
Per quanto sgradevole però, è qualcosa che spesso mi ritrovo ad anelare.
A modo suo anche questo è un prezioso e necessario contatto con la realtà di cui tanto ho bisogno.
Dei micro-traumi indotti volutamente per ricordarmi del peso del mio corpo, della materialità della mia esistenza.
Che anche io ci sono, insomma. Che-
"Ecco! Non c'è nessuno! T'avevo detto io!"
Uh?
I passi affrettati che seguono a questi bisbigli confusi mi ridestano di colpo.
Nel buio pesto in cui brancolano le due figure che intercetto con lo sguardo è difficile però delineare dei volti.
Le voci invece - sebbene sussurrate - sembrano appartenere ad un ragazzo giovane e-
"Cretino non correre!"
Si, ad una signora di mezza età.
Evidentemente madre e figlio.
Affondo ancora di più nella seduta e li osservo incuriosito.
"'nnamo dai!"
"Ah!, mo hai fretta? Quando ti eri incantato a parlare con la bigliettaia di quella porcheria alla tv non sembrava..."
"Ao! Ma che cazzo vuoi che un posto al Sole è un capolavoro!"
Beh.
Sarei fortemente tentato di dissentire, ma questo tipo sembra davvero fomentato nella sua strenua difesa e allora meglio farsi gli affari propri.
"Qua va bene?"
"Mettite un po' più giù, un altro paio di posti, ecco... perfetto!"
Con sommo orrore constato che quel «perfetto» non solo si trova appena poche file più avanti a me, ma è pure nell'unico spazio che mi impedisce la piena visuale.
"Tu sei sicuro?"
"Te dico che non verrà nessuno a rompe il cazzo!"
Serro la mascella.
Infatti siete voi a venire a romperlo agli altri.
Maledizione.
Il motivo trionfale de «La morte di Isotta» di Richard Wagner che risuona ora nell'ambiente, accompagna benissimo sia l'inizio dello spettacolo sia - soprattutto - la mia incipiente collera.
Che in realtà potrebbe anche essere interessante il fatto che due persone di generazioni così diverse e distanti fra loro trovino come punto d'incontro un film che non appartiene poi a nessuna di ess-
"E se ti tocco qui ti piace?"
Eh?
"Oh si"
Oh no.
"Non fare troppo casino però..."
"E chi vuoi che ce senta"
Io, ecco chi vi sente.
E' terribile.
Questi non sono madre e figlio, questi sono-
"...tre giorni... Sono tre giorni che me fai penà... senti come sto duro... senti?"
Forte e chiaro, purtroppo per me.
E sto cominciando pure a vedere, dato che il ragazzo finora rimasto seduto sulla poltrona sale adesso con foga esagerata a sovrastare la tipa sotto di lui.
"Non ce la faccio più ad aspettare."
"...No?"
"No. Ti devo avere subito."
Il ventaglio che soffoco forte in una morsa tornerebbe molto utile in questo momento.
Se solo riuscissi a muovermi.
E invece sono paralizzato sul posto.
Ansiti e mugolii sempre più esasperati deragliano definitivamente la mia attenzione dal film che continua a proiettarsi sullo schermo.
Tutto quello su cui riesco a focalizzarmi è la figura dai lineamenti imprecisi che si dimena davanti a me.
Riscaldate da un tono profondo e modulato, le parole ai limiti dell'umana decenza che proferisce senza pudore, mi scendono addosso come una colata di lava bollente.
E' surreale.
Sotto i miei occhi si stanno consumando oscenità degne del peggiore cliché erotico eppure - in una spiazzante scoperta di vergognosi istinti voyeuristici - me ne ritrovo completamente rapito.
Ogni sbuffo d'aria soffiato con affanno sul collo di quella donna arriva ad infrangersi rovente anche su di me.
Ogni singolo movimento con cui viene toccata, presa e dominata, facendo scricchiolare la poltrona sottostante, lo percepisco nella sua più sfrenata violenza.
Non voglio, eppure in un moto istintivo e automatico lascio rovinare a terra il cesto di pop-corn e mi porto una mano sui pantaloni.
Che sbottono.
Il senso di imbarazzo sofferto finora viene sovrastato repentinamente da un sollievo inspiegabile.
"Ti stai bagnando, mh? Ti eccita sapere che siamo qui? Che qualcuno ti potrebbe vedere in questo modo?"
Una sequela di «ding!» appare luminosa ad annebbiarmi il cervello.
Si. Si. Si.
"Che fai se ce sgamano? Che je racconti? Quanta voglia del cazzo mio c'avevi?"
Oh dio, ti-
"Ti prego"
"Ti prego cosa? Cos'è che vuoi?"
Ti prego s-
"Scopami, adesso scopami!"
Questo.
Solo questo.
Nel segreto dell'oscurità che ci avvolge mi approprio del lamento che continua a invocare pietà per farlo mio.
Mio è il piacere che incendia il bassoventre.
Mio è ogni brivido che esplode sulla pelle.
Mio è-
"Manuel!"
Manuel.
Prima che me ne renda conto il nome è già marchiato a fuoco vivo nella mente.
Non c'è altra parola che esista adesso.
Manuel, Manuel, Manuel.
Mio è Manuel.
Spalanco gli occhi che non ricordavo di aver chiuso ed è lì.
La testa piegata verso il basso e le mani a stringere lo schienale fino a quasi sradicarlo.
Soffoca i suoi gemiti su di lei che, ormai vinta dalla fatica, abbandona le braccia sulle poltrone accanto.
Nel delirio estatico di cui evidentemente sono preda questo mancato contatto mi appare come la peggiore delle ingiustizie.
Io lo stringerei se fosse sopra di me.
E le spinte erratiche nelle quali si perde le accoglierei come un dono insperato.
Pompando con furia il sesso bollente e cercando uno sguardo che-
"Oh"
che finalmente incontro.
Gli occhi profondi, sbarrati nella sorpresa e la bocca - di una perfezione quasi divina - aperta in un piccolo cerchio impreciso.
Tutto fermo su di me.
Sento il cuore pulsarmi fin dentro le orecchie mentre il calore tra le mani si fa insopportabile.
I secondi scorrono lenti come se il tempo si fosse fermato e deglutiamo entrambi a vuoto in attesa di qualcosa, qualunque cosa.
Di colpo, la decisione che esitavamo a prendere, ci viene inaspettatamente offerta da un flebile "Amore... che stai facendo?"
Accade in un attimo.
Le sue labbra ancora schiuse volgono rapide in un sorriso compiaciuto e i movimenti che avevano perso il loro ritmo tornano a susseguirsi con rinnovato vigore.
"Ti sto scopando" attesta con gli occhi ancora puntati nei miei.
Socchiudo le palpebre e premo sulla base dell'erezione.
"Guardami."
Oh?
"Guardami. in. faccia." uno, due, tre colpi precisi a scandire questo comando.
Come ipnotizzato riporto subito lo sguardo su di lui.
"Mi devi guardare sempre, è chiaro?"
Avvampo fino alla punta dei capelli e annuisco mentre "...si" mormora lei.
Un tango argentino riecheggia dallo schermo per insinuarsi prepotentemente nel nostro amplesso.
C'è il fuoco nei suoi occhi.
"Magari ora..." l'affanno lo interrompe "ora vorresti venire?"
Anche questa volta è una voce femminile a prestarmi le parole.
"...per favore."
"Allora chiedimelo."
"Fammi venire... ti prego fammi venire..."
"Ti prego e..." un'altra botta assestata a far tremare tutta la fila di poltrone "poi?"
Piccole gocce traboccano dalla mia punta bagnata mentre il piacere mi monta dentro furioso.
"Dillo."
La vista si appanna, ma lui è sempre lì a divorarmi le membra con uno sguardo.
"Guardami e dimmelo, cazzo."
Il cortocircuito nel cervello è totale.
"Manuel!" soffoco in simbiosi con lei che ormai è solo il tramite di un orgasmo che non la riguarda.
Di un amplesso che io e lui consumiamo senza nessun contatto, come protagonisti di una visione onirica.
Sorride soddisfatto davanti alla mia disperazione.
"Ora vieni."
Non è una richiesta, è un ordine perentorio.
E io posso solo obbedire.
Esausto e sconvolto mi libero sulla mano tremante mentre "...per me... vieni per me." lo sento ansimare lasciandosi andare a sua volta al piacere più violento.
Reclino il capo e osservo lo schermo che ho davanti.
Una lama di rasoio incide un occhio, un singhiozzo sommesso squarcia il silenzio.
Il film è finito.
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nota dell'autrice:
Incontestato manifesto del surrealismo, Un chien andalou di Luis Buñuel, nasce da una serie di sogni sconnessi dell'autore raccontati poi all'amico Salvador Dalì.
Io invece avevo soltanto fumato come una merda quando ho visualizzato le scene poi trascritte qui.
Insomma, se il film è una critica al modo «classico» di percepire, il mio delirio voleva essere un misero omaggio al potere evocativo di uno sguardo.
Il protagonista del corto infatti - ritenendoli inutili - taglia gli occhi dell'amata, mentre Simone e Manuel comunicano solo con quelli.
Potrà questa comparazione non richiesta dare credibilità a una ciofeca simile?
Ho molti dubbi.
Comunque mi piacerebbe in futuro proporre una parte II in cui si ritrovano e - fra le altre cose - affrontano anche il discorso del mutismo di Simo... ma per ora non garantisco niente.
Su Rossana, Upas e l'innominabile archicessa sorvoliamo perché tanto già sapete tutto.
Grazie sempre del vostro affetto.
Ciao!🧚♀️
(P.s: in realtà la scena del taglio avviene al principio ma l'ho spostata alla fine per esigenze narrative.)
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