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epilogo.

"Grace, fa' meno casino che la mamma sta arrivando." le sussurro, stringendola contro il petto che vacilla.

Il suo caschetto nocciola tirato a lucido mi solletica il naso e compatto forte le narici per non starnutirle addosso.
"Eccola!" -grida piano, con l'adrenalina che le incrina un po' la voce- "Guarda papi!"

Punta l'indice formato mignon contro il portone che si schiude come uno di quei nidi di uccellini azzurri stampati sul suo libro delle favole e io trattengo un po' il respiro, quasi fosse davvero un'occasione di gala.

Beatrice apre le dita e il mazzo di chiavi che teneva in mano si schianta contro la ferraglia nel contenitore vicino all'uscio: mi sgrida sempre quando incasino tutto e non riesce a trovare quelle della sua nuova Opel Corsa.

Grace vorrebbe saltarle addosso come un serpente che esce da una scatolina magica, ma io le tengo le gambine toste, pronte a scattare al semaforo verde del Gran Premio.

C'è un po' di silenzioso buio a dividere il rumore della porta che si chiude e quello dell'interruttore che scatta, e capisco che non dev'essere stata a una delle migliori visite ai parenti.

Il lampadario a goccia rischiara il salone e Grace batte gli occhi per adattarsi alla luce, proprio come fa un gatto che viene accecato dai fari: si gira con gli occhi grandi e pungenti, incapace di trattenere altro fiato inutile, e mi chiede il consenso per poter andare.

Così, con la testa frizzante che gira troppo, la prendo tra le braccia e scatto sulle ginocchia indolenzite, che rimpiangono quelle feroci e molleggianti di dieci anni fa.

"Sorpresa!"

Beatrice apre gli occhi esausti, poi la bocca struccata, e lascia cadere la borsa ciondolante sul parquet, vicino all'albero con i regali impacchettati alla buona.

Quanto si bella, eh Precisì?
Passa l'anni, ma noi non passemo mai.
Restemo ancora bambini, te prego.. restemoce ancora un po' .

Grace si divincola come un'aragosta in un acquario troppo piccolo e non appena mi inginocchio, scoppietta verso sua madre con il nostro regalo tra le dita innocenti: scivola al primo passo, scordandosi dei calzini nuovi di bucato che hanno assaporato troppo ammorbidente.

Beatrice si accascia e accoglie la sua bambolina tra le braccia deboli, tornando in piedi con un sorriso che vince tutte le fatiche, tutte le anime verdi dell'Ade che tirano il suo guardiano verso l'oblio, dimenticandosi di Herclus e Meg che fanno da spettatori.

"Mamma, mamma, guardaci!"

Beatrice affonda le labbra impoverite dentro le guance paffute di Grace, chiudendo gli occhi come quando mi baciava ai piedi del palco dopo ogni concerto.

Sorride a pieni voti quando la piccola gioca con i suoi pendenti, poi, quasi senza motivo, si accorge della fotografia che tiene fra le dita.

"E questa?"

"Oh, mamma! Guarda, guarda!" -si accende Grace- "Te la ricordi? Papá dice che l'avresti ricordata."

Beatrice posa il suo corpo febbricitante a terra e incolla i polpastrelli ai lembi della carta plastificata, come se non riuscisse a tenere in mano altro all'infuori di quella, nemmeno sua figlia.

Incrocio le braccia al petto mentre una forza irrazionale mi tiene le labbra al cielo con due mollette pregiate, rifinite d'argento e di pece.

Gli occhi foglia di Beatrice si accendono d'un fuoco di paglia mentre passa le pupille sui nostri volti silvani, giovani, incuranti delle rughe e delle cicatrici che nascondiamo di fronte allo specchio con creme fruttate e fondotinta di marca; dopo un secondo, le fiamme soffocano sotto una patina opaca d'acqua.

"Dem.."

Incastra i nostri sguardi, manovrando gli angoli per farli combaciare bene, e pattina con gli occhi sulla mia camicia di seta piena di ghirigori. Gli stivali sono un po' sformati, ma i piedi dentro ci stanno davvero comodi, al contrario dei jeans, che ho preso il più simili possibile a quelli di anni fa, e che sento troppo stretti.

A Grace ho detto che erano originali e ad esser sincero, non me ne sono vergognato nemmeno un po'.

"Hai visto mamma? Papá mi ha comprato i vestiti come i tuoi!"

Grace le tira la gonna del vestito e Beatrice le carezza i capelli, ridendo delle Converse sporche di fango ed erba che sono riuscito a simulare come meglio potevo.

"Sei bellissima amore." bisbiglia emozionata, pizzicandole il nasino all'insù così simile al suo.

"Papá ha ritrovato la sua vecchia camicia! Guarda mamma!" -mi punta l'indice addosso- "È stato bravo, vero?"

Le luci dell'albero di Natale le colpiscono il viso statuario, molle come l'argilla, e io mi perdo in quelle macchie multicolore come farei di fronte ad un Kandinsky.

Mi viene incontro lenta e leggera, leggiadra come lo era anni fa, davanti Villa Borghese.

"Come sei riuscito a trovarla?"

"Non sono stato io." chiarisco, mentre lei si passa fra le dita i ricci ribelli che non vedeva da tanto.

Beatrice si volta ad osservare Grace giocare con i lacci unti delle sue nuove scarpe: sorride e sospira incredula, con il puzzo confortevole di casa sotto il naso.

"Credevo di averla persa."

"Deve averla trovata in una vecchia giacca." -ipotizzo, alzando le spalle- "Sai come le piace curiosare tra le tue cose."

Mi giro i suoi boccoli ruggine tra le dita, coccolandola un po' mentre Grace cerca di attirare l'attenzione.

"Mamma, ho un'altra sorpresa per te!"

Approfitto della distrazione per rubarle un bacio di Natale e lei si scioglie all'impatto, senza perdere la lucidità che le nasconde la mano nella tasca posteriore dei miei jeans.

"Che cosa avete combinato?" muove la bocca sulla mia, con le palpebre a mezz'asta.

"E che fo, dopo tutta sta fatica t'o vengo pure a dì?"

Grace prende Beatrice per mano, tirandola per quel che può, e lei fa da tramite per trascinare via anche me.

Passiamo di fronte ai trofei lucidati in cui mi rispecchio ancora giovane, i dischi d'oro, di platino, la porta del piccolo studio in cui registro le demo. Tutto mi scorre dinanzi come un film di cui non conosco ancora la fine, dal quale non sono riuscito, ancora, ad uscire.

Una prigione troppo bella, per stratificarsi nella polvere.

Grace si arrampica sulla panchina di fronte al pianoforte del salone est, soffiando sopra i tasti puliti per paura che qualcosa possa andare storto.

Gira il collo con un sorriso incoraggiante e io le mimo un ok con le dita: Beatrice posa la testa sulla mia spalla e io inclino il capo per godere di tutte le inquadrature possibili. 

Come una vecchia foto, Damiá.
Vedi de tenè a mente sto momento come na polaroid.
Perché tu figlia crescerá e nun se sa mai, se vorrà diventá na dottoressa.
Te sentirai deluso, mh?
Stringi forte a Beatrice, arza l'occhi su quer quadro sopra al pianoforte.
L'ha dipinto cinque anni fa, te ricordi?
Forse inseguì i propri sogni non pò portá nessuna delusione.

Avvolgo la fotografia tra le dita, vincendo il buio, e scopro il lato B della carta.

"E questa? Scommetto che n'avevi vista."

Incastro l'immagine sotto gli occhi lucidi di Beatrice, mentre Grace si scrocchia le manine docili: la prende con le pinze, fregandosene del tremore.

Guardiamo il volto bambino di Beatrice che si stampa in bianco e nero, di fronte ad un pianoforte troppo grande come lo è quello che sovrasta Grace in questo momento.

Cambio prospettiva e mia figlia mi sorride con i denti perla che mi ricordano il taglio della luna.

E come po' avecce traditi, Beatrì?
Non vedi come somiglia a nostra figlia?

"La nonna sarebbe stata contenta di essere qui." dice e io penso un po' anche alla mia.

Visto, Graziè?
Emo dato er nome tuo a na creatura così bella.
Grace. La grazia.
E nun te incazza se c'ha er nome 'mpo strano: che la donna mia è inglese e mi figlia, un minimo, doveva avecce quarcosa de suo.

"Posso andare papá?"

Le faccio un occhiolino e Beatrice mi abbraccia forte, con un vento sussultorio che le agita il petto.

"Ha voluto prende lezioni de canto." -le confesso- "Pensava de non esse all'altezza d'a voce tua."

"Sciocchezze.."

"T'avevo detto de non cantaglie 'e ninna nanne così bene."

Mi bacia la guancia e aspetta che Grace si schiarisca la voce.

Posa il ditino sul tasto e io vedo che trema un po', come le mani di sua madre.

Cammino per la mia città il vento soffia forte
Mi son lasciato tutto indietro il sole all'orizzonte
Vedo le case da lontano, hanno chiuso le porte
Ma per fortuna ho la sua mano e le sue guance rosse

"Era da un po' che non la sentivo." pigola, asciugandosi gli occhi.

Ma so che non è vero: la cantavo sempre a Grace nel primo anno di vita e Bea ci spiava da dietro la porta. La sentivo respirare forte, ma non ho mai voluto girarmi per obbligarla a dare spiegazioni.

Lei mi ha raccolto da per terra coperto di spine
Con morsi di mille serpenti, fermo per le spire
Non ascoltare quelli là e il loro maledire 
Con uno sguardo mi hai convinto a prendere e partire

"Hai cambiato le parole." scherza, strofinando la guancia contro la mia camicia.

"Dici sempre che non deve dì 'e parolacce e io nun gliel'ho fatte dì."

Grace continua a suonare, sbagliando qualche nota per l'emozione.

È proprio tu figlia, Damiá.
La madre, precisa com'è, se sarebbe già fermata e avrebbe ricominciato daccapo.

Io la guardo e mi scappa un sussurro stretto fra i denti, che ha la potenza distruttrice di un fiore appassito sopra la tomba di un orfano.

"Ch'emo fatto, Beatrì?"

Lei alza gli occhi e mi bacia, appannando le orecchie come in galleria.

"Ci siamo solo concessi una seconda vita."

A\N: il cerchio si chiude, ma continua a girare, e non si ferma.
Non si ferma mai.
Vi aspetta un ultimo capitolo bonus che è una bomba, ve lo prometto.
Mi preme solo lasciarvi con una frase.
"Che sí, la vita é uomo, perché ti toglie tanto, ma ti sostiene sempre.
Ma è un po' anche donna, perché ti dá sempre una seconda possibilità."

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