05. Sei diventato per caso un segugio, Baker?
«Perché guardi sempre la luna?»
«Perché il mio lato oscuro combacia con il suo.»
È venerdì.
E ciò significa soltanto una cosa: cena da Nino's pizza. La pizzeria preferita di papà.
La prima volta che misi piede qui avevo nove anni e Ruth ne aveva dodici.
Con il passare del tempo è diventata una specie di tradizione. La nostra.
La maggior parte delle mie coetanee probabilmente aspettavano il venerdì soltanto per giocare con gli amici, io invece non vedevo l'ora di gustarmi quella meravigliosa pizza insieme alla mia famiglia.
Ruth non era così prima... Mi dimostrava il suo affetto in un modo strano, ma non era cattiva con me. Era gelosa delle sue cose, lo è ancora in maniera eccessiva, ma ogni tanto mi abbracciava e mi dava di nascosto la sua merenda.
Adesso vorrebbe seppellirmi viva.
Forse venire qui ogni venerdì non mi permetterà di andare avanti con facilità – non che io lo voglia ancora fare – visto che continuo ad aggrapparmi con forza ai ricordi. Vengo qui, mi siedo al solito tavolo, allo stesso posto. Ormai Nino, il proprietario, tiene questo tavolo sempre riservato, perché sa che mi presento sempre alla stessa ora, mi siedo e ordino.
Ogni tanto mentre mangio guardo i video di papà, quelli che mi ha mandato l'ultima volta quando è stato a New York insieme a mamma.
"Ciao, tesoro, non vedo l'ora di tornare a casa", è l'unica frase che sento in continuazione. Rimetto ancora e ancora i primi secondi del video soltanto per sentire la sua voce, anche se a casa non ci tornerà più.
E mentre cammino per le strade di Los Angeles, cercando le vie meno frequentate, mi imbatto in Tom.
«Ti stavo aspettando», mi dice quasi commosso.
Tom è un senzatetto. Sta sempre intorno alla pizzeria, perché a volte qualcuno gli offre da mangiare. Io lo faccio sempre.
L'odore che emana non è per niente gradevole e stargli vicino senza fare qualche smorfia di disgusto a volte è difficile, ma non è un problema.
«Non manco mai, lo sai», gli sorrido. «Su, andiamo», gli dico.
Lui mi segue, ha gli occhi colmi di un entusiasmo che non riesce a contenere, le labbra sono premute l'una contro l'altra mentre cerca di non piangere. Anche l'ultima volta ha pianto davanti a me, ringraziandomi un centinaio di volte per la cena.
A volte non mi piace mangiare da sola, quindi gli offro una pizza e lo faccio sedere con me al tavolo. Molte volte Nino, in seguito alle lamentele dei clienti, ha dovuto cacciarlo via. Ma stasera non c'è tanta gente, quindi meglio così. Potrà gustarsi la cena senza sentirsi giudicato.
«Vuoi provare qualcosa di nuovo oggi?», domando, prendendo posto al tavolo.
«Mangerò tutto quello che mi offrirai», pronuncia con un groppo nella gola.
«Va bene, decido io allora», rispondo, guardando il menù.
Ordino la solita margherita per me e per lui una prosciutto e funghi, delle crocchette di patate e delle alette di pollo piccanti.
Anche papà era sempre gentile con lui. Più di una volta gli ha offerto dei suoi vestiti puliti e ha cercato di dargli una mano.
Anche in questo momento sta indossando una sua vecchia maglietta blu scuro, ormai logora e piena di piccoli buchi e diverse macchie, un paio di bermuda grigi anch'essi sporchi, e delle infradito.
«Sei davvero un tesoro», si copre gli occhi con una mano, cercando di trattenere le lacrime. «Tuo padre dev'essere molto fiero di te anche da lassù.»
La sua frase mi scalda il cuore.
«Spero lo sia», sorrido, abbassando lo sguardo.
Iniziamo a mangiare, lui in modo vorace e io un po' più lentamente. Mi chiedo quanto tempo sia passato dall'ultima volta che ha mandato giù qualcosa.
«Nino non ti offre più gli avanzi?», indago, guardando alle sue spalle i clienti che ci fissano incuriositi e leggermente schifati.
«Oh, la sera non sto più qui intorno. O almeno, non sempre. Ultimamente questo posto è trafficato, la gente non mi vuole qui. Emano un odore sgradevole», si stringe nelle spalle, come se volesse nascondere il dolore.
«Forse è arrivata l'ora di fare qualcosa per rimediare a questo, non pensi?», gli sorrido dolcemente.
«Guardami, Chandra», indica il suo aspetto con una mano. «Sono disgustoso, non posso nemmeno cercarmi un lavoro in queste condizioni.»
«Devi solo farti una doccia, cambiarti i vestiti, farti la barba, tagliarti un po' i capelli, le unghie, lavarti i denti...», lo fisso attentamente. «Ma su questo posso darti una mano io. Ho dei vestiti di papà», mi blocco, ripensando al suo intero armadio. «Posso offrirti qualcosa di suo, puoi anche farti la doccia da me, magari quando mia sorella e mamma dormono. Ho ancora il rasoio di papà e-», Tom posa la mano sporca e ruvida sulla mia e mi guarda con gli occhi in lacrime. «Tu hai fatto già abbastanza per me e io non posso accettare tutto questo.»
«L'hai detto anche a papà e non è cambiato niente da allora. Il tuo posto non è per strada, lo sai», scuoto la testa. «Sei in queste condizioni, ma non è stata colpa tua. Tu vali, Tom. Prova a riprendere la tua vita tra le mani», gli stringo le dita, ma lui ritira la mano come se avessi detto qualcosa di sbagliato.
«Non sarei in grado, ormai mi conoscono tutti», si asciuga le lacrime con il dorso della mano. «Gli adolescenti quando mi passano accanto mi deridono. L'altra notte un giovane ubriaco mi ha tirato un calcio», solleva la maglietta di poco per mostrarmi l'enorme livido sulle costole. «Poi una ragazza con un cane dal nome bizzarro ha chiamato la polizia.»
«Nome bizzarro?», chiedo, ridendo.
« Sì, non lo ricordo nemmeno», dice.
«Nessuno mi guarda davvero, Chandra», sospira con aria affranta.
«È per questo che le cose dovrebbero cambiare. Intanto mangiamo», lo rassicuro con lo sguardo, ma i suoi occhi mi osservano rassegnati. Sì, so che non sarà facile, ma voglio comunque provare a fare qualcosa per lui.
Per colpa dei debiti di sua moglie alcolizzata e ludopatica è rimasto senza casa e senza lavoro. Prima faceva il benzinaio, magari non era il lavoro della sua vita, ma riusciva a guadagnare abbastanza da vivere sotto un tetto e avere del cibo pronto in tavola.
A fine serata, pago il conto e ritorno da lui.
«Possiamo provare a renderti una persona nuova proprio questa sera, se ti va», suggerisco, lasciandomi trasportare da un'ondata di entusiasmo anomalo.
«Oh, non ci penso proprio. Se dovesse beccarmi tua madre... No, no. Ma senti quello che stai dicendo?», domanda con un'espressione corrucciata.
«Ascolta, io tornerò a casa adesso, saluterò mia madre e aspetterò che lei vada a dormire. Appena mia sorella e lei saranno nel mondo dei sogni, ti farò entrare piano. Molto piano», lo guardo con occhi speranzosi.
«Io non penso sia una bella idea», continua a scuotere la testa con fare indignato.
«Voglio soltanto smettere di sentirmi così inutile», ammetto con una stretta allo stomaco. Sarebbe un gesto carino da fare prima di andarmene.
«Ma se dovesse succedere qualcosa...», inizia a dire.
«Non succederà niente», lo rassicuro mentre ci incamminiamo verso casa mia.
Quando imbocchiamo la mia via, Tom si ferma di colpo, guardandosi intorno come se si sentisse fuori luogo.
«Non penso sia una bella idea», ribadisce, questa volta sembra inflessibile.
«Che ne dici di venire qui domani mattina? Mia madre va al lavoro presto, mia sorella andrà a correre e poi a fare colazione con le sue amiche. Sarà più facile», mi stringo nelle spalle, cercando conferma nei suoi occhi.
Sospira profondamente e mi guarda a lungo senza battere ciglio. «Va bene, va bene. Ma sarà una cosa veloce», abbassa lo sguardo e inizia ad indietreggiare piano.
«Vieni alle otto», gli dico e lui solleva il pollice in su.
Spero davvero che le cose vadano per il meglio.
Appena rincaso, mi dirigo immediatamente nella mia stanza, ma prima mi fermo nel corridoio a guardare la foto di famiglia appesa al muro. Sfioro la figura di papà e mi alzo sulle punte per dargli un bacio.
Sento una porta chiudersi con forza e vedo Ruth appoggiata al muro mentre mi fissa con uno sguardo omicida.
Deglutisco e scivolo lentamente nella mia stanza, chiudendomi la porta alle spalle.
«Dovrai sopportarmi ancora per poco», sussurro, sedendomi sul bordo del letto.
***
Il giorno dopo, come previsto, mia sorella e mamma sono fuori.
Mi sono già cambiata, ma non ho fatto colazione.
Ho rovistato tra i vestiti di papà, tutti in ottime condizioni, lavati e profumati.
Mia madre non lo verrà mai a sapere. Non controlla l'armadio di papà da un po'. Ancora non ha trovato il coraggio di sbarazzarsi delle sue cose.
Apro la porta e mi affaccio. Intravedo Tom accanto alla staccionata del vicino. Si guarda intorno spaesato e si tortura nervosamente le dita.
Sollevo il braccio e gli faccio cenno di avvicinarsi. Con passo quasi furtivo avanza verso di me e sorride con poca allegria.
«Andrà bene, tranquillo. Magari non riusciremo a sistemarti in così poco tempo, ma da domani ci daremo da fare», gli do una pacca amichevole sulla schiena e lo faccio entrare.
Rimane fermo in mezzo al corridoio, come se avesse paura di muoversi.
«Andiamo, ho già preparato i vestiti e puoi farti tranquillamente la doccia», dico mentre ci avviciniamo alla porta del bagno. La apro e gli indico lo shampoo, il bagnoschiuma e i vestiti puliti che ho lasciato sul lavandino.
«I vestiti che hai addosso dovranno sparire. Puoi metterli qui», gli indico il sacco nero sotto il lavandino.
Acconsente, poi esco dal bagno e lo lascio fare. Forse un'altra persona al posto mio non l'avrebbe mai fatto.
Forse se fosse trattato di un'altra persona non l'avrei fatto nemmeno io, ma papà lo conosceva da un po' e noi pure, so che è una brava persona e che non cercherà di dare fuoco alla casa con me all'interno.
Nel frattempo vado in cucina e preparo alcuni tramezzini e li metto in un sacchetto ermetico.
Ogni tanto do uno sguardo fuori dalla finestra per assicurarmi che Ruth non irrompi all'improvviso in casa e mi sbatta fuori.
Dopo quasi quaranta minuti, Tom esce dal bagno. È pulito, con la barba fatta e i vestiti profumati addosso. Sono davvero sorpresa.
Il sorriso sulla sua faccia potrebbe illuminare l'intera casa.
«Ma sei completamente una nuova persona», gli dico, sorpresa. «Magari i capelli li taglieremo un altro giorno. Il tempo scorre», guardo l'orologio sulla parete.
«Non mi sentivo così pulito da una vita», confessa con le lacrime agli occhi. «Sei tanto buona, Chandra. Uguale a tuo papà», mi accarezza i capelli e chiudo gli occhi, trattenendo a mia volta le lacrime. Anche papà mi accarezzava i capelli quando mi faceva un complimento e l'orgoglio nella sua voce faceva esplodere sempre il mio cuore di gioia.
Vedere Tom con i vestiti di papà addosso non è facile.
«Provvederemo ad una sistemazione provvisoria e a cercarti un lavoro. Ci impegneremo», gli batto il pugno e lui si porta il braccio davanti agli occhi, cercando di nascondere ancora le lacrime.
«Nessuno l'ha mai fatto per me da quando ho perso tutto», ammette con voce rotta.
«Andrà bene, Tom», sfrego lentamente la mano sul suo braccio. Non sono una fan dell'ottimismo e nella mia vita non va mai una cosa come dovrebbe andare, ma farò il possibile per aiutarlo, anche se avrò bisogno di una mano.
«Questi li ho fatti per te. Che ne dici di farti un bel giro, ammirare la natura e riempirti lo stomaco? È una bella giornata», gli poso il sacchetto tra le mani e mi abbraccia con slancio, accarezzandomi un'ultima volta i capelli. «Sei davvero un angelo», sussurra. Mi dà un'ultima occhiata e poi se ne va di corsa.
"Non lo sono", penso mentalmente.
Mentre vado in bagno a pulire il casino, guardo la foto sul muro e mi rendo conto di non essere più presente. Qualcuno ha ritagliato la mia figura e l'ha buttata via.
Ruth...
«Stronza», mormoro, stringendo i denti. Prendo il sacco con i vestiti sporchi di Tom e scendo al piano di sotto per buttarli nel cassonetto della spazzatura.
Appena apro la porta mi imbatto in una Ruth sudata e a dir poco incazzata. I suoi occhi sono infiammati dalla rabbia. Mi guarda dalla testa ai piedi e si sofferma un po' di più sul sacco che stringo con una mano.
«Che hai lì?», chiede mordace.
Deglutisco. «Niente.»
«Cos'è questa puzza di merda?», inizia ad annusare l'aria, avvicinandosi sempre di più a me.
«Non lo so», mi trema la voce. «Fammi passare», le passo accanto, ma lei mi afferra per il braccio.
«Cosa diavolo hai fatto? Hai ucciso una persona?», sorride perfida. «Fammi vedere! La spazzatura l'ho buttata io ieri sera, quindi cos'hai lì?», mi strappa con forza il sacco dalle mani e lo apre, guardando al suo interno. Lo getta a terra e si tappa il naso con due dita mentre con il piede cerca di spostare gli indumenti all'interno dell'involucro di plastica.
«Sono vestiti», constata.
«Sì, sono da buttare», distolgo lo sguardo e intreccio le dita delle mani, cercando di fermare il tremore.
«Sembri spaventata», assottiglia lo sguardo. Tira un calcio al sacco, spostandolo più in là, poi mi dà una spinta contro la spalla e mi fa rientrare, sbattendo la porta. «Ora mi dici cosa hai combinato, stronzetta», mi afferra il mento tra le dita.
«Niente», le lacrime iniziano a sgorgare lungo le guance, la sua stretta mi fa male.
Stringe con forza il mio braccio e mi costringe a seguirla.
Appena arriviamo davanti al bagno, apre la porta e la prima cosa che nota è il rasoio di papà sul lavandino.
Ruth si gira lentamente verso di me, poi la sua mano si schianta così violentemente contro la mia guancia, che per un paio di secondi mi sembra di non sentire più nulla.
Prima che io riesca a realizzare ciò che sta succedendo, infila la mano nei miei capelli e mi spintona all'interno della mia stanza con poca delicatezza, mi dà uno strattone e mi butta con forza a terra. «Che cosa hai fatto? A chi hai fatto usare le cose di papà?», grida imbestialita. Si inginocchia accanto a me, scuotendomi con forza per le spalle. «Dillo, stronza!»
Con la vista ancora appannata cerco di spostarla e alzarmi, ma Ruth mi spinge nuovamente a terra e perdo l'equilibrio, battendo la testa contro il comodino.
Rimango inerme mentre lei cerca di scuotermi una gamba.
Gemo e mi porto la mano sulla ferita che si è formata sulla fronte.
«Io non ho fatto niente, hai capito? Sei scivolata e hai battuto la testa», mi minaccia. Esce dalla mia stanza e subito dopo ritorna da me con un panno e del ghiaccio. Li lancia sul letto e poi se ne va come se niente fosse.
Rimango sdraiata a terra, con la stanza che vortica intorno a me e gli occhi puntati sul soffitto.
«Papà?», dico, poi chiudo gli occhi e il buio mi avvolge.
***
Sabato sono rimasta a letto per il resto della giornata, con un bernoccolo sulla fronte e una ferita che non passa inosservata.
L'ho medicata e ho mentito a mia madre, dicendo le esatte parole di Ruth.
Domenica sono rimasta chiusa nella mia stanza a piangere e a scrivere una nuova lettera.
Mi sento più sola che mai e la fine sembra più vicina, ma difficile da raggiungere.
È come se il cammino verso papà fosse pieno di ostacoli, una strada piena di chiodi sui quali io dovrei camminare senza farmi male. È impossibile.
Ho cercato di coprire il segno delle dita che Ruth ha lasciato sulla mia guancia, con un po' di fondotinta e correttore.
È lunedì e la campanella è suonata da un po'.
Tutti si dirigono di corsa verso l'entrata.
Io rimango vicino al cancello, con la lettera stretta tra le dita.
Sollevo lo sguardo verso il tetto della scuola e deglutisco.
«È già suonata», dice Sasha alle mie spalle. Mi passa accanto sullo skateboard e poi si ferma, girandosi verso di me. Guarda prima la mia faccia e poi la lettera che stringo tra le dita.
«Lo so», pronuncio a bassa voce.
«E quindi devi muoverti».
«Sì», rispondo come un automa, avanzando a passo lento.
«Non pensare di fregarmi, Stewart», si dà una spinta sullo skate e si avvicina. «Che hai fatto?», indica la mia fronte.
Mi riscuoto finalmente dai miei pensieri. «Non sono affari tuoi.»
Me ne vado a passo deciso, lui mi segue. «Siamo ancora in punizione, ricordi?»
«Solo perché ho battuto la testa non significa che io abbia anche l'amnesia adesso», rispondo con tono sarcastico.
«Oh, quindi hai battuto la testa», ripete con fare pensieroso alle mie spalle; il rumore delle ruote dello skateboard inizia a darmi fastidio.
«Sei diventato per caso un segugio, Baker?», mi giro, bloccandogli il passaggio. Si sposta di lato e si aggrappa in modo goffo agli armadietti, cercando di non cadermi addosso.
«Porca puttana, Stewart! Hai mangiato dello yogurt scaduto stamattina oppure sei sempre stata così stronza?» mi fulmina con lo sguardo e a me sembra di vedere la stessa rabbia di Ruth nei suoi occhi.
Ci guardiamo senza dire una parola. Mi sento un'idiota, perché sto riversando la mia frustrazione su di lui.
E da persona debole quale sono, non rispondo alla sua domanda, ma gli do le spalle e mi allontano in fretta.
Spero soltanto che questa lettera mi aiuti a stare meglio. Attenderò la sua risposta con ansia.
Ehilà, ecco il nuovo capitolo ❤️🌻 tirate fuori i forconi per Ruth, perché renderà le cose molto difficili a Chandra.
Mi dispiace vedervi così morti nei commenti :( ma continuerò a scrivere lo stesso perché ci tengo, anche se sembra che non importi molto 🌻 grazie a quelle poche persone che mi leggono, vi voglio bene❤️🥺
Ma Sir Lancillotto non vi ricorda nulla?
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro