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32. Siamo proprio incasinati, vero?

The night will hold us close
And the stars will guide us home
I've been waiting for this moment
We're finally alone

-Mr.Kitty, After Dark

Dopo aver letto l’ultima lettera di Sasha il mio cuore non fa altro che urlarmi: corri da lui!

Ma il mio cervello mi consiglia di valutare con attenzione la situazione.

Prima probabilmente avrei rivolto lo sguardo verso il cielo e avrei chiesto a papà di illuminarmi la mente.

Adesso invece sono seduta davanti alla toeletta e fisso il mio riflesso allo specchio. E questa volta mi rivolgo a me stessa e provo a sorridere, dandomi uno di quegli abbracci in grado di farmi sentire meno sola.

Mi sento in una trappola dalla quale non riesco a liberarmi. Il profumo che aleggia nella stanza, la stessa disposizione delle foto di sempre, le pareti che sembrano sul punto di comprimermi ogni volta che mi sento soffocata. Ogni dannato giorno le stesse sensazioni e la stessa situazione. È come un loop infinito che mi trattiene e mi sbatte in faccia la realtà che vivo ancora e ancora fino a prosciugare tutte le mie energie. Ed è così triste ammettere che se non fosse stato per Sasha, io probabilmente sarei andata via da un po’.

Afferro il cellulare dal comodino e lo infilo nella tasca posteriore dei jeans insieme agli auricolari, poi esco dalla mia stanza e mi fermo non appena sento una voce maschile provenire dalla stanza di mia sorella.

Mi avvicino lentamente, cercando di non fare rumore, ma la risata soffocata di mia sorella mi fa sobbalzare. Ogni suono da lei emesso è un brivido che si aggrappa al mio corpo e che annienta la mia tranquillità.

Appoggio l’orecchio sulla superficie fredda della porta; le loro voci sono abbastanza cristalline. Rimango con la mano ferma sul pomello dorato, ma non appena capisco che si tratta di Gregory, lo stesso tizio che aveva portato in casa qualche settimana fa, tolgo la mano e deglutisco, indecisa se allontanarmi o restare qui ad ascoltare la loro conversazione.

«Anche se sarà difficile, in qualche modo riuscirò a portare quella stronzetta alla follia», dice Ruth con un tono soddisfatto.

«Tua madre non l’ha ancora capito?», chiede Gregory.

Stanno parlando di me.

Non so se sia una buona idea o meno, ma l’istinto mi dice di farlo. Forse mia madre mi crederà finalmente.

Prendo il cellulare dalla tasca e inizio a registrare la loro conversazione, avvicinando il cellulare alla serratura della porta.

«Quella non è mia madre», ribatte inacidita. «E comunque è troppo presa da se stessa al momento. Non è in grado di fare caso a certi dettagli. E, inoltre, Chandra è quasi finita sulla sua lista nera. Non fa altro che disubbidire e sparire senza dare spiegazioni».

«Non ti sembra di essere un po’ troppo cattiva? Non fraintendermi, piccola, io adoro questo tuo lato da stronzetta, ma forse ti stai spingendo oltre il limite questa volta», cerca di spiegarle. Per una volta mi trovo ad essere  d’accordo con lui. Qualsiasi cosa abbia in testa mia sorella, so già che recherà dolore e porterà soltanto altri guai.

«Chiuderla in un manicomio mi sembra il minimo. Tu non puoi capire», fa una breve pausa, poi riprende a parlare, «Io ho trovato quelle dannate lettere, ho letto le stronzate che scrive e la rende ancora più patetica. È alla continua ricerca di attenzioni ed è schifosamente bisognosa di affetto. Lei merita di stare lì, tra i pazzi come lei. Dopotutto, volersi buttare dal tetto della scuola non mi pare proprio una cosa da persone mentalmente stabili», ridacchia divertita. Ho la pelle d’oca. Le pareti dello stomaco si irrigidiscono e una fitta mi trafigge il petto. Sta parlando di me come se fossi la sua peggior nemica.

«È solo una cazzo di adolescente qualsiasi. Tutti abbiamo avuto qualche problema alla sua età. Pensiamo a noi, invece», sento lo schiocco di un bacio e la mia bocca si contorce in una smorfia. Mi chiedo come riesca a stare vicino ad una persona che in passato è stata accusata di stupro.

«Quando finirò con Chandra, potrò finalmente pensare a me. Fino ad allora», un fruscio di sottofondo mi fa deglutire, «Divertiamoci un po’».

Indietreggio con il cuore che batte a mille e un nodo alla gola che mi sta soffocando.

Chiudo la registrazione e mi prendo la testa tra le mani, facendo avanti e indietro nel corridoio. Faccio un bel respiro ed entro nella stanza di mia madre.

Sta dormendo profondamente, la camicia da notte bianca avvolge il suo corpo esile e le ciocche di capelli nascondono metà del suo volto mentre ha la guancia schiacciata contro il cuscino.

Probabilmente proverò rimorso tra un minuto o due, quindi faccio ciò che mi dice la mente e inizio a scuoterla delicatamente per il braccio.

«Mamma», la chiamo e lei apre un occhio, guardandomi con un’espressione assonnata.

Appena realizza che si tratta di me si mette a sedere e si stropiccia gli occhi. «Cosa c’è? Ti senti male?»

Scuoto la testa. «Penso ci sia un ragazzo nella stanza di Ruth».

«Impossibile. Ruth conosce le regole di questa casa. Pensavo di essere stata abbastanza chiara l’ultima volta», pianta i piedi ben saldi a terra e sbadiglia.

«Perché non vai a controllare? L’ho sentita piangere», mento, mordendomi il labbro per placare l’ansia.

Mia madre mi guarda negli occhi un po’ scettica. Decide di fidarsi di me nonostante la situazione non molto pacifica tra noi due.

Si passa la mano tra i capelli e avanza a passo felpato verso la stanza di Ruth. Resta un attimo in silenzio e cerca di captare i rumori che provengono da là dentro.

All’improvviso gonfia il petto e afferra con rabbia il pomello della porta cercando di entrare, ma è chiusa a chiave.

«Ruth Stewart, apri immediatamente la porta», le dice con tono autoritario e inizia a bussare con forza.

«Mamma?», Ruth sembra spaventata. «Stavo dormendo», grida, ma di sottofondo sentiamo l’imprecazione di Gregory, confermando così il fatto che non sia da sola.

«Apri la porta. So che c’è qualcuno con te».

Mia madre continua a forzare il pomello. È furiosa.

«Apri questa dannata porta!», sbraita ormai rossa in viso.

«Cazzo», Ruth sembra in preda al panico. Apre finalmente la porta, guardandoci soltanto attraverso uno spiraglio.

Mia madre fa pressione con la spalla e apre del tutto la porta, spingendo Ruth di lato. Gregory si sta infilando in fretta e furia i pantaloni e si avvicina rapidamente alla finestra, cercando di svignarsela.

Tra di noi cala un silenzio solenne. Si sente soltanto l’anelito affannoso di mia sorella. Ha la maglietta stretta al petto, cercando di nascondere la sua nudità, e il corpo premuto contro l’armadio.

Mia madre sfila la chiave dalla serratura e la stringe tra le dita.

«Pensavo fossimo arrivate ad un compromesso, Ruth», sibila. «Tua sorella aveva ragione».

Ruth guarda in faccia me, poi ghigna. «Sei stata tu, dunque?»

«Tornerai a Radford tra qualche settimana. Contatterò il locale dove hai lavorato l’anno scorso e metterò una buona parola per te. Lavorerai, studierai e accoglierai a braccia aperte la tua indipendenza fuori da questa casa. Sono stata chiara?»

Ruth non osa dire una parola. Mi fissa con gli occhi infiammati dalla rabbia e dal disprezzo. Le labbra fremono, le gote sono rosse. Ci dà un attimo le spalle e si infila la maglietta, poi grida: «Vattene, cazzo!». Gregory forza un sorriso poi scavalca il davanzale della finestra e scende giù grazie alla scala.

«Tu non puoi darmi ordini», sibila guardando mia madre. «È tuo dovere prenderti cura delle tue figlie».

«Oh, risparmiati queste stronzate! Ti voglio fuori da casa mia», le punta l’indice contro.

«Davvero? Chissà cosa direbbe la polizia se scoprisse che-»

«Ruth», la blocco. «No. Non peggiorare le cose. Per una volta dovresti ascoltare nostra madre».

«Tu, piccola stronza del cazzo», si avvicina a me, ma nostra madre si frappone tra di noi.

«Vorrei farti sentire una cosa», dico, senza distogliere lo sguardo dal suo. «E se non farai ciò che dice lei, penso che ti attenderanno guai molto più grandi», faccio partire la registrazione e alzo il volume al massimo.

Mia madre fa oscillare lo sguardo tra noi due. Scorgo del rimpianto nei suoi occhi e poi una rabbia mai vista prima.

«Prendi le tue cose e vattene», sentenzia con le lacrime agli occhi. «Prima che sia io a chiamare la polizia», con le mani a coprirle gli occhi si rintana nella sua stanza e scoppia a piangere.

Ho fatto la cosa giusta, mi ripeto.

Una piccola vocina nella mia testa sussurra: Adesso non ti farà più del male.

E io dentro di me sorrido.

«T-tu», balbetta e afferra la lampada tra le mani. «Dovresti sparire, cazzo! Da quando ci sei tu la nostra vita è cambiata. Hai seminato odio in questa casa e dolore. È tutta colpa tua. È colpa tua se papà non c’è più», grida, ma nel momento in cui cerca di lanciarmi la lampada contro, chiudo la porta e sento soltanto i pezzi di vetro che cadono a terra. Scendo al piano di sotto e poi esco di casa, correndo fino a sparire nell’oscurità.

Infilo gli auricolari nelle orecchie e ascolto After dark con gli occhi velati dalle lacrime e un pianto che vorrebbe uscire fuori disperatamente, ma che continuo a rimandare indietro, facendomi forza.

Raggiungo il parco dove Sasha mi ha portato per la prima volta e l’ho visto lasciarsi andare ad un attimo di libertà che adesso bramo in silenzio sotto la stessa luna piena.

Non vorrei guardare questa immensa oscurità costellata da gemme sfolgoranti, perché so che inizierei a pensare a lui.

Ma eccomi qui con lo sguardo che si solleva lentamente, come se la notte tenesse tra le sue dita il mio mento e mi costringesse ad ammirarla in silenzio.

«Non vorrei pensarti, giuro. Non vorrei farlo, perché sono incazzata da morire con te e perché adesso la mia vita sembra davvero senza senso. Non volevo ritrovarmi di nuovo qui, con gli occhi puntati sulle stelle a parlarti ancora e ancora, come se tu fossi davvero l’unica persona ad ascoltarmi», rilascio una risata autoironica e scuoto il capo con amarezza. Tolgo gli auricolari dalle orecchie e continuo a dire: «Quando ero piccola non facevi altro che dirmi che i cuori tra le mani delle persone diventano facilmente malleabili e adesso lo capisco, papà», conficco le unghie nei palmi delle mani.

«Cercherò di tenere il tuo ricordo a galla, perché so che se lo lasciassi andare ti perderei per sempre. Sei ciò che ricordo e a me va bene così, anche se fa male», bacio le punta delle dita e poi le sollevo verso il cielo. «Io resterò qui, perché ho trovato il mio pensiero felice».

Rimango per un paio di minuti in silenzio e poi raggiungo l’uscita del parco. Rileggo i nostri ultimi messaggi e mi mordo il labbro.

Spero tu abbia lasciato la finestra aperta, Baker.

Per la prima volta in vita mia decido di scrivere a mia madre.

Sto bene, sarò con Sasha. Non farò tardi questa volta. Tieni a bada Ruth. xx

Mi chiedo che fine farà mia sorella… Mi chiedo se tutto ciò tornerà piano piano alla normalità.

Imbocco il vialetto di casa mia, ma mi fermo non appena vedo le luci abbaglianti dell’ambulanza in lontananza.

Stringo il cellulare in una mano e inizio a correre a perdifiato finché non raggiungo l’abitazione di Sasha.

«Non può passare», un poliziotto mi blocca il cammino.

Vedo la madre di Sasha con le braccia strette al petto mentre viene scortata da un soccorritore verso l’ambulanza.  

«Sasha?», grido il suo nome, ma non lo vedo da nessuna parte. «Dov’è Sasha?», gli chiedo in preda alla disperazione.

«Ragazzina, devi allontanarti», mi spinge delicatamente per le spalle, facendomi arretrare.

«Dov’è Sasha?», chiedo, ma vengo ignorata.

Sua madre si ferma e mi fissa a lungo, poi indica la casa con un cenno della testa e dice: «Vai da lui. Ha bisogno di te. Chiedigli scusa da parte mia», le lacrime scorrono inarrestabili sulle sue guance. Ha un occhio tumefatto, le labbra gonfie e lo sguardo stanco.

Mentre i poliziotti trafficano davanti a me cercando di raggiungere la madre di Sasha, io mi metto a correre verso l’ingresso. «Ehi, ferma!», grida qualcuno alle mie spalle.

Salgo velocemente le scale e raggiungo la stanza di Sasha, ma la porta è chiusa.

«Sono io», gli dico dolcemente. «Per favore, fammi entrare. Fallo prima che mi buttino da qui, perché penso sia illegale non dare ascolto ai poliziotti».

Rimango ferma con il fiato sospeso mentre il cuore galoppa nel mio petto. «Sasha…?»

Sento lo scricchiolio della porta che si apre e Sasha mi afferra per il braccio delicatamente e mi fa entrare, poi richiude la porta alle nostre spalle e va a sedersi sul letto.

«Se avessi potuto, sarei entrata dalla finestra. L’hai lasciata davvero aperta», gli dico con la speranza di farlo sorridere, ma non appena alza lo sguardo vedo i rivoli vermigli che scendono lungo la sua guancia e ha le mascelle serrate. Il suo labbro è spaccato, gli occhi velati da una rabbia infuocata sono oscurati dai suoi capelli scuri che ricadono sulla sua fronte e le nocche delle sue mani sono sbucciate e insanguinate.

«Ci torno in quell’inferno ogni cazzo di giorno, purtroppo».

Mi avvicino piano a lui e mi inginocchio, prendendogli le mani tra le mie. «Sono qui», gli dico, dandogli un bacio sulle nocche.

Cerco di guardarlo negli occhi, ma ha le palpebre chiuse.

«Per favore, vattene via», sussurra stringendo più forte gli occhi e deglutendo. «E non voltarti più indietro. Vattene».

«No», dico con voce decisa. «So perché mi stai mandando via, Sasha. L’ho capito. Non ti lascerò solo questa volta e nessuno dei due continuerà a scappare. Io non lo farò», appena finisco la frase lui riapre gli occhi e mi fissa intensamente.

«Ah, no?», chiede con tono ironico.

«No».

Lui distoglie lo sguardo. «Non è ciò che facciamo sempre?», si alza in piedi, prendendo le distanze da me. «Non è ciò che fai ogni cazzo di volta?», grida, la vena del suo collo è ingrossata e pulsa ad ogni sua parola.

«Sasha, capisco la tua rabbia, però-»

«Vattene! Ti ho aspettato per anni. Il tuo cazzo di disprezzo nei miei confronti l’ho visto ogni dannato giorno. Perché? Perché mi hai messo da parte a prescindere da tutto? Perché hai scelto di ridere con tutti gli altri, perfino con chi non sopportavi, ma con me mai? Perché? Cazzo!»

Sussulto e indietreggio verso la scrivania. Sembra completamente un’altra persona.

«Tu non sai cosa si prova, Chandra. Non lo sai», raggiunge l’altra parte della stanza, come se volesse mantenere una distanza di sicurezza.

Magari papà era così… chissà se anche mia madre ha covato dentro di lei la stessa rabbia per colpa sua. Mi chiedo se sia questa la paura di Sasha, il motivo per cui non mi vuole accanto.

Mi guardo intorno e scruto la sua stanza con curiosità. E mi rendo conto che in mezzo a tutti questi supereroi nessuno sarebbe in grado di salvare Sasha da se stesso. Guardo i funko e i vari fumetti e mi viene spontaneo sorridere.

«Da piccolo quando indossavo la maschera di Spiderman mi sentivo invincibile», dice seguendo il mio sguardo. «La indossavo e chiudevo gli occhi quando il mondo mi sembrava una macchia scura che non faceva altro che consumarmi e basta. La indossavo quando desideravo che tu fossi la mia Mary Jane, e invece ero soltanto Sasha, uno stupido ragazzino a cui tu non rivolgevi la parola più di tanto», sorride con malinconia. «Perché sei qui, Chandra?»

«Sono qui perché ho letto la tua lettera e voglio restare», afferro la maschera di Spiderman e la rigiro tra le dita. «Non ho intenzione di andarmene, Sasha. E so che non vuoi essere visto così. So che hai paura e ne ho tantissima anche io. Ma tu», vado verso di lui e premo la maschera contro il suo petto, guardandolo negli occhi, «mi hai fatto oscillare nel modo più bello nell’universo e hai lasciato che io scegliessi dove restare. E io ho apprezzato ogni movimento, ogni scelta, perfino ogni tuo allontanamento. La vita è una questione di scelte, ricordi? E io ho scelto di essere qui con te. Ho scelto di vivere. E se questa maschera ti ha aiutato a superare il dispiacere che ti ho fatto provare non parlandoti, allora lascia che racchiuda la mia promessa: non andrò via».

Annuisce e mi guarda in viso come se volesse accertarsi che stia dicendo la verità, poi sorride tristemente e mi abbraccia forte, premendo una mano sulla mia nuca e una sulla mia schiena. «Dobbiamo procurarci dei cerotti con le nuvolette azzurre per le mie ferite», mi dice commosso ed entrambi scoppiamo a ridere.

«Non ne avrai più bisogno», affondo il viso nell’incavo del suo collo e gli lascio un bacio proprio lì.

Lui si tira indietro e mi prende il viso tra le mani, guardandomi negli occhi e appoggiando la fronte contro la mia. «Ti amo dal primo cerotto e ti amerò fino all’ultima ferita», con il pollice asciuga le mie lacrime e sorride di nuovo prima di baciarmi. «Ho aspettato un sacco per dirtelo».

E mentre mi bacia gli accarezzo la guancia e la sento più umida di prima. Apro gli occhi soltanto per un secondo, per accertarmi che sia tutto okay, ma nello stesso momento li apre anche lui e rimango incatenata ad essi, fissando il mio riflesso tra le sue lacrime. «Hai gli occhi più belli che io abbia mai visto», sussurro contro la sua bocca.

«Resterai davvero?», chiede, la preoccupazione prende il sopravvento.

«Forse avrò abbastanza tempo per dimostrartelo».

Lui mi guarda come se fosse incantato.

«Dillo ancora», mi prega incorniciandomi il volto con le sue mani.

«Avrai abbastanza tempo per vivermi».

Mi dà un altro bacio e un altro ancora, facendomi ridere di nuovo.

«Sasha?»

Smette di baciarmi e il suo sguardo si incupisce immediatamente, come se temesse una brutta notizia.

«Cosa?»

«Ti amo dalla prima fino all’ultima lettera», gli dico e all’improvviso riprende a baciarmi e nel frattempo mi fa indietreggiare verso il suo letto, lanciando la maschera di Spiderman sul comodino.

«Lo avevo capito», mi dà un bacio sulla fronte.

«Io invece vorrei capire altro…», mi dispiace spezzare la magia e lui lo ha capito, infatti si allontana da me e sospira, stringendo i denti. «Cosa è successo? C’è la polizia e l’ambulanza qui fuori e tu sei chiuso qui dentro».

«È l’inferno in cui vivo da un po’», fa spallucce, cercando di minimizzare l’accaduto. Va vicino alla finestra e guarda fuori. «Sono felice che i vicini abbiano chiamato la polizia. Fa davvero schifo, Casper», appoggia l’avambraccio al muro e la fronte su di esso. «Non sono uscito perché non voglio guardare in faccia i miei genitori. Non ho la forza di guardare mia madre. Ha sempre preferito avere addosso le ferite che mio padre le procurava. Ho dovuto subire perché altrimenti non sarei più riuscito ad andare via da qui senza avere dei cazzo di problemi. Ma questa volta mio padre è tornato a casa ubriaco e ha esagerato. E sembra assurdo, ma neanche adesso sono in grado di respirare senza sentirmi oppresso. Devo parlare con la polizia, però. Giusto?», mi guarda di sguincio e annuisco.

Lo raggiungo e appoggio la mano sulla sua schiena. «Ma non dovrai farlo da solo».

«Vorrei farti capire quanto sia meraviglioso il modo in cui decori con i tuoi colori le pareti vuote del mio mondo. Vorrei che sentissi il modo in cui batte il mio cuore quando ti avvicini a me», mi prende il palmo della mano e lo appoggia sul suo petto. «Grazie».

«Grazie a te il mio cuore riesce ancora a battere», ammetto tristemente. «Ogni scelta alla fine mi ha portato da te».

«Lo terrò a mente», mi prende la mano e la stringe forte, poi usciamo dalla sua stanza e scendiamo al piano di sotto.

«Ragazzo, devi venire con noi. Vorremmo farti qualche domanda.», dice l’agente non appena lo vede. «Ma se hai bisogno di cure prima, possiamo-».

«Non vado da nessuna parte senza di lei».

Spunto da dietro la sua schiena e sorrido all’agente di prima. Lui scuote la testa e sospira. «Va bene, ma dovrà aspettare fuori».

Stringo la mano di Sasha e cerco di rassicurarlo.

«Non volevo che tu vedessi tutto questo e mi dispiace da morire, Casper. Ma ho bisogno di te».

Circa un’ora dopo, Sasha esce dalla stazione di polizia e mi viene incontro. Le sue braccia mi circondano e la sua bocca cerca la mia come se fosse l’unica cosa in grado di tranquillizzarlo.

«È tutto okay?», gli chiedo.

«Ho dovuto raccontare qualche bugia», fa una smorfia con la bocca. «È stato necessario, altrimenti avrei dovuto denunciare anche mia madre. Non riesci a farlo».

«Sei sicuro che sia la scelta giusta?», chiedo mentre ci allontaniamo.

«Dovrò partire per il college. Ho intenzione di cavarmela da solo e mia madre sarà libera di fare ciò che vuole. Non voglio farle del male… È mia madre e io non sono come lui».

«Lo so…»

Avrei dovuto denunciare Ruth già da tempo. Probabilmente qualcun altro al posto mio lo avrebbe fatto senza troppi pensieri.

Ma io come una stupida ho sperato che lei cambiasse. E neanche adesso riuscirei a sporgere denuncia. È mia sorella e in lei rivedo la bambina che mi faceva i dispetti e poi condivideva la sua merenda con me.  Rivedo tutti i nostri ricordi e la nostra famiglia felice. Non riuscirò mai a superare tutto questo, ma imparerò a conviverci.

«Dormirai con me?», chiede Sasha rompendo il silenzio.

«Non posso… L’ho promesso a mia madre», ammetto imbarazzata.

«Oh…»

«Perché non vieni tu da me?», gli chiedo e i suoi occhi brillano di nuovo.

«Non mi dispiacerebbe».

Spero soltanto che mia sorella non dia di matto e che mia madre non butti fuori di casa entrambi. Dopotutto, Ruth non è l'unica a portare a casa un ragazzo.

Siamo sul portico di casa mia, davanti alla porta d’ingresso. La apro cercando di fare meno rumore possibile e la richiudo. Sasha mi segue in silenzio su per le scale, ma nel corridoio incontro lo sguardo amareggiato di mia madre.

Guarda prima me, poi lui e infine la stretta delle nostre mani.

«Non farò domande, ne ho avuto abbastanza per stasera. Sono felice che tu sia tornata a casa», mi dice senza accennare alcun sorriso. «Dovresti curare quelle ferite. Domani mattina esigo una spiegazione da entrambi. Buonanotte», torna nella sua stanza e io faccio entrare Sasha nella mia.

La analizza per un paio di secondi e poi gli faccio cenno di sedersi sul bordo del letto.

«Ma la immaginavo diversamente», commenta divertito.

«Aspetta qui», dico e vado a prendere il kit di primo soccorso. Quando torno da lui lo trovo con una mia foto di quando ero piccola tra le mani e un sorriso sulle labbra.

«Sei così bella quando sorridi».

«Nah, mettila via. È orribile», rido e mi inginocchio davanti a lui. Prendo il disinfettante e la garza e inizio a pulire le sue ferite. «Guarda qui», sventolò davanti al suo viso i miei cerotti e lui si porta la mano al petto con aria melodrammatica. «Tu sì che sai come farmi innamorare di nuovo anche a distanza di anni».

Quando finisco di medicare le sue ferite, mi sdraio sul letto accanto a lui e appoggio la testa sul suo petto, ma lo sguardo è puntato sulla porta. Anche in questo momento ho paura che mia sorella irrompi nella mia stanza e mi faccia del male.

«Tutto bene?», mi chiede con voce stanca.

«Spero ne valga la pena», sussurro chiudendo gli occhi.

«Cosa?»

«Vivere».

Mi stringe a sé e mi dà un bacio sulla fronte. «Sarà difficile, ma ne varrà la pena. Te lo prometto. Da domani vivrai come non l’hai mai fatto prima».

«Mi insegnerai ad andare sullo skateboard?»

«Lo farò».

«Mi regalerai ancora i fiori?».

«Anche ogni giorno, se ciò ti renderà felice».

«Grazie di aver accolto il mio dolore», giocherello con le sue dita.

«Lo farei altre mille volte, Casper».

«Siamo proprio incasinati, vero?», alzo lo sguardo e lui mi sorride.

«Incasinati, feriti, stanchi. Lo siamo, sì. Ma ti prometto che non scapperò più e semmai dovesse ricapitare, sappi che ci ritroveremo sempre nello stesso punto, io e te. Ancora e ancora».

Prendo il cellulare dalla tasca e gli auricolari e gli dico: «Questa canzone mi fa pensare a te», metto di nuovo After dark e lui afferra un auricolare.

«Mi hai chiesto di ascoltarti in ogni canzone triste e lo farò ogni volta che non avrai abbastanza forza per parlare», mi accarezza la guancia e poi chiudiamo gli occhi, lasciandoci andare.

 
La storia di queste due anime rotte è arrivata quasi alla fine ❤️ e io non sono pronta a lasciarli andare 🥺

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