9. (Damiano)
"No, má. T'ho già detto che non torno prima de cena."
"Ma, amore, mi avevi promesso che avresti accompagnato il papà in negozio.."
Picchietto le dita sul volante e slaccio la cintura che mi preme sul petto. Fuori non si é mosso niente: è tutto come prima.
"Me dispiace, c'ho 'n impegno 'mportante. Prometto de non fa tardi."
"D'accordo, ma solo per questa volta. E vedi di non bere!" mi ammonisce.
La immagino già, in cucina, con la pentola sul fuoco e l'indice alzato all'aria come se fossi di fronte a lei e mi toccasse sorbire una predica.
"Sta tranquilla."- la rincuoro, infilando gli occhiali da sole- "Il bambino tuo se fará solo quarche bira."
"Damiano!"
"Ciao má, te voglio bene."
Silenzio il telefono e lo lancio sui sedili posteriori, dove rimbalza un po' prima di stramazzare come un soldato ferito.
Il tempo é sereno oggi: c'é un cielo talmente limpido che potrei disegnarci sopra con un dito. Mi accosto al portone di casa di Vic, stando attento a non rientrare nella visuale della sua finestra.
Non voi che te veda, eh, brutta testa de cazzo?
É facile giocá co' Victoria, no?
La poi anche crocifigge a testa in giú e te continuerebbe a venerá come 'n dio.
Non voi ferilla, non voi che se faccia strane paranoie, ma hai ricominciato a uscicce insieme, come ai vecchi tempi.
Cosí te nasconni come 'n ladro 'n casa sua.
I miei occhi cadono sui segni delle ferite che ho stampati tra le dita e forse, ripensandoci bene, capisco che é stata proprio la paura di perderla ad aprirmi gli occhi.
La ami, Damiá, l'hai sempre fatto.
La amo a modo mio, senza convenzioni da coppia fissa e dimostrazioni da dover esibire. Victoria é sempre stata l'unica ragazza immobile in mezzo ad un via vai confuso e confusionario. Per questo, forse, la amo, e anche per questo, forse, non la amo come dovrebbe essere amata una ragazza.
Io e te non semo fatti pe sta insieme, Victò.
Dio m'ha fatto agrume aspro e te caffè amaro.
Il portone si apre lentamente e Beatrice rimesta nella borsa prima di estrarre un paio di cuffiette, così mi diverto a suonare il clacson, facendola sussultare con una mano sul cuore.
Come cazzo fai a esse cosí bella anche quanno te stá per pija 'n infarto?
Mi viene incontro con il volto incazzato e io abbasso piano il finestrino.
"Sorpresa."
"Oh Gesù.." sospira, visibilmente seccata.
"Sí, più o meno."
"Torna a casa, Damiano."
N'hai capito proprio n'cazzo, ve?
Costeggio il marciapiede a bordo dell'auto mentre Beatrice affretta il passo.
"Sei ancora arrabbiata, sur serio?"
"Ti sembro arrabbiata?"
"De sicuro vedendome avresti dovuto fá i sarti de gioia." -le dico con tono ironico- "Cosa che non t'ho visto fá."
Mi lancia una delle sue roteate d'occhi e scoppio a ridere, abbassando il volume della radio.
"E se te dicessi che c'ho 'na sorpresa da fatte vedé?"
"Ti direi che stai bluffando."
Stringo per bene le dita sul volante in ecopelle e alzo le spalle, mentre una goccia di sudore mi solletica la tempia.
"Un David non bluffa mai."
Freno allo stop e Beatrice si incanta con le mani sui fianchi e gli occhi nei miei. Nello specchietto retrovisore la fila si fa più lunga: le macchine iniziano a suonare e io guardo lei, spegnendo il motore.
"Non parto finché non sali."
Mi becco una decina di coglione e testa di cazzo prima che uno degli automobilisti si faccia coraggio e scenda dalla vettura. Beatrice lo osserva inorridita e senza che possa girare la chiave, si lancia in auto.
"Vai, vai, cazzo!"
Sgommo via, mentre il suo petto fa ancora su e giú nel solito tran tran.
"Tu sei un coglione!"
"Sí, me l'hanno detto in parecchi prima de te."
"No, tu sei un coglione nato! Cos'é che volevi fare, farti spaccare la testa?"-urla, allacciando la cintura- "Avvertimi quando ti prendono queste manie masochiste, perché non voglio esserci di mezzo."
La lascio sfogare, imboccando la strada verso Ostia.
Oggi te porto ar mare.
[...]
"Perché siamo qui?" mi chiede mentre scende dall'auto.
"C'avevo voglia de respirá 'n po' d'aria bona." -ammetto, sfilando gli stivaletti- "Perché, non te piace?"
Affondo i piedi nella sabbia tiepida e il mare si arriccia in un'onda più alta delle altre. Beatrice indugia qualche secondo prima di raccogliere le Converse in una mano: ha una canottiera scollata che lascia scoperto il neo dipinto sul décolleté e quella felpa bianca che indossa sempre di martedì.
Che c'hai, Damiá?
Senti i jeans stretti?
E se le labbra tua facesse 'r Gran Tour su qu'a tela bianca?
Mi siedo a una decina di metri dalla riva, dove la sabbia é ancora asciutta ma si sente già il profumo del mare, e sciolgo i capelli al vento accendendo una sigaretta per me e Beatrice.
"Hai detto che avevi una sorpresa per me."
"Damiano non é già una sorpresa?"
"Mi fai rabbrividire quando parli di te in terza persona." -ridacchia, lasciando cadere la testa sulla sabbia- "Dai, dimmelo. Lo sai che ti stresseró la vita."
Sorrido e mi stendo a fianco a lei, grato alla sabbia che attutisce l'impatto con la mia schiena.
"Me piace quanno t'arrabbi. Sei sexy."
Giro la testa e scopro che una manciata di centimetri dividono le mie labbra dalle sue guance rosse e dalle sue iridi verdi, del colore dei vetrini che raccoglievo da piccolo sul bagnasciuga.
"Me piace anche quanno te faccio arrossí."
"N-non stavo.. Non sto arrossendo."
Beatrice incrocia le braccia al petto, sbirciandomi mentre aspetto che compaia l'alba e ci ricopra con il suo rosa acceso.
"Mi dispiace averti dato del bugiardo."
"Giá dimenticato."
"Non devi giustificare qualsiasi cattiveria ti vomito addosso." -si gira d'un lato in modo che mi possa guardare- "Posso vedere la sorpresa?"
Fai l'occhi dorci, o forse só io a non capicce più niente.
Il suo profumo ha invaso tutto il mio corpo con il suo sapore di lavanda e miele e io non faccio altro che leccarmi le labbra. Frugo nella tasca dei jeans e le passo il foglio stropicciato, che fa girare fra le mani prima di leggerlo in silenzio.
"Ma questa é.."
"L'ho 'ncominciata qu'a notte che t'ho riportata a casa, quanno t'ho parlato de me."
"Chosen?"
"Chosen. Il prescelto."
"Il prescelto.." -ripete in un mormorio- "Molto autocelebrativo. É da te, mi piace."
"Davero?"
"Mh-mh." fa su e giù con la testa.
Alzo gli occhi e l'alba mi saluta con la sua tela variopinta. Prima Roma, ora il cielo: è come se tutti e tutto mi stessero ricordando qualcosa che ho paura di ammettere.
Che c'hai da ammette, Damiá?
"Hai già in mente una melodia?"
"Più o meno." -confesso, tirandomi su a sedere- "Devo ancora parlá coi ragazzi."
Beatrice strizza le palpebre e manda giù la saliva, anche se si vede che ha la gola secca.
"Vuoi dire che sono la prima persona a cui l'hai fatta leggere?"
Sta giocando con la sabbia tra le gambe incrociate, la testa bassa e i capelli corallo raccolti in una crocchia disordinata che lascia libere alcune ciocche mosse.
"Forse."
"Perché proprio io?"
La guardo negli occhi: glielo vorrei dire, quanto é bella, ma non posso.
Non sei 'r tipo da smancerie, da me fido de te sussurrati tra'e labbra.
Sono l'impulsivo che agisce, che gode nell'avere il controllo, anche con il rischio di pestare una merda troppo grossa per pulire le scarpe. Così salto in piedi e mi sfilo la maglia, togliendo cellulare e tabacco dai jeans, poi carico Beatrice di peso sulla mia spalla.
"Ehi, ehi! Che vuoi fare? Ehi!"
"Smettila de graffiamme la schiena e togliete qu'a felpa."
Le lascio il tempo di sfilarla quando ormai siamo a un metro dall'acqua e con una spinta la butto in mare. L'acqua é fredda, salata da far raggrinzire la pelle, ma a me tutto questo non importa.
"Tu sei pazzo.." -sbuffa appena riaffiorata- "Ci prenderà una polmonite!"
Faccio spallucce e mi siedo sulla riva, spiaggiato come una stella marina, a risucchiare gli ultimi raggi di sole. Beatrice mi segue e io non posso fare a meno di imbambolarmi a fissare i suoi vestiti aderenti alla carne.
"Dimmi almeno che la gita in mare era prevista e che hai dei vestiti asciutti in macchina."
"No, ma c'avevo voglia de fallo e l'ho fatto."
Alza per un secondo la mano, come fa la mamma prima di una predica, poi la abbandona sulla sabbia, consapevole che non servirà a niente discutere con me, perdendosi con lo sguardo nell'orlo dei miei jeans, in corrispondenza del tatuaggio.
"Ti piace?"
"Non riesco a capirlo."
"Allora dovresti vedé quell'artro: é per principianti." le dico, scoppiando a ridere.
"Penso proprio che mi conviene evitare."
"Un giorno te le faró provare."
"Che cosa?"
"Il mio paio d'ali d'oro."
T'ho affonnato, ve?
Perché ce spero.
I capelli le grondano acqua salmastra sul petto e io seguo le gocce scomparire nell'insenatura del suo seno.
"Cosí potrai esse libbera, come volevi."
"La libertá a volte può portarti a fare cose stupide."
Il mare mi solletica i piedi, come a volermi dare la spinta, e io capisco di non essere mai stato tanto ingabbiato e allo stesso tempo sciolto da qualsiasi vincolo. Riavvolgo il film della mia vita e mi rendo conto di quante buche ho schivato, invece di affondarci dentro. Di quanto ho lottato, stretto i denti fino ad ingoiare il mio stesso sangue.
Guardo Beatrice consapevole di averne sopportate tante, per poter finalmente dire di essere me stesso, e realizzo una scottante veritá.
Co' te n'sò ancora nnato fino 'n fondo.
Con tutto il resto, con la musica, con la scuola, con le amicizie, con il mio stesso futuro, ho sempre tentato il possibile per arrivare a ciò che volevo.
Con Beatrice mi sono sempre trattenuto.
Sono stato tutto e niente per paura di farle del male, di farci del male.
Mi sono adattato a lei, al suo ragazzo, a Victoria, pur di non rischiare, rischiando di non essere più me stesso, rischiando di perdere la sincerità per non perdere lei.
Io non voglio questo.
Perché Damiano non ha mai prestato le sue ali d'oro a nessuno e questo deve pur dire qualcosa.
"Me vorresti dí che non te senti libera, qui, ora?"
Annuisce, chiudendo gli occhi, e io faccio scorrere il pollice sulle sue labbra bagnate con un unico scopo.
"Sei libera?" le ripeto.
"Lo sono."
Prendo un respiro e anche il vento smette di soffiare, come se voglia rispettare il mio momento sacro.
"Allora questo non ha niente di sbagliato."
Le sue labbra hanno il sapore del tabacco, misto al sale del mare, eppure sono dolci, morbide come lo zucchero filato che la mamma mi comprava alle giostre quando ero solo un pischello.
Un bacio lento, di quelli che non ho mai dato, e che vorrei dare per tutta la vita, fino a ferirmi la carne. Un bacio vaporoso, al tabacco, proprio come piace a me.
Apro gli occhi e Beatrice ha le spalle rigide e una mano sul mio petto.
"Non te chiederò scusa per questo."
La mia voce dura la riporta alla realtà: sbarra gli occhi confusa e capisce di non essersi sottratta al bacio. Che ha acconsentito, che in fondo in fondo, lo voleva.
Realizza di aver tradito, anche solo con il pensiero, e che non può più nascondersi dietro ai desideri taciuti, con la speranza che vadano via prima o poi. Perché qualcun'altro ha deciso per lei e ha scelto di fare ciò che lei voleva, ma considerava un taboo.
"Riprenditi le tue ali. Non le voglio più." mi dice con la voce di un robot, scomparendo alle mie spalle.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro