29. La favola perfetta per te
Dad can you maybe hear me?
I've been calling your name now
They said you were up in the clouds
But I need you now, can you come down?
-Yung City - This one is for you
La prima cosa che noto non appena entro nel suo appartamento è il vecchio quadro appeso al muro dalla cornice leggermente rovinata; la donna con il vaso di fiori tra le mani sembra stia guardando proprio me. Poi noto la carta da parati verdognola piena di strappi e screpolature e sento il profumo stantio conservato nelle pareti e nei mobili vecchi. Passo in rassegna la stanza con lo sguardo e Tom si schiarisce la gola, passandomi accanto.
«Non è niente di che. È una sistemazione provvisoria», dice. Mi fa entrare e inizia rapidamente a spostare alcuni indumenti dimenticati sul divano consunto. «Il cugino di Nino mi lascia stare qui finché non trovo qualcosa che posso permettermi di pagare di tasca mia. Meglio che dormire per strada, giusto?», mi sorride tristemente e io annuisco, accomodandomi sul divano e fissando intensamente i fiori ormai appassiti sul tavolino davanti a me.
«Sì, questi dovrei buttarli. Mi piace avere dei fiori in casa, ma non riesco mai a prendermene cura come si deve», afferma con una punta di disagio nella voce. Si passa la mano sulla nuca e sulla guancia coperta da un filo di barba, poi afferra i fiori secchi dal vaso e va a buttarli.
«Non è un problema per me», gli dico, osservando le mie scarpe. «Non potrebbe mai esserlo», sussurro, ma temo non mi abbia sentito
«Va bene, dobbiamo tirarti su il morale. Quindi, ti va la cioccolata calda?», si affaccia nel salotto con un sorriso sul volto in grado di illuminare l’intera stanza.
«Con questo caldo?», gli chiedo, reprimendo una risata.
«Non si può mai dire di no alla cioccolata calda», alza un sopracciglio, cercando di camuffare il divertimento dietro ad un’espressione seria.
Annuisco e lui sparisce di nuovo in cucina. Io osservo il vecchio televisore davanti a me.
Pochi minuti più tardi Tom ritorna da me con due tazze tra le mani. «Ho anche dei DVD lì, se vuoi », indica i film sulla mensola sopra il televisore e ne leggo i titoli.
«Film di natale?», suggerisco.
«Perché no?», si stringe nelle spalle e poi va a prendere il film. Non sono in vena di risate, ma se pensassi sarebbe molto più brutto di un film natalizio durante la stagione sbagliata.
Tom si siede accanto a me con ancora addosso i vestiti del lavoro. Non si è nemmeno cambiato. Sta facendo tutto questo per me.
Gli sorrido con gratitudine e prendo la cioccolata tra le mani mentre i miei occhi stanchi cercano di seguire le immagini che scorrono davanti agli occhi.
Due ore più tardi finisco di asciugarmi le lacrime mentre le nostre risate riempiono l’appartamento.
«Forse non era così male», dico toccandomi le guance doloranti.
«Da oggi in poi farò scegliere te i film da vedere», risponde, la sua risata si affievolisce piano piano e il respiro torna ad essere calmo come prima. «Sono contento che tu abbia riso», mi stringe la spalla con affetto e io distolgo lo sguardo.
«Grazie», bisbiglio mordendomi il labbro. «Posso stare qui qualche giorno?», chiedo all’improvviso. Il cuore batte all’impazzata e un suo ipotetico rifiuto mi butterebbe a terra. Potrei cercare Riley e chiederle di ospitarmi, ma so che mia madre verrebbe a cercarmi.
Tom spalanca lentamente gli occhi. L’ho colto di sorpresa.
Sembra un po’ riluttante, ma comprendo il perché. È stato inaspettato perfino per me.
«Mi dispiace, non so cosa mi sia passato per la testa», smorzo l’imbarazzo con una risata forzata, ma Tom scuote il capo e sorride comprensivo.
«Non ti direi di no, Chandra. Puoi stare qui tutto il tempo che vuoi. Ma cosa dirà tua madre?», chiede preoccupato.
Oh, dunque è questo il problema.
«Ultimamente mia madre non bada molto a me. Sparisco spesso, ma sa che torno sempre. Il nostro rapporto è diventato un po’ freddo…», concludo con voce triste. «Ho preso le distanze da lei, emotivamente parlando. E la cosa triste è che neanche volevo che ciò accadesse».
«Capisco…È normale che ciò accada quando ci sono delle incomprensioni, ma se hai bisogno di parlare io sono qui», mi lancia una lunga occhiata, come se volesse convincermi a raccontargli tutto.
«Non voglio annoiarti con i miei problemi inutili», metto su un sorriso finto e lui non insiste.
«Nessun problema è inutile se ti reca dolore», si alza in piedi e si stiracchia. Spegne la tv e poi sbadiglia. «Letto o divano?», chiede.
«Divano. Non voglio privarti di quel letto comodo. La vita l’ha già fatto abbastanza», mi tolgo le scarpe e mi sdraio sul divano. È la cosa più scomoda del mondo, ma spero di riuscire a dormire almeno un paio di ore.
«Non ci saranno problemi, vero? Intendo con tua madre. Non voglio problemi, Chandra. Non voglio essere accusato di qualcosa che non ho fatto… Capisci?», storce la bocca, ancora dubbioso.
Soltanto dopo qualche secondo capisco ciò che intende e balzo in piedi. «No! Non succederà, te lo prometto. Non ci pensare nemmeno. Non succederà niente di tutto ciò», gli prendo le mani tra le mie e lo guardo negli occhi.
«Mi fido di te», mi arruffa i capelli come se fossi una bambina e rido tristemente mentre la mente vola da papà.
«Ti darò ovviamente una mano qui. Questo posto ha bisogno di una ripulita», cambio argomento.
«Fai quello che vuoi. Casa mia è anche casa tua adesso. Se non fosse per te, io non sarei qui ora», resta per un attimo in silenzio e sospira profondamente. «Adesso io vado a dormire. Buonanotte, Chandra», solleva la mano per salutarmi e poi entra nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
E finalmente rilascio quel sospiro pesante che tanto mi opprimeva il petto.
La luce del lampione si riversa dolcemente nella stanza, illuminandola di poco. Sprimaccio il cuscino e mi sdraio di nuovo, tirando le ginocchia al petto.
Cosa sto facendo, papà? Perché la vita non è la favola romantica che ci raccontano da bambini? Perché vorrei staccarmi dalla mia e non provare più niente? Sarà sempre una continua fuga da me stessa, dai problemi, dai miei pensieri? È così che si vive? Spero tu te la stia passando meglio di me lassù, perché io sono entrata nella modalità sopravvivenza e non so se sarò in grado di farcela. Vorrei vivere in base ai miei desideri e non più in base alle mie paure.
Mi asciugo le lacrime e stringo gli occhi, sperando di addormentarmi invocando nella mia mente un silenzio che non mi appartiene da tanto tempo ormai.
Tre giorni.
Sono passati tre giorni da quando non mi faccio viva.
Tre giorni di pianti notturni e un dolore opprimente che mi lacera la pelle.
Non mi pento di ciò che è successo tra me e Sasha. Non mi pento di avergli rivolto la parola dopo tanti anni. Non mi pento di averlo guardato negli occhi e avergli messo tra le mani il mio cuore. Mi pento soltanto di essermi mostrata così vulnerabile ai suoi occhi. Le sue braccia hanno cullato il mio dolore e le sue labbra hanno permesso alle mie ferite di rimarginarsi. Ma avrei dovuto aspettarmelo. Sasha Baker ha qualcosa che lo rende unico ai miei occhi, ma mi ha ferita come tutti gli altri. Diverso, ma uguale.
Stringo il cellulare tra le mani finché le nocche non diventano bianche. È completamente scarico.
«Penso sia arrivata l’ora che tu ritorni a casa. Ho un brutto presentimento», dice Tom mettendo sul tavolino un piatto con due fette di pane e burro di arachidi.
«Hai ragione», mi stropiccio gli occhi e sbadiglio. «Inizio a puzzare», mi annuso i vestiti e faccio una smorfia.
«Beh, mi dispiace ammetterlo, ma sì», ride e si siede sul divano accanto a me. «Ti senti meglio?»
«Sì», mento.
«Chandra io so che non stai bene. E la notte ti ho sentito piangere. Non sono così scemo», alza le sopracciglia e mi guarda dritto negli occhi. «Non ti ho detto niente per non farti sentire a disagio. Hai fatto bene a piangere. Aiuta a purificare l’anima a volte, ma a lungo andare potrebbe verificarsi l’effetto opposto. Ti consumeranno così tanto che non avrai più nulla da versare. Perché non provi a parlare con uno di quei tizi…», si riferisce allo psicologo.
Ovviamente.
«Dovrei portarci tutta la mia cazzo di famiglia», rido nervosamente e inizio a consumare la colazione.
«A tuo padre non farebbe piacere vederti così», dice e smetto di masticare. Rimango con lo sguardo puntato sulla finestra dietro di lui e poi riprendo a masticare piano.
«Ma mio padre non è qui. E se lui non fosse morto tra le mie braccia lasciandomi un cazzo di trauma contro cui combattere ogni dannato giorno, forse io non sarei in queste condizioni oggi», dico con voce strozzata. «Vado a casa. Grazie per tutto ciò che hai fatto per me, Tom. Un giorno mi sdebiterò», mi alzo dal divano e lascio il resto l’altra fetta di pane sul tavolo, dirigendomi di corsa verso la porta.
«Chandra!», mi chiama, ma io non mi volto. Non volevo prendermela con mio padre. Non ha deciso lui quando e come morire. Cazzo!
Rimando indietro le lacrime e inizio a dirigermi verso casa, preparandomi mentalmente alla filippica che mi rifilerà di mia madre. Oppure questa volta mi sbatterà direttamente fuori di casa.
Man mano che mi avvicino inizio ad osservare tutti i lampioni lungo il vialetto, uno ad uno.
La mia faccia è ovunque. I miei occhi vuoti sono alla ricerca del mio sguardo. La mia faccia è su ogni dannato volantino.
Inizio a staccarli velocemente, soffermandomi a lungo sulla scritta “Sparita” sopra la mia foto.
I fogli tremano tra le mie mani, la mia faccia sembra un fantasma che mi dà il tormento.
Li appallottolo e li butto nel cestino della spazzatura sul marciapiede. Il cuore batte contro la cassa toracica, il mondo intorno a me diventa sfocato.
Mia madre mi ha dato per dispersa.
Corro verso la mia abitazione e spalanco la porta, cercando di calmarmi. Mi sento in trappola ovunque.
Qualcuno si precipita nel corridoio. Mia madre mi fissa con sguardo sofferente. Gli stessi occhi rossi e gonfi che ho visto giorni fa. Stesso dispiacere. Stessa delusione stampata sul suo volto. Stessa rabbia a deformarle i lineamenti dolci.
Si avvicina a me, lasciando da parte il sollievo.
Il suo palmo colpisce con forza la mia guancia e io incasso il colpo senza dire una parola. Un bruciore fastidioso inizia a propagarsi sulla mia guancia.
«Io sono stanca», sibila, il suo respiro diventa sempre più pesante. «Sono stanca dei tuoi maledetti giochetti! Sono stanca di disperarmi per te. Sono stanca di piangere e ripetermi quanto io mi detesti come madre», mi dà una spinta e mi appiattisco contro la porta, senza distogliere lo sguardo dal pavimento. «Io sono sfinita, Chandra. Ho cercato di venirti incontro, di… Dio, ho cercato di non soffocarti con la mia presenza, di comprendere il tuo dolore, di essere una buona madre», sbraita contro il mio viso, facendomi sussultare.
«E in cambio cosa ho ricevuto da parte tua? Cosa continuo a ricevere? Lo vedo il disprezzo nei tuoi occhi. Cazzo! A volte mi chiedo se guarderesti così anche tuo padre se solo sapessi…», fa una pausa e scoppia a piangere. «Se solo sapessi quanto ho dovuto sopportare io per vedere felici voi! Tu non ne hai idea, Chandra. E sono davvero contenta che tu abbia idealizzato tuo padre in quel modo, perché è ciò che facciamo tutti quando siamo troppo affezionati ad una persona, e mi fa piacere che tu abbia visto in lui l’eroe della tua storia, ma purtroppo era l’antagonista della mia», si asciuga furiosamente le lacrime e io finalmente trovo il coraggio di guardarla negli occhi.
«C-che vuoi dire? Eravate sempre felici. Eravamo la famiglia perfetta», sussurro, il mento trema.
«È colpa mia. Sono stata io a creare la favola perfetta per te, ma adesso sei grande e meriti di sapere che io la morte di tuo padre non la piango, Chandra. Mi manca l’uomo che era, ma non mi manca lui. In vostra assenza il castello crollava e io restavo sotto le macerie. Si divertiva a distruggere ogni singolo pezzo di me e io gliel’ho permesso perché-», si porta la mano davanti alla bocca soffocando un singhiozzo. «Perché la luce nei tuoi occhi e il tuo sorriso erano in grado di rimettere tutto a posto. Per Ruth era il suo migliore amico. Per te era la tua spalla, il tuo supereroe. E io non potevo distruggere la vostra felicità, così ho deciso di distruggere la mia.»
«Menti», bisbiglio, le lacrime salate bagnano le mie labbra.
«La vedi questa?», mostra la cicatrice sul avambraccio. «Non è stato un cane ad avermi aggredita, Chandra. È stato tuo padre a farlo con il pezzo di vetro della bottiglia che feci cadere quattro anni fa. Una volta, durante un nostro litigio, ti ha mandata nella tua stanza, ma tu eri così spaventata che ti sei chiusa nel vecchio armadio multiuso che tenevamo nel sottoscala. Ti ho trovata lì, impaurita, con le mani sulle orecchie e traumatizzata. Tuo padre ti ha traumatizzata e non te lo ricordi, eri piccola.»
«Smettila», la intimo avvicinandomi a lei minacciosamente. «Smettila di mentire. So cosa hai fatto. So che hai un altro uomo. Lo so, mamma. Stai cercando di sminuire la figura di mio padre, ma sappi che tu non sei migliore di lui!»
Mia madre non sembra molto sorpresa. «Te l’avrei detto un giorno. Ma so come mi vedi, Chandra», le lacrime continuano a scorrere sulle guance. «So cosa pensi di me. Ma adesso mi sento finalmente libera e sto cercando di essere felice».
«Con l’uomo di un’altra donna!», urlo a pieni polmoni. «Perché non le dici a Ruth queste cose? Perché sempre a me? Perché ogni dannata cosa che va male in questa casa deve sempre colpire per prima me?», la gola brucia e le lacrime sembrano schegge di vetro nei miei occhi.
Inizio a colpirmi la testa con entrambe i palmi, cadendo in ginocchio. «Io. Voglio. Che. Smetta. Di fare. Così. Male », e finalmente mi lascio andare ad un pianto doloroso, che ho trattenuto a lungo dentro di me. Mi abbasso e appoggio la fronte sul pavimento, continuando a piangere disperatamente. Mia madre è in piedi davanti a me.
«Chandra, mi dispiace», sussurra, abbassandosi per sfiorarmi la schiena. «Non volevo dirtelo così. Sono felice che tu sia a casa con me», continua a dirmi mansueta.
«Non sai cosa hai fatto, mamma», le dico sollevando piano la testa. Con il dorso della mano cerco di asciugarmi le lacrime. «Avresti dovuto continuare a mentire». Mi alzo in piedi e barcollo mentre cerco di raggiungere le scale. «Spero tu sia felice adesso. Più di quanto io lo sarò mai», sorrido tra le lacrime e inizio a salire le scale. Mia madre non mi segue.
«Lo supereremo insieme, te lo prometto tesoro», dice alle mie spalle, la voce incrinata.
È troppo tardi, vorrei dirle.
Mi giro un’ultima volta verso di lei e il dolore continua a scorrere sulle mie guance in silenzio.
Questa volta non ho più nulla a cui aggrapparmi. Adesso perfino il ricordo di papa appare distorto nella mia mente e la paura e la solitudine si annidano di nuovo dentro di me, soffocandomi lentamente e facendomi desiderare di perdermi tra i raggi del sole al tramonto.
Vorrei essere quella scia di luce colorata che permea il cielo al calar del sole e che tutti guardano con stupore.
Nei prossimi giorni posterò l'altro capitolo, perché devo soltanto rileggerlo❤️ e succederà un'altra cosa brutta 👌ci sarà Sasha.
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