28. Sei tu il ragazzo delle lettere
Wakin' up but wishin' that you don't
It's somethin' that I pray you'll never know
-Jessie Murph
Il respiro tacito di Sasha mi solletica l’orecchio. Le sue labbra schiuse premono quasi contro la pelle calda del mio collo e la sua mano è aperta sul mio stomaco.
Mi stropiccio un occhio e sbadiglio, poi mi allungo e afferro il cellulare dalla tasca dei pantaloncini, che precedentemente ho lasciato a terra, e guardo l’ora sullo schermo luminescente, serrando di poco gli occhi.
Sono le quattro e venti del mattino.
Sposto lentamente la sua mano e scivolo giù dal letto. Inizio a pescare i miei vestiti uno ad uno dal pavimento e li indosso lentamente, senza far rumore.
Mentre mi infilo la maglietta un borbottio attira la mia attenzione. Guardo Sasha e poi la porta della sua stanza. Mi avvicino ad essa camminando in punta di piedi e appoggio l’orecchio sulla superficie liscia del legno.
«Gli hai fatto male, di nuovo!», la voce risentita di una donna abbraccia il silenzio, soffocandolo.
«È tutta colpa tua! Non ti sopporto più, Lara», ribatte piccato un uomo.
«Ma le donne che ti scopi a mia insaputa le sopporti, non è così?», chiede lei, abbandonandosi poi ad una risata isterica.
«Non essere sciocca, cazzo! Ti voglio fuori da questa casa. Per colpa tua ho alzato le mani su mio figlio. È tutta colpa tua!», la voce di suo padre mi fa sussultare.
«Fai silenzio, altrimenti lo sveglierai. Prima o poi chiamerà la polizia. Le mie minacce non servono più a niente. Non solo gli hai rovinato la vita e l’ultimo anno di liceo, ma hai rovinato l’intera famiglia. Figlio di puttana!»
Il rumore di uno schiaffo interrompe la conversazione.
Trattengo il respiro nei polmoni e mi porto una mano davanti alla bocca.
«E tu non ti rendi conto di essere talmente ossessionata da me da minacciare-», il resto della frase diventa un suono sordo, incomprensibile.
Indietreggio lentamente e mi siedo sul bordo del letto. Con le dita gli sposto i ciuffi dalla fronte e osservo la sua espressione rilassata.
Premo le labbra sulla sua fronte e lui mugugna qualcosa nel sonno.
«Shh, continua a dormire», sussurro, dandogli un altro bacio.
«Che ore sono?», chiede senza aprire gli occhi.
«Sono le quattro. Devo tornare a casa, non voglio che mamma scopra che ho fatto tardi di nuovo.»
«Chandra…», allunga il braccio e intreccia lentamente le dita alle mie. «Grazie di essere rimasta.»
Cerco di rimuovere dalla mente la conversazione che ho sentito poco fa, ma è difficile. È stato suo padre a fargli del male? È sempre stato lui? Perché non ha detto niente?
Non ricevendo più una mia risposta, Sasha solleva una palpebra e mi fissa. I capelli arruffati adombrano un leggero solco sulla sua fronte, gli occhi acuti e profondi analizzano attentamente la mia espressione inquieta. Nonostante i suoi lineamenti inalterati, una sfumatura sinistra si annida nei suoi occhi.
Un rumore al piano di sotto attira la sua attenzione.
«Torna a dormire. Ci sentiamo dopo», gli sorrido e stringo forte la sua mano, facendogli sentire la mia presenza.
Mi alzo in piedi, ma lui serra la mano intorno al mio polso. «È successo qualcosa?»
Scuoto la testa. «Sono soltanto stanca.»
Lo sguardo di Sasha è fisso sulla porta. Le sue dita stringono più forte il mio polso nel momento in cui sente alcuni passi pesanti nel corridoio.
Una porta si chiude e Sasha riprende a respirare.
Non dico niente, distolgo lo sguardo e sciolgo lentamente la sua presa.
«Devo andare… Scrivimi più tardi, va bene?», e mentre mi dirigo verso la finestra, la sua espressione addolorata mi segue come un fantasma.
Per la prima volta provo un tipo di paura diverso. Ma non posso dirlo ad alta voce.
Seduta su una panchina nel cortile della scuola, cerco di non addormentarmi mentre aspetto che lui si faccia vedere.
Non ha risposto ai miei messaggi questa mattina, ma non mi preoccupa. Non è la prima volta che accade. Io stessa l’ho fatto fino ad un paio di ore fa e ho ancora i sensi di colpa.
Tiro le ginocchia al petto e sbadiglio per la centesima volta. I capelli ricadono in avanti, oscurandomi la vista. Sposto le ciocche dietro l’orecchio e sollevo la testa.
In lontananza intravedo Bonnie. Cammina spedita verso di me con un’espressione ferale sul volto.
Quando è abbastanza vicina, si ferma e digrigna i denti. «E tu pensi che lei darebbe un’opportunità a me?», indica Riley ad un paio di metri più in là mentre sembra totalmente presa da una conversazione con un ragazzo.
«Oh…», mormoro, accigliandomi.
«Oh? Solo questo hai da dire?», il suo sguardo amareggiato mi fa male, ma non è davvero ciò che io sospettavo.
«Non pensavo le interessasse qualcuno. Non me ne ha mai parlato», ammetto. Riley scoppia a ridere e appoggia la mano sulla spalla del ragazzo. Lui le sorride e poi si salutano.
«Oh no, io non starò qui a sentire le stronzate che-», Bonnie non riesce a finire la frase perché Riley arriva da noi correndo, più felice che mai, ed esclama: «Oggi è decisamente il giorno più bello della mia vita!»
«La bilancia segna finalmente un numero diverso?», chiede Bonnie e tra di noi cala all’improvviso il silenzio. Riley la osserva inorridita.
«Da quando sei diventata così stronza?», grida e poi si allontana da noi, nascondendo l’espressione ferita dietro a qualche ciocca di capelli.
«Sì, sei stata decisamente una stronza», confermo.
Bonnie mi guarda con aria scioccata, poi balbetta. «M-mi dispiace. Non intendevo ferirla. Non volevo farlo», con le mani immerse nei capelli inizia a fare avanti e indietro davanti a me. «Ho rovinato tutto!»
«Lo capisco. Sei ferita e fa sicuramente molto male, ma dovresti andare a scusarti, adesso», le dico e annuisce disperatamente, cercandola con lo sguardo e allontanandosi a passo rapido.
La campanella suona, ma di Sasha non scorgo neanche l’ombra.
«Ehi, Chandra!», Manuel solleva due dita per salutarmi.
«Ehi», mi alzo dalla panchina e lo affianco mentre ci dirigiamo verso l’entrata.
«Ci sarai stasera alla partita?», chiede.
«Sai se Sasha ci sarà?», cerco di indagare, ma lui si limita ad alzare le spalle.
«Probabilmente sì. Non perde mai occasione per umiliare Bennie», elargisce un sorriso.
«Per caso l’hai visto questa mattina?»
Manuel si ferma sulle scale e mi guarda con rammarico. «Benvenuta nella vita di Sasha. Dovresti iniziare ad abituarti a tutto questo, perché succederà spesso. Sasha a volte ha dei modi di fare che io non condivido. Ma le persone così o le rincorri, o le aspetti o le lasci andare», assottiglia le labbra, poi mi saluta con un cenno del mento e sparisce all’interno dell’aula di biologia.
In che senso? Dovrò abituarmi alla sua assenza? Al fatto che non lo sentirò sempre? Al fatto che sparirà senza dirmi nulla e io continuerò a sentirmi non abbastanza importante da meritare una sua risposta?
Se un giorno tutto questo diventerà sempre più reale, io non voglio viverlo come se fosse un sogno. Non sono rimasta in vita per sognare.
Una parte di me pensa: «È okay, anche tu lo fai. Dovresti capirlo».
Ma una vocina nascosta e timida nella mia mente sussurra: «Hai davvero bisogno di tutto questo?»
E non penso di voler sapere la risposta.
“Verrai alla partita?”
Chiedo a Riley.
“Sì. Vieni con me? Con Bonnie non ci parlo. Non ho accettato ancora le sue scuse. Quella stronza!”
“Sì, lo so, ha sbagliato, ma non voleva davvero ferirti. Era arrabbiata”, cerco di spiegarle.
“La sua rabbia non è una scusa.”
E su questo non penso di poterle dare torto. Mia sorella diventa completamente un’altra persona quando si arrabbia con me.
Lancio il cellulare sul cuscino e sospiro. Mi alzo e vado ad aprire le ante dell’armadio. Io odio lo sport e delle partite non me n’è mai fregato nulla. Odio quell’ambiente. Però che potrei incontrare Sasha e questo è l’unico motivo per cui ci sto andando.
Prendo dei jeans vintage, che prima appartenevano a mia madre, e una maglietta bianca. Metto la cintura e indosso le converse nere, poi vado davanti allo specchio e raccolgo i capelli con le mani, simulando una coda. Magari dovrei lasciarli liberi…
Scuoto la testa e prendo l’elastico che ho al polso, poi mi faccio una coda alta lasciando il viso scoperto. Per una volta vorrei non nascondermi più.
Mi trucco e sorrido al mio riflesso. Non c’è male.
«Non parlarmi di Bonnie», mi ammonisce Riley mentre aspettiamo Dio solo sa chi sul ciglio della strada.
«Va bene», alzo le mani in segno di resa. «Chi stiamo aspettando, esattamente?»
Lei si gira verso di me esibendo un sorrisetto malizioso. «Si chiama Ezekiel. Ci siamo scritti un paio di volte su Instagram», muove le sopracciglia su e giù e io penso allo stato d’animo di Bonnie. Forse avrei dovuto farmi gli affari miei. In parte è colpa mia se si è illusa.
«E quindi vi state frequentando?», cerco di indagare senza sembrare troppo interessata alla sua vita privata.
«Qualcosa del genere», si stringe nelle spalle.
Una berlina blu scuro si ferma davanti a noi e un ragazzo biondo, lo stesso di stamattina, si allunga per aprirle lo sportello. «Ciao, ragazze!», dice sfoggiando un sorriso smagliante.
Riley mi rivolge un’occhiata eccitante e poi prende posto accanto a lui.
Io mi siedo sul sedile posteriore e prego di arrivare a scuola in meno tempo possibile. Detesto sentirmi il terzo incomodo.
«Io sono Ezekiel. Tu sai Chandra», si gira verso di me e allunga la mano. Gliela stringo e aggrotto le sopracciglia, confusa. «Sì. Io sono Chandra».
«Bene, andiamo. Pronte a fare il tifo?», chiede e mi lancia un’occhiata nello specchietto retrovisore.
«Non vedo l’ora», mormoro.
Quando arriviamo a scuola, Ezekiel parcheggia la macchina e io mi catapulto fuori, cercando di riprendere il fiato. Il suo profumo per poco non mi ha fatto vomitare.
Riempio i polmoni di ossigeno e mi blocco non appena vedo Bonnie fare avanti e indietro nel parcheggio.
«Uhm…», mi giro verso Riley, ma lei l’ha già notata. Mette le mani sui fianchi, adirata.
«Ti dispiace se ti raggiungo tra poco?», chiede ad Ezekiel, e quest’ultimo annuisce.
Bonnie sta venendo verso di noi a passo svelto.
«Non parlo con le stronze!», Riley le punta il dito contro e Bonnie alza gli occhi al cielo.
«Mi lasci spiegare?», le chiede con calma.
Riley non ne vuole sapere. «No. Che razza di amica dice una cosa simile?»
Bonnie la guarda mortificata. «Ho sbagliato. Okay? Lo so! Ma posso spiegare.»
«Mia madre ha un problema con il mio peso, ma non pensavo che lo avessi anche tu», ribatte Riley, più inacidita che mai.
«Non ho un problema con il tuo peso. Cristo, ma mi lasci spiegare?»
Guardo entrambe, sono una più incollerita dell’altra. Gli altri iniziano a girarsi verso di noi e il timbro di Riley assume una tonalità ancora più alta.
Prima che arrivino a scannarsi tra di loro, decido di intervenire. Non sapendo cos’altro dire, pronuncio la prima frase che mi passa per la testa: «Io e Sasha abbiamo fatto sesso».
Entrambe smettono di gridare e si girano verso di me. Riley strabuzza gli occhi, Bonnie invece non sembra molto sorpresa.
«Tu hai fatto cosa?», chiede Riley, spalancando la bocca.
«Okay, non è niente di che. Insomma, è successo», cerco di minimizzare l’accaduto. Tralascio volontariamente un piccolo dettaglio: Sasha non mi risponde più ai messaggi.
«E com’è stato? Dimmi, ci sa fare come sul campo?», chiede, muovendo le sopracciglia in modo sensuale.
Nella mia mente ho soltanto una domanda: ma chi diamine me l’ha fatto fare?
«Sì».
«Quindi chi di noi ha vinto?», chiede Bonnie.
«Quella scommessa non vale più niente. Però… Puoi sempre offrirmi una pizza, se ti va», Riley incrocia le braccia sotto il seno e distoglie lo sguardo con fare offeso.
Bonnie sorride. «Affare fatto».
«Beh, avete fatto pace?», chiedo.
«Forse. Ora devo scappare. Ezekiel mi sta aspettando», ci fa l’occhiolino e si dirige verso di lui.
Appena è abbastanza lontana da noi, Bonnie mi guarda e dice: «Non dirle niente. A me passerà. Ci tengo a lei e siamo diventate buone amiche. Non voglio che vada tutto a rotoli».
«Mi dispiace, Bonnie», sussurro.
«È tutto okay. Andiamo?», indica la folla di studenti e annuisco.
Prendiamo posto sugli spalti, Bonnie tira fuori dallo zaino due pacchi di Doritos. «Verrai alla festa più tardi?», chiede, ma i miei occhi vagano da un posto all’altro, alla ricerca di Sasha.
«Non saprei», brontolo e il mio sguardo si ferma su Manuel. Sta venendo verso di noi. Dietro di lui Riley alza la mano per salutarci.
«Chi stai cercando?», Bonnie segue il mio sguardo e io sento le mie gote assumere una sfumatura più rosea.
«Lo sai».
«Oh, non dirmelo», solleva la mano, come se non volesse sentire altro, e mi osserva incredula. «Ti ha scopata e ora non si fa più sentire?»
Sento lo stomaco contorcersi dentro di me.
«Un classico», aggiunge, schiaffandosi in bocca una patatina.
«Lui non è così», lo difendo, anche se dentro di me qualcosa di spezza.
«Non puoi saperlo, Chandra. Non puoi davvero saperlo», scuote la testa e io abbasso lo sguardo.
Manuel prende posto accanto a me e Riley si siede davanti a noi insieme ad Ezekiel.
«Ciao», Manuel saluta entrambe, ma Bonnie alza un sopracciglio, dubbiosa.
«Ehi, Spongebob, dov’è Patrik?», gli chiede.
«Non ne ho idea. Starò qui fino a quando non si farà vedere», risponde e lancia un’occhiata alle sue spalle. Sembra sincero.
Avanti, Sasha, dove ti sei cacciato?
«Beh, io un’idea ce l’avrei», commenta Riley, girandosi verso di me. Indica con un cenno del capo Aretha, che siede accanto a Corinne.
«Non è lì», dico, assottigliando lo sguardo.
«No, non è lì. Ma perché quella stronza sta indossando la vecchia maglietta di Sasha, visto che lui non giocherà?», chiede Bonnie, guardando Manuel alla ricerca di qualche spiegazione.
Lui fa oscillare lo sguardo tra me e lei. Osservo la maglietta che indossa e in particolare il numero 24 sulla sua schiena. Ho visto poche volte Sasha indossare quella maglietta, quando ancora faceva parte della squadra. Lo guardavo sempre da lontano, come quando vedi qualcosa di irraggiungibile che sai di non poter sfiorare.
«Sasha non lo farebbe mai», si limita a dire, poi estrae il cellulare dalla tasca e invia un messaggio.
Riley allunga la mano e mi stringe il ginocchio dandomi conforto.
Fisso la schermata del cellulare. Ancora nessuna notifica.
Manuel mi dà una piccola gomitata, poi indica qualcuno in cima alle scale.
Seguo il suo sguardo e poi lo vedo. Se ne sta lì come un’ombra che cerca di passare inosservata. Indossa una felpa grigia smanicata, il cappuccio è tirato su e nasconde la sua testa, le braccia incrociate al petto e la spalla è appoggiata alla recinzione.
«Perché… perché non sta venendo qui?», chiedo a Manuel, ma lui sembra tanto confuso quanto me. Bonnie si schiarisce la gola e indica di nuovo Aretha. Si è alzata in piedi, lo sta guardando e con una mano gli fa cenno di raggiungerla.
E non avrei mai pensato che in una sola notte io avrei perso la testa per lui e che lui avrebbe perso, nello stesso momento, interesse nei miei confronti, tanto da non volermi nemmeno rivolgere la parola.
Non mi lancia neanche un misero sguardo. Non mi manda nemmeno uno stupido messaggio. Quando sono andata via dalla sua stanza lui non era così. Ho visto il sguardo cambiare e la tranquillità sfumare dal suo viso. Ho visto i suoi occhi assonnati diventare due schegge di ghiaccio. Ma pensavo fosse dovuto a quell’attimo di stordimento. E adesso vorrei conoscere i suoi pensieri. Vorrei introdurmi in quella confusione che lo avvolge e chiedergli perché lo sta facendo.
Sono rimasta, vorrei gridare a pieni polmoni. Sono rimasta per te.
E adesso più che mai sento il desiderio di scrivere una lettera al mio sconosciuto. Vorrei dirgli di incontrarmi dove tutto è iniziato e abbracciarlo per tutte le volte che è riuscito a mettere un freno al mio dolore senza neanche sfiorarmi. Vorrei lasciarmi andare e sentirmi capita anche adesso, che sto lentamente perdendo pezzi di me.
I miei occhi stanchi perlustrano con attenzione la folla. Nessuno presta attenzione a me. Nessuno, a parte Manuel che mi fissa come se volesse comunicarmi qualcosa. E poi il dubbio diventa sempre più vorace, sbrana ogni mia piccola certezza e le gambe iniziano a formicolarmi.
«Sei tu», gli dico con voce flebile. «Sei tu il ragazzo delle lettere».
Lui per poco non impallidisce. «Come fai a sapere che-», è talmente sconvolto che non riesce a terminare la frase. «No, Chandra, ti stai sbagliando. Quelle lettere…»
Ma io lo capisco. Lo capisco dalla sua espressione triste, dal modo in cui mi guarda, dal dispiacere che gli leggo negli occhi. Lo capisco e forse dentro di me l’ho sempre saputo. È sempre stato lui, tanto anonimo quanto presente. È stato l’unico ad avermi parlato davvero, ad aver incrociato il mio sguardo nel corridoio della scuola più di una volta. Mi sorride sempre genuinamente e cerca sempre di avvicinarsi.
«Oh. Mio. Dio», dico, portandomi la mano alla bocca. «Sei davvero tu», gli accarezzo il volto con la mano e poi gli cingo il collo con le braccia.
«Chandra, davvero, io-».
«Non devi darmi spiegazioni. So perché non volevi incontrarmi. Adesso è tutto più chiaro. È per lui, non è così? È per Sasha», dico staccandomi da lui. Manuel apre la bocca, ma non esce alcun suono.
«Ma di che state parlando?», Bonnie ci guarda con aria interrogatoria.
«Oddio», mormora lui, lasciando cadere la testa all’indietro e guardando il cielo con aria abbattuta.
Il suo cellulare inizia a squillare ripetutamente dentro la tasca. Guarda il nome che lampeggia sullo schermo e sospira profondamente. «E niente, sono finito.»
Guardo Sasha. Ha il cellulare premuto contro l’orecchio e lo sguardo puntato su di noi.
«Io devo andare. Non seguirmi, per piacere», Manuel appoggia le mani sulle mie spalle e mi guarda negli occhi. «Davvero, Chandra, non azzardarti a seguirmi. Mi dispiace, non posso fargli questo. Non posso prendere parte a questa cosa», si alza in fretta e furia e fa per andare via.
«Mi prendi in giro?», gli chiedo.
«Chandra, mi dispiace…», risponde con espressione mortificata. «Non te lo meriti, davvero. Mi dispiace».
«Io non ci capisco più nulla», dice Bonnie, confusa.
Aretha si alza e va a parlare con Sasha. Gesticola tanto. Lui si passa la mano tra i capelli e poi riprende a parlare.
«Devo andare in bagno», dico alle mie amiche, poi mi alzo e con la vista un po’ appannata inizio ad allontanarmi.
Conficco le unghie nei palmi delle mani e appena sono fuori dalla confusione spengo il cellulare e corro via, lasciandomi dietro lo schiamazzo folle dei tifosi.
Ore più tardi, qualcuno inizia a scuotermi per la spalla e fa il mio nome. Apro gli occhi e guardo la persona davanti a me, sorridendole.
«Che cosa stai facendo, Chandra? Stavi dormendo qui fuori?», chiede. «Che brutta cera, cos’è successo?»
Mi alzo in piedi, sgranchendomi le gambe e poi allungo le braccia verso di lui. «Mi sei mancato, Tom.»
«Vieni, ti mostro la mia nuova, umile e piccola dimora», indica la porta del palazzo in cui vive e mi sorride con dolcezza. «È stato Nino a darti l’indirizzo, non è così?»
Annuisco.
«Se sei qui, al buio e da sola, dev’essere successo davvero qualcosa di molto brutto, vero?»
E ripenso di nuovo a loro due. Ad uno ho donato il mio corpo e il mio cuore e all’altro ho donato i miei pensieri, le mie paure, i miei desideri più profondi. Ed entrambi mi hanno abbandonata. Entrambi mi hanno voltato le spalle.
Ho guardato Sasha negli occhi più di una volta fino a non provare più paura e gli ho chiesto silenziosamente di non farmi male. Gli ho messo il cuore tra le mani e lui lo sapeva. Sono ancora qui anche perché il mio cuore si è aggrappato a quel filo di felicità che lo collega al suo.
«Sono rimasta per tutti», gli dico a bassa voce. «Ma nessuno è rimasto qui per me.»
Immerge la mano nei miei capelli e spinge la testa verso il suo petto, abbracciandomi allo stesso modo in cui lo faceva papà.
«Io non sono mica andato via», restiamo così nell’oscurità, e io gli sorrido grata, per poi scoppiare poi in un pianto disperato.
E niente, probabilmente nel prossimo capitolo lo scoprirà davvero ☀️e la reazione non sarà molto carina. Ma nel frattempo... Sasha che CA🅱️🅱️O fai?
Secondo voi perché non si è fatto sentire? 👀
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