Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

20. Non so come comportarmi con te

"Mother looking at me
Tell me what do you see?
Yes, I've lost my mind

Daddy looking at me
Will I ever be free?
Have I crossed the line?"

-t.A.T.u.


A darmi il buongiorno è il suono dei gabbiani. Mi stropiccio gli occhi con una mano e mi metto a sedere, scrollandomi la sabbia di dosso. I granelli ruvidi hanno lasciato il segno sulla mia pelle, adesso ricoperta da brividi.

Guardo l'orizzonte e sorrido assonnata. È l'attimo perfetto in cui tutto sembra al proprio posto. Quel lasso di tempo in cui regna il silenzio e la pace; un breve momento in cui si lascia la giornata di ieri alle spalle e si sorride ad un nuovo inizio.

Davanti ai miei occhi si erge un dipinto ad olio dai colori caldi e il sole sembra stia riemergendo dagli abissi dopo una notte tormentata.

Tutte le mie convinzioni crollano non appena il mio sguardo scivola sullo schermo del cellulare e la quantità di chiamate da parte di mia madre. Non ho voglia di parlare con lei a quest'ora, quindi mi limito a mandarle un messaggio.

Accanto a me c'è Sasha. È rannicchiato, con le mani sotto la guancia e i capelli a coprirgli parte del volto. Le labbra piene sono schiuse, la fronte leggermente corrugata, come se stesse facendo un brutto sogno. La sua gamba sinistra ha uno spasmo e io allungo la mano verso di lui desiderando di calmarlo, ma la ritiro immediatamente.

Mi alzo piano in piedi, il canto del mare ad ogni onda che si riversa sulla battigia copre il rumore dei miei passi, e mi avvicino di più, analizzando con curiosità la sua schiena. Vorrei tracciare con le dita il solco in mezzo alla sua schiena, ma anche questa volta esilio dalla mia mente questo stupido desiderio e mi mordo la lingua.

Il ciondolo della catenina che porta al collo è rimasta appiccicata al suo bicipite, ha la forma di un lupo. Continuo a guardare la sua pelle costellata da piccoli nei e lividi sbiaditi.

Vorrei sapere qualcosa in più su quei segni... È davvero colpa dello skateboard?

Le parole pronunciate da lui ieri sera adesso non sono altro che un intrico di pensieri che arrovellano la mia mente. Mi stringo nella sua maglietta e mi allontano a grandi falcate, dirigendomi verso il falò, o almeno ciò che ne è rimasto di esso.

A quanto pare io e Sasha non siamo stati gli unici ad avere la folle idea di restare a dormire in spiaggia. Certo, la maggior parte della gente ha già sgomberato questo posto, tranne poche persone che sono stese a terra, dormienti.

Il mio sopracciglio schizza verso l'alto non appena intravedo delle facce abbastanza conosciute. Bennie è sdraiato accanto al falò ormai spento e al petto stringe una bottiglia verde vuota. Ha un reggiseno bianco intorno alla sua caviglia e ha usato la sua maglietta come cuscino.

Contraggo le labbra in una piccola smorfia e mi avvicino, scavalcando le gambe di Ashton e quelle di un'altra ragazza che non ho mai visto in vita mia. Sotto una tavola da surf intravedo degli indumenti, quindi vado a controllare. Allungo la mano e afferro le mie converse e i pantaloncini.

Chiunque li abbia nascosti qui, è un grande bastardo.

Indosso velocemente gli shorts e le scarpe, poi lancio un'altra occhiata curiosa verso Bennie. Lui mormora qualcosa nel sonno e si gira sull'altro fianco. Sulla sua guancia sinistra qualcuno ha disegnato un pene. Mi mordo la lingua per non scoppiare a ridere e prendo il cellulare, scattandogli una foto. Potrebbe tornarmi utile.

Tra le varie notifiche, intravedo anche dei messaggi da parte di Riley. Merda, sono letteralmente sparita.

Sospiro profondamente e qualcuno mi afferra all'improvviso per la caviglia. Spalancò gli occhi e per poco non caccio un urlo, ma abbasso piano lo sguardo e incontro quello di Bennie. Mi sta fissando come se gli avessi appena tagliato un testicolo.

«Che diavolo...», bofonchia, sbadigliando. Si siede e si passa una mano tra i piccoli ricci pieni di sabbia. «Se sono all'inferno e tu sei l'angelo della morte, allora lascia che ti dia almeno il buongiorno».

Alzo gli occhi al cielo. «Faresti meglio a darti una mossa, altrimenti il preside ti farà il culo non appena metterai piede nel corridoio.»

«È mio padre», mi guarda con un occhio aperto e uno chiuso.

«Non sarebbe felice di vederti in queste condizioni, o sbaglio?», sogghigno e lui mi lancia un'occhiata tagliente.

«Dove hai lasciato il tuo cavaliere dall'armatura arrugginita?», domanda usando un tono quasi derisorio.

«Stavo giusto per andare a svegliarlo», dico.

Lui mi lancia un'occhiata diffidente e mentre si alza in piedi, chiede: «Come sta?»

La sua domanda mi coglie di sorpresa. Ieri sera stavano per prendersi a pugni, e adesso si preoccupa per lui?

«Bene», rispondo cercando di sembrare indifferente.

«Davvero?», sorride sbilenco e mi stringo nelle spalle. E io che diamine ne so?

«Deduco stia bene. Che te ne importa?», aggrotto le sopracciglia, lui si infila i pantaloni, lanciando nel frattempo una serie di insulti. Cerca continuamente di scrollarsi di dosso i granelli di sabbia, senza successo.

«Si sta avvicinando a te, non è così?», mi guarda dritto negli occhi, ma io distolgo subito lo sguardo. «Attenta, Chandra. Non lo conosci davvero.»

Mi metto subito sulla difensiva. «E tu sì?»

Bennie sorride con aria malinconica. «Eravamo compagni di squadra. Abbiamo passato un sacco di bei momenti insieme. Abbastanza tempo da vederlo cambiare.»

E in questo momento realizzo di non conoscere affatto Sasha e per la prima volta un livido guizzo di gelosia mi trapassa il cuore in due. A parte i nostri soliti battibecchi, gli sguardi furtivi e le lezioni che abbiamo in comune, i momenti trascorsi insieme a lui sono pressoché inesistenti. Non so nulla di lui.

«Tutti cambiano ad un certo punto», dico mantenendo su la maschera da menefreghista e inizio ad indietreggiare.

«Non lo metto in dubbio», si avvicina e mette una mano sulla mia spalla. «Però una cosa te la posso dire io. Lui è in grado di farti sentire la persona più speciale del mondo e nell'arco di due secondi potrebbe distruggere tutte le tue certezze. È imprevedibile. Non è sempre stato così, ma so soltanto che ci ha piantato in asso quando più avevamo bisogno di lui. E adesso non solo quelli della Pierson ci prendono per il culo, ma ho perso un compagno di squadra e un amico». Con una mossa fluida si infila anche la maglietta e poi va a mettersi le scarpe. Perché mi ha detto tutto questo? Ricorda bene ciò che è successo ieri sera? Ricorda il modo in cui sono scappata via come una vigliacca? «Oh, e Chandra...», mi guarda di traverso. «Mi dispiace per ieri sera».

Mi sento paralizzata. Bennie Diaz si sta davvero scusando con me. Decido di essere carina per una volta. «Hai un pene disegnato sulla guancia», gli dico.

«Accidenti, ecco perché sentivo la guancia dura», risponde con sarcasmo e ridacchio.

«Ci si vede a scuola», alzo una mano per salutarlo e lui ricambia sollevando il mento. Inizia a svegliare tutti gli altri e io raggiungo di nuovo Sasha. È sveglio. Ha le braccia sulle ginocchia, i capelli arruffati e lo sguardo perso.

«Ehi», mormoro timidamente. Cerco di ponderare ogni singola parola che esce dalla mia bocca per non rendere ancora più imbarazzante la situazione tra noi due.

«Ciao», mi guarda di sfuggita e io vorrei semplicemente sotterrarmi. La sua occhiata mi fa sentire fuori luogo, giudicata. Mi guarda come se avessi fatto qualcosa di sbagliato.

«Sei tornata», percepisco il sollievo che prova in questo momento e arrossisco.

«Sì, infatti stavo per svegliarti. Volevo guardare l'alba insieme a te», punto il dito verso l'orizzonte e lui mi guarda con la coda dell'occhio, sorride. E mentre i suoi occhi si tuffano di nuovo nell'oceano, i miei pensieri si abbarbicano intorno a me come una spirale, intrappolandomi all'interno di una bolla di confusione. Siamo soltanto noi due di fronte ad un immenso specchio d'acqua su cui si riflettono le prime luci del mattino.

Sasha si lecca le labbra secche e si stropiccia un occhio. Abbassa lo sguardo e giocherella per pochi secondi con la sabbia, facendola scorrere tra le dita.

«È esattamente ciò di cui avevo bisogno», rompe il velo di silenzio tra di noi e riporto tutta la mia attenzione su di lui. «A volte vengo qui quando ho bisogno di sentirmi al sicuro», confessa a cuore aperto. Guardo il modo in cui il fastidio fiorisce piano piano sul suo volto. «È come se tutto ciò che c'è qui dentro sparisse nel nulla», punta il dito contro la sua tempia.

Si sta aprendo con me e per la prima volta non so come rispondere. Probabilmente tra tutte le persone al mondo lui ha scelto me. E io non mi sento affatto la persona giusta e ho paura di dire la cosa sbagliata.

Mi lascio guidare dall'istinto. «Io a volte penso troppo», pronuncio con voce flebile. «E venire in spiaggia mi ricorda ogni volta quanto i miei pensieri siano in realtà insignificanti.»

«Davvero?»

«Sì, ci sono pensieri che attraversano la mia mente centomila volte al giorno, ma quando sono qui, davanti ad un qualcosa di così grande, mi sento viva. So che in questo universo forse valgo quanto un granello di sabbia o meno, ma ecco, tra quei granelli di sabbia che hai sfiorato poco fa, sarei potuta esserci anche io, no? Qualcuno mi vede, mi guarda e mi ascolta... È tutto strano e confuso nella mia testa, e a volte vorrei pensare di meno, ma è impossibile», scuoto piano la testa, le ciocche di capelli ricadono davanti al viso.

«Chiedere alla mente di smettere di pensare, è come se chiedessi al mare e alle correnti di smetterla di creare le onde. È una cosa talmente naturale, che a volte nemmeno te ne accorgi. Ed è strano, no?», con un movimento lento solleva le palpebre e punta di nuovo le sue iridi azzurre dentro le mie. «I pensieri non sono altro che un insieme di parole che vortica in maniera instancabile nella nostra testa, e noi siamo così deboli da lasciarci demolire da un qualcosa di non reale, astratto».

Annuisco, sentendomi incredibilmente presa in causa. Io ascolto i miei pensieri. Ascolto tutte le dannate storie che la mia mente racconta su di me. La storia della fallita. La storia della ragazza che non vorrebbe più vivere. La figlia imperfetta. Le ascolto tutte e anziché strappare via quelle dannate pagine, io mi incanto. Rimango ferma ad ascoltare e lascio che le parole rimangano impresse dentro di me per sempre.

«È buffo, però. A volte una persona diventa il nostro pensiero felice. Capisci? Diventiamo noi stessi un insieme di parole, immagini e suoni nella testa di qualcun altro», gli angoli della bocca si piegano leggermente all'insù.

«Meglio che io vada», dico, grattandomi la nuca.

«Sì, andiamo», si alza in piedi e fisso il suo torso nudo. I sensi di colpa diventano sempre più opprimenti.

Sasha mi guarda. Mi guarda a lungo. Anche quando i nostri occhi non sono incatenati, anche quando non cerchiamo di decifrare le nostre espressioni di nascosto, il suo sguardo lo sento sulla mia pelle come il sole nelle giornate più calde. E non schioda l'attenzione da me nemmeno quando ci incamminiamo verso casa.

«Senti, dimentica ciò che ho detto», dice d'un tratto. Vorrei arrestare la mia camminata, chiedergli perché, ma qualcosa dentro di me, qualcosa di gelido e oscuro, mi dice di andare avanti. Di lasciarmelo alle spalle. Non è diverso dagli altri.

«Hai sentito?», grida dietro di me, ma io aumento il passo. Da cosa sto scappando?

Il cuore galoppa nel mio petto, le mani iniziano a sudare.

Io mi sono aperta con lui. Mi sono mostrata debole. Ho messo una parte della mia mente a nudo per lui.

Ho versato un sacco di lacrime sotto lo sguardo dell'universo e Sasha era lì a tendermi la mano come se fossi una stella smarrita. Ma in quel momento ero soltanto polvere, scie di detriti argentei a scorrere sulle mie guance, costellazioni di lacrime su un cielo consumato e con i brividi.

Sasha mi afferra per il polso delicatamente, fermandomi. Ed ecco, io la vedo quella barriera che ha tirato nuovamente su. Vedo il suo sguardo diffidente, le armi pronte ad essere usate, la fortezza ben costruita intorno a lui.

«Non so come comportarmi con te», ammette, lasciandomi senza parole. E adesso in quella fortezza intravedo una crepa. È come se non volesse farmi entrare, ma al contempo mi desse l'opportunità di scegliere.

«Sasha, tu non sai niente di me», lui lascia il mio polso e si tira indietro.

«E tu non sai niente di me, e allora?» ribatte con una punta di acidità.

«Non lo so», mi stringo nelle spalle. Sono incoerente e non so cosa sto dicendo, ma lui sembra in lotta contro se stesso. «Stai finalmente cercando di essere mio amico?», gli chiedo.

«Non vorresti essere davvero mia amica, Chandra», una nota malinconica nella voce. Ricordo le parole di Bennie, il suo avvertimento... E se avesse ragione?

«Cos'è, una sfida?», gli chiedo, inarcando un sopracciglio.

«Nessuno dei due sa approcciarsi all'altro e io so il perché. E non ho intenzione di farti entrare nella mia vita», scuote la testa con vigore. Ma dal modo in cui cerca di sembrare convincente, capisco che viene difficile anche a lui credere alle sue parole.

«Allora che cosa vuoi da me, Baker? Mi rincorri, prendi le mie difese, dormi con me in spiaggia, ti apri, mi consoli, mi sorridi... E tu non sorridi mai ad anima viva! Quindi dimmi, cosa diavolo vuoi farmi credere?», stringo i pugni fino a sentire le nocche delle mani bruciare e avanzo verso di lui con un cipiglio sul viso.

«Dio, mi sembra di rivedere di nuovo quella bambina cocciuta e insopportabile, stramba e sempre sul piede di guerra con il mondo, che eri alle elementari», lo sento ridere. La freddezza si è sciolta come una maschera di ghiaccio, il divertimento anima i suoi occhi.

E mi rendo conto di aver condiviso con lui anni tra i banchi di scuola, tra i corridoi affollati, ma non abbiamo mai parlato davvero. Ogni scambio di battute tra di noi era un morso doloroso. Ogni occhiata era una pugnalata al petto. Io stavo lontana da quelli come lui e lui stava lontano da quelle come me.

«Wow, ti ricordi di quando ero bambina. Complimenti, hai una buona memoria», brontolo rimettendomi in marcia ancora più infastidita di prima.

«Sì, ricordo anche quando un nostro compagno ti appiccicò nei capelli la gomma da masticare e tu hai dato di matto.»

«Gli avevo buttato il banco addosso», sorrido al ricordo, sentendo di nuovo quel senso di orgoglio che provai in quel momento.

«Mi hai messo paura. Forse è stato quello il momento in cui decisi di non scambiare nemmeno mezza parola con te per il resto dei miei giorni», celia e arriccia il naso, quasi tentando di nascondere l'espressione divertita.

«Io e te non abbiamo mai avuto niente in comune», sospiro, ricordando pochi frammenti di quei ricordi che sembrano sul punto di sbiadire. «Non ricordo molto. Ho rimosso tante cose dalla mia mente.»

La psicologa mi ha spiegato che è il modo in cui il mio cervello cerca di proteggermi in seguito ad un trauma. Ma a volte odio dimenticare. Odio rimuovere immagini, parole e suoni dalla mia testa. Ho paura di dimenticare perfino la voce di mio padre, adesso che non c'è più. Che diventi un suono lontano a cui non saprò più dare un volto quando gli anni passeranno e non riuscirò a figurarlo con i capelli bianchi, con le rughe e con il giornale tra le mani al mattino.

«Eravamo piccoli. Alle cose insignificanti non si dà mai troppo valore», fa spallucce e il suo sguardo viene catturato da un'auto gialla che ci passa accanto a tutta velocità.

«Anche tu eri piccolo, eppure ricordi più cose di me», lo guardo con la coda dell'occhio, imbronciata.

«Cosa dirai a tua madre?», cambia argomento, guardandomi con aria preoccupata.

«Niente.»

«Puoi...», si schiarisce la gola. «Puoi scrivermi, se hai bisogno di qualcosa.»

«Anche tu, Sasha», l'ombra di un sorriso gli accarezza la bocca e io sento il cuore mentre precipita nello stomaco. Siamo così diversi, eppure è come se i nostri pensieri più intimi si fossero intrecciati tra di loro, annodandosi e incatenando le nostre menti l'una all'altra.

Non sono la migliore amica che si possa desiderare. E lui non è il miglior ragazzo con cui io abbia mai parlato. Ma c'è qualcosa di rotto in entrambi. Una frattura che ignoriamo. Una ferita che non abbiamo mai curato davvero.

E vorrei dirgli tante cose, adesso che il silenzio ci avvolge, ma so che qualcuno merita di saperlo prima di lui. Qualcuno che mi ha teso la mano quando volevo farla finita e mi ha regalato qualche giorno in più di vita.

Stringo i pugni, mi si mozza il fiato. Le lettere, le nostre parole, tutto ciò che abbiamo condiviso... mi manca. Mi manca una persona che non ho mai visto.

«A cosa pensi?», mi chiede un po' riluttante. Non è quel tipo di persona che fa troppe domande. Non lo conosco bene, ma so per certo che non ama farsi gli affari altrui.

«Mi manca qualcosa...», appoggio il palmo della mano sul petto. «Mi mancano le parole di qualcuno che non ho mai visto».

Lui mi guarda un po' stranito. «Non capisco».

«Non puoi capire», gli rivolgo un sorriso di circostanza.

«Le parole di qualcuno che non hai mai visto», ripete ad alta voce con fare pensieroso. «Quindi qualcuno con cui ti senti virtualmente?», prova a tirare ad indovinare.

Scuoto la testa. «Ci sono!», punta l'indice contro di me. «Il tizio delle lettere». Non gli rispondo, continuo a camminare. «Lo prendo per un sì», dice con tono cantilenante.

Nonostante io mi sia mostrata fragile davanti a lui, non voglio che lui si frapponga tra me e la persona che mi scrive le lettere. È una cosa così intima e privata, che odio perfino che lui ne sia a conoscenza.

«Siamo arrivati», la sua schiena aderisce al lampione e incrocia le braccia al petto. Lo ammetto, ciò che ho davanti agli occhi non mi dispiace affatto. Inclina il capo e guarda la mia abitazione. Le luci nel salotto sono accese.

«Prevedo guai», storce la bocca e poi mi guarda. «Vuoi che mi prenda le colpe davanti a tua madre?»

«No, mia madre non mi farebbe mai del male», sposto i capelli dietro l'orecchio e penso ad una sua possibile reazione.

«Io non ho detto questo», assottiglia lo sguardo e si stacca con una mossa fluida dal lampione, contraendo l'addome. «Perché è stato questo il tuo primo pensiero?», indaga.

Non posso dirgli che mia sorella mi usa come sacco da boxe o che si diverte a distruggermi ancora di più psicologicamente e che mia madre ultimamente crede più a lei che a me.

Faccio spallucce. «Non lo so», abbasso lo sguardo sul suo addome.

«Non sono tuo amico e tu non sei mia amica, però se hai bisogno di aiuto, scrivimi», incatena i suoi occhi ai miei, come se aspettasse una promessa silenziosa da parte mia.

«Ci si vede», gli sorrido e mi allontano a passo lento. Molto lento.

«Ci puoi giurare, Casper», solleva due dita e si dirige verso casa sua. Mi sembra strano vederlo senza lo skateboard sotto il braccio.

Raggiungo il porticato e mi fermo tenendo gli occhi puntati sulla maniglia. Faccio un bel respiro e poi apro la porta, sentendo un leggero cigolio. Non appena la chiudo mi appoggio con la schiena contro di essa per pochi secondi.

Davanti a me, in fondo al corridoio, spunta mia madre a braccia conserte.

Si avvicina a passo lento, le labbra strette in una linea sottile e gli occhi stanchi e cerchiati da due macchie bluastre. Indossa la vestaglia bianca, ha i capelli biondi raccolti in una piccola coda, gli occhi puntati su di me come due schegge di vetro. Mi osserva dalla testa ai piedi, si sofferma a lungo sulla maglietta che indosso e sul mio aspetto.

«Hai qualcosa da dire?», chiede con voce ferma.

«Non volevo farti preoccupare», deglutisco, lei si avvicina lenta come un serpente e per un attimo mi sembra di intravedere gli stessi occhi da vipera di Ruth.

«Non volevi...», ripete, la delusione marcata sul suo volto.

«Stavo per chiamare la polizia», ride nervosamente, prendendosi la testa tra le mani. «Sai cosa significa stare sveglia tutta la notte perché non sai dove diavolo si è cacciata tua figlia?», grida, la vena sul collo pulsa ad ogni sua frase.

«Con Ruth non ti fai tutti questi problemi», rispondo, facendomi piccola.

«Ruth è adulta! Tu...», emette una risata isterica e si passa la mano sulla guancia. «Guardati un attimo intorno», mentre mi punta il dito contro vedo la sua mano tremare. «Guardati intorno, Chandra! Ogni dannato giorno c'è sempre qualche problema! Litighi con Ruth, sparisci, ti diverti a farmi preoccupare, vai a gironzolare in giro di notte e a scoparti solo Dio sa chi, e non ti degni neanche di mandarmi un misero messaggio prima dell'alba!», lo urla a pieni polmoni, come se fossi io la causa di tutta la rabbia che sta provando.

«Non mi sono scopata nessuno, se è questo a preoccuparti così tanto», ribatto con voce neutra. Ricordo le parole di Aretha. Le ricordo bene e ho paura di chiedere spiegazioni.

«Ah, davvero? E quella cosa che hai addosso?», con un cenno del mento indica la maglietta di Sasha.

«Lasciami in pace», sussurro e le passo accanto, desiderosa di raggiungere le scale. Lei mi afferra per il polso e mi dà uno strattone, facendomi avvicinare. Il mio viso è a pochi centimetri di distanza dal suo. Senza staccarmi gli occhi di dosso, sibila: «Sei in punizione.»

«Non ho cinque anni», le do una spinta, ma sento gridare Ruth alle mie spalle: «Non toccare così nostra madre, stronza!»

È in cima alle scale, forse stava cercando soltanto un pretesto per prendersela con me.

«Fuori», mia madre indica la porta e spalanco gli occhi.

«C-cosa?», balbetto, guardandola sbalordita. «Mi stai buttando fuori?»

«Avrai sicuramente con chi passare la giornata, visto che sei stata assente tutta la notte. Fuori», pronuncia, fredda. Ruth ghigna dietro di lei, si sente soddisfatta. Ha di nuovo vinto lei una partita che non sono stata io ad iniziare.

Indietreggio lentamente con la vista appannata, poi esco fuori e corro con le lacrime agli occhi verso l'abitazione dell'unica persona che abita vicino a me. Gli mando un messaggio su Instagram, ma non risponde.

Le luci sono tutte spente, la macchina di suo padre è parcheggiata nel vialetto.

Mi guardo intorno, poi scavalco la staccionata bianca e cammino come una ladra fino a raggiungere il portico. Non posso di certo bussare alla porta, quindi mi sposto dall'altro lato della casa e guardo la finestra di Sasha.

Salgo sul pannello reticolato di legno sotto la sua finestra e mi sollevo sulle punte, ma ancora sono troppo in basso.

Mi sposto verso l'ingresso, risalgo sul pannello e mi aggrappo in seguito alla colonna di marmo e cerco di salire sul tetto del portico. Sento i muscoli delle braccia e delle gambe infiammati e ho le nocche rosse e piene di graffi. Cerco di camminare lentamente verso la stanza di Sasha senza scivolare e rischiare di perdere l'equilibrio e poi busso piano alla finestra. Mi tengo aggrappata al davanzale ma non appena accende la lampada e sposta le tende, spalanca gli occhi come se avesse visto uno spettro. Apre la finestra a ghigliottina e la prima cosa che dice è: «Sei per caso impazzita? Cristo, come diamine hai fatto a salire quassù? Non ho una scala, da quel che ricordo», sussurra e mi afferra per le braccia, facendomi entrare.

«Mi dispiace, non sapevo dove andare, non hai risposto al mio messaggio su Instagram e quindi...», ammetto, guardando le mie scarpe a disagio.

«Mi dispiace, l'ho disinstallato. Ho uno strano rapporto con i social. Tutto okay?», addolcisce la voce.

«So che non siamo amici, però-», non riesco a finire la frase. Gli getto le braccia intorno alla schiena e lo stringo forte a me, trattenendo i singhiozzi. Sasha si irrigidisce, ma poi la sua mano sfiora lentamente la mia nuca e spinge piano la mia testa contro la sua spalla. Con l'altro braccio mi attira a sé e rimaniamo così in mezzo alla sua stanza. «Ehi, Casper», bisbiglia al mio orecchio. «Sai piangere senza far rumore?», chiede e annuisco. «Bene, perché non voglio che i miei si sveglino e facciano domande», e lascia che io lo stringa forte mentre le lacrime scorrono silenziosamente sulle mie guance.

«Posso farmi una dormita sul tuo pavimento? Anche mezz'ora di sonno mi andrebbe bene», mi stacco da lui, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano.

Sasha si siede sul bordo del suo letto e sistema un cuscino in mezzo. «Metà e metà. E no, non ti lascerò dormire sul pavimento della mia stanza. Vieni», batte il palmo della mano sul materasso. Mi tolgo le scarpe e salgo sul letto, vicino al muro.

Lui si sdraia sull'altra parte del letto e chiude gli occhi, sospirando profondamente.

«Sasha», bisbiglio, girandomi verso di lui.

«Mmh?»

«Posso rubare un fiorellino bianco dalla tua aiuola più tardi?», chiedo.

«Ladra», mormora, mostrandomi le fossette.

«Quindi posso?»

«Puoi. Ora dormi», mi dà le spalle e sorrido, stringendo il cuscino al petto.

«Grazie», bisbiglio, ma lui non risponde più e io chiudo finalmente gli occhi, sprofondando poco a poco in un sonno tranquillo, lasciandomi cullare dal profumo fresco dell'ammorbidente e dalla sua presenza calda accanto a me. Per la prima volta non mi sento più sola al mondo.

Ecco il nuovo capitolo ❤️ spero vi sia piaciuto 🥺 secondo voi che reazione avranno entrambi al risveglio? 🏃‍♀️
Se vi va, condividete su Instagram le vostre frasi preferite/scene di loro due, e io le riposterò❤️🦋 oggi probabilmente inizierò a scrivere l'altro capitolo 👀

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro