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18. Si muore ogni giorno

“Promise me a place
In your house of memories”
-Panic! At the Disco




«Mi stai davvero chiedendo di creare un portachiavi in resina per salvare questo fiore ormai appassito?», chiede Bonnie mentre si dirige verso la palestra e io mi appresto a seguirla cercando di allungare il passo per non rimanere indietro. Diamine, oggi hanno tutti fretta!

«Beh, diciamo di sì?», gli angoli della bocca si sollevano fino a formare una curva fredda.
Bonnie si ferma all'improvviso e per poco non vado a sbattere contro la sua schiena.
Faccio un passo all'indietro e sfrego il palmo sudato della mano sulla maglietta, cercando di calmarmi.

«E perché? Cos'ha di speciale?», assottiglia lo sguardo e la sua bocca forma un sorrisetto malizioso.

«È un capriccio», dico arricciando il naso, non credendo alla mia stessa bugia.

«Sì, certo...», ruota i suoi piccoli occhi al cielo e poi li punta di nuovo su di me, impudenti e indagatori. «Va bene, dammelo. Te lo farò avere nei prossimi giorni», allunga il braccio, aspettando che io le dia il fiore.

Una scossa attraversa tutto il mio corpo. Ho sentito bene? Vuole che glielo dia adesso?
Rimango a fissarla come intontita e inizio a boccheggiare, non riuscendo a trovare le parole giuste. «Non posso», dichiaro.

Fa una smorfia talmente brutta che il labbro superiore per poco non va a toccare le sue narici. «Come sarebbe a dire?»

Mi lecco le labbra ormai secche, prima di rispondere. «Ho paura che tu lo perda o altro... Preferisco dartelo al momento giusto», ammetto, toccandomi con le nocche la guancia ardente.

Bonnie aggrotta le sopracciglia, sempre più scettica. «Va bene, come vuoi. Deduco te l'abbiano regalato.»
I miei occhi d'un tratto si spalancano.
«Oh, dunque è così», mette le mani sui fianchi e mostra di nuovo il sorrisetto di prima.
«Va bene, facciamo come vuoi tu», solleva le braccia e poi si allontana indietreggiando. «Vincerò quella scommessa!», grida ridendo, poi si mette a correre verso la palestra, lasciandomi da sola in mezzo agli altri.

Rilascio un sospiro di sollievo e quando mi giro, qualcuno mi viene addosso, facendomi perdere l'equilibrio.
Mi afferra giusto in tempo per le braccia, salvandomi da una caduta imbarazzante.
Riconoscerei ovunque quei tratti asiatici e quei capelli neri lucenti. E sembrano così morbidi e...
«Scusami, è tutto a posto?», chiede Manuel, tenendomi ancora ferma.

«Sì. Sto benissimo», sulla mia bocca prende vita un enorme sorriso.

«Menomale», ricambia il sorriso, ma il suo è semplicemente cordiale. «Io e te siamo insieme anche a matematica, oltre ad educazione fisica, vero?», sbarra gli occhi, dubbioso.

«Mi hai notato?», i palmi delle mani iniziano a sudare sempre di più.

«Beh, è impossibile non notare una ragazza come te», ammette. Si passa il palmo della mano sulla nuca, regalandomi un sorriso a dir poco mozzafiato, ma dietro di lui, come un lupo pronto a sbranare la preda, vedo lo sguardo cupo di Sasha.

Ha le spalle addossate al muro, la gamba leggermente piegata e il piede appoggiato all'intonaco bianco sporco. Una bandana rossa impedisce ai suoi capelli di oscurargli la vista, ma i suoi occhi come due fanali nell'oscurità puntano tutta la loro luce su di noi, scandagliandoci con curiosità nei minimi dettagli.

Con una mano gioca con la catenina che ha attaccato al gancio della cintura mentre l'altra la tiene stretta a pugno lungo il fianco. Le sue sopracciglia scure sono corrugate e le sue dita nervose iniziano a torturare l'anello nero che porta alla mano sinistra.

Appena incrocia il mio sguardo sento i rivoli di sudore freddo scorrere lungo la schiena, il cuore inizia a pompare più sangue del dovuto e le gambe stanno per cedere, quindi stringo ancora di più il braccio di Manuel, alla ricerca di un po' di stabilità.

«Sicura di stare bene?», chiede e le sue mani scivolano ancora di più lungo i miei avambracci, quasi volesse tenermi ben ferma davanti a lui.
Deglutisco rumorosamente e annuisco come una matta, prima di scostarmi e sistemarmi i capelli dietro l'orecchio; un gesto agitato e impulsivo.

«Sì, va tutto alla grande. Scusami, non volevo farti preoccupare», gli dico con voce dolce e calma, ma i battiti frenetici del cuore li sento come colpi di tamburo nelle orecchie.

«Vuoi fare due passi?», chiede, mostrandomi con un braccio il corridoio gremito di persone.

«Mi vedo costretta a declinare l'invito. La confusione non mi piace molto e dovrei davvero scappare», fingo di guardare l'ora sul cellulare.

«Oh, va bene, sarà per un'altra volta», con un sorriso gentile decide di mettere fine alla nostra imbarazzante conversazione.

La sua sagoma mi passa accanto come il soffio delicato del vento, lasciandosi dietro una scia di profumo agrumato.
Colgo l'occasione per fare qualche passo verso il ragazzo che vanta ogni giorno quella sua immutabile espressione di risentimento.

«Ehi», dico, ciondolando da un piede all'altro.

Si lecca l'angolo della bocca e affonda i denti bianchi nel labbro inferiore per pochi secondi, prima di pronunciare impermalito: «La casualità con cui parli al mio migliore amico tutto ad un tratto è semplicemente sconcertante.»

Una chiazza incandescente si irradia sulle guance, costringendomi ad abbassare lo sguardo.

«È il mio migliore amico», mi rammenta piccato.

«Lo so, non ho intenzione di fargli del male o altro», lo guardo con un cipiglio.

Lui fa un altro passo verso di me e sbarra gli occhi. Tra il ciuffo nero che nasconde parte della sua fronte intravedo la piccola ferita e il ricordo della sua mano che sfiora la mia mi appare vivido nella mente; soprattutto la sua espressione e la smorfia che ha fatto dopo avermi sfiorato le dita. Nient'altro a parte le dita. Reazione assolutamente esagerata. A meno che io non lo disgusti davvero oltre i limiti...

«Ma davvero?», inclina il capo e mi fissa con una scintilla irrisoria negli occhi.

Boccheggio un po', poi riesco a dire: «Non sono quel tipo.»

«Cos'è che ti spinge a comportarti da gatta morta in sua presenza e che io-», frena subito la lingua e chiude gli occhi per riflettere. «Lascia stare», si stacca dal muro con una spinta decisa e l'ultima cosa che vedo è il muscolo che guizza furiosamente sulla sua mascella. Si allontana a passo disinvolto, i miei occhi curiosi fissano la scritta Nirvana sulla sua schiena.

All'improvviso un profumo dolce e pungente mi solletica le narici e una mano delicata e curata si posa sul mio braccio.
Mi giro a rallentatore, fissando quegli occhi piccoli e indagatori e lo sguardo dolce e al contempo perfido. I suoi capelli castani e lunghi scendono lucenti sulle sue piccole e strette spalle e il ciuffo è tenuto fermo da un fermaglio con micro perle bianche.
«Ciao», pronuncia melliflua.

«Corinne», assottiglio lo sguardo, confusa.

«Come va?», chiede con il solito sorriso messo in risalto dal gloss rosa.

«Bene...», aggrotto le sopracciglia sempre di più.

«Uuh, sembra tu abbia la pelle un po' secca», mi dà uno strano buffetto sulla guancia. «Ho consigliato delle creme e delle maschere idratanti sul giornalino della scuola. Dovresti dare un'occhiata», mi strizza l'occhio.

«Che cosa vuoi?», chiedo, incrociando le braccia sotto il seno.

«Sei stata invitata anche tu al falò in spiaggia», dal suo tono di voce non traspare alcuna emozione. «Aretha ti ha visto insieme a Manuel, poco fa. Lui ci sarà, quindi...», apre la bocca in un sorriso inquietante mentre mi fa di nuovo l'occhiolino.

«Apprezzo l'invito, ma non penso faccia per me questa roba, sai com'è-», non termino la frase che in lontananza vedo Riley trotterellare come una matta verso di me.

«Indovina!», grida afferrandomi poi le braccia e saltellando come una bambina. «Non è mai successo ed è strano, ma Hayley ha detto che possiamo unirci al falò di stasera», e fa un altro gridolino di gioia.

Corinne nel frattempo guarda le sue unghie con aria annoiata. «Bene, direi che è fatta», mi rivolge un sorriso freddo. «Alle otto. Mettiti un costume o qualcosa di decente», smuove una mano e poi ci liquida con una smorfia di disgusto sul viso.

«Ci andrai da sola», dichiaro con un tono che non ammette repliche.

Riley smette di colpo di sorridere. «Ma Chandra! Non ho mai preso parte ad un falò in spiaggia... È una cosa imperdibile, ti prego», unisce i palmi delle mani, supplicandomi con lo sguardo.

«Assolutamente no», rimango ferma sulla mia decisione.

«È grazie a te se sono stata invitata», fa lo sguardo da cucciolo abbandonato e sbuffo.

«Ci vediamo stasera», mi limito a dire e mi dirigo verso l'aula, borbottando tra me e me: «Dillo: sono   un'idiota.»

All'intervallo raggiungo il tetto della scuola e mi siedo a terra. Tiro fuori dallo zaino un tramezzino e la borraccia e consumo il mio pasto in silenzio, lasciandomi cullare soltanto dal cinguettio degli uccellini e dal chiacchiericcio lontano degli studenti.

Quando finisco, butto a terra le briciole e rimetto nello zaino la borraccia. Mi alzo con un sospiro profondo e mi sposto pigramente verso il cornicione, il posto dove di solito io e lo sconosciuto lasciamo le lettere.
Soltanto adesso noto la scritta incisa nel cemento e la fisso sbalordita: Si muore ogni giorno.
E accanto all'incisione vi è un'altra frase, scritta col pennarello nero: Ti sorrido come le stelle nell'oscurità.

Il mio cuore ha un sussulto. Non sono frasi casuali. Nonostante non mi abbia lasciato alcuna lettera e io non gli abbia ancora risposto, ha deciso di rendere quasi indelebile il nostro segreto scambio di parole.

Prendo il cellulare dalla tasca e scatto delle foto alle due frasi.
Poi faccio la cosa più banale di sempre: apro Instagram e pubblico la foto dell'incisione.

Qualche secondo dopo già mi pento di averla pubblica. Riley non tarda a mettere mi piace.
Poi mi arriva la notifica di un commento: Lo diceva anche Seneca.
È Sasha.

Alzo gli occhi al cielo e chiudo l'applicazione. Il mondo dei social non mi appartiene.
Mi siedo a terra con il mento e le braccia appoggiate sul cornicione e lo sguardo rivolto verso il cielo.
E la parte razionale di me chiede: Hai ancora voglia di morire?
E vorrei poter dire decisa di no, che la vita è meravigliosa in tutte le sue sfumature, ma la verità che si cela lì in fondo, in quell'oscurità che ignoro e cerco di non sfiorare, fa paura perfino a me. La vita per me è fatta di brevi istanti di felicità e infiniti attimi di tristezza, dunque la mia anima anela alla libertà assoluta, all'abbandono delle catene e alla leggerezza delle nuvole.

Mi rimetto in piedi controvoglia e raggiungo di nuovo il corridoio gremito di persone. In lontananza vedo Bennie mentre scherza con Ashton e Tony.
«Su quale dei tre cerchi di mettere i tuoi schifosi artigli?», sibila Aretha al mio orecchio, facendomi sobbalzare. «Oh, dimenticavo, c'è anche Manuel sulla lista...»

Mi allontano da lei, scoccandole un'occhiata omicida. Vado verso il mio armadietto e prendo i libri, infilandoli con poca delicatezza nello zaino.
Odio la scuola. Odio la gente. Odio il mondo. Odio tutto questo e ogni singolo giorno non fanno altro che ricordarmi quanto sia difficile vivere in mezzo a loro.

«Oh, tieni ancora la foto di tuo padre», commenta con voce annoiata. Stringo i denti e sbatto lo sportello, chiudendolo. «Tua sorella sta dicendo assurdità su di te in giro. Lo sapevi?», continua a chiedere. «Dice che è stata colpa tua.»

E mi basta questa frase per perdere la pazienza e afferrarla per la maglietta e attirarla ad un palmo dal mio viso, sibilando: «E tu ci tieni a fare la stessa fine, non è così?»

Qualcuno in lontananza fischia e si eleva un coro di acclamazioni.
«Quanto amo le risse tra le donne», esclama Bennie, avvicinandosi insieme ai suoi amici.

«Dì un'altra parola su questa situazione e ti prometto che avrai bisogno delle stampelle per camminare ancora», le do una spinta, lei mi fissa inorridita ma senza distogliere lo sguardo dal mio.

Qualcuno mi prende per il braccio e mi dà uno strattone, spingendomi verso l'uscita,
«Sei matta? Vuoi farti espellere proprio alla fine?», chiede Riley, stizzita.

«Ha iniziato lei», mi metto sulla difensiva.
La mia amica mette le mani sulle mie spalle e mi guarda con compassione. «Lo so, ma stiamo parlando di Aretha Flores. Un suo sorriso è una minaccia velata, o ti sei dimenticata della fine che ha fatto Rosy l'anno scorso? È stata costretta a cambiare scuola.»

«Odio questo schifo di scuola e odio lei e le sue amiche del cazzo», ammetto a denti stretti.

«Penso di sapere il perché di tutto questo», arriccia il naso e indica con la testa qualcuno.
Seduto sul muretto c'è Sasha con gli auricolari nelle orecchie, che guarda dritto verso di noi.
«Allora gli starò lontana», sentenzio.


Scusate l'assenza, ma purtroppo ho preso il Covid e tutta questa situazione mi ha buttata un po' giù, infatti mi sento sfinita psicologicamente e anche fisicamente 😔 domani ho il tampone e spero sia negativo, perché non ce la faccio più. 🧘

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