03. Mi manca la parte migliore di me
Ero un essere completo,
poi ho ucciso la parte migliore di me.
Adesso vago nell'oscurità
con il desiderio di trovarla
e dirle che mi dispiace da morire.
Non ho mollato, giuro.
Volevo soltanto renderti libera.
E adesso bramo la tua libertà.
Mi vieni a prendere?
«Chandra, apri gli occhi», una voce intrisa di sdegno trivella bruscamente i miei timpani.
«Chandra Stewart, apri subito gli occhi», la voce vortica come un tornado intorno alla mia testa e mi fa aprire di colpo le palpebre.
Apro e chiudo il pugno, cercando di sentire di nuovo la mia mano. L'altra la strofino in modo rozzo sulla guancia e asciugo la saliva all'angolo della bocca.
I miei occhi perlustrano confusi il luogo in cui mi trovo, fino a quando non si posano sulla figura femminile davanti a me.
Oh merda. La professoressa Cooper.
Con un respiro profondo ritorno in me e mi rimetto subito composta, sbattendo più volte le palpebre, come se volessi mandare via il sonno. La professoressa sposta una ciocca bionda dietro l'orecchio in un motto di stizza, e si passa la lingua sui denti, distogliendo lo sguardo.
«C-chiedo scusa», balbetto mentre passo in rassegna con lo sguardo l'intera classe.
Alcuni hanno la faccia appoggiata sul banco, cercano di soffocare le risate, e altri fingono di non vedermi.
Perché diavolo non esiste il mantello dell'invisibilità?
L'espressione insofferente della professoressa mi scivola sulla pelle come carbone ardente. I suoi occhi guizzano velocemente su un'altra figura dietro di me.
«Sasha Baker, te lo ripeto per la millesima volta: togliti gli auricolari e metti via quel dannato cellulare!», pronuncia adirata, togliendosi gli occhiali dal naso e lanciandoli con un colpo secco sulla cattedra.
Da qualche parte in fondo alla classe si diffondono alcuni colpi di tosse e delle risate divertite.
«Se ha gli auricolari, non può sentirla. Insegna matematica e ad una cosa così semplice non ci arriva?», dice Bennie, scoppiando poi in una risata fragorosa. Si gira per vedere se gli altri abbiano riso alla sua battuta, poi con un sorriso soddisfatto appoggia l'avambraccio sullo schienale della sedia e guarda la professoressa come se la stesse sfidando.
Dallo sguardo furioso della Cooper deduco che la sua voglia di sbatterlo fuori dalla classe e mandarlo dritto in presidenza sia incontenibile in questo momento, eppure si limita a chiudere gli occhi e a fare un respiro profondo. Non può mandarlo in presidenza. Il preside è suo padre. La passerebbe liscia in ogni caso, nonostante il preside Diaz abbia detto più volte che non fa favoritismi.
Non ci crede nessuno. Molti studenti hanno fatto una miriade di cazzate, tra cui intasare il water dei professori, e ancora nemmeno uno è stato punito a distanza di mesi.
«Chandra Stewart e Sasha Baker in presidenza. Subito», la sua voce tuona, schiantandosi tra le pareti della classe e mettendo a tacere perfino Bennie. Hanno smesso di ridere e tutti gli occhi adesso sono puntati su di noi.
«Come?», chiedo, l'aria si blocca nei polmoni per un paio di secondi. La guardo attonita poi, con la coda dell'occhio, cerco di fissare il ragazzo dietro di me. Oh... Lui.
«Sasha!», la professoressa preme ripetutamente il dito sul tappo della penna.
«La prego, il mio cervello ha istinti suicidi in questo momento. La smetta di gridare», si lamenta Bennie, afflosciandosi con aria drammatica sul banco.
«Saha!», grida di nuovo la professoressa, cercando di attirare la sua attenzione.
«Adesso inizio ad avere dei seri dubbi sul suo quoziente intellettivo», mormora Bennie guardando il suo compagno di banco.
Alzo gli occhi al cielo, mi alzo controvoglia e mi avvicino al banco di Baker. Lo afferro con poca delicatezza e inizio a scuoterlo, facendo cadere a terra alcune penne.
Finalmente solleva la testa e si abbassa il cappuccio. Si passa la mano tra i capelli neri e si toglie una cuffietta, lanciandomi uno sguardo omicida. «Che cosa vuoi?»
«Hai vinto un viaggio. Anzi, abbiamo vinto. Non sei contento?», appoggio il palmo della mano sul banco e inclino il busto verso di lui.
«Qualche premio scolastico per buona condotta?», inarca un sopracciglio con aria autoironica.
«Sì, esatto. Buona condotta», sfoggio un sorriso malizioso e lui sposta lo sguardo dubbioso sulla professoressa.
«Sasha e Chandra, in presidenza!», grida per l'ultima volta. Va a sedersi dietro la cattedra e si prende la testa tra le mani, muovendo i pollici sulle tempie. Gli occhi taglienti di Sasha per poco non mi inceneriscono.
«Deve venire per forza anche lei?», domanda stringendo i denti e indicandomi con un leggero cenno del capo.
«Pensi di poterti spostare sulle tue gambe o vuoi essere preso in braccio?», lo stuzzico e poi ritorno al mio posto. Guardo l'ora sul cellulare e una sensazione di panico si aggrappa al mio corpo, sedimentandosi al centro del mio petto. Afferro le mie cose e le infilo nello zaino, poi mi dirigo di corsa verso la porta, facendo cadere a terra la sedia.
«Stewart!», mi rimprovera l'insegnante.
Sasha si mette lo zaino in spalla e mi segue impassibile, come se fosse abituato a finire in presidenza o come se volesse farmi fuori e non avesse abbastanza energia per farlo.
Ci fermiamo davanti alla porta e mi mordo il labbro. Con la coda dell'occhio lo squadro dalla testa ai piedi, poi come una deficiente gli do una spinta in avanti.
«Avanti, bussa tu», distolgo lo sguardo e incrocio le braccia sotto il seno.
«Hai dei modi di fare insopportabili», borbotta. Batte il pugno contro la porta, e appena sentiamo la voce del preside, Sasha afferra la maniglia e rimane fermo sulla soglia. Gira la testa verso di me, le sue sopracciglia schizzano verso l'alto come se volesse dirmi "Che diamine aspetti?".
«Che vuoi? Entra!», lo esorto, lui scuote la testa.
«Salve, che orribile piacere vederla», esclama togliendosi nel frattempo un auricolare dall'orecchio.
Il preside si abbassa gli occhiali e alza lentamente la testa, smettendo di premere le dita sulla tastiera del computer.
«Baker e... Stuart?», gesticola e chiude gli occhi per pochi secondi, assumendo un'aria pensierosa.
Sasha vorrebbe ridere, ma decide di sedersi sulla poltrona, gettando ai suoi piedi lo zaino. Osservo il suo sorriso, le due fossette lo rendono ancora più bello e, nonostante sia un ragazzo affascinante, vorrei ugualmente farlo volare fuori dalla finestra.
«Chi? Il topolino?», chiede tra i colpi di tosse. Gira di poco lo sguardo verso di me, le ciocche scivolano in avanti, schermandogli la vista. I suoi occhi azzurri rimangono incatenati ai miei per una frazione di secondo e il suo sorriso sbilenco si spegne piano piano.
«Il tuo cognome significa letteralmente panettiere. Non riderei se fossi in te, Baker», gli faccio l'occhiolino e prendo posto accanto a lui.
Si toglie finalmente anche l'altra cuffietta, un sorriso lieve continua ad accarezzare la sua bocca, ma si affretta a nasconderlo dietro il palmo della mano.
«Stuart, per amor del cielo, questo non è il posto adatto per lanciarvi frecciatine», sbotta il preside, gettando le braccia in aria con aria esasperata.
«È Stewart, comunque. Chandra Stewart», lo correggo.
«Non c'è molta differenza», si alza in piedi e gira intorno alla scrivania, spostandosi davanti a noi. «Posso sapere qual buon vento vi ha portato da me?», il sarcasmo nella sua voce è abbastanza palpabile.
«Mi sono addormentata durante la lezione», ammetto con una punta disagio.
«Certo, in questa scuola ci mancava soltanto la studentessa dormigliona», commenta irritato. «E tu, Baker?»
Sasha solleva il cellulare e fa dondolare gli auricolari davanti al suo sguardo.
«La dormigliona e l'uccellino canterino», afferma posando con forza le mani sulla scrivania.
«In realtà non stavo cantando», fa presente Sasha.
«Silenzio!», tuona il preside. «Divertitevi a pulire le aule della sezione C per tre giorni doposcuola», elargisce un ultimo sorriso, dopodiché solleva il braccio e ci indica l'uscita.
«Ma non può!», ribatto alzandomi in fretta e furia.
«Nemmeno tu puoi dormire durante la lezione, eppure l'hai fatto», il suo sorriso freddo mi zittisce in un secondo. «Ti consiglio di placare questo tuo animo ribelle e fare ciò che ti viene detto. Fuori, entrambi!»
I miei occhi scattano verso l'orologio sul muro.
Sono le nove e trenta.
«Avete sentito o no?», grida, facendomi sussultare.
Afferro la cinghia dello zaino e schizzo fuori come un fulmine.
Mi sento disorientata, il cuore inizia a crivellarmi la cassa toracica sempre più forte.
Il corridoio adesso sembra angusto e soffocante.
«Hey», mi chiama Sasha, con il probabile intento di infastidirmi.
Devo andare via.
Mi giro per un attimo soltanto. I nostri occhi si incrociano un'altra volta, un velo di ghiaccio a fare da barriera tra di noi. Vedo qualcosa nel suo sguardo. Le sue labbra si muovono, ma dalla sua bocca non esce nemmeno mezza parola.
Mi metto a correre come una forsennata verso le scale, cercando di raggiungere in minor tempo possibile il tetto della scuola.
«Perché stai scappando come se avessi alle calcagna un branco di lupi? Dove stai andando?», chiede, la sua voce riecheggia nel corridoio.
Sto tornando a casa, vorrei dirgli. Lontano da qui.
Non mi interessa quello che penseranno le persone di me.
Non mi interessa se verrò etichettata come egoista.
Voglio soltanto raggiungere l'altra parte di me stessa, quella che non c'è più. Non cammina più con me o dentro di me. Quella parte è morta mesi fa e io vorrei ricongiungermi ad essa e riprendere a vivere.
Con gli occhi in lacrime spingo la porta in metallo e faccio un bel respiro, cercando di ricompormi. Mi siedo per terra, sfinita e con le gambe che tremano, e poi mi trascino verso il cornicione. Un pezzo di carta bianca tenuto fermo da un sasso attira la mia attenzione. Allungo la mano e sfioro la busta di carta.
Sposto il sasso e con i polpastrelli sfioro l'inchiostro.
Mittente: Lo sconosciuto che ha viaggiato attraverso il tuo dolore
Destinatario: La ragazza innamorata della luna
P.s. 09:36 è l'orario perfetto, sì. Ma per dormire.
Una stupida risata abbandona la mia bocca, perdendosi nell'aria e facendo tremare la mia cassa toracica.
Una lacrima si schianta contro il foglio e tiro su con il naso. Prendo il cellulare dalla tasca, guardo l'ora e poi la lettera.
Mi tremano le mani, vorrei aprirla e leggerla in questo momento. Ma chi riuscirebbe a reggere un crollo mentale sul tetto di una scuola? Io sicuramente no. Non voglio farla finita ad un orario diverso.
Non posso.
È quella l'ora esatta in cui ho perso tutto.
Infilo la lettera dentro lo zaino e mi asciugo le lacrime, poi guardo oltre il cornicione e sento il respiro bloccarsi, graffia i miei polmoni. Non riesco a deglutire.
Indietreggio e sollevo la mano verso il cielo.
«Mi manchi», sussurro, un singhiozzo rimane incastrato nella mia gola.
Mi manca la parte migliore di me.
Mi manca papà.
Muovo la mano in un piccolo saluto e mi mordo con forza il labbro, poi mi allontano fino a raggiungere di nuovo la porta.
Rimango ferma sulle scale, colpendo più e più volte la ringhiera con il pugno, cercando di calmarmi. Faccio dei respiri profondi e metto su un sorriso forzato.
«Perfetto, sto alla grande», raggiungo nuovamente il corridoio. Mi dirigo verso il mio armadietto, ma qualcuno mi salta letteralmente sulle spalle.
«Indovina chi è stata venti minuti al cesso per colpa dell'ansia?», esclama Riley, la mia amica.
«Indovina chi dovrà pulire le classi dopo scuola, per tre maledetti giorni?», ribatto aprendo lo sportello dell'armadietto.
Riley mi fa girare verso di sé e stringe le mie spalle con le sue piccole mani.
«Che diavolo hai combinato?»
«Mi sono addormentata durante la lezione», spiego, posando i libri dentro e osservando la nostra foto scattata al primo anno, che lei stessa ha appiccato lì.
«Hey, coglione, mi devi cinque dollari!», grida verso un ragazzo, mostrandogli il dito medio.
«Anche tu mi dovevi una sega, eppure non l'ho ricevuta», ribatte lui, facendo a sua volta un gesto osceno con la mano.
«Ma quello è.. Ashton Cox», mormoro con una faccia disgustata.
«Sì, se non fosse amico di Bennie, sicuramente non sarebbe nemmeno arrivato alla fine dell'anno», dice fingendo di avere i brividi.
«Ha davvero convinto la signora McFadden a farsi una canna con lui?», domando allibita.
«Sì, e non sarebbe nemmeno una cosa troppo sorprendente, se non fosse per il fatto che lei abbia raggiunto l'età della pensione», spiega e lo guardiamo mentre si allontana insieme a Bennie e altri loro amici.
La signora McFadden faceva la bidella nella nostra scuola, questo prima che Ashton la mettesse sulla cattiva strada.
È stata licenziata davanti ai nostri occhi. Non dimenticherò mai le sue lacrime copiose e nemmeno la crisi isterica che ne seguì subito dopo. Alcuni dicono che fosse infatuata di lui, ma non riesco ad immaginarla mentre sbava dietro ad un diciottenne.
«Ew, che schifo!», grido, cercando di cancellare dalla mia mente l'immagine di loro due che si scambiano sguardi lascivi.
«Ti prego, smettila di immaginare questa roba», mormora schifata, Riley.
«Come sapevi...», la guardo interdetta.
«Ti conosco. Immagini sempre cose che non dovresti immaginare. Hai mangiato?», chiede di punto in bianco.
«Riley... Ci sentiamo dopo, va bene?», le rivolgo un sorriso malinconico e inizio a dirigermi verso l'aula di chimica.
Ripenso alla lettera che ho infilato tra le pagine del libro. La curiosità mi divora dentro.
Appena entro in classe corro all'ultimo posto, metto lo zaino sul banco e tiro fuori il libro. Prendo la lettera tra le mani e la apro. Ma riesco a leggere soltanto la prima frase:
Non so scrivere una lettera. Non l'ho mai fatto, ma...
«Aprite immediatamente i libri» esclama la professoressa e infilo immediatamente la lettera nello zaino per paura che qualcuno mi veda.
Merda.
Mi toccherà aspettare.
Ecco il nuovo capitolo ❤️ avete conosciuto Sasha e avete capito più o meno che tipo di ragazzo sia Bennie.
Il prossimo aggiornamento riguarderà la lettera che dovrà leggere Chandra 🌛
Volete il cast?
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