24. Un bacio dall'altra parte della luna
Only love can hurt like this
Must have been a deadly kiss
-Paloma Faith
Non mi sono mai sentita presa in giro dalla mia famiglia, ma vedere mia madre aggrappata ad un altro uomo è stato come se avessi ricevuto una pugnalata al cuore. Un dolore che avrei potuto incassare da chiunque... eppure adesso è lei a tenere il manico del coltello. E nella mia mente appare con gli occhi chiusi e la mente vuota. Niente la turba. Nemmeno il mio malessere. Nemmeno le mie lacrime.
Papà, se solo fossi qui... Se solo potessi tendermi la mano.
Mi sono vestita di silenzi in un mondo chiassoso. Ho parlato attraverso gli occhi a persone che hanno usato soltanto la bocca per esprimere i loro pensieri. Ho abbracciato l'oscurità per potermi godere di più il sole. E adesso... adesso è attraverso la bocca che esprimo le mie emozioni. Mi scappa un singhiozzo mentre barcollo sul marciapiede. Le lacrime scorrono come due fiumi in piena sulle mie guance, imprimono storie dai finali tristi sulla mia pelle. E ad ogni passo i singhiozzi diventano sempre più forti. Il petto si muove a scatti, il respiro è debole e mi sembra di soffocare.
Cado in ginocchio accanto ad una panchina, appoggio gli avambracci sopra di essa e la guancia scivola sul marmo freddo. Non riesco a fermarmi.
Perché l'hai fatto?
Perché?
Ma davvero vorrei saperlo?
«Ehi, tutto bene? Hai bisogno di aiuto?», chiede un uomo, fermandosi a poca distanza da me.
La vita è una questione di scelte. Non è così, Sasha?
E il corso della mia vita cambierà in base a ciò che deciderò di fare da adesso in poi. Perché basta una semplice scelta per stravolgere tutto.
Ma sono debole da morire e non posso fare altro che piangere davanti ad uno sconosciuto. La sua mano preme in modo delicato sulla mia schiena. Si abbassa sulle ginocchia per osservarmi meglio. Allungo una mano verso di lui e me l'afferra, un po' titubante. Ha il palmo grande e caldo. «Grazie», dico, le lacrime salate bagnano le mie labbra. «Grazie», ripeto.
«Posso fare qualcosa per te?», chiede di nuovo e scuoto la testa. Mi aiuta ad alzarmi. Asciugo le lacrime, tutto il trucco va via. Le tracce di mascara rimangono impresse sul dorso della mano e sulle mie guance.
«Sto bene. Devo andare», mi allontano ciondolando su me stessa. Ho la vista sfocata, le gambe si muovono da sole. Per una volta non sto scegliendo la via più facile.
Il desiderio di sfumare via non mi abbandona, ma quella piccola vocina dentro di me, che spesso ignoro, cerca di tenermi qui, con i piedi ben piantati a terra.
Quella piccola vocina appartiene alla me bambina.
È lì, tra le costole, con le mani giunte e lo sguardo speranzoso. Ha la mano appoggiata sul mio cuore, lo sguardo triste mentre mi dice: «Mi manchi. Mi manca chi ero una volta. Rendimi di nuovo felice». Me lo ripete spesso ultimamente, piccola Chandra... Non avrei potuto saperlo che un giorno avrei cercato di uccidere tutti i tuoi pensieri. Io non volevo farti questo. A nessuna delle due.
Mi porto una mano sul cuore e penso alla piccola me. Rivedo il mio sguardo innocente, gli occhi pieni di luce e il suo sorriso pieno di vita.
«Che cosa ti hanno fatto?», le chiedo.
«Che cosa mi hai fatto?», domanda lei.
Che cosa ho fatto a me stessa?
Non è colpa mia, mi ripeto.
Ma sto scegliendo per me. Per noi. La piccola bambina dentro di me è l'unica persona che ha deciso di non abbandonarmi.
Ho scelto di guardare il tramonto anziché urlare in faccia a mia madre.
Ho scelto di stare con me stessa anziché ignorare la mia presenza.
Come un automa mi trascino in spiaggia e mi sdraio sulla sabbia.
Il cellulare vibra dentro la mia tasca. Guardo le notifiche su Instagram con occhi vuoti.
"Sei in ritardo, Casper."
"Ti sto aspettando"
"Sono ancora qui... Forse sono uno stupido e dovrei andare via, ma ho una cosa per te"
Dopo aver letto la sua ultima frase, scoppio a piangere ancora di più e spengo il cellulare.
La mia famiglia non è più perfetta. Forse non lo è mai stata. Però almeno avevo il cuore leggero.
Adesso mia sorella mi odia.
Mamma ha già dimenticato mio padre.
E io cammino appesa ad un filo, aspettando soltanto il momento giusto per lanciarmi in un eterno vuoto.
Forse se l'avessi fatto tempo fa, avrei risparmiato tante lacrime e tanto dolore.
«Io mi sono sentita in colpa, papà», inizio a dire mentre osservo la luce arancione del cielo colare sullo specchio d'acqua davanti a me. «Io mi sono sentita in colpa per ogni dannata lacrima che ho versato dopo la tua morte. Mi sono sentita in colpa per il dolore che ho causato a mamma. Mi sono dannata perché l'ho fatta preoccupare. Mi sono sentita un miserabile peso per tutti. Eppure guarda...», stringo forte gli occhi per trattenere le lacrime. «La verità è che tutti vanno avanti, con o senza di te. Siamo un ammasso di polvere che un giorno bacerà l'aria, la terra e il mare e nessuno si ricorderà più di noi. La verità è questa. Siamo così facilmente sostituibili nella vita delle persone, che alla fine sembra soltanto un lungo scambio di affetto con una data di scadenza», tiro su con il naso e fisso il sole in lontananza. Mi dona un po' di luce prima che mi avvolga l'oscurità.
Stringo la sabbia tra i pugni e rimango inerme nella stessa posizione fino a perdere la cognizione del tempo.
Non so che ore siano. Si vedono le stelle, è notte inoltrata. Con il mascara secco sulle guance e i capelli ancora pieni di sabbia, decido di tornare a casa.
Cammino sotto la luce calda dei lampioni, il corpo attraversato da brividi. Guardo la sfilza di macchine parcheggiate nel vialetto e man mano che mi avvicino intravedo la sagoma di qualcuno seduto a terra. Ha le spalle addossate al tronco di un albero, le gambe leggermente piegate verso il petto e le braccia appoggiate sulle ginocchia.
Quando sono abbastanza vicina, i miei occhi si riempiono di nuovo di lacrime.
Quel qualcuno non è una persona qualsiasi, ma è Sasha. Ha lo sguardo puntato verso il basso, lo zaino sulle spalle e le cuffiette nelle orecchie. Intercetta la mia presenza e solleva di poco lo sguardo. Si toglie una cuffietta e schiude leggermente le labbra, come se fosse sorpreso di vedermi qui.
«Mi hai aspettato per tutto questo tempo?», è la prima domanda che mi viene in mente.
Lui riporta lo sguardo sulle sue Vans. «Tu non l'avresti fatto?», chiede.
L'avrei fatto? Non lo so. Non so cosa l'abbia spinto ad aspettarmi nonostante il mio enorme ritardo. Avrei dovuto farmi qualche domanda prima. Sasha forse me l'avrebbe detto di persona. Non mi avrebbe lasciato un dannato bigliettino nell'armadietto. E adesso più che mai vorrei andare da Aretha per spaccarle le faccia. Ma una voce dentro di me cerca di farmi ragionare... Forse fa male anche a lei... dopotutto si tratta di suo padre e di tua madre.
Non ricevendo ancora una risposta da parte mia, Sasha si alza in piedi e si pulisce i pantaloni della tuta. Ha la bandana rossa tra i capelli e indossa una maglietta nera dei Sum 41.
«Io...», dico, cercando di ritrovare le parole. Chiudo gli occhi e mi porto le mani davanti al viso. «Sono passate ore... E tu sei rimasto qui ad aspettarmi?»
«Sì, l'ho fatto», fa un passo verso di me, però non osa avvicinarsi di più.
«Perché?», ad accorciare la distanza sono io.
«Non lo so, Chandra... »
Dietro la sua spalla intravedo dei petali bianchi. Mi avvicino ancora di più per guardare meglio e il cuore fa una capriola.
«Mi hai portato un fiore?», gli chiedo con un mezzo sorriso.
Lui punta finalmente gli occhi nei miei, sembrano felici e sollevati. «In realtà...», fa scivolare la cinghia dello zaino lungo il braccio e soltanto adesso li vedo.
Una risata sincera rompe il silenzio intorno a noi. «Mi hai aspettato qui con uno zaino pieno di fiori?»
Fa spallucce, un po' a disagio. «Non è una cosa romantica, se è ciò che pensi. So che i fiori ti rendono felice e quindi...sì, tecnicamente ti ho portato uno zaino pieno di fiori», si passa la mano sulla nuca e arriccia il naso, sorridendo a sua volta.
«Baker?», sussurro, le lacrime riempiono di nuovo i miei occhi, le labbra fremono.
«Casper?»
«Mi puoi abbracciare, per favore?», rimango ferma davanti a lui con gli occhi chiusi, rigida come un sasso.
Sento i suoi passi, la delicatezza con cui si muove verso di me e circonda il mio corpo con le sue braccia fa tremare il mio cuore. Appoggio la testa sulla sua spalla, stringo la sua maglietta tra le dita. Tu sei il mio punto fisso, Sasha. Vorrei dirgli.
Le sue mani premono contro la mia schiena come se volessero assorbire tutto il mio dolore. Il suo naso sfiora dolcemente il mio collo, si abbassa di più per raggiungere la mia stessa altezza e mi stringe ancora di più. Il suo profumo mi impregna le narici, la mia mente crea nuovi ricordi, la fabbrica di sogni infranti ne crea uno nuovo. Un sogno popolato dalla sua presenza.
«Non farò domande... Ma, per favore, rimani con me stasera», dice al mio orecchio. Annuisco contro la sua spalla, trattenendo i singhiozzi. E forse è questo ad avermi spinta a cercarlo in mezzo ad una moltitudine di persone tutte uguali. Il modo in cui non cerca mai di sfiorare i miei tasti dolenti, il suo modo di leggermi anche quando sono il libro più noioso al mondo, i suoi occhi che parlano la stessa lingua che parlano i miei. Sono queste le cose che sono riuscite a conquistare parte del mio cuore.
Rimaniamo abbracciati come due sconosciuti nella notte, che si sono incontrati per la prima volta mentre scappavano dagli stessi pensieri.
La sua mano si tuffa tra i miei capelli, poi le sue dita mi accarezzano il mento e gli zigomi. Sfrega lentamente il pollice sulla mia guancia e lo sento sospirare profondamente. «Mi dispiace, avrei voluto esserci.»
«Grazie», è l'unica cosa che riesco a dire in questo momento.
«Vieni. Fai piano, i miei dormono», apre lo zaino e mi mette tra le mani tutti i fiori.
Sasha Baker mi ha portato dei fiori. Lo stesso ragazzo che fino a qualche settimana fa probabilmente mi sarebbe passato di sopra con lo skateboard.
Li stringo forte al petto e lo seguo a passo felpato. Si porta un dito sulla labbra e mi fa cenno di restare in silenzio.
Entriamo e lentamente raggiungiamo la sua stanza.
Chiude la porta a chiave e si gira verso di me, sorridendomi.
Oh, quelle benedette fossette sono la mia rovina...
«Ti sei truccata», aggrotta sardonicamente le sopracciglia e inclina il capo in modo buffo.
«Oh... sì», gli do le spalle, fingendomi improvvisamente interessata alla sua collezione di fumetti. «Volevo essere più carina.»
«Per me?», chiede alle mie spalle. Mi immagino il suo sorriso beffardo.
«Forse», mi mordo il labbro. Dio, che orrore!
«Per me sei stupenda, Chandra. Lo sei sempre». Si avvicina ancora di più e io mi sposto e inizio ad ispezionare la sua stanza. «Carini», dico, indicando i funko sulla mensola.
«Mi piace la tua maglietta», mi affianca e indica un libro. Dracula, di Bram Stoker. «Io amo Dracula.»
Beh, non l'ho fatto apposta. Ma avere addosso qualcosa che gli piace, mi rende felice.
«Ti va di dirmi cos'altro ami?», mi giro per guardarlo, lui sorride dolcemente e mi fissa a lungo negli occhi, poi si lecca le labbra e risponde: «Certo».
E così, mi siedo sul bordo del letto e faccio penzolare le gambe come una bambina mentre lui inizia a parlarmi delle cose che gli piacciono. I suoi occhi brillano, ogni frase è accompagnata da un sorriso.
Si passa spesso la mano tra i capelli, anche se non gli danno particolarmente fastidio. È una cosa che fa di solito. Noto tutti i dettagli e li memorizzo uno ad uno. So perfino che fa girare l'anello intorno al dito quando sembra ansioso. Oppure gioca con la catenina che ha al collo quando è pensieroso.
Adesso mi parla delle band che ama. Dei suoi fumetti preferiti. Dei personaggi che non conosco.
«Questo devo ancora leggerlo», prende un fumetto dalla mensola e mi si siede accanto. E davanti a me non vedo più quel ragazzo che ignoravo a scuola. Non vedo più il ragazzo che era solito rispondermi in modo mordace. Non vedo più la rabbia incisa nei suoi occhi.
Sasha ha lasciato cadere le sue barriere nel momento in cui l'ho fatto io.
«Non ho mai letto un fumetto in vita mia», gli dico e lui si appoggia con la schiena al muro, facendomi cenno di avvicinarmi. «Ti va di leggerlo insieme a me?»
Il suo piccolo sorriso e i suoi occhi emozionati mi spingono a dire di sì. Perché per la prima volta in fondo a quelle iridi azzurre non vedo più abissi inesplorati, ma vedo raggi di sole che si riflettono con prepotenza sulla superficie piatta di quei due oceani limpidi.
E, pagina dopo pagina, il cuore inizia a fremere nel petto. Le nostre dita si sfiorano, la mia testa scivola sulla sua spalla. Cerca di cambiare posizione per farmi stare più comoda. E mentre lui continua a leggere e a sfogliare le pagine, io mi asciugo una lacrima e cerco di non scoppiare a piangere davanti a lui.
«Ami davvero tanto Spiderman, vero?», gli dico e lui scende dal letto e va a prendere la maschera rossa.
«Ne sono ossessionato sin da piccolo», ammette con una risata.
Guardo i fiori che ho lasciato sulla sua scrivania e mi sdraio sul suo letto, guardando il soffitto. Ormai inizio ad abituarmi a ciò che vedo intorno a me, al profumo nuovo di ammorbidente.
Sasha raggiunge la testata del letto e si piega verso di me, con la maschera di Spiderman sul volto.
«Ehi, sono il tuo amichevole Spiderman di quartiere», dice ridendo.
E se il suo obiettivo è quello di farmi sorridere, ci è già riuscito più di una volta.
Allungo le braccia e gli sfioro il viso con le mani. «Sai, non ho letto i fumetti, però ho visto i film», gli dico, affondando i denti nel labbro inferiore.
«Ah, sì?», il suo è un tremulo bisbiglio.
I battiti aumentano sempre di più.
«Sì», dico e mi sollevo un po' di più, poi afferro i lembi della maschera e la sollevo di poco. Gli accarezzo con il pollice le labbra piene e mi avvicino ancora di più, ma nello stesso momento Sasha si toglie la maschera con una mossa fluida e la getta sul letto. I suoi occhi incontrano tempestivamente miei e le mie guance prendono fuoco. Lui è di una bellezza disarmante.
«Ma io non sono Spiderman, Casper», sorride tristemente, senza distogliere lo sguardo dal mio. «E non sono Peter Parker», il suo viso è a pochi centimetri dal mio «Io sono soltanto Sasha e se vuoi baciarmi, fallo. Ma sappi che voglio guardarti negli occhi e voglio che tu guardi me e non una stupida maschera», le mie dita si spostano lentamente sulla sua guancia, Sasha chiude gli occhi per una frazione di secondo, poi li riapre.
Preme la fronte contro la mia e io schiudo le labbra. E poi il cuore si apre del tutto e mi fa dire: «Baciami come se volessi farmi vivere per sempre».
Lui stringe gli occhi e aggrotta le sopracciglia, poi solleva le palpebre e lascio che la mia tristezza si mischi alla sua. Annuisce, anche se vorrebbe spezzarsi insieme a me.
Perché?
Perché, Sasha?
Cosa ti tormenta?
Perché io?
Ho tante domande. Ma Tom mi ha detto di non cercare per forza una risposta. Quindi chiudo gli occhi e lui pure, le nostre labbra si sfiorano lentamente, un tocco così delicato da far imperversare dentro di me una tempesta di emozioni. Mi catapulto in un turbinio di pensieri senza via di scampo. La sua bocca calda preme dolcemente sulla mia e il cuore sembra sul punto di schizzarmi fuori dal petto.
E in questo preciso istante il tempo non esiste più. Questa volta il mondo si è fermato e noi giriamo intorno a lui.
Questa volta le stelle scoppiano come fuochi d'artificio nel cielo, la luna riversa la sua luce argentea su di noi, brilla più che mai.
E l'universo... oh, l'universo si espande ad ogni suo bacio, ad ogni sua carezza.
Ho un terremoto nel cuore e uno tsunami nello stomaco. I suoi baci sono la catastrofe più grande, il dolore più bello, la felicità più amara. E io non pensavo che sarebbe stato così. Mi aspettavo un bacio dolce come il miele, capace di far volare via le farfalle dentro il mio stomaco. Non mi aspettavo un bacio così distruttivo ma al contempo così bello.
E vorrei soltanto dirgli: «Baciami, ma poi ricordati di rimettere tutto a posto dentro di me.»
Si piega così tanto su di me che finisce per scavalcare la testiera del letto e si allunga sopra il mio corpo senza smettere di baciarmi. È come se avesse aspettato una vita per farlo.
Si lascia cadere di schiena sul materasso, le sue mani scivolano sui miei fianchi e mi attira verso di lui. Sono sopra, con le ginocchia puntate ai lati delle sue gambe, con i capelli che cadono sul suo volto, con una mano sulla sua guancia e una sul collo. Il bacino preme contro il suo, i suoi denti mordicchiano il mio labbro inferiore, lo rilascia e continua baciarmi come se fossi la boccata di ossigeno che brama di più.
«Stai tremando», dice prendermi il viso tra le mani, il suo sguardo è preoccupato.
«Sono felice», ammetto con voce un po' instabile.
Mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sorride. «E ti fa paura?»
Annuisco.
«Non avere paura di sentirti viva. Mai», mi fa appoggiare la testa sul suo petto e rimango ad ascoltare in silenzio i battiti del suo cuore, che sono più forti dei miei. Sorrido, perché sono felice di non essere l'unica ad essere emozionata. Ed è forse quando i battiti del suo cuore coincidono con i tuoi che capisci di essere fregato.
«Sasha», traccio dei cerchi immaginari sul suo addome. «Se tu potessi dire qualcosa al piccolo te in questo momento, cosa gli diresti?»
«Mmh», si prende un paio di secondi per riflettere. «Gli direi: Non mollare, perché ce la farai e sarà bellissimo. E tu? Cosa diresti alla piccola Chandra?»
«Le chiederei scusa», chiudo gli occhi e lo abbraccio, il suo braccio mi stringe con vigore.
«L'hai già fatto, Casper», le sue dita viaggiano delicatamente tra i miei capelli e massaggiano dolcemente la mia nuca. Potrei stare qui per il resto della mia vita, racchiusa in questo attimo.
«Se potessi, in questo preciso istante inciderei la tua iniziale sulla luna», rivolgo lo sguardo verso la finestra e sorrido.
«Perché?»
«Per portarti con me», dico.
Sasha ha un sussulto, il suo corpo si irrigidisce.
«Secondo te c'è abbastanza spazio per entrambi?», la domanda gli esce dalla bocca come un soffio di vento delicato che si scontra con la mia pelle, facendomi venire i brividi.
«Sì, ma visto che non amo condividere il mio spazio personale, il lato scuro lo prendo io», sorrido e cerco disperatamente o suoi occhi. Non ha più il sorriso bellissimo di prima. Mi accarezza il volto e abbassa lo sguardo. «E come farò a baciarti ancora?»
Gli scivolo accanto, affondo il gomito nel materasso per sorreggermi la testa.
«Semplice», esclamo e gli guardo le labbra. «Ti manderò un bacio dall'altra parte della luna.»
«Ma la luna può aspettare. Adesso siamo qui», e detto ciò preme la bocca sulla mia e poi mi abbraccia forte, come se non volesse più lasciarmi; come se avesse paura. «Tu sei qui», sussurra.
«E non sono mai stata così felice di essere qui, credimi», dichiaro. I suoi occhi riacquistano quella luce che pensavo avesse perso per sempre. E poi le sue bellissime fossette riempiono una crepa dentro di me. Restiamo distesi sul letto a baciarci, a parlare delle cose che ci piacciono, a scoprire ogni angolo nascosto dentro di noi.
Questa notte il mio cuore viaggia tra galassie di pensieri ed emozioni mai provate prima e la mente depone le armi.
Ho scritto questo capitolo ascoltando ininterrottamente la canzone Only love can hurt like this ❤️ il loro è un tipo di dolore che porterà cose belle e cose meno belle, ma spero vi sia piaciuto il capitolo 🌻🌙
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