06. Sei ufficialmente finita sulla sua lista nera
E dimmi, non è buffo?
Aspiro ad essere felice,
ma la felicità mi mette paura.
«Mia madre mi ha comprato delle pillole alle erbe per placare l'ansia», dichiara Riley mentre spezzetta il toast e giocherella con la forchetta, spostando i broccoli e le carote nel vassoio. L'estetica del pranzo non ti invoglia di certo a consumarlo, anzi. Sono certa che persino in ospedale il cibo ha un aspetto più decente.
«Beh, è fantastico! Finalmente non ti verrà più il cagotto», la schernisce la sua amica, Bonnie, dandole in seguito una piccola gomitata.
Siamo in mensa e Riley ha deciso di sedersi al mio tavolo insieme a Bonnie. Ammetto di non essermi sentita molto a mio agio all'inizio, perché lo sguardo indagatore della sua amica a volte mi rende irrequieta.
«Non dovresti ridere», la rimprovera Riley. «Avere il mal di pancia per colpa dell'ansia è terribile. Durante i test sono costretta ad uscire dalla classe per andare in bagno. Appena poso gli occhi sul foglio, le fitte alla pancia mi distruggono», spiega tristemente mentre manda giù un boccone.
«Okay, hai ragione. Sembra terribile», Bonnie corruccia la fronte. «Non la mangi, questa?», indica l'arancia.
«No, mangiala pure. Tanto mi fa schifo tutto», Riley gliela passa e inizia a spostare le verdure lungo il bordo del vassoio.
La osservo in silenzio, ma non dico niente. Inizia a tossire, afferra un tovagliolo e se lo porta davanti alla bocca.
«Tutto okay?», le chiedo. Lei annuisce e si pulisce, poi racchiude il tovagliolo nel pugno fino a formare una pallina e la butta nel cestino della spazzatura a pochi metri da noi.
«Che programmi hai dopo scuola?», domanda. Bonnie nel frattempo sta sbucciando l'arancia. Il profumo di agrumi mi impregna le narici e mi fa storcere il naso.
«Sono in punizione. Passerò del tempo con quello lì», indico Sasha con un cenno della testa.
È seduto al tavolo insieme a Manuel Bailey e stanno chiacchierando.
«Oh», Bonnie sembra sorpresa. Si passa una mano tra i capelli e si gira per guardarlo meglio. Scorgo un certo interesse nel suo sguardo, ma non sono per nulla sorpresa. Sasha Baker attira l'attenzione di tutti come una calamita.
Riley schiocca le dita davanti al mio viso. Esibisce quell'espressione che odio con tutto il cuore.
«No!», muovo di scatto il palmo davanti al viso, come se stessi mettendo una barriera tra la mia faccia e la sua.
«No, cosa?», chiede con curiosità Bonnie.
«Niente», ridacchia Riley, abbassandomi il braccio.
«Chissà come fa a sopportarlo, Manuel», commenta Bonnie, increspando le labbra.
«C'è qualcuno qui che lo reggerebbe benissimo», Riley indica il tavolo posizionato a circa tre metri da Sasha. È occupato da Aretha Flores, nonché la rappresentante della scuola e capitano della squadra di pallavolo. Un tempo si era candidata come cheerleader, ma a quanto pare suo padre è molto fermo sulle sue decisioni, per quanto concerne il futuro di sua figlia. Si aspetta che entri in una prestigiosa università e continui gli allenamenti anche lì, sperando di vederla in TV un giorno. Non è mancato a nessuna delle sue partite.
«Cosa intendi dire?», Bonnie si fa più vicina. Ha gli occhi sgranati e la bocca aperta. A quanto pare è un'amante del gossip.
«L'ha capito mezza scuola», Riley fa spallucce e guarda con la coda dell'occhio il loro tavolo. Accanto ad Aretha siede Hayley Campbell, la cheerleader per eccellenza, nonché ex ragazza di Bennie Diaz. Quest'ultimo è seduto accanto a lei come se niente fosse. Lei è ancora innamorata di lui; l'hanno capito tutti. Ma sembra che a Bennie non freghi nulla di Hayley, anzi la tratta come se avesse già dimenticato i momenti passati insieme.
«Quei due sono così strani», commenta Bonnie, infilandosi in bocca uno spicchio d'arancia.
Poi, alla destra di Aretha, c'è Corinne Butler, la sua migliore amica e anche la persona che si occupa del giornalino della scuola. L'unica cosa che spero con tutto il cuore aboliscano prima o poi. La maggior parte delle volte scrive stronzate, probabilmente dettate da Aretha, spettegola su ogni cosa che accade qui dentro e deride gli studenti.
«Beh, andiamo per ordine», se la ride Riley, indicando poi con il dito Aretha e le sue amiche. «Cruella, Barbie e Pollicina all'attacco», è così che le ha soprannominate.
Aretha è Cruella. Bella, talentuosa, ha uno stile da far invidia ed è fissata con l'armocromia. Il suo hobby preferito è quello di puntare il dito contro una persona qualsiasi ed esclamare, indignata: «Quel colore è osceno su di te. Sei sicuramente inverno, quindi è arrivata l'ora di fare un po' di ordine nel tuo armadio!»
Barbie è Hayley. Bella da mozzare il fiato, occhi azzurri e il fisico da copertina. Metà del mondo maschile è ai suoi piedi e ne è consapevole. Dicono che abbia usato il ragazzo più intelligente della scuola per farsi fare i compiti in cambio di farsi vedere insieme a lui almeno per cinque minuti al giorno. Cinque dannati minuti.
Com'era quella storia? Non importa quanto tu sia intelligente, una volta che ti innamori diventi automaticamente stupido.
Pollicina, invece, è Corinne. Alta un metro e una cannuccia, estremamente fissata con la skincare e poco portata per la scrittura, ma nessuno osa dirglielo. Ciò che scrive è immorale e da brividi.
«Lo sta mangiando con gli occhi», Bonnie fa oscillare lo sguardo con indiscrezione tra Aretha e Sasha.
«Se solo sapesse che ci passi del tempo insieme a lui...», Riley sghignazza di gusto, muovendo lentamente le sopracciglia su e giù.
«Ma questo ovviamente non lo saprà», sentenzio, trucidandola con lo sguardo.
«Sta guardando te, adesso?», sussurra Bonnie, indicando con il capo Sasha.
Non dovrei sentire il desiderio impellente di sollevare lo sguardo e assicurarmi che ciò che ha detto lei sia vero. Non dovrebbero nemmeno sudarmi le mani così tanto, ma sapere che qualcuno qui dentro sta tenendo gli occhi puntati su di me, non mi rende particolarmente felice e tranquilla. Io non voglio attirare l'attenzione. Ne ho già ricevuta abbastanza.
Eppure Riley si sposta per non oscurare la mia visuale, permettendomi di guardarlo.
Lui immerge una patatina nel ketchup e se la infila in bocca, senza schiodare lo sguardo da me.
«Oh no», mormora Bonnie, sempre più eccitata.
Ma io, purtroppo, ho capito il perché di quel Oh no.
Distolgo lo sguardo e afferro uno spicchio d'arancia.
«Lo mangi?», Bonnie mi guarda stranita.
Annuisco e me lo infilo in bocca, come se fosse l'unico modo per tapparla e non dire più niente.
Riley aggrotta le sopracciglia. «A te fanno schifo le arance.»
Cerco di mandarla giù e in seguito trangugio un bicchiere d'acqua in unico sorso. Le arance non mi piacciono, ma il succo d'arancia sì. So che è assurdo, ma nella mia testa ha senso. Sono due cose diverse.
Aretha si alza dal tavolo insieme a Corinne e Hayley, tutte perfettamente sincronizzate, e camminano verso di noi come se stessero calcando una passerella.
«Che abbia inizio il divertimento! Io sono pronta», ridacchia Riley, facendo scrocchiare le dita.
Aretha sposta i capelli castani e liscissimi sulla spalla e si ferma al nostro tavolo.
Hayley ci osserva dall'alto verso il basso con un'espressione alquanto schifata sul viso.
Corinne incrocia le braccia sotto il seno e inarca un sopracciglio.
Aretha invece si limita a sorridermi come se volesse afferrarmi per la nuca e portarmi direttamente alla ghigliottina. «Ciao», dice puntando gli occhi su di me.
«Cruella, hai portato i tuoi cani, vedo», commenta con tono sarcastico Riley, cercando di soffocare una risata.
Aretha contrae la mascella e la incenerisce con lo sguardo, ma evita di rispondere.
«Quella maglietta nera ti sta da schifo. Prova con una maglietta bordeaux o beige, migliorerebbe sicuramente il tuo aspetto da cadavere ambulante», mi fissa oltraggiata. Solleva il palmo della mano e fa cenno alle sue amiche di seguirla. Non mi ha mai dato fastidio fino ad ora.
«Sei ufficialmente finita sulla sua nera», dichiara Bonnie.
«Decisamente», conferma Riley.
Alzo gli occhi al cielo e mi prendo la testa tra le mani. Nonostante Riley l'abbia soprannominata Cruella, non penso sia davvero così cattiva.
Sto soltanto cercando di convincere me stessa. Non voglio avere niente a che fare con lei e con il suo gruppo di amici.
«Ti fa ancora molto male?», chiede Bonnie indicando la mia fronte.
Il ricordo di quello che è successo sabato balza nella mia mente con una velocità atroce, ma cerco di scacciarlo via.
«Sì, ma passerà», sminuisco l'accaduto con un'alzata di spalle ed esibisco uno di quei sorrisi più finti delle banconote del monopoly. Riley inizia a sondare il mio sguardo con attenzione. Sa che le sto nascondendo qualcosa.
«Bene, ci sentiamo più tardi. Ho il corso di scrittura creativa tra poco», esclamo, alzandomi in piedi. Afferro lo zaino e lo metto sulla spalla, giro sui tacchi ed evito di guardarmi intorno. Mi precipito direttamente fuori.
***
A fine lezione, mentre il corridoio inizia a svuotarsi, mi siedo sul muretto, con la schiena appoggiata alla colonna di marmo all'entrata della scuola.
Mangio un toast al formaggio e prosciutto, che mia madre ha preparato premurosamente stamattina e attendo che Sasha si faccia vedere.
Ammetto che stare nello stesso posto insieme a lui mi fa venire una strana voglia di defenestrarmi, ma sono costretta a rimanere qui e non intendo di certo svolgere il lavoro da sola.
Appena lo intercetto nel corridoio, scendo giù dal muretto, mi pulisco in fretta la bocca e tolgo le briciole dai pantaloni.
Quando vedo il ragazzo venire verso di me, mi rendo conto che non assomiglia minimamente a Sasha. Falso allarme.
Qualcuno picchietta le dita sulla mia spalla e mi giro con i pugni stretti e l'espressione corrucciata.
«Che espressione da serial killer», commenta Baker con un ghigno spavaldo. Ha infilato lo skate dentro lo zaino.
Lo guardo imbambolata, finché non sento un'ondata di imbarazzo piombarmi addosso; stargli vicino è come se qualcuno mi gettasse ogni volta una secchiata d'acqua gelida in faccia.
«Eccoti!», esclamo stupidamente.
Sento un brusio nel corridoio, Sasha guarda con curiosità oltre le mie spalle.
«Cavolo, mi stavi perfino aspettando. Che onore», si appoggia con la spalla alla colonna e aggiunge: «Ho incontrato il preside Diaz. Dobbiamo pitturare, oggi.»
«Pitturare?», chiedo, stupita.
«Quelle pareti sono piene di scritte, quindi sì, dobbiamo pitturare», inizia ad allontanarsi e lo seguo con la mente che sembra avvolta dalle ragnatele.
Sasha si ferma davanti allo sgabuzzino e apre la porta. Oscillo da un piede all'altro, indecisa se entrare anche io o meno. Lo sgabuzzino viene inondato da una luce tenue e la figura di Sasha lì dentro sembra un'ombra confusa che si aggira in mezzo al caos. Mi avvicino cautamente e alzo lo sguardo. Una scatola posizionata male su uno dei ripiani sembra sia sul punto di cadere da un momento all'altro.
«È troppo in alto e non c'è la scala», la sua voce viene amplificata dal silenzio e dall'ambiente ristretto in cui ci troviamo. «E questa sedia è mezza rotta.»
«Ma tu sei sicuramente più alto di me. Ci arrivi anche senza sedia, no?», ribatto, guardando il barattolo su uno degli scaffali in alto.
«E tu sei più mingherlina», constata, facendomi la radiografia dall'alto verso il basso. «Bene, lo prenderai tu.»
Cosa?
«Io non ci salgo là sopra», scuoto la testa con fermezza e inizio ad indietreggiare, ma inciampo nello zaino di Sasha, che ha lasciato sbadatamente a terra, e vado a sbattere con la schiena contro lo scaffale in acciaio, che vacilla subito dopo l'impatto.
La scatola di prima precipita verso di me, ma Sasha si sbilancia e si aggrappa allo scaffale con una mano mentre con l'altra afferra la scatola.
<Cerca di non toccare più nulla», borbotta con fare annoiato. Posa la scatola a terra, si abbassa sulle ginocchia e dà qualche colpetto sulla sua spalla.
Cosa? No! Non se ne parla.
«Cosa c'è Stewart? Hai paura di aprire le gambe per me?», il suo tono allusivo mi fa venire voglia di chiuderlo qui dentro e andare via. Sbuffo sonoramente e mi avvicino, lasciando lo zaino a terra. Divarico le gambe e provo a sedermi sulle sue spalle.
«Giuro che se mi fai cadere-», inizio a dire con tono minaccioso.
«Non rendere le cose così tragiche, sei leggera come una piuma», si solleva piano e io allungo le braccia per afferrare la pittura bianca. Non vorrei che fossero le ultime parole famose e ci ritrovassimo all'improvviso con le gambe all'aria.
«Smettila di oscillare!», lo rimprovero con le braccia ancora in avanti.
«Come? Così?», inizia a muoversi lentamente a destra e sinistra, facendomi perdere l'equilibrio. Mi aggrappo letteralmente alla sua testa e mando giù un'imprecazione.
«La vuoi piantare?», grido, provando ad afferrare di nuovo il contenitore.
Sento una risata abbandonare la sua bocca e alzo gli occhi al cielo. Sentirlo ridere è abbastanza strano, di solito ha la morte stampata in faccia.
La presa sulle mie gambe diventa più ferrea e
si piega nuovamente per farmi scendere. Le gambe tremano, ma cerco di riprendere il controllo. Sasha mi dà la schiena e inizia a prendere tutte le altre cose di cui avremo bisogno.
Ripesco lo zaino da terra ed esco dallo sgabuzzino, camminando spedita verso la sezione C.
La classe è abbastanza spaziosa, ma avere lui intorno è come se fossimo chiusi in un ascensore. Mi passo nervosamente i palmi sudati sui jeans e faccio un bel respiro. Andrà tutto bene.
Il mio umore non è uno dei migliori da un po' di tempo ormai, ma sicuramente Sasha non spicca sulla lista delle persone più felici al mondo. Sprizza rabbia da tutti i pori e mi vedo costretta a soppesare ogni mia parola prima di pronunciarla in sua presenza. Non vorrei, in alcun modo, urtare la sua sensibilità.
Inizia a spostare i banchi e a posizionare per terra diversi fogli di giornale per non sporcare le piastrelle, e poi mi passa un pennello.
«Cerca di non dormire», pronuncia, dandomi le spalle. Si infila gli auricolari nelle orecchie, ignorando così la mia presenza per il resto del tempo.
Molto gentile, devo dire.
Iniziamo a coprire le scritte e i disegni osceni. Tra una pennellata e l'altra guardo con la coda dell'occhio Sasha. Mi chiedo che canzone stia ascoltando in questo momento. Non pensavo di certo che sarebbe stata di ottima compagnia, ma questo silenzio è opprimente e il tempo sembra non passi mai.
Nel momento in cui sospiro, lui si gira verso di me e posa il pennello per pochi secondi, il tempo per cambiare canzone.
«Non parlare così tanto, mi fai venire il mal di testa», lo stuzzico, ma lui si limita a lanciarmi un'occhiata, che sotterra definitivamente la mia voglia di fare conversazione con lui.
Continuiamo a fare il nostro lavoro, lui con la musica ad alto volume nelle orecchie e io immersa nel silenzio. Si immobilizza all'improvviso, rimanendo con il pennello alzato davanti al muro. Gocce di pittura precipitano sul giornale, ma lui non presta troppa attenzione. Sembra sia entrato in uno stato di trance.
Mi avvicino e appoggio una mano sulla sua schiena, cercando di riportarlo con i piedi per terra, ma sussulta e si gira di colpo verso di me; il pennello scivola lungo la mia guancia e sulla punta del naso e chiudo gli occhi, trattenendo un ringhio di rabbia.
«Ma cosa cazzo...», esclama. Riapro gli occhi e mi fissa con se avesse davanti un fantasma. Si toglie gli auricolari dalle orecchie e li infila nella tasca posteriore dei jeans, poi mi guarda senza battere ciglio.
Le sue labbra fremono, ma si affretta a premerle l'una contro l'altra. Trova tutto ciò divertente?
«Fammi capire», esordisco con una risata da psicopatica. «Non ti ho disturbato. Mi hai ignorata per tutto il tempo. Mi sono fatta andare bene questo mortorio, e il risultato finale è questo?» chiedo, sfiorando la guancia sporca.
Tira fuori il cellulare dalla tasca e poi lo solleva all'altezza del viso. Poco dopo lo gira verso di me e riflessa nello schermo vedo la mia faccia a dir poco imbarazzante.
«Chiudi la fotocamera prima che smetta di funzionare», bofonchio, valutando nel frattempo l'idea se darmela a gambe o no.
E ovviamente lo faccio.
«E ora dove stai andando?», grida alle mie spalle.
«Non sono affari tuoi!», rispondo.
Mi dirigo come una furia verso il bagno e appena mi guardo allo specchio, per poco non mi viene voglia di infilare la testa nel lavandino.
Inizio a lavare via la pittura dalle ciocche davanti al viso, poi raccolgo i capelli in uno chignon e mi lavo la faccia, facendo attenzione alla ferita sulla fronte.
Quando finisco rimango come una statua a fissare il mio riflesso. Con i polpastrelli sfioro la guancia che fino a poco fa era sporca; adesso si intravedono soltanto le dita di mia sorella ancora stampate sulla mia pelle.
«Merda», dico. Il respiro accelera sempre di più. Non posso farmi vedere così. Sciolgo nuovamente i capelli e faccio scendere delle ciocche lungo la guancia, cercando di coprirmi.
Ritorno in classe e vedo Sasha piegato, intento a raccogliere i giornali da terra. Mi abbasso per aiutarlo.
«Ti sei davvero arrabbiata per così poco?», chiede, ma non rispondo. Lui non ha parlato con me per tutto il tempo che siamo rimasti qui dentro, perché dovrei farlo io?
Come una bambina capricciosa mi alzo e vado a spostare nuovamente i banchi com'erano prima.
«Sul serio? Non ti ho mica mozzato la testa», continua a dire; sento lo sdegno nella sua voce.
«Non sono particolarmente interessata ad intavolare una conversazione con te in questo momento», pronuncio. Appena finiamo di riordinare la classe, chiedo: «Dobbiamo pulire anche i banchi?»
«Non sono la donna delle pulizie, non me ne frega un cazzo dei banchi», esclama mordace.
«Perfetto», con un nodo alla gola vado a prendere lo zaino. Non vedo l'ora di abbandonare questo posto.
«Stewart», mi chiama con voce cantilenante, facendomi innervosire ancora di più. Ma, esattamente come stamattina, la rabbia che provo non è dovuta a lui. «Hai dimenticato il cellulare sulla cattedra.»
Oh. È per questo che mi stava chiamando?
Mi passa accanto sullo skate e mi blocca il passaggio. Stringe il mio cellulare in una mano e lo allunga verso di me.
Quasi glielo strappo dalle dita. Lui inclina il capo e assottiglia lo sguardo. «Certo che oggi hai proprio la luna storta.»
Non guardarmi.
Smettila di fissarmi, vorrei gridare.
Guardo le piastrelle giallognole come se fossero la cosa più interessante del mondo.
Sasha si abbassa per guardarmi e con la punta delle dita scosta una ciocca di capelli, accigliandosi.
«Che hai in faccia?», chiede confuso.
«Sono caduta», mento, sorpassandolo.
Lui mi segue imperterrito. «Ah, davvero? Sei piombata sulla mano di qualcuno, per caso?»
In fondo al corridoio intravedo Aretha con la tuta addosso e il borsone sulla spalla.
Appena mi vede cambia totalmente espressione. Se un'occhiata potesse uccidere, io in questo momento sarei già dal creatore. E in tal caso, mi farebbe soltanto un favore.
«Ehi, Sasha!», lo saluta, sventolando una mano in aria.
Sasha in tutta risposta emette un verso di frustrazione.
«Beh, buona fortuna!», gli dico, dirigendomi verso la porta a doppio battente.
Una volta fuori, faccio un lungo respiro.
Apro il messaggio che mi ha mandato Riley e sorrido.
"Percepisco la tua voglia di suicidarti, sappilo", l'ha mandato mezz'ora fa.
"Sono sopravvissuta", le scrivo.
"Cavolo, quanto è stata dura da uno a dieci?", chiede.
"Aretha", rispondo semplicemente.
"Non dirmi che vi ha visto insieme! Ti ha detto qualcosa, quella stronza?"
"No, me me sono andata!"
"Adesso percepisco anche la sua voglia di farti fuori. Secondo te, se indossassimo tutti degli indumenti dai colori strani, le verrebbe un infarto?"
Il suo messaggio mi strappa una risata.
"È molto probabile."
"Benissimo, domani mi presento a scuola con una maglietta verde fluo <3"
Rido di nuovo.
Scuoto la testa e mi incammino verso casa.
Vorrei dirle che un sorriso sincero è la cosa più inusuale che io abbia mai avuto addosso. E questo fa paura anche a me.
Ciaoo, ecco il nuovo capitolo ❤️❤️spero vi piaccia la storia :) aggiungerò a breve i nuovi personaggi nel cast ❤️
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