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Capitolo 6

Un bebè... sotto l'albero

Callie Prescott - Amybeth McNulty
Arthur Dawson - Timothee Chalamet

«Sono un po' confusa.» piagnucolò Ingrid, passandosi le mani sulla pancia e soffiandosi il naso. Mi raccontò che avere un bambino era stata un'idea del marito, poiché lo trovava piacevole. «Be', allora leghiamo cinque chili di cemento al tuo torace e poi vediamo quanto è divertente! È solo che...» Riprese a singhiozzare.

«Sì, lo so. Io ti capisco.»

«Devo bere qualcosa oppure dammi dell'erba!»

«So che fa molta paura il fatto che avremo questi...» Mi guardai il grembo e accarezzai. «Minuscoli esseri del tutto dipendenti da noi. Anche a me fa venire il panico, credimi.»

«Davvero?»

«Sì, certo.»

«É strano, tu sembri così sicura di te.»

Ad un certo punto, Arthur spalancò la porta con aria trasandata, i capelli fuori posto e uno spacco sul labbro, oltre che due fazzoletti infilati nelle narici.

«Dobbiamo parlare.»

«Che è successo?»

Ingrid preferì dileguarsi e mi ringraziò. Quando uscì, Arthur chiuse immediatamente la porta. Gli andai incontro.

«Io... ho avuto un altro alterco con Richard.»

«Di cosa stai parlando?»

«Stava baciando un'altra donna! Così l'ho affrontato. Lui ha detto che... che non è il padre, così gli ho dato un pugno in faccia.»

«Tu, che cosa?»

«Sì, l'ho picchiato, di nuovo. Non ho potuto farne a meno, mi è venuto spontaneo. Tu meriti uno migliori di quello stronzo.»

Tirai un sospiro e chiusi le palpebre. Accidenti.

«Arthur, Richard non è il padre. Non è nemmeno più il mio fidanzato. Ci siamo mollati. La verità è che non c'è nessun padre. Voglio dire... Ovviamente c'è, ma è stata la storia di una notte. Lui non c'entra.»

Fece un passo avanti e contrasse la mascella. «Callie, non c'è niente di male ad essere una ragazza madre.»

Sorrisi. «Bene.»

Marien bussò e aprì la porta, avvisandolo che il tipografo aveva una domanda sulla rilegatura e Arthur andò a controllare. Sentii il bisogno impellente di sedermi, a momenti non avrei retto tutta la tensione che mi aveva attraversato.

«Che gli è successo? Sembra un maniaco.»

«Ho detto ad Arthur la verità.»

«E come ha reagito?»

«Pensa che Richard non sia l'uomo giusto per me e che... non dovrei stare con lui.»

«Che ha detto della gravidanza?»

«Non ha detto niente. Che c'è da dire?»

Alzò un cipiglio. «Callie, dobbiamo parlare. Beviamo una birra dopo il lavoro, ti va?»

«Una birra? Sai che non posso bere, l'hai dimenticato?» La mia amica restò con la bocca schiusa. Mi sollevai a rallentatore dalla poltrona, raccogliendo il libro. «Perchè ti comporti così?»

«Sai che il bambino mi fa peso sulla schiena...»

Dopo aver smesso di lavorare, andai a cercare Ava al campo di tennis, ma non c'era. Mentre stavo accettando le verdure per la cena, rientrò.

Quando le chiesi com'era andata mi rispose un vago "bene".

«Davvero? Perché il tuo allenatore mi ha detto che hai smesso due mesi fa.» Si bloccò nel corridoio. «E in più ho trovato questa nel tuo zaino. Mi dai una spiegazione?» Le mostrai una bustina.

«É coriandolo essiccato.»

«Sì, certo.»

«Annusalo.» Annusai quella bustina. «Va bene, forse non lo è. Ma dove sei stata oggi?»

«Ero a servire ai tavoli da Mark.»

«Mi menti da settimane.»

Fece spallucce. «Be', ho imparato da mia sorella.»

Pazzesco, anche in questi casi, non perdeva la sua incredibile faccia tosta. Come minimo l'avrei dovuta mettere in punizione fino al Natale dell'anno prossimo.

Mi andai a fare una doccia per stemperare la tensione.

«Ehi!» Esclamò, entrando di soppiatto. Ruotai il collo. «Ehm, il tuo capo è qui.»

Strabuzzai gli occhi e smisi di passarmi la spugna. «Cosa?»

«Sì, probabilmente vorrà fare dei dolcetti con te.»

«Prendimi la pancia, è in camera mia!»

«Sì, ma io non faccio le cose gratis. Ti costerà.» Ava ridusse gli occhi in fessure. «Venticinque.»

«Quindici! Non discutere! Sono tua sorella maggiore.»

Accettò il compromesso e chiusi la manopola. Uscii dalla doccia e la sentii confabulare con Arthur.

«La fa sentire in imbarazzo sapere che è nuda a soli pochi metri da lei?»

Digrignai i denti e ringhiai. Ava rientrò. «La pancia.»

«Pagami prima.»

«Dopo, dammi la pancia. Svelta!»

«Oh, una promessa di Callie! Non posso portarla in banca. Pagami subito.» Le strappai di mano il mio portafoglio e le consegnai le banconote. «Oh, grazie mille. Ecco la tua pancia finta.»

«Sssh, sta' zitta. Sparisci.»

Me l'allacciai, preoccupata che mia sorella mi mettesse in imbarazzo con Arthur e, inoltre, non volevo farlo aspettare.

Mi presentai in accappatoio davanti al ragazzo.

«Callie! Ehi... scusa il disturbo.»

«Come stai, Arthur?»

«Tu come stai?»

«Bene.»

«Mi è venuto in mente di passare. Volevo mostrarti... la nostra prima copia del libro con la copertina e tutto il resto.» Lo tirò fuori e osservai la copertina con la mia faccia sconvolta in primo piano. «Te lo regalo.»

«Ma è... fantastico. Caspita, sono in copertina!»

«Abbiamo prenotato alla libreria Tyajan per il lancio del libro.»

«È incredibile, davvero.»

«Forse ora è meglio che me ne vada e ti lasci godere il sabato in santa pace.»

«Se sei libero, ti va di andare a prendere un caffè?»

«Certamente.»

Nonostante l'aria un po' freddina, le strade brulicanti di persone alla corsa per gli acquisti in vista di Capodanno e la neve che imbiancava le strade, dopo ci allungammo a fare una passeggiata in un parco, infagottati fino al midollo. Strada facendo, Arthur mi raccontò altri dettagli e lo ascoltai con assidua attenzione, camminando al suo fianco. Mi piaceva trascorrere il tempo in sua compagnia, ogni volta era come se si fermassero le lancette dell'orologio.

«Un tempo, avevo un cane. Poi John me l' ha rubato e lo ha portato con sé al college...» Alcuni bambini stavano creando un pupazzo di neve e Arthur li osservò con un sorriso incantevole dipinto sulle labbra. «C'è qualcosa di incredibile nell'avere un figlio. Ti fa sentire come una parte di qualcosa di più grande. Anche se... non è vero.» La sua aria spensierata si affievolì. Sfiorò la carota e poi si accovacciò. «Per me, intendo. Lidia non voleva figli e io non l'ho mai contestato. Ma ora... Ora mi rendo conto... che voglio essere padre.» Raggiunsi la sua altezza e ci scambiammo un lungo sguardo. I suoi occhi magnetici sprigionavano un'intensa scintilla. D'istinto, mi allungai, appoggiai delicatamente la mano sul suo braccio e posai le labbra sulle sue scoprendole esattamente come le avevo immaginate nei miei sogni proibiti. Lo baciai. Arthur restò immobile per qualche minuto, poi si lasciò andare e la sua mano sprofondò nei miei capelli. «Io... io volevo farlo da tanto tempo, davvero.» confessò e scoppiai in una risata.

«Veramente l'ho appena fatto io.»

«Giusto!» esclamò e chinò la testa, giocando con la neve.

«Forse... Dovremmo prendere le cose con calma.»

«Assolutamente... sì.»

«Già.» Asserii.

Girai lo sguardo altrove. Sapevo di essere stata troppo precipitosa e di aver accelerato le cose, inoltre era Arthur Dawson...

Tornai a guardarlo e con un sorriso mi colpì con una piccola palla di neve. Ridacchiai, gliene tirai una manciata anch'io sui capelli. A quel punto, scoppiò a ridere. Mi guardò negli occhi e mi prese il volto fra le mani, baciandomi con trasporto. Una passione che non avevo mai sperimentato nemmeno con il mio ex. Fece scivolare le mani più giù, verso l'addome, ma prima che potesse tastarlo in profondità, mi ritrassi.

«Mi sono appena resa conto che devo... devo andare.» Mi rialzai, scrollando la neve che si era appiccicata. «Sì, in un posto... devo andare in un posto.»
Arthur annuì e indietreggiai. «Allora, ci sentiamo d-dopo.» Mi mordicchiai il labbro e passai le mani nei capelli, sperando di non aver fatto la figura dell'idiota.

Ordinai una copia del libro da Amazon e arrivai in azienda. Annet mi informò che aveva appena telefonato la mia amica.

«Perchè non le hai detto che aspetti un bambino?»

«Credevo di averglielo detto, ma mi deve essere sfuggito. Le donne incinte hanno poca memoria.»

Mi diressi spedita in ufficio, così da impedire alla mia bocca di dire altre menzogne. Michael si presentò con il solito frullato, ormai me lo stava portando ogni giorno. Poi si schiarì la voce.

«Pensavo di aspettare di più per mettere su famiglia senza precorrere i tempi, ma sento che ora questa necessità è diventata un'urgenza.» Lo osservai, interdetta. «Callie! Tu hai bisogno di una persona intelligente e responsabile per crescere il bambino al meglio.»

«Oh, sicuramente.»

Si inginocchiò. «Io mi offro a te, mente e corpo, cuore e anima. Il papà del tuo bambino vorrei essere.» Aprì la scatolina e mi mostrò un anello.

Alzai gli occhi al cielo e feci una risatina.

«É... é molto generoso da parte tua, ma sai... Per il momento io...»

«Ok, sai una cosa... credo che sia una decisione importante.» Affermò, chiudendo di scatto la scatolina.

Arthur restò fermo sulla soglia.

«Callie... Ti posso parlare?»

«Sì, certo. Sì, assolutamente.»

Micheal si rimise in piedi.
«Se potessi farmelo sapere prima di pranzo così ho il tempo di... annullare l'appuntamento. In realtà non vorrei farlo se non devo...» Continuò a bofonchiare, ma ormai la mia attenzione era rivolta al bel ragazzo alto e dai capelli ricci.

«Sei pronta per stasera?»

«Sì, assolutamente.»

«Dovremmo chiarire le idee. Ehm...» Si rigirò gli occhiali fra le mani. «Ho pensato molto a... a quello che è successo. E... e mi sento in colpa.»

«Perché?»

«Io sono il tuo capo e ci ho provato...» Si bloccò sull'ultima frase, spiando alle sue spalle. «Ci ho provato con te! Capisci?»

«Arthur, non è così. Io ci ho provato con te.»

«Io ho colto il tuo tentativo e ti ho anche ricambiato. Ho sbagliato.»

«Ma a me è piaciuto.»

Guizzò le sopracciglia. «Davvero?»

«Senti, non so cosa sia successo.» Spiegarlo poi era ancora più complesso. «Ho solo paura che tu...»

«C'è un tizio di nome Philips alla reception. Dice di essere il padre.» Avvisò Micheal.

«Vuoi che ci parli io?»

«No, no, va tutto bene. Lascia stare.» Gesticolai con la mano in segno di dissenso e alzai. «Tutto ok. Vi ringrazio. Scusatemi.» Sorpassai i due ragazzi e mi fiondai alla reception, dove uno dei miei ex sosteneva di essere il padre e che io non avevo risposto alle sue chiamate.

«Dimmi che è mio, Callie!»

«Credimi, non è tuo.» affermai, per poi spingerlo all'indietro sul petto verso l'uscita.

«Non puoi essere sicura, ho fatto i conti.»

«Li hai sbagliati. Sei stato sempre una schiappa in matematica.»

«Pretendo il test del DNA!»

«Scordatelo!» Lo mandai via. Ne avevo abbastanza. Appena tornai, facendo finta di niente con un mezzo sorriso, Annet mi avvisò che aveva telefonato mia sorella ed era scoppiato un incendio in bagno.

«Il tuo bagno va a fuoco?» Portai la mano sul fianco e poggiai l'altra sul banco della segreteria. «Non è tecnicamente possibile. Chi è questo Philips?»

«Un vecchio fidanzato. C'è stato un grande malinteso.»

«É tutto a posto?»

«Sì, è tutto a posto. Tutto molto tranquillo. Tutto sotto controllo.» Indieteggiai. «Ma ora... dovrei andare a casa mia. Ci vediamo alla festa. A dopo. Scusami!»

Sembravo quasi una svitata ai suoi occhi e forse lo ero.

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