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Capitolo 2

Un bebè... sotto l'albero

Prima che realizzassi ciò che avevo sparato, era troppo tardi per tornare indietro.

John strabuzzò gli occhi alla mia rivelazione shock...

«Incinta?»

«Sì, incinta! Totalmente! Il dottore dice che le medicine e gli ormoni influiscono con il mio sistema. Non si può prendere quello che dico troppo sul serio. Tranne quando dico che sono incinta, perché lo sono. Incinta.» Spiegai gesticolando con le mani e il mio capo inarcò un sopracciglio. Si mise in piedi all'istante e schizzò fuori. Mi avvicinai alla porta, vedendolo confabulare con altri colleghi. «Oddio... » Prima che fosse di ritorno, mi accomodai sulla poltrona dall'ospite. Il mio capo tornò e mi guardò dall'alto della sua stazza imponente.

«Quando scade il tempo?»

«Ehm, apr... Cioè maggio...»

«Quando?»

«Probabilmente il sei. Forse il sette o anche l'otto. Teniamo le dita incrociate per il sei! Cioè, per allora tirerò fuori questa cosa.»

«Sei incinta di quattro mesi?»

«Sì, non è pazzesco? Sembra ieri che non lo ero, mi abbuffavo di McDonald's da fare schifo e ora voilà... sono già di quattro mesi. Vola il tempo, eh!»

«L'ufficio legale sostiene la tua versione. Non si può licenziare una donna in stato interessante. Sembra che non importa quanto lo meriti. Quindi... torna pure al tuo lavoro.»

«La ringrazio molto, John. Gliene sono molto grata, grazie... da tutti e due.» E portai la mano sull'addome. Feci dietrofront e abbandonai l'ufficio, consapevole di aver fatto una cavolata a dire quella bugia per evitare di essere licenziata.

Ingrid, una mia collega impicciona, mi fermò nel corridoio. «Oh, congratulazioni per il tuo bambino, tutto l'ufficio legale è entusiasta della notizia. Mi spieghi perché me l'hai tenuto nascosto? Oh, forse perché nei primi tre mesi ci sono troppe cose che possono andare storte. Per fortuna, io sono fuori pericolo.» Mi indicò il suo pancione enorme di sette mesi e ridacchiò, sfiorandomi il braccio. «In ogni caso, avrò il mio bambino per prima. Non che sia una competizione, ma vinco io!» Mi sentii a disagio e non aprii bocca. Mi fece ancora una volta le congratulazioni per la futura maternità. Anche la segretaria antipatica mi corse incontro e gettò le braccia al collo.

«Oh, Callie! Sono così felice per te. Non mi meraviglia, eri così sconclusionata ultimamente!» Le loro risatine attirarono le attenzioni degli altri, che si avvicinarono e la segretaria spiattellò che aspettavo un bambino.

«Non guardate me, non l'ho mai toccata!» Brontolò l'anziano, in sedia a rotelle. Un altro collega ammise che ero ancora sexy.

Marien si avvicinò, perplessa.

«Già, ho dovuto dire a tutti che avevo un ritardo e sono di quattro mesi! Non potevo più tenere il segreto. Giusto?»

«Sì, no, cioè... naturalmente. Come si può nascondere una cosa del genere?» Marien mi resse il gioco.

«Certo, mi faceva male il ginocchio sinistro. Significa che qualcuna è incinta.» Dichiarò un mio collega.

«Veramente?»

«O sogno di essere incastrato sott'acqua in un'auto. Comunque sono felice per te.»

«Allora si può sapere chi è il fortunato papà della creatura?»

«Oh, non gli hai detto il resto? Callie e Richard sono felicemente fidanzati!»

Lanciai un'occhiata di disapprovazione alla mia amica. I miei colleghi fecero dei risolini e la guardai malissimo...

«Io mi sono sposata prima di restare incinta, ma meglio tardi che mai. Evviva per te, cara!»

«Sì, effettivamente sono molto eccitata. É un bellissimo regalo. Sono al settimo cielo! Forse è la gioia di questo nuovo stato!» Tutti risero e la mia collega mi punzecchiò la pancia con il dito.

Ora non sapevo davvero come avrei potuto uscire indenne da un simile caos...

Marien, dopo il lavoro, mi portò in un bar e commentò la mia scelta bizzarra un patetico cliché. «Come ti è venuto in mente?» chiese sorseggiando la vodka liscia. Ero attaccata alla sigaretta e mi staccai, alitando via il fumo.

«Oh... l'ho visto in Law&Orders. Non si licenzia una donna incinta. È discriminazione e addirittura magia nera. Quello che ti pare, Marien.»

Mi sfilò la sigaretta dalla mano. «Che mossa furba!»

«Comunque grazie per avermi aiutata con gli altri. Incinta non era abbastanza, dovevo addirittura fidanzarmi!»

«Non voglio che la gente pensi che tu sia una sciacquetta viziata che si è fatta mettere incinta dal primo idiota in giro.»

«É questo che pensi delle ragazze madri?» domandai, riprendendo la sigaretta per fare un altro tiro.

«Certo che no. Io so che molte persone in quell'ufficio ti considerano una sciacquetta... ma se sei fidanzata è un altro discorso.»

«Ti ringrazio, eh...» Portai la mano alla fronte ed esalai un sospiro. «Marien, ti prego, come faccio a tirarmi fuori da questa ridicola storia?»

«Non potremo raccontare che è successo qualcosa a... Non so. Un aborto spontaneo improvviso.»

«Hai idea di cosa stai parlando?!»

«Portiamolo avanti per un po'. Poi diremo che è stato un falso allarme. Hai avuto una gravidanza isterica. Pensavi di essere incinta, ma non era così.»

«Mi prenderanno per matta...» Feci una faccia schifata e schiacciai il mozzicone nella ceneriera. Scolai tutto il bicchiere e uscimmo. Erano già le cinque e mi ero dimenticata di andare da mia sorella, oggi avevamo gli incontri scuola famiglia prima delle vacanze di Natale.
La raggiunsi, trovandola seduta a terra in corridoio con la schiena contro l'armadietto.

«Scusami tanto... ho avuto una giornata folle al lavoro e ho perso la cognizione del tempo.»

«Il colloquio era alle cinque e ora sono le sei. Fai i conti te. Il tempismo non è il tuo forte.» mi rimproverò, rialzandosi. Le raccolsi lo zaino e le andai dietro, scusandomi. «Hai bevuto?»


«Sì, una vodka liscia.» Confessai.
Guardò avanti, tenendomi ancora il broncio. «Dai, hai 17 anni! Le ragazze alla tua età bevono e fumano.» Tornammo con l'ultimo autobus, ma mia sorella non voleva parlarmi, limitandosi a camminare. «Prometto che fisserò un altro incontro.»

«Oggi era l'ultimo colloquio prima delle vacanze, ho già incontrato la professoressa Talbot al posto tuo. E abbiamo parlato dei miei interessi.»

«Interessi?» domandai mentre inserivo la chiave nella toppa.

«Mi ha consigliato di prendere lezioni di cucina.»

«Hai i corsi di tennis.»

«Sì, ma mi hanno stufato. Pensavo che potrei cambiare e andare ad un istituto culinario a San Francisco.» disse.

«No, te lo puoi scordare. Tu resti qui e frequenterai l'università. Il tennis coprirà i costi scolastici e io mi farò in quattro per il resto.»

«Dici sempre che da quando mamma e papà sono morti, il futuro è un'incognita.»

«Fammi il piacere, comportati da persona matura e accetta le carte che ti sono toccate. Ok?»

«É questo quello che fai tu?» Andò nell'altra stanza.

«Sì, è quello che faccio io!»

«Perchè eri in un bar anziché venire al colloquio con gli insegnanti?» Odiavo quando mia sorella mi faceva la morale, ero io la maggiore e non il contrario.


Un uomo dall'aria particolarmente stizzita si presentò in editoria a metà giornata, chiedendo del mio capo e mi feci avanti timorosa.

«La posso aiutare io?»

«C'è qualcosa da bere in questo luogo inospitale o devo andare in macchina a prendere la bacchetta da rabdomante?»

Micheal gli posò gentilmente la mano sulla spalla. «Signore, le prendo dell'acqua?»

«Perchè non lo fai, soldato? Tre quarti di scotch e un quarto acqua. D'accordo? Vai! Fila! Ehi, soldato!»

«Come mai qui, Abbots?» chiese quel giovane dai capelli ricci e si strinsero la mano. Sembravano conoscersi e avere una certa familiarità tra di loro...

«E tu, come stai? So che tuo fratello vuole il mio libro.»

«John è a pranzo, ma Callie può prendere il tuo manoscritto.»

«Chi è Callie, scusa?»

Mi indicò con un cenno. «É la segretaria di John.» Rivolsi un sorriso tirato all'uomo. «Parli con lei tutti i giorni. Probabilmente le congratulazioni sono d'uopo. Callie ha appena scoperto di aspettare un bambino.»

Alzai gli occhi al cielo.

«Sembra che sia di robusta costituzione. Mi auguro che ci regali un futuro marine.»

Arthur mi lanciò un'occhiata sbrigativa mentre tallonava il cliente importante. Micheal restò con il bicchiere a mezz'aria. 

«Callie, hai un minuto? Allora... come va?»

«Tutto bene, grazie. Tu?»

«Io sto bene, ma non sono io ad avere un magico fagotto di gioia che mi sta crescendo dentro.» Portai in automatico le mani sulla pancia. «Allora, niente nausee mattutine o gonfiore?»

«No, a quanto pare sono una delle poche fortunate ad essere esente da questi disturbi.»

«Un po' troppo, direi.»

«Vero...»

«E dov'è il tuo anello?»

Mi fissai l'anulare. «Noi...»

«Il suo fidanzato sta risparmiando soldi per poterglielo regalare per Natale. Non è carino mettere in imbarazzo le persone. Perché non torni a mentire su te stesso nei siti di internet di incontri e lasci in pace Callie? Vattene.» Quando se ne andò, con la coda fra le gambe, mi confidò che era solo un idiota e non sapeva niente. Tirava solo ad indovinare, ma il fiuto non era infallibile.

Ogni anno, di questo periodo, il mio capo ci teneva ad organizzare il torneo di hockey sul ghiaccio, a cui partecipavano tutti i dipendenti.
«Che stupido! Quel tiro è nullo!» borbottò John tirandosi una pacca sul ginocchio.

Con quella tuta e il caschetto mi sentivo parecchio ingolfata.

«Ahi... Ahi... la caviglia. Che male cane...» Si lamentò Arthur, raggiungendo i bordi della pista e si aggrappò con le mani. L'aria era davvero gelida.

«Ehi, sei già fuori gioco?»

«John pensa che sono una mezza schiappa. Forse... Non ha tutti i torti.» Ridendo, persi quasi l'equilibrio e rischiai di cadere malamente sul ghiaccio, se non mi avesse afferrata. «Stai bene?»

«Sì, benissimo! Nemmeno io, ho una buona stabilità.»

«Sai, lo dicevo... per le tue condizioni.» Tentò di spiegarsi.

«Che vuoi dire?»

«Non dovresti giocare.»

«Perché?» chiesi, interdetta.

«È pericoloso per il bambino, Callie.»

Realizzai che aveva ragione.

«Vero...»

«Ti conviene non giocare la partita, non credo sia il caso.»

Accettai scocciata la scelta di restare a guardare dalla panchina. Non potevo giocare per la gravidanza... e Arthur perché si era storto la caviglia, cadendo. Eravamo entrambi fuori. Soffiai uno sbuffo.

La squadra continuò ad incitare gli altri che vinse il match, ma un uomo si sentì male nello spogliatoio mentre esultavamo e precipitò sulla borsa, schiacciando la cagnetta di John. Lui era più preoccupato per la sorte di Jennifer.

Avevano cercato di fargli la respirazione bocca a bocca e avevamo allertato i soccorsi, ma purtroppo non ci fu nulla da fare. John mi portò il manoscritto alla scrivania e mi chiese di fargli una copia così l'avrebbe letta in auto mentre andava al funerale.

«Non hai visto mai dei manoscritti sui fogli di carta? Avanti, datti da fare!»

Sbigottita, mi alzai per avvicinarmi alla fotocopiatrice.

«Oh, Callie. Uhm, non dovresti usare la fotocopiatrice. Forse non lo sai, ma emette onde elettromagnetiche.»

Girai la testa verso Ingrid. «Che cosa provocano?»

«Nessuno lo sa ancora. Ma ho letto sulla bacheca di Mammina Pancina.com... che sono altamente rischiose e si dovrebbero evitare se vuoi avere una gravidanza sana.»

«Comunque, io le faccio.»

«Oh, bene. Se pensi che non ti faccia male, potresti fare 50 copie di questo per me?» Mi consegnò il plico e se ne andò, accarezzandosi il ventre gonfio.

«Sai trovo affascinante che Ingrid sia solo un mese più avanti di te eppure abbia già le dimensioni di uno scuolabus mentre tu conservi ancora un vitino da vespa!» Mi fece notare Micheal.

«Ehm, sono fasi diverse. Poi, la genetica fa miracoli.»

Marien venne di nuovo in mio aiuto, posizionandosi al mio fianco e guardando truce il collega impiccione.

«Forse è più facile sentire il gonfiore che vederlo...» continuò allungando la mano e Marien la schiaffeggiò. «Che c'è? A tutti piace toccare la pancia di una donna incinta.»

«Perchè tu sei un viscido perverso, Micheal.»

«E al mio bambino non piacciono i viscidi perversi!» Gli urlai dietro mentre se ne andava sconfitto. Guardai Marien, mimandole di suggerirmi qualcosa. Per lei, non ero abbastanza "formosa" e serviva fare un po' di shopping.

Mi portò in un negozio dedicato alle donne in gravidanza. Osservai smarrita un oggetto attaccato al seno del manichino e vidi Marien scavare sotto la maglia premaman di un altro.

«Che diavolo fai? Stai rubando?»

«No, prendo in prestito una pancia.»

«Che cosa?»

«Sei incinta di quattro mesi e hai il fisico di una modella per costumi da bagno. E non va bene, devi rinunciare alla forma!» Si infilò la pancia finta nel borsone.

«Oh mio Dio...» Ispezionai attorno a noi.

«Se vuoi che le persone pensino che sei incinta... devi cominciare a camminare... a papera.»

«Io non so se ne sarò capace.»

«Ce la puoi fare, una settimana soltanto. Sostieni la parte o tutti diventeranno sospettosi.»

Andando in camera, mi infilai la pancia finta e provai anche dei nuovi vestiti adatti, ma il mio aspetto era terribile allo specchio. I jeans erano elasticizzati e l'impressione non era esattamente innocente. Marien consultò un libro mentre eravamo in attesa per pagare i nostri acquisti.

«Sapevi che quando le donne sono in travaglio, fanno la cacca?»

«Oh... hai mai sentito parlare di episiotomia? Caviglie gonfie? O seni grossi come palloni?»

«Oh... prendiamo questo come riferimento.»

«Credevo che tutto si risolvesse in un paio di giorni.»

Non dovevo fingere fino al parto... almeno speravo di non dover simulare addirittura di avere un bambino. Marien mi rassicurò: conoscere i pro e i contro della gravidanza non mi avrebbe fatto trovare impreparata per il futuro e inoltre aggiunse che di quel mondo non ne sapevo assolutamente nulla.

«E vorrei restasse così... avere un bambino non è nei miei piani. Fidati, non lo sarà mai.»

Quando uscimmo dal negozio, in cui mi era girata la testa, poiché popolato da donne gravide ad ogni reparto... Marien mi infilò nella busta la pancia finta e il libro che aveva comprato. Le dissi di no, volevo tenerla a casa sua, ma non sentì ragioni.
Non volevo che mia sorella scoprisse quella bugia colossale, mi avrebbe odiato di più. Odiava quando mentivo.

«E tu menti sempre. Che differenza fa?»

«Non proprio!» obiettai.

«Resta con te, è la tua pancia!»

La ebbe vinta alla fine e tornai con la famigerata busta, nascosi la pancia finta nell'armadio, prima che mia sorella tornasse dal suo allenamento di tennis.

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