19. Tasto dolente
“Ed ho visto un angelo con gli occhi scuri
Ed i capelli più corti del fiato”
- Psicologi
Non so cosa mi sia passato per la testa nel momento in cui ho accettato l’invito di Corinne. Dopo ciò che è successo tra di noi, se fossi stata nei suoi panni, me la sarei legata al dito per l’eternità. Mi sono avventata su di lei come una tigre davanti a metà scuola, e non è di certo una cosa insignificante. Mi chiedo come faccia ad atteggiare ancora le labbra ad uno di quei sorrisi in grado di stendere una platea di ragazzi nonostante l’umiliazione e la rabbia provate in quel momento.
Tre potrebbero essere le ragioni:
- ha la capacità di dimenticare in fretta;
- Aretha la tiene al guinzaglio;
- me la farà pagare in altri modi;
Non penso che la perfidia la contraddistingui, ma so qualcuno che è in grado di manipolarla molto bene. Questa potrebbe essere una trappola, perché solo Dio sa cos’ha in testa Aretha, ed è per questo motivo che sto guardando il costume da bagno da almeno mezz’ora, indecisa se indossarlo o meno.
Lo stai facendo per Riley, bisbiglia una voce nella mia mente.
Un lamento flebile rompe il silenzio nella mia stanza e una risatina divertita si mischia incurante al mio sospiro, facendomi contrarre le mascelle.
Mi giro quasi a rallentatore e la prima cosa che noto è la rabbia che scalfisce con la solita maestria i lineamenti del suo viso. Ruth è appoggiata con la schiena al muro, tra le mani stringe un pacco di biscotti dietetici e gli occhi taglienti sono puntati su di me.
«Ma guarda un po’ chi ha deciso di uscire fuori dalla sua caverna», il suo sarcasmo e la voglia di attaccare briga con me sono palpabili.
Mi mordo la lingua come se potessi in qualche modo impedire alle parole di uscire fuori con la stessa freddezza, poi rispondo: «Che cosa vuoi, Ruth?»
Lei in tutta risposta inizia ad avvicinarsi a me e stringe tra le dita un biscotto, frantumandolo e buttandone a terra le briciole. Forse il suo desiderio nascosto è farmi fare la stessa fine, ridurmi in una miriade di particelle e gettarmi via come se fossi niente. «E che sorella sarei, se non ti rendessi la vita un inferno ogni singolo giorno?», ribatte con una risata maligna.
I muscoli delle gambe sono così contratti che inizio ad avvertirne il bruciore. Stringo il costume tra le mani e conto fino a dieci, sperando che vada via.
«Da quanti anni ce l’hai? L'ultima volta che te l’ho visto addosso avevi forse quattordici anni», ghigna, muovendosi silenziosamente verso di me.
«Perché non te ne vai?», le rivolgo un’occhiata supplichevole. Non voglio litigare con lei.
Ruth mi fissa a lungo negli occhi, come se la mia semplice richiesta avesse spezzato qualcosa dentro di lei. Forse la sua parte razionale sa che sta sbagliando, sa di aver superato già tutti i limiti che io consideravo invalicabili e sa di aver rotto in mille pezzi le mura della mia fortezza, ma continua a non importarle nulla. Lei questa fortezza vuole distruggerla fino all’ultimo mattone, per poi gustarsi la vittoria e danzare sul mio dolore.
Deglutisce rumorosamente, il suo sguardo è incollato sulla foto di nostro padre. La sua morte ha forgiato la sua rabbia, trasformandola in un’agile arma da usare a suo piacimento contro di me. Si riscuote dai suoi pensieri e punta lo sguardo furioso su di me.
Mi strappa bruscamente il costume dalle mani e poi afferra le forbici da sopra la scrivania. Capisco le sue intenzioni e scatto in piedi, ma lei grida: «Se ti avvicini, non ci penserò due volte ad eliminare quell’espressione da cucciolo bastonato che hai sul viso», minaccia, il mento le trema dalla rabbia.
Alzo le mani davanti al petto come se volessi proteggermi e indietreggio. La osservo sconcertata mentre fa a brandelli il mio costume, con una tale ferocia da imbruttirla. Ogni volta che i nostri sguardi si incontrano, il suo lupo interiore esce fuori dal suo nascondiglio e attacca qualsiasi cosa gli si presenti davanti. E infatti lei distrugge senza ricostruire, attacca senza rimorsi e fa sanguinare le ferite senza mai curarle. «Se osi dire anche una sola parola a nostra madre, sai già cosa succederà», rivoli di sudore scivolano lungo le sue tempie, il petto trema ad ogni suo respiro.
Rimango immobile come una lepre spaventata e riprendo a respirare normalmente soltanto quando la vedo uscire dalla mia stanza con i pezzi del costume tra le mani.
So che mia madre sta cercando di convincerla ad andare in terapia, ma una parte di me sa che lo farà quando ormai sarà troppo tardi.
Il mio corpo si affloscia sul pavimento, sconfitto un’altra volta. Mi sdraio e fisso il soffitto come se potesse darmi delle risposte. Potrei trascorrere il resto della serata così, a piangermi addosso e litigare con Ruth fino a non avere più voce, ma non posso darle questa soddisfazione. Finirebbe per incastrarmi e nostra madre si scaglierebbe contro di me per la centesima volta.
Ricordo le sue parole, adesso ben impresse nella mia mente... mio padre non sarebbe contento di sapermi chiusa tra queste quattro mura mentre lascio che Ruth calpesti ogni mia emozione.
È difficile rialzarsi e adesso più che mai non desidero altro che chiudere gli occhi, trasformare il mio dolore in un cielo di velluto e le mie lacrime in piccoli diamanti incastonati in quel blu scuro, che sussurra ogni notte il mio nome e mi stringe il cuore come se fosse un petalo di rosa.
Non è ciò che vuoi. Non vuoi morire, vuoi semplicemente stare meglio.
No, non è vero. La speranza è in fondo ad un tunnel senza luce e io mi sono persa in un loop infinito di pensieri.
«Però tu adesso alzi il culo e fai vedere a quella stronza chi sei», dico a me stessa mentre mi rimetto in piedi. Ogni volta che crollo una parte di me va in frantumi. Non voglio fare del male a Ruth. Non voglio diventare come lei. «Ancora un pochino, Chandra...», mi abbraccio per pochi secondi e poi prendo il cellulare e scrivo a Riley.
Mezz'ora dopo mi ritrovo davanti allo specchio rigida come un sasso. Contraggo le labbra in una leggera smorfia e arriccio il naso. Non mi convince molto. È troppo audace per i miei gusti.
«Ti sta da Dio!», esclama la mia amica, ma la luce nei suoi occhi si affievolisce piano piano. «Sta meglio a te che a me», emette una risatina imbarazzata e poi abbassa lo sguardo, guardandosi i fianchi.
«Non è vero, Riley...», ignoro la voglia di coprirmi e nascondere il mio corpo, e mi avvicino a lei. «Ho capito perché lo pensi, ma dentro di te sai che tua madre non ha assolutamente ragione.»
Vorrei che Bonnie fosse qui in questo momento. Lei saprebbe cosa dire e come consolarla... io non so nemmeno come amare me stessa, non saprei cosa dirle per farla stare meglio. So che non mi crederebbe se le dicessi che sta benissimo così, quindi mi limito a darle un veloce abbraccio e a farle sentire il mio affetto in questo modo.
«Quella donna sta giocando con la mia autostima», ammette, gli occhi velati dalle lacrime. Alza il mento all’insù e sorride. «Ma hai ragione, la ignorerò.»
Mi rimetto la maglietta e i pantaloncini e dico: «Io sono pronta. Ti aspetterò lì. Ho bisogno di camminare un po’ e svuotare la mente», mento, distogliendo lo sguardo. Ma chi voglio prendere in giro? Non riuscirò mai a svuotare la mente. Ogni giorno la riempio sempre di più di pensieri, di paure e dubbi.
Riley aggrotta le sopracciglia. «Non vuoi truccarti un po’?»
Scuoto la testa. «Non devo far colpo su nessuno e io mi piaccio così», mi stringo nelle spalle.
«Come desideri. Ci sentiamo dopo, allora?», sbarra gli occhi, guardandomi con circospezione.
Annuisco. «Grazie per il costume.»
«Non mi hai detto ancora cos’è successo», prende la piastra tra le mani e si siede davanti allo specchio.
«Niente», mi affretto a dire. «Adesso vado, fammi sapere quando arrivi», i suoi occhi scettici mi seguono in silenzio finché non raggiungo la porta. «Contaci!», mi fa l’occhiolino e mette su un sorriso non troppo sincero. So che ha capito che qualcosa non va, ma come tutte le altre volte, non ho voglia di sfogarmi e parlare di Ruth.
Quasi nessuno si reca in questo posto. Forse soltanto le anime spezzate come me. Stringo forte la ringhiera di legno del pontile e guardo come le striature infuocate del sole colorino il cielo. Abbasso lentamente gli occhi verso le assi ammuffite e danneggiate e poi mi sporgo leggermente oltre la ringhiera per osservare il mio riflesso smorto e inespressivo nello specchio acqueo.
Infilo gli auricolari nelle orecchie e inizio ad indietreggiare verso la spiaggia. Rilascio un sospiro profondo, come se l’acqua intorno a me riuscisse a sentirmi.
I capelli scivolano come seta lungo le mie spalle, mi tolgo le scarpe e i miei piedi affondano nella sabbia fine e ancora calda. Mi dirigo a passo pigro verso il gruppo di persone che intravedo in lontananza. Riconoscerei ovunque la risata fragorosa di Bennie. Lo vedo saltare come un bambino euforico sulla schiena di Ashton e l’altro gli dà una spinta, facendolo cadere addosso a Hayley.
Va bene, rimarrò qui per un po’.
Mi siedo, appoggiando le braccia sulle ginocchia e guardo l’orizzonte.
«Abbiamo avuto entrambi la stessa idea, vedo», dice Sasha sedendosi accanto a me. Ha i capelli spettinati, la fronte imperlata di sudore. Indossa un paio di pantaloni neri cargo e una maglietta bordeaux. Un abbigliamento poco consono visto il posto in cui ci troviamo. Cerca frettolosamente gli auricolari nella tasca e se li infila nelle orecchie, come se la sua vita fosse appesa ad una canzone in questo momento. Ho promesso a me stessa che avrei mantenuto le distanze da lui e so che dovrei alzarmi e andare via, eppure qualcosa mi trattiene qui.
Ignoro la sua presenza, e mentre i miei occhi inseguono estasiati gli artigli di luce che ghermiscono le nuvole, dentro di me si fa spazio una dolce malinconia che aspetta come una cara amica di essere accolta tra le mie braccia.
Guardo con la coda dell’occhio Sasha, tra le sue dita fa scivolare i granelli di sabbia con aria pensierosa. Gira all’improvviso lo sguardo verso di me e il mio cervello formula una domanda stupida, che scivola sulla punta della mia lingua, senza mai avere il coraggio di uscire fuori.
Con tutto lo spazio che c’è qui, hai scelto di sederti accanto a me? Perché?
«Perché mi guardi così? Ho qualcosa in faccia?», chiede, togliendosi un auricolare.
Metto in pausa la musica. «No, mi sono persa nella mia mente. Non ti stavo guardando davvero.»
Lui accenna un breve sorriso. «La prossima volta usa il navigatore», ribatte con una punta sarcastica nella voce e io alzo gli occhi al cielo.
«Questa era pessima», gli dico, sorridendo.
«Però ti ho fatto sorridere», alza un sopracciglio divertito. E io mi meraviglio ogni volta che lascia cadere quella maschera indifferente che indossa ogni giorno e lascia che la vivacità gli illumini il viso.
Mi guarda come se avessi prosciugato l’oceano con il mio sorriso e io penso di aver appena visto il sole tramontare nei suoi occhi.
«Sorrido soltanto per compiacerti», abbasso lo sguardo sullo schermo del cellulare. Smettila di guardarlo così, ricorda la promessa che hai fatto a te stessa.
«Buono a sapersi», si alza in piedi velocemente e si pulisce i pantaloni. Mi lancia un’ultima occhiata, sembra irritato. Mentre si allontana e raggiunge Manuel, il mio sguardo si sente ancora incatenato al suo, ottenebrato. La notte si sta risvegliando ed è pronta a scuotere i miei pensieri.
Guardo le mie mani tremolanti e cerco di calmarmi. Non hai fatto niente di sbagliato. Cerco di convincermi, ma nel profondo mi sento come se fossi chiusa in una stanza con le pareti che mi comprimono e mi rubano il respiro.
Quando il sole cala del tutto e le stelle fanno capolino, decido di raggiungere Riley e Bonnie. Sono in piedi l’una accanto all’altra, Riley sta rovistando all’interno della sua borsa.
«Perché non ti sei ancora tolta la maglietta?», grida non appena mi nota.
So che nessuno mi sta davvero guardando, eppure mi sento osservata. «Sto bene così», dico, stringendo le braccia al petto.
«No, amica, questi indumenti devono sparire. Riley mi ha detto che qui sotto c’è tanta roba», esclama Bonnie, afferrando un lembo della mia maglietta. Sento le guance andare a fuoco, sorrido a disagio.
«Era necessario?», chiedo a Riley quasi con tono d’accusa.
Solo dopo aver visto il suo sguardo ferito mi affretto ad aggiungere: «Scusami, mi imbarazzo facilmente. Non mi piacciono i complimenti.»
«E invece dovresti accettarli, sai?», Bonnie appoggia la testa contro quella di Riley e mi sorride. «Perché te li meriti. Anzi, ce li meritiamo. Siamo da togliere il fiato», alza gli occhi al cielo con fare teatrale e Riley ridacchia.
Entrambe iniziano a svestirsi. Ammiro la loro bellezza per un paio di secondi, ma poi la mia attenzione viene completamente catturata dal fisico slanciato e tonico di Aretha. Corinne sembra minuscola accanto a lei e Hayley cerca ancora in tutti i modi di farsi notare da Bennie, il quale non sembra molto interessato a lei in questo momento.
Aretha ha i capelli raccolti in una coda alta, si è truccata come se non dovesse tuffarsi in acqua e indossa un costume che non passa inosservato. Corinne inizia a spalmarsi la crema su tutto il corpo e io mi chiedo perché, visto che il sole è già tramontato da un po’.
«Cosa cazzo si è messa addosso?», chiede Bonnie, guardando Aretha a bocca aperta.
«Un costume», dico, come se non fosse già abbastanza evidente.
«Molto striminzito direi», commenta Riley, senza staccarle gli occhi di dosso. Deduco che Aretha sia riuscita nel suo intento. Tutti gli occhi sono puntati su di lei. E non so per quale motivo, ma il cervello mi dice di controllare se anche Sasha sia ammaliato da lei. Manuel gli dà una gomitata nelle costole e con un cenno del mento gliela indica, ma Sasha le rivolge soltanto una breve occhiata disinteressata e continua la conversazione con il suo migliore amico. Uno stupido sorriso trionfante si fa spazio sul mio viso, ma dura soltanto pochi secondi.
«Avanti, tocca a te», Bonnie mi guarda incitandomi a spogliarmi, e con molta lentezza inizio a togliermi la maglietta e la stringo tra le mani.
«Non farti pregare, ti prego. Stai benissimo», Riley mi sorride, infondendomi coraggio.
Sbottono i pantaloncini e abbasso la cerniera, poi li sento scivolare lungo le gambe.
«Tranquilla, nessuno ti sta guardando. Sii te stessa», Riley cerca di rassicurarmi. Non ho paura di essere guardata, ma è come se uscissi dalla mia bolla e ciò mi fa sentire ancora più vulnerabile.
«Giusto, nessuno la sta guardando, a parte una persona», afferma Bonnie con tono cantilenante e sorride maliziosamente.
So a chi si sta riferendo. Mi giro per controllare, ma non appena i miei dubbi vengono confermati, mi siedo subito e tiro le ginocchia al petto.
«Ma che diamine stai facendo?», strilla Riley, afferrandomi per le braccia. «Alzati, andiamo a farci il bagno.»
E mentre mi trascina controvoglia verso l’acqua, Bennie spalanca la bocca non appena gli passo accanto. «Stewart, all’improvviso mi è venuta voglia di essere tuo amico», grida alle mie spalle.
Hayley gli tira un ceffone e lui scoppia a ridere. Sasha gli lancia un’occhiata tagliente. Ma non lo sta guardando così per colpa mia. Io non c’entro niente.
«Queste stronzate non le faremo più tra qualche anno, quindi godetevi questa spensieratezza», Bonnie gira su stessa, poi si tuffa in acqua.
«Ha ragione», Riley le dà man forte e inizia a nuotare verso di lei. L’oceano registra le loro risate e io sorrido alla luna, che forma un sentiero di luce in mezzo all’oscurità.
Mi avvicino sentendo il soffio del vento estivo sulla pelle e la voce dell’abisso chiamarmi.
«Chandra, di qua», Riley muove freneticamente le braccia cercando di richiamare la mia attenzione, ma io mi sento così bene in questo momento che non sento più nulla intorno a me se non il rumore delle onde.
Qualcuno mi afferra per la caviglia e sussulto, contorcendomi su me stessa. «Sono io, sono io», Bonnie lascia la mia gamba e nuota verso di me. «Cavolo, non volevo spaventarti.»
«È tutto okay», la rassicuro. «Ho bisogno di bere qualcosa.» Riley poco più in là mi guarda stranita.
«Tu vuoi bere?», chiede.
«Devo», sentenzio e nuoto verso la riva. L’acqua scivola sul mio corpo e i capelli sono appiccicati alla mia pelle. Mi dirigo a passo spedito verso il falò e afferrò due bicchieri di birra. Qualcuno fischia alle mie spalle, ma non oso girarmi. Sento la risata di Bennie, quindi deduco sia stato lui o qualche suo amico.
Cammino spedita verso un pick-up e mi siedo sul cofano, trangugiando la birra e canticchiando mentalmente una canzone. Cerco in tutti i modi di riprendermi la spensieratezza di quando ero bambina, e so che potrei ubriacarmi fino a scordare il mio nome, ma questo peso opprimente sul mio petto mi ricorderebbe chi sono.
Gli altri ridono e scherzano intorno al falò; bevono e si divertono, ma io non mi sento parte di quel gruppo e se non fosse stato per Riley, io non mi sarei presentata qui. Non sto cercando di essere diversa da loro. Semplicemente non so quale sia il mio posto ancora, quindi brancolo nel buio fermandomi davanti a decine di bivi che non portano da nessuna parte.
Tanto per tutti gli altri non sono altro che un cadavere che cammina e so che qualcuno tra di loro muore dalla voglia di ricordarmelo. Perché succede sempre questo... Prendono sempre di mira chi è fragile, perché in quella fragilità vedono tutte le loro insicurezze.
Finisco di bere entrambi i bicchieri di birra e mi sdraio. Sussurro i miei desideri alle stelle e cospargo il cielo di sogni che non realizzerò mai.
Non so quanto tempo sia passato, ma a riportarmi con i piedi per terra sono delle grida aggressive. Scendo dal pick-up e cammino piano verso il falò, cercando di curiosare senza sembrare troppo impicciona.
«Guarda che ti abbiamo visto», grida Bennie, venendo verso di me barcollando.
Mi sento di colpo paralizzata.
«E quindi?», gli chiedo, alzando il mento.
«E quindi, il divertimento è di là», indica l’altra gente e mi stringo nelle spalle.
«Sto bene qui», asserisco, senza distogliere lo sguardo dal suo.
«Tu non volevi venire qui, non è così?», chiede, squadrandomi dalla testa ai piedi. Mi porto le braccia davanti alla pancia.
«Perspicace», commento ironica.
«Perfino le tue amiche si divertono», fa un cenno del capo verso Riley e Bonnie che ballano.
«Cosa vuoi da me, Bennie?», gli chiedo, stringendo i denti. Si avvicina ancora di più, e io indietreggio fino ad inciampare.
«Voglio solo che tu…», fa una pausa e si porta la mano sulla pancia. «Voglio che tu ti unisca a noi», non faccio in tempo a spostarmi, lui si piega e vomita sulle mie gambe.
«Oh merda, che schifo!», grido e mi porto la mano davanti alla bocca.
«Cazzo, questo non era nei miei piani. Mi dispiace. Cristo, mi dispiace», si pulisce la bocca con il dorso della mano e mi guarda con occhi sinceramente dispiaciuti.
Mi alzo in piedi e guardo lo schifo sulla mia pelle; per colpa del suo vomito la sabbia si è appiccicata ai miei polpacci.
«Ora rimedio», solleva l’indice, facendomi cenno di rimanere dove sono, poi si avvicina e in men che non si dica mi afferra per il bacino e mi carica sulla spalla. «Ma che cazzo fai, Diaz! Mollami», grido e quando sollevo lo sguardo verso la distesa d’acqua davanti a noi, non riesco a dire più nulla, perché mi butta in acqua come se fossi un sacco di patate.
«Così va via lo schifo che ti ho vomitato addosso», spiega con una gentilezza mai vista prima.
«Sei una testa di cazzo», gli urlo contro, dopodiché esco dall’acqua e riprendo a respirare normalmente.
Bennie si butta sulla sabbia e scoppia a ridere, poi gattona verso di me e mi afferra per il polpaccio. «Ehi, guarda che-»
«Levale le mani di dosso, Diaz. Adesso», pronuncia ferreo Sasha. Scalcio, colpendogli il braccio e poi afferro la mano tesa verso di me di Sasha. Mi tiro su, ma lui non mi ignora come è solito fare. Questa volta allunga un braccio facendomi da scudo e mi spinge dietro la sua schiena.
Bennie sputa a terra e si passa più volte la mano tra i capelli bagnati. «Baker, per caso ho appena toccato un tasto dolente?», gli chiede, stuzzicandolo.
«Lascia perdere», mormoro alle sue spalle. Bennie sghignazza, guardandolo dall’alto verso il basso, ma la reazione brusca di Sasha mi fa balzare all’indietro. Il suo pugno è scattato fulmineo verso la faccia di Bennie.
«No, Bennie, hai toccato lei», ringhia con i pugni ancora stretti lungo i fianchi. I movimenti di Bennie sembrano tutti a rallentatore a causa del suo stato poco sobrio, e quando prova ad avventarsi alla sua gola, Sasha si sposta e Bennie cade a terra, lanciando una serie di imprecazioni.
Mi aggrappo al braccio di Sasha e cerco di farlo allontanare da lui.
«Andiamo», lo esorto, lui si gira verso di me. «Stai bene?»
«Sì», rispondo, stringendo i denti. «Cosa diavolo ti è preso?», gli abbaio contro.
Mi fissa negli occhi e abbassa di poco la testa per osservarmi meglio. Si stacca bruscamente da me, sbuffando una risata, e cammina spedito verso Manuel.
Mi dirigo verso Riley e Bonnie furiosa e inizio a cercare i miei vestiti, ma non li vedo più da nessuna parte. Sasha mi guarda come se gli avessi spezzato l’anima in due e soltanto adesso mi rendo conto di quello che ha fatto per me.
Bennie si trascina pigramente dai suoi amici, che se la ridono tra di loro non appena vedono le condizioni pietose di Bennie.
«Dunque è lei il tuo punto debole adesso», Bennie non demorde, continua a provocarlo, incendiandolo con lo sguardo.
«Di chi?», chiede Aretha, alzandosi in piedi. Raggiunge Bennie e cerca di sorreggerlo, poi gli prende il mento tra le dita e ripete: «Punto debole di chi, Bennie?»
Ma lui non risponde, fissa Sasha con un miscuglio di odio e pentimento, poi il suo sguardo scatta su di me. Aretha si gira di colpo e punta i suoi occhi velenosi nei miei.
«Abbiamo una gatta morta tra di noi», inarca un sopracciglio.
«Ovvero tu? Sai, non so se hai notato, Aretha, ma tra poco finirai per strusciarti contro i pali della luce, visto che ti sei strofinata già contro il cazzo di tutti», ribatto con la stessa rabbia che ho provato quando Ruth mi ha ferito.
Aretha schiude la bocca e dà una forte gomitata a Bennie. «Dì qualcosa», sibila.
Quando penso finalmente di essermela tolta dai piedi, la sento pronunciare: «Ma guardati, emani il fetore della morte e giri intorno a noi come se fossi alla ricerca della prossima vittima da mietere», sento un suono sordo nelle orecchie. «Dev’essere stato brutto vedere il padre morire tra le tue braccia, vero? È morto d’infarto per lo stress che gli hai procurato oppure è stato un semplice episodio sfortunato e totalmente inaspettato?»
«Sei proprio una merda, Aretha», commenta Riley. «C’è un limite a tutto.»
«Cosa cazzo ti ho fatto di male?», sussurro con la vista annebbiata. La rabbia e il dolore si mischiano come due colori su una tela bianca.
«Chiedilo a quella puttana di tua madre», grida a pieni polmoni e la frase mi arriva come un pugno in faccia, la rabbia mi stringe la gola come se fosse una mano invisibile.
E pochi secondi dopo mi ritrovo sopra di lei, con la mano che colpisce meccanicamente, più e più volte, il suo viso fino a sentire il palmo bruciare.
«Qualcuno me la levi di dosso!», urla disperatamente, ma io non mi fermo. Il bisogno fisico di sfogare la mia rabbia, di farle male fino a vederla piangere, non mi abbandona.
Due braccia mi circondano la vita e mi sollevano delicatamente. Le stesse braccia che mi hanno impedito di fare a pezzi Corinne.
«Lasciami!», ringhio, assestandogli gomitate nel costato e scalciando colpendo il nulla. «Ti spaccherò quella faccia del cazzo, mi hai sentito?»
«Perché non ti uccidi, brutta stronza?», sputa con rabbia Aretha, asciugandosi il sangue che le cola dal naso.
«Lasciami, cazzo!», grido di nuovo, poi mi libero dalla sua stretta e con le lacrime agli occhi mi metto a correre senza avere una meta precisa. Davanti a me non vedo altro a parte l’oscurità che scivola tra le ciglia impregnate di lacrime. Sento i polmoni bruciare, le unghie conficcate nei palmi delle mani e la rabbia che urla dentro di me e mi supplica di liberarla e darle il permesso di trasformarmi in una persona diversa da chi sono adesso.
Qualcuno mi afferra per il braccio, cercando di fermarmi. Inciampo e lui mi cade addosso, entrambi rotoliamo verso la battigia. Il suo corpo finisce sopra il mio, le sue mani sono premute contro i miei polsi ai lati della testa. «Ti ho detto di lasciarmi», grido contro il suo viso. Deglutisce e scuote la testa piano, tenendomi ferma. «Lasciami andare, Sasha», scoppio a piangere.
«Se ti lascio andare adesso, te ne andrai per sempre. Non sei lucida», sussurra e continuo a piangere mentre le parole di Aretha rimbombano nella mia testa. Perché non ti uccidi? È la stessa domanda che mia sorella mi fa ogni singolo giorno. Ma cosa diavolo intendeva con quella frase? Cosa c’entra mia madre? «Sono calma», rispondo e lui allenta la presa. Si sposta e poi si siede accanto a me. «Non so quanta rabbia tu abbia accumulato dentro, ma finirà per distruggerti se non fai niente per buttarla fuori» Si toglie la maglietta e me la passa. «Tieni, vestiti.»
Non protesto, la indosso velocemente e tiro le ginocchia al petto, cercando di calmare i singhiozzi. «Sto bene.»
«So che fa male… Ho provato quel tipo di rabbia anche io», mi guarda con la coda dell’occhio, ma io fisso la patina di sudore sulla sua guancia. «E alla fine diventerà sempre più grande, ti scorrerà nelle vene e non potrai più fare niente per fermarla.»
«Sono esausta. Capisci anche questo, Baker?», per la prima volta riesco a pronunciarlo ad alta voce. Sfrego furiosamente le mani sulle mie guance, ma lui me le afferra delicatamente e le stringe tra le sue. Non dice più niente, cerca soltanto di calmarmi. Appoggio la fronte contro la sua spalla e continuo a piangere per un attimo che pare infinito.
«Non so nemmeno perché sto piangendo sulla tua spalla», dico e gli stringo forte il braccio, tenendolo stretto a me.
«Perché io voglio che tu lo faccia.»
«Vado a casa», mi stacco da lui, asciugandomi gli occhi.
«Ti accompagno», si alza in piedi, è a torso nudo.
«Conosco la strada, Sasha», ribatto con tono neutro.
«E io conosco te», appena lo dice mi giro verso di lui, accigliandomi.
«Cosa?», chiedo.
«Niente», abbassa lo sguardo.
«Nessuno mi conosce», con la vista ancora appannata mi avvicino a lui e lo guardo negli occhi. «Nemmeno io mi conosco e fa dannatamente male non sapere nulla di me. Nulla», premo l’indice contro il suo petto, il labbro inizia a tremare di nuovo.
«So cosa provi, Casper.»
Sorrido per il modo in cui mi ha chiamato.
Lo guardo con la coda dell’occhio, lui ricambia l’occhiata con la stessa complicità.
«Torniamo a casa?», domando come se fossimo amici da una vita, Lui annuisce. «Andrai a dormire?», domando, cercando di fare conversazione e non pensare a ciò che è accaduto poco fa.
Lui scuote la testa. «Posso essere sincero con te? Domani probabilmente sarò di nuovo il solito Sasha e tu la solita Chandra, ma adesso tu sei tu e io sono semplicemente preoccupato per te. Ti va di rimanere qui?»
«Tutta la notte qui?», gli chiedo e mi ritrovo stranamente a sorridergli.
Sasha si stringe nelle spalle. «Ho notato che ti piace guardare le stelle. Possiamo guardarle tutta la notte, se ciò potrebbe farti stare meglio.»
«Non ricordavo questo lato di te», guardo l’acqua che bagna i miei piedi. «Ma c’è una cosa che forse non hai mai cercato di nascondere: il tuo disgusto per il mondo», i suoi occhi sono attraversati da una strana luminosità. «Alle elementari eri tremendo.»
«Non ricordi tante cose, Chandra», risponde e la sua frase s’infila da qualche parte nel mio petto, provocandomi una fitta di dolore.
«Cazzo, il mio cellulare», esclamo all’improvviso, prendendomi la testa tra le mani.
Sasha infila la mano dentro la tasca e me lo passa insieme agli auricolari. «Ti è caduto quando ti sei spogliata… Purtroppo non so che fine abbiano fatto i tuoi vestiti», ammette dispiaciuto.
«Grazie.» Guardo le diverse chiamate da parte di mia madre, ma decido di ignorarle.
«Comunque, hai davvero dato un pugno a Bennie per me?», inclino il capo per guardarlo meglio.
«Sapeva che l’avrei fatto», replica, distogliendo lo sguardo dal mio.
«Perché?»
«Perché mi conosce.»
«Cos’è successo tra di voi?»
«Mi rivuole nella squadra. Ma è troppo tardi e in ogni caso non ho intenzione di tornarci. I suoi giochetti non funzionano con me.»
«Perché hai abbandonato il football?»
Rimane in silenzio, assorto nei suoi pensieri. Aspetto un paio di minuti e poi schiocco le dita davanti al suo viso. «Anche a me piace guardare le stelle», risponde, ignorando la mia domanda. Si sdraia sulla sabbia e incrocia le braccia dietro la testa. Speravo in una sua risposta. Pensavo che quell’attimo di fragilità sarebbe bastato a farlo parlare un po’ di più, ma è ancora quel ragazzo misterioso che tiene tutto per sé e che guarda il mondo con occhi vuoti. Mi sdraio accanto a lui e guardo il cielo. Un giorno io sarò lì, vorrei dirgli.
«Sasha.»
«Mmh?», si gira verso di me, io continuo a guardare il cielo.
«Tu ti ricorderesti di me, se non ci fossi più?», gli chiedo.
«Direi di sì. Loro mi ricorderebbero te e questo momento», punta il dito verso le stelle e una lacrima scivola lungo la guancia. «Tu, invece?»
«Ricordo tutte le persone che hanno sfiorato il mio dolore e non sono scappate», un piccolo sorriso danza sul mio volto.
«E fino ad ora in quanti l’hanno fatto?», chiede con curiosità.
Con gli occhi carichi di tristezza, mi volto verso di lui e dico: «Soltanto tu.»
Ehilà, ecco il nuovo capitolo ❤️ più lungo degli altri, così mi faccio perdonare per l'attesa ❄️ da questo capitolo in poi le cose inizieranno ufficialmente a cambiare. Già in questo capitolo si capiscono due cose, vediamo chi di voi è stato attento 🦋 spero vi sia piaciuto ❤️ alla prossima 🥺
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