17. Non smetti mai di sorprendermi
“When you close your eyes, do you picture me?”
-Billie Eilish
Osservo il pezzo di carta che ho tra le dita e deglutisco. Quella macchiolina di sangue sopra il mio nome sembra ipnotizzante.
Leggere la lettera, questa volta, è stato come se lui mi avesse infilato una mano dentro il petto e mi avesse stritolato il cuore senza pietà
L'ultima parte mi ha fatto male.
Provo uno strano dolore nel leggere una frase che mi sono sentita dire più di una volta; persino la psicologa l'ha pronunciata.
Devo lasciarlo andare. Diamine, lo ripetono tutti continuamente.
Si aspettano che io dica addio a mio padre, più di quanto non l'abbia fatto quel giorno, quando l'ho perso davanti ai miei occhi e l'ho stretto tra le braccia.
Non capiscono che è difficile rimuovere una scheggia che è rimasta conficcata nel cuore per troppo tempo. Non posso semplicemente smettere di pensarci, smettere di guardare le foto, smettere di rivedere quella dannata scena ancora non ancora.
E questa volta me l'ha chiesto anche lui.
Il fatto che lui sappia benissimo che voglio farla finita e si ostini comunque a dirmi di lasciarlo andare, mi rende nervosa. È come se l'unica persona al mondo con la quale riesco a sfogarmi, mi avesse tradita.
Non so nemmeno come. Mi aspettavo che mi desse ragione.
Ma magari tutto ciò fa parte del gioco. Lui ama essere imperfetto. Forse l'avrà detto per farsi odiare o per provocarmi. Non è di certo la prima volta che è acido nelle lettere.
È incredibile come una semplice frase abbia quasi offuscato tutte le altre.
Una lacrima scivola piano sulle sue parole e mi affretto ad asciugarla con il dorso della mano.
Poi il mio sguardo rimane fisso sulle mie dita; le stesse che Sasha questa sera ha toccato con una tale delicatezza da farmi bruciare la pelle.
E poi mi ha lasciato la mano come se avesse sfiorato la cosa più brutta del mondo.
Stringo le palpebre e cerco di rimuovere ogni spiacevole ricordo dalla mia mente.
La porta della mia stanza si apre di colpo, con una tale forza, che va a sbattere contro il muro, e sussulto.
La figura disinvolta di mia sorella appare davanti a me.
Ha una mano appoggiata sullo stipite della porta e i suoi occhi gelidi mi trapassano come spade.
«Degli amici mi terranno un po' di compagnia. Sei pregata di non rompere», dietro alla sua frase si nasconde una minaccia velata.
«Agli ordini», un sordo lamento abbandona la mia bocca e nascondo lentamente la lettera dietro la schiena. Ruth assottiglia lo sguardo e mi fissa a lungo come se sospettasse qualcosa, poi mi dà le spalle e va al piano di sotto, da dove proviene lo schiamazzo.
Poco dopo nel corridoio si sentono di nuovo un paio di passi lenti.
Mamma si ferma davanti alla mia stanza e sbadiglia, portandosi la mano davanti alla bocca e spostandosi i capelli biondi dietro l'orecchio con l'altra mano.
«Io vado a dormire, oggi sono molto stanca. I ragazzi hanno ordinato la pizza, quindi mangia prima di andare a letto. Intesi?», solleva le sopracciglia e annuisco.
«Bene. Buonanotte, tesoro», mi manda un bacio e sorrido tristemente mentre stringo ancora la lettera tra le dita.
La nascondo insieme alle altre e poi scendo al piano di sotto non appena sento il campanello suonare.
Mi scontro con mia sorella, lei mi dà una spinta per allontanarmi e spalanca la porta.
Per poco la mia mascella non tocca terra.
Davanti a noi c'è Tom con delle scatole di pizza tra le mani.
Appena mi vede, sul suo volto spunta un debole sorriso, quasi avesse paura di mostrarlo.
«Ma guarda un po' chi diavolo si rivede», esclama Ruth con una punta di disgusto nella voce.
«Ruth!», la riprendo.
«Non pensavo che i barboni consegnassero la pizza ora», si gira verso di me e sogghigna. «Ma che barbone miserabile e fortunato», il suo tono sprezzante inizia a darmi sui nervi.
«Sai cosa, posale pure a terra. Non voglio che mi passi i germi. Chissà da quando non ti lavi», e con fare schizzinoso si allontana da lui.
Tom chiude gli occhi per un secondo, poi mi guarda e mantiene la calma, anche se nei suoi occhi intravedo soltanto un accenno di dolore.
«Sei proprio una perfida stronza», le ringhio contro. «Chiedigli scusa.»
«No, e non costringermi a chiamare la pizzeria per lamentarmi del servizio di consegna», ribatte Ruth inviperita. Si abbassa per prendere le scatole che Tom ha lasciato a terra, e poi aggiunge: «Sicuramente non hai bisogno della mancia.»
Trattengo il desiderio di tirare una testata contro il muro e mi umetto le labbra prima di dire: «Aspetta qui.»
«Chandra, è tutto a posto, davvero», la voce dolce di Tom mi ricorda quella di un padre amorevole.
Non gli do ascolto, così vado in cucina e prendo i soldi dal barattolo delle mance, che mamma ha messo da parte apposta per i rider, e do una parte a Tom.
Non li vuole prendere, quindi gli afferro la mano e glieli poso sul palmo.
«Prendili.»
«G-grazie», balbetta a disagio. «Ora devo andare.»
«Ci rivedremo», gli regalo un ultimo sorriso prima di chiudere la porta e dirigermi verso il salotto.
Seduti sul divano ci sono mia sorella, la cugina di Riley e un ragazzo che ho già visto da qualche parte.
«Ciao», li saluto con voce neutra. «La mia pizza dov'è?», chiedo a Ruth.
Mia sorella si finge sorpresa. «La tua pizza? Forse la trovi in pizzeria, oppure potresti dire al tuo amico senzatetto di portartene una», la sua battuta del cazzo fa ridere il ragazzo seduto sul nostro divano.
«Wow, che divertente! Davvero, Ruth, me la sto facendo sotto dalle risate. Hai per caso frequentato un corso per diventare una tale pagliaccia da quattro soldi? Cos'è, adesso vuoi lavorare in un circo?», inarco lentamente un sopracciglio mentre osservo il suo sorriso spegnersi poco a poco.
«Questa ha fatto male», ridacchia il ragazzo. Ruth gli tira un calcio nello stinco e lo ammonisce con un'occhiata tagliente.
«Scusa, tesoro», il ragazzo mette il broncio e Ruth va a sedersi in braccio a lui.
La sua mano scivola sulla coscia di Ruth e gliela stringe, poi le sussurra qualcosa all'orecchio, facendola ridacchiare.
Lo analizzo a lungo, ma poi, come un lampo, rivedo la sua faccia sul giornale del mese scorso.
Gregory Garfield.
È così che si chiama.
Ed è stato accusato di stupro e di aver drogato una ragazza ad una festa, ma da quel che ricordo si vocifera che la ragazza abbia ritirato la denuncia.
«Io so chi sei», dico a voce alta e Gregory gira la testa verso di me, poi aggrotta le sopracciglia.
«Ne dubito. Sono un tipo parecchio asociale», sorride, arricciando il naso.
È nervoso. E sta mentendo.
«Certo, come no», sbuffo una risata.
«Chandra, perché non vai a dormire?», mia sorella si alza in piedi per fronteggiarmi, con la solita espressione da "Se non obbedisci, sarà peggio per te".
«Magari aspetta che glielo dica papino», ridacchia Gregory e sento il sangue gelarmi nelle vene. Ruth si gira come un fulmine verso di lui e si piega per guardarlo in faccia, poi sibila: «Quello è anche mio padre, bastardo. Ed è morto.»
Gregory diventa pallido e distoglie lo sguardo, a disagio.
La cugina di Riley, finge un colpo di tosse.
«Begli amici che hai, Ruth», sussurro, poi lascio perdere la cena e mi chiudo nella mia stanza.
Mi cambio e mi preparo per mettermi a letto.
Accendo la lampada a forma di luna e la mia stanza si riempie di magia. La luce calda che emana si riversa come un tramonto sulle mie pareti. E io rimango racchiusa all'interno della luce, lasciando che il calore che trasmette mi avvolga e penetri in ogni fibra del mio corpo.
Rivolgo lo sguardo verso la finestra e guardo il cielo, che come un ragno ha tessuto la sua ragnatela fatta di una miriade di gemme rifulgenti.
E mi rendo conto che nonostante le lettere e i giorni che passano, continuo a desiderare di essere anche io una gemma incastonata in quel manto scuro che fisso ogni notte.
Il giorno dopo, alla fermata dell'autobus, mentre ascolto la mia solita canzone, Crazy Train, e batto il piede a ritmo di musica, con la coda dell'occhio intravedo qualcuno vestito completamente di nero che si avvicina a passo lento a me.
Soltanto quando giro completamente la testa mi rendo conto che si tratta di Sasha. I capelli arruffati coprono la ferita che ha sulla fronte, ma dal modo in cui cammina capisco che ne ha altre sparse sul corpo.
Ad ogni passo che fa guardo la catenina che ha attaccata ai passanti della cintura. Lo zaino per poco non gli scivola giù dalla spalla e la sua mascella è sempre contratta; e anche oggi sembra incazzato con il mondo.
Appena mi nota si ferma e guarda il cielo, come se stesse valutando se avvicinarsi ancora o rimanere lì.
Lo ignoro e mi siedo dall'altra estremità della panchina. Continuo ad ascoltare la canzone per i fatti miei.
Poco dopo Sasha si siede sulla panchina e sospira; lo capisco dal modo in cui il suo petto si solleva.
Ci guardiamo entrambi con la coda dell'occhio, fino a quando non decido di mettere la canzone in pausa e dirgli: «Ciao.»
«Buongiorno», risponde, sbirciando sullo schermo del mio cellulare. Si avvicina di più, guardando meglio.
Mi tolgo una cuffietta, accigliandomi.
«Mental wounds not healing, life's a bitter shame», pronuncia ad alta voce, poi esibisce un sorriso astuto, un accenno leggero di fossette.
«Crazy train», continua a dire. «Molto bella.»
Rimango a fissarlo intontita. Sembra quasi un vano tentativo di fare conversazione con me.
«Allora, hai visto che bel sole oggi?», e questa è l'unica cosa che il mio cervello riesce ad elaborare.
Sasha sbatte lentamente le ciglia e poi abbassa la testa sorridendo.
Io sento le mie guance andare a fuoco. «Mi dispiace, al mattino non ho alte aspettative dal mio cervello, ma nemmeno così basse a dire il vero», ammetto, passandomi la mano sul collo.
L'imbarazzo viene spazzato via dalla risata divertita di Sasha e io mi chiedo se sia reale. Se davvero lui stia ridendo accanto a me.
«Non smetti mai di sorprendermi», afferma, scuotendo la testa con ancora il sorriso ad illuminargli il volto.
«Sono belle», gli indico le fossette.
Lui smette di sorridere. «Sono brutte e non mi piace sorridere.»
«Però hai sorriso», inarco un sopracciglio. «E devi credermi, sono davvero belle.»
Sorride, ma questa volta si passa la mano sulla guancia, probabilmente per nascondere la fossetta.
«Che ti è successo?», azzardo a chiedergli, il suo sguardo, dapprima confuso, diventa cupo.
«Cioè?», domanda inasprito.
«Sei caduto dallo skate?»
«Oh, sì. Ho deciso di mollarlo, almeno fino a quando non starò meglio», mi rifila una risposta piena di falsità. Lo capisco dai suoi occhi irrequieti e dal suo sorriso finto.
«Da piccola piaceva anche a me andare sullo skate», giocherello nervosamente con le mie dita. «Sì, insomma, da bambina era diverso. Sembrava tutto molto più facile. Avevo uno skateboard di colore rosso e nero e penso di essere caduta un'infinità di volte. Adesso non saprei nemmeno come stare in piedi su quella cosa con le ruote senza farmi male», ridacchio e sembra che con questa frase io abbia attirato la sua attenzione.
«Dovresti riprovarci», si alza in piedi. In lontananza vediamo l'autobus avvicinarsi.
«Dovresti insegnarmi», dico senza pensarci, ma mi tappo subito dopo la bocca.
Adesso l'idea di buttarmi davanti all'autobus non sembra così male.
Scommetto che mi rifilerà una risposta che mi distruggerà, lo so.
E invece, prima che l'autobus si fermi davanti a noi, si gira e con un ampio sorriso dice: «Non vorrei perdermi per niente al mondo le tue epiche cadute.»
E quindi? Ha accettato? Era un sì, quello?
«Buongiorno, Eric», saluto l'autista e vado a sedermi al mio solito posto.
Sasha si siede accanto a me. Così, senza chiedere nemmeno il permesso.
«Non ho mai capito perché ti siedi sempre allo stesso posto. L'ho notato, sai?», allunga le gambe sotto il sedile davanti e solleva le braccia per stiracchiarsi.
«Adesso intendi occupare anche il mio spazio vitale?», gli domando guardandolo come se fosse sul punto di risucchiarmi via l'anima.
Lui come risposta si infila gli auricolari nelle orecchie e alza il volume della musica, ignorandomi per il resto del tragitto.
Quando scendiamo, mi dice: «Ciao, Casper», e poi sparisce in mezzo agli altri studenti.
Riley mi fissa a bocca aperta mentre stringe un sacchetto marrone e leggermente unto tra le mani.
«Lui... Lui ti ha appena salutato? E ti ha dato un nomignolo?», spalanca ancora di più la bocca.
«Si sarà svegliato con la luna storta», mi affretto a dire.
«E dov'è il suo skateboard?», continua a chiedere Riley, passandomi il sacchetto. «Ciambella.»
«E io che ne so», sussurro mentre vedo Manuel dargli un ceffone, poi scoppia a ridere. Sasha fa una smorfia e si discosta, assentandosi con lo sguardo per un paio di secondi.
Il suo amico diventa serio in volto e appoggia un braccio lungo le sue spalle, poi piega la testa e gli sussurra qualcosa all'orecchio. Sasha annuisce e poi entrambi iniziano a percorrere il cortile con le mani dentro le tasche dei jeans, all'improvviso silenziosi.
«Qualcuno qui si è incantato», cinguetta Hayley passandomi accanto insieme ad Aretha e Corinne.
Aretha segue il mio sguardo, poi si gira verso di me e si limita a sfoggiare un sorriso dietro al quale giace sicuramente una rabbia latente.
«Sparisci, Cruella», Riley la fa allontanare con un gesto della mano.
«Conti ancora le calorie, Riley?», ridacchia Corinne, ma Bonnie spunta all'improvviso dietro Riley e la afferra per le spalle facendola indietreggiare, poi si sposta davanti, facendole da scudo. «Hai dei bei denti, Corinne. Sarebbe un peccato rimanerne senza», dice lei, fulminandola con lo sguardo.
«Povere idiote», Aretha sbuffa e poi tutte e tre se ne vanno a braccetto.
«La gente che c'è in questa scuola ti spinge al suicidio, cazzo», sbotta Bonnie, girandosi verso Riley e abbracciandola. Un brivido sale lungo la mia schiena quando sento le parole scuola e suicidio.
«Un giorno le farò il culo talmente a strisce che la gente la scambierà per le strisce pedonali», brontola Riley stringendo i pugni e arricciando il naso in una piccola smorfia.
«Questa mi è piaciuta», Bonnie le dà il cinque.
E ancora una volta sento che, nonostante i loro sforzi di farmi sentire parte di questa cosa... Qualsiasi cosa sia, mi sento in realtà un pesce fuori dall'acqua.
«Tu come stai?», e come se Bonnie mi avesse letto nel pensiero, si avvicina e mi dà una carezza sulla testa.
«Sasha le ha detto ciao», squittisce Riley, cercando di contenere l'entusiasmo.
«Amica mia, forse vincerò la scommessa», Bonnie le dà una pacca sulla spalla, sorridendo con aria trionfante.
«Andiamo, prima che il preside Diaz dia di matto», mormora Riley afferrandomi per il braccio.
«Andate, io devo fare una chiamata prima», dico, prendendo il cellulare dalla tasca.
È un'enorme bugia. Non chiamo mai nessuno, ma ho bisogno di stare da sola per almeno cinque minuti. Infilo il sacchetto nello zaino, anche se il mio stomaco fa un gran casino. Ieri sera non ho mangiato e ho saltato anche la colazione.
Aspetto un po' prima che il corridoio rimanga mezzo vuoto, e apro l'armadietto, fissando la foto di papà e il fiore ormai secco che ho appiccicato con lo scotch accanto.
«Signorina Stewart», appena sento la voce del preside alle mie spalle chiudo di colpo l'armadietto e mi giro verso di lui.
«Sì? Stavo giusto andando a lezione», mi metto sulla difensiva.
Il preside mette la mano una sopra l'altra davanti alla pancia e mi guarda con sguardo pieno di compassione.
«Davvero?», chiede, inclinando la testa.
«Beh, sì», rispondo, leggermente confusa.
«I professori si sono lamentati di alcuni tuoi ritardi, dunque mi stavo chiedendo se...», cerca di trovare le parole giuste. «Insomma, lo psicologo della scuola è qui per quelli come te, dunque, se posso darti un consiglio, forse fare una chiacchierata con lui non ti farebbe male. Deduco che la tua ferita sia ancora abbastanza aperta», mette la sua mano grande sulla mia spalla e la stringe leggermente.
Ma nella mia mente risuonano soltanto quelle tre parole: quelli come te.
«La ringrazio per il consiglio, ma sto bene. Non ho bisogno di niente.»
Lui non sembra molto convinto. «Tieni ancora la foto di tuo padre lì.»
«È morto da un paio di mesi, avere la sua foto attaccata sull'anta del mio armadietto non lo riporterà in vita, ma almeno mi aiuta a sentirlo più vicino a me», abbaio. La rabbia mi fa avvampare.
«Non so quanto possa essere saggio tenere la sua foto nel posto in cui lo hai perso. Dopotutto, è successo proprio davanti alla scuola. Non voglio che ciò ti faccia ancora più male. Ma ovviamente, a te la scelta. Adesso fila a lezione», mi dà le spalle, poi si dirige verso un ragazzo, gli toglie le cuffie dalla testa e gli indica la classe.
In seguito passa in mezzo ad una coppietta e li separa rudemente, spedendoli verso le rispettive aule.
«Che ti ha detto?», Sasha si appoggia con la schiena all'armadietto accanto al mio.
«Niente di così interessante», sposto lo sguardo sulle mie scarpe.
«Se è niente, allora perché hai questa faccia?», si sposta di lato, appoggiandosi soltanto con la spalla.
«Non lo so, va bene?», grido, guardandolo con gli occhi spalancati e pieni di lacrime.
«Hai cambiato profumo?», si piega leggermente verso di me e mi...annusa. Sul serio, Sasha mi sta annusando.
«È soltanto una crema... all'anguria», ammetto, un calore insopportabile si propaga lungo il mio collo fino alle guance. Sbircio verso di lui con la coda dell'occhio e lo vedo sorridere.
Cosa diavolo c'è di così divertente?
«Tieni, è per sdebitarmi per la chiacchierata di ieri sera», allunga la mano e sul suo palmo vedo un fiore bianco, leggermente appassito. «L'ho tenuto in mezzo al libro, quindi sta un po' morendo, scusa.»
Scoppio a ridere. «Sta un po' morendo?»
Lui si stringe nelle spalle.
Prendo il fiore e un libro e lo metto in mezzo alle pagine. «Troverò un modo per farlo vivere per sempre allora», gli dico e rimetto il libro dentro lo zaino. «Ciao, Sasha», lo saluto e poi vado verso l'aula di biologia.
Adesso sì che ha ucciso un fiore per me.
Sorrido come una scema e di colpo la giornata sembra un po' più bella.
Ecco il nuovo capitolo ❤️ colgo l'occasione per augurare a tutti un felice anno nuovo 🌻
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