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02. La luna non sussurra i suoi segreti

E sì, forse il mondo ti
sembrerebbe più bello se tu non
esistessi più.
Ma l'universo non direbbe mai
una cosa simile ad
una stella che smetterebbe di
brillare all'improvviso. Perché anche lei
ha contribuito a renderlo così
dannatamente meraviglioso agli
occhi di tutti noi.
Non sei una stella, ma sei
qualcuno.
E questo qualcuno, ti assicuro,
illumina il mondo di qualcun altro.

«Ti divertirai un sacco», dice mia madre con aria contenta. Le dita strette sul volante, un sorriso raggiante a illuminarle il volto.

Osservo il mio riflesso nel finestrino e mi aggrappo con forza alla maniglia antipanico, come se fosse un'ancora e mi impedisse di aprire lo sportello e lanciarmi sull'asfalto da un momento all'altro.

«Sì», sussurro con un groppo in gola. Mi mordo con forza il labbro e rimando in profondità il dolore, impedendogli di imprimersi sul mio volto come una maschera.

«Sono così fiera di te, tesoro», allunga una mano e mi accarezza dolcemente la spalla. È commossa e io non posso fare altro che abbassare la testa e annuire, nascondendomi ancora, perché quando il dolore diventa insostenibile, fingo di non provarlo più.

«Wow, ci sarà da divertirsi stasera», annuncia con tono allegro mentre ferma la macchina davanti al cancello della scuola. La saluto e scendo, rimanendo immobile a seguire con lo sguardo la macchina che si allontana. Poi mi giro e fisso la moltitudine di studenti, tutti travestiti da qualche personaggio di un film horror.

Sì, la mia scuola ha deciso di organizzare un ballo a tema horror. Chiunque direbbe che è un'idea folle e che con la scuola non c'entra un bel niente, ma quando sei Bennie Diaz e tuo padre è il preside, tutti i tuoi sogni diventano realtà. Anche i più stupidi e senza senso.

Fortunatamente il ballo di fine anno è stato organizzato il mese scorso, al quale io ovviamente non ho partecipato. Ricordo di aver passato giorni, se non settimane, ad immaginare quel momento. Ma l'immaginazione trova rifugio soltanto nella nostra mente, la realtà invece la osserviamo ogni singolo giorno, la sfioriamo, la odiamo, a volte la amiamo. E io negli ultimi mesi sono rimasta ferma al confine tra sogno e realtà, a vivere una vita incerta. 

Il ballo è una realtà che non ho vissuto per pura scelta. Ci sono attimi in cui vorrei uscire di casa e vivere ogni piccolo momento di gioia che la vita mi offre e ci sono attimi in cui vorrei rimanere per sempre rinchiusa nella mia stanza, perché è il mio posto sicuro.

Alla fine, nonostante abbia deciso di non partecipare a nessun evento e di chiudermi in me stessa, non sono stata comunque invitata da nessuno. Ma non è per questo che ho deciso di starmene a letto, con la scatola della pizza sulle gambe e lo schermo del computer davanti a me. Gran bella merda, direbbe Ruth.

Forse, se fosse stato un anno fa, sarei andata. Ma a volte basta un singolo evento per stravolgere la tua vita, per cambiare le tue abitudini e modificare il tuo modo di pensare. Adesso tutti quei vestiti eleganti, lunghi, corti, sbrilluccicosi non fanno per me. 

Però chi non vorrebbe partecipare ad una festa a tema horror? Niente invito speciale, decidi tu se andare o meno.

E, a proposito di Bennie, la persona più idiota che io abbia mai conosciuto, in questo momento sta imprecando come uno scaricatore di porto mentre cerca di sistemarsi i denti da vampiro.

«Perché proprio adesso? Maledizione, denti finti del cazzo! Li ho pure pagati un patrimonio», grida e sollevo la maschera bianca di Jason, di Venerdì 13.

Scelta molto originale, lo so. Ma chi è pigro come me, non bada molto al trucco e ai vestiti. Non voglio fare paura, ma voglio semplicemente passare il più inosservata possibile.

«Stewart, non penso che quella maschera faccia a caso tuo», afferma cercando di sistemarsi il mantello nero sulle spalle. «Cazzo!», continua ad imprecare, dando uno strattone alla stoffa.

«E da quando Zorro è un vampiro?», chiedo, squadrandolo dalla testa ai piedi.

«Sono il conte Dracula, dolcezza. Lascia che io succhi via la tua infelicità, perché dubito che un cadavere come te abbia ancora del sangue nel corpo», apre le braccia, avvicinandosi a me con un sorriso malizioso.

«Sei patetico», borbotto e mi trascino pigramente verso l'entrata, dandogli una spallata.

«E tu sei ridicola come la maschera che indossi!», grida alle mie spalle.

Io e Bennie non ci odiamo davvero. In realtà non capisco nemmeno che tipo di rapporto abbiamo, ma una cosa è certa: non siamo amici per la pelle e non siamo arcinemici, anche se ho dovuto trattenere la voglia di buttarlo giù dalle scale un'infinità di volte.

Lancio un'occhiata intorno a me e poi rimetto la maschera, facendo un lungo sospiro prima di prendere parte ufficialmente alla festa.

Non appena supero la porta a doppio battente, faccio una smorfia.

Una ragazza vestita da diavoletta si scatena davanti ad un ragazzo, cercando in tutti i modi possibili di attirare la sua attenzione.
Si toglie il cerchietto con le corna e lo mette sulla sua testa, facendogli l'occhiolino.

Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe andata più o meno così la serata. Dopotutto, le feste sono sempre il momento migliore per rimorchiare e divertirsi, e Bennie lo sa benissimo. Forse è per questo che ferma ogni ragazza all'entrata e cerca di mettersi in mostra. Con tutto il casino che abbraccia la palestra, dubito che i professori controllino ogni angolo di questo posto. 

Chiudo gli occhi e cerco di focalizzare la mia attenzione sul motivo per cui ho scelto di partecipare a questa festa.

È una scelta egoista, penso. E farebbe paura anche a me. Ma una festa horror merita di avere il suo tragico finale.

Poso il palmo sulla tasca posteriore dei jeans e tocco la busta di carta, contenente la lettera che ho scritto.

«Ehi, Jason, hai proprio un bel culo», grida un ragazzo al mio orecchio, dopodiché mi tira uno schiaffo sul sedere.

«Vattene, coglione», gli do una spinta con tutta la forza che ho nel corpo, facendolo inciampare.

Alcuni si girano verso di noi, smettono di ballare e ci fissano attoniti.

No, io odio essere fissata. Quegli sguardi li riconosco. Sono uguali a tutti quelli che ho avuto addosso per tutta la durata di quei minuti che sembravano interminabili.

Giro sui tacchi e cerco una scorciatoia, una via d'uscita. Mi aggrappo alla maniglia della porta che indica l'uscita d'emergenza e abbandono la palestra in silenzio, contando i miei passi mentre mi allontano.

Sapevo che la mia partecipazione sarebbe durata poco. Avrei preferito che le cose andassero diversamente almeno per pochi minuti. Avrei voluto aprire le braccia e girare in mezzo agli altri come un girasole stordito che non sa più cosa sta cercando di seguire.

Mi metto a correre su per le scale, cercando di raggiungere in meno tempo possibile il tetto della scuola.

Spingo con la spalla la porta e cado in avanti sulle ginocchia, respirando affannosamente e prendendomi la testa tra le mani.

Ci siamo, mia piccola guerriera. È questo il tuo momento. Sussurra una voce dentro la mia testa.

Sì, è questo il mio momento. È questo. Rispondo.

Mi alzo in piedi, leggermente barcollante, e faccio un passo in avanti. Mi blocco non appena noto davanti a me una figura scura che se ne sta in disparte, contemplando il nulla.

Perché qualcuno è qui a quest'ora? Perché non è giù a divertirsi insieme agli altri? Perché c'è un'altra persona in questo posto? Perché sembra assorta nei suoi pensieri? Ha avuto la mia stessa idea?

Deglutisco e tocco di nuovo la tasca dei jeans, assicurandomi che la lettera sia ancora lì.

Mi avvicino ancora un po', cercando di non violare la sua privacy.

Sono ad un passo da lui.

Nessuno dei due si muove. So che ha sentito la mia presenza.

Rimango ferma a ciondolare su me stessa e a guardarmi intorno, maledicendo il fatto che sia qui.
All'improvviso si gira verso di me, mi osserva in silenzio. Indossa la stessa maschera che ho io. D'un tratto lo sento mormorare: «Originale», e indica la mia faccia.

«Anche tu», sorrido, anche se non può vedermi. Scuote la testa e si siede per terra, distendendo bene le gambe.

«Sei venuta quassù alla ricerca di una boccata d'aria?», domanda, rompendo nuovamente il silenzio.

Colta da un improvviso senso di vergogna, abbasso la testa e incrocio le dita delle mani.
«Sì, diciamo così», sussurro, girando la testa di lato.

«Com'è che ti chiami?», domanda mentre giocherella con l'anello sull'indice della mano destra.

Non voglio dirgli il mio vero nome. Anche se fino a qualche secondo fa ero quasi pronta a buttarmi giù e forse qualche minuto dopo sarei stata sulla bocca di tutti.

«Perché vuoi saperlo?», chiedo quasi con tono accusatorio.

«Non è così che si conoscono le persone?», ride. Ha una bella risata. Però la sua voce sembra dannatamente familiare.

Giusto. È così che si conoscono le persone. Ma vale la pena conoscere qualcuno che tra pochi minuti cesserà di esistere?

Per quale motivo vorrebbe conoscermi adesso, che sono ad un passo dal precipizio?
Cosa vorrebbe sapere di me? 

Fino ad ora nessuno ha osato rivolgermi la parola. Da quando mio padre è morto, mi sono allontanata dagli altri e gli altri si sono allontanati da me.

E ogni mio tentativo di avvicinarmi al mondo si è sempre trasformato in una missione difficile da superare.

«Non quelle come me», sussurro come se volessi rimangiarmi le parole, masticarle e poi sputarle via. Perché il modo in cui vorrei essere conosciuta io non ha niente a che vedere con il nome, con le mie passioni, con il mondo che mi circonda.

«Cosa hai detto?», chiede, rivolgendo lo sguardo nel nulla.

«Non ho detto niente», mi mordo il labbro, dandomi della stupida mentalmente.

«Sei quel tipo di persona che non ripete le cose due volte, non è così? E sai cosa? Fai bene, cazzo. A volte è meglio affogare in una discarica di pensieri piuttosto che parlare col nulla anche quando hai qualcuno davanti.»
Si alza, infila le mani nelle tasche dei jeans e si dirige verso la porta.

Io prendo la lettera dalla tasca posteriore dei jeans e la stringo tra le dita. Sento una morsa allo stomaco. Vorrei dirgli "Cerca di darti una mossa e vattene, perché ho una fretta matta di sparire da questo mondo".

Sollevo la mano per spostare le ciocche di capelli dietro l'orecchio, ma la lettera scivola via dalle mie dita e il vento la trasporta dritto ai suoi piedi. Lui la blocca con la punta della sua scarpa.

«E questa? È tua?», chiede e si abbassa per afferrarla. Legge le parole sulla busta con voce bassa: Viaggia un attimo attraverso il mio dolore, chiunque tu sia.

«No, deve averla trasportata qui il vento», dico balbettando. Inizio a tremare, ma cerco di calmarmi. Infila la busta di carta nella tasca dei pantaloni e si dirige di nuovo verso l'uscita.

«Ehi, tu come ti chiami?», la curiosità adesso pulsa al centro del mio petto.

«Perché vuoi saperlo?», ripete la mia stessa domanda e d'istinto abbasso la testa.

«Volevo sapere soltanto qualcosa in più su di te.»

Solleva lo sguardo verso il cielo e rimane in silenzio per pochi secondi, poi mi dà le spalle e dice: «La luna non sussurra i suoi segreti a tutti, non è vero?»

E rimango da sola a fissare le stelle, bisbigliando: «E dimmi, cara luna, questo non è più il mio momento, non è così?»

Ho rovinato tutto. Adesso quella lettera è nelle mani sbagliate. Lui leggerà le mie parole e io non so nemmeno la sua faccia.

Nemmeno lui ti ha visto, sciocca.

Chiudo gli occhi e soffoco dentro di me un urlo violento.

Forse non sarà un bel viaggio per lui... Ma è un turista interessante.

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