21.
"Mmazza 'nto sei brutta oggi, Precisì! Peggio de 'n avviso de sfratto."
Damiano sorride attraverso lo schermo dell'iPhone e beve dalla tazza di cartone che ha preso da chissá quale negozietto caratteristico di Copenaghen.
"Sarai bello tu! Guarda che capelli che c'hai!"
Spalanca la bocca fingendosi offeso, poi tira indietro la chioma sbarazzina con l'aiuto della mano.
"Eppure ce dovresti esse abbituata a vedemme de prima mattina.. Che c'è, te sei scordata li baci mia?"
Stringo la vestaglia sul petto, sentendomi nuda di fronte ai suoi occhi che bucano la connessione.
È domenica e me manchi.
So du settimane che me manchi.
Come la pubblicità d'a Motta a Natale.
"A parte insultá sto pezzo d'omo, c'hai novità da raccontamme? Qua so tutti 'n taglio.."
Si accoccola contro la mano, grattandosi i peli della barba che hanno ricominciato a crescere.
Dio, come me manca toccatte..
"Ci sarebbe tanto da parlare, ti annoierei ancora di più."
All'improvviso la luce del sole gli colpisce il viso sfatto dal sonno, le sopracciglia disordinate e le guance secche che culminano in due labbra gonfie come un taglio di carne al sangue. Damiano volge gli occhi alla sua destra, da dove proviene la fonte luminosa, bisbiglia qualcosa e smanaccia come un camionista incazzato, facendomi ridere di gusto.
"No, sto a parlá de li cazzi mia." -risponde brusco, quasi scocciato- "Ma che me stai a abbajà? T'ho detto che ve raggiungo dopo, nun me fa er pressing!"
"Oh, anvedi de nun fa' tanto 'o sgargiante!" ribatte una voce femminile.
"Chi è, Vic?" chiedo.
Victoria compare sullo schermo con un sorriso blando -gli occhi fini di chi si è alzato solo cinque minuti fa- e Damiano sbuffa spazientito, facendola sedere sopra di lui.
"Beatrì, te sei accollata uno simpatico come l'asfarto! C'è bisogno ch'o fai rigá dritto come 'n chiodo co' 'e rote, eh.."
Damiano le tira i ricci e lei lo colpisce sul petto, costringendolo a tossire.
"Aridaje! V'è preso er ticchio de 'nsultamme, allora! Ma come cazzo c'ho pensato.. 'n omo libero, voglio torná libbero!"
"Popo barboso.." -ribadisce Victoria, facendomi l'occhiolino- "Ve lascio a'e faccende vostre."
Si alza e scompare dall'inquadratura, lasciando che Damiano la segua con lo sguardo.
"E non fate 'e zozzerie via internet, me raccomanno!"
La porta si chiude con un clic e Damiano allunga la schiena sulla sedia, distrutto.
"Potevi essere meno scontroso, Dem.."
"Sò diventato 'n po' insofferente, ci'o so, ma è difficile stá insieme tutti li giorni." -ammette, leccandosi le labbra- "Parlame de quarcosa de novo, te prego. C'ho bisogno de staccá 'n attimo."
Porta le braccia dietro la testa, come un contadino che si allunga sulla poltrona dopo aver arato il campo, scoprendo dei segni sul polso sinistro.
"Cos'hai sulla mano, Rockstar?"
Damiano osserva la pelle e si schiaffeggia la fronte, inveendo contro se stesso.
"Damiá, sei popo 'n faggiano!" -parlotta confuso, cercando con lo sguardo un maglione che indossa veloce- "Nun ce fa caso Beatrí, fa 'n freddo canaglia."
"Dem.. Fammi vedere cos'hai lí."
Sbuffa e arrotola la manica fino al gomito, inquadrando il polso fino a che non distinguo piú il suo volto trasandato.
"Cos.. cos'é?" -stringo gli occhi per vederci meglio- "Un tatuaggio?"
Damiano ricattura la mano a sé e lega i capelli che hanno ripreso a crescere, tagliando di netto la riga alle tempie che avevo baciato tutta la notte di qualche tempo fa, mentre lui dormiva.
"Ti sei fatto un tatuaggio?"
"N'o dovevi vedè prima che tornassi."
"Non essere così critico, Rockstar." -sorrido e lui si morde un'unghia- "Cosa c'é scritto? Non riesco a leggere."
Infilo gli occhiali che poggiano sulla scrivania, quelli che Damiano adora tanto ma che mi fanno venire un forte mal di testa, e lui si lecca le labbra.
"Chosen."
Prende un respiro profondo, che sono sicura rilascerá solo dopo aver sentito il mio parere.
"La tua canzone."
"Giá." -stringe le labbra tra loro, facendo spuntare due fossette ai lati della bocca- "Ti piace?"
"Mh.." -mugolo, torturandolo un po'- "Accettabile, dai."
"Accettabile?!"
Scoppio a ridere, sistemandomi gli occhiali sul naso.
"Mi piace, Dem. E se piace a te, meglio ancora."
Bacia la fotocamera, lamentandosi di come voglia il mio sapore sulla bocca a posto del metallo del cellulare.
"Ho scritto 'n pezzo novo." -mi dice euforico, con gli occhi che brillano mentre si accende una sigaretta più lunga delle solite- "Non vedo l'ora de fattelo sentí."
"Parla di noi?"
Ma che vai a dí, Beatrí?
Scendi dar piedistallo.
Mi mangio le parole, sperando che non abbia capito: poi Damiano sorride e fa partire una canzone delle sue, che somiglia tanto a Tararí Tarará di Carl Brave.
"Forse." -scarica la sigaretta su un vecchio giornale - "Allora, m'o voi dí o no se c'hai novità? Te devo da strappá 'e parole de bocca?"
Accomoda i talloni sul tavolo e la mano sul cavallo dei pantaloni, strizzandolo un po' con chiaro intento di sfida. Io slego i capelli e gli do forma con le mani, vedendolo ridere compiaciuto mentre riempe la stanza di fumo denso.
"Sono andata ad un open day l'altro ieri. L'Accademia esibiva degli stand e ho deciso di provare."
"Fico." -commenta- "Tu padre ci'o sa?"
"Non lo sa nessuno, per ora. Mi sto solo informando un po'."
Annuisce silenzioso, sembra quasi preoccupato: spero sia per il mancato sonno.
"Pensi de volé frequentá dei corsi d'arte?"
"É un'idea."
"Tipo.. tipo pittura, scultura, ste fregne qua?"
Faccio salire gli occhiali lungo la fronte, impuntandoli sui capelli, e mi asciugo gli occhi maltrattati dalla luce artificiale dello schermo.
"Sí. Per adesso mi piacerebbe pittura."
"Sei 'na bomba a disegná, Precisí." -mi fa notare goliardico- "Poesse la scerta azzeccata."
Il rumore della porta che si apre lo distrae ed innervosisce nuovamente: tira giú le gambe e rivolge il busto verso la luce, da dove proviene la voce mononota di Ethan.
"Vic vuole sapere quanto ti rimane. La manager danese sta chiedendo di te e lei non riesce a spiegarsi bene."
"Madó, ragá!" -borbotta, scollandosi dalla sedia- "Sete 'na tassa tra tutti e due, che guarda eh.."
Ritorna nell'inquadratura dopo aver socchiuso la porta e spedito Ethan a fare da mediatore, con un sorriso malinconico e lo sguardo dispiaciuto.
"Devo andá, quelli senza de me sò come na scolaresca 'n gita."
"Non fa niente Rockstar, hai delle cose da sbrigare, lo so bene."
Si morde un labbro e so che vorrebbe baciarmi fino a che cali la notte, ma non puó.
"Te chiamo appena posso, ok?"
"Va bene."
Prende un respiro -non so bene per cosa- e si avvicina allo schermo per potermi far sentire il suo sussurro.
"Come 'a Maggica, te lo ricordi?"
"Sí, Dem." -lo rassicuro- "Ti amo anche io."
Piega la bocca sul lato destro, pensando a quante troppe cose non può dirmi nei secondi che lo separano dalla chiusura della videochiamata. Io le vedo e gli sorrido, togliendogli il peso di salutarmi e riattaccando per lui.
Lo schermo del telefono si fa scuro e mi viene in mente una delle fotografie che Damiano tiene appese alla testata del letto, quella che ci ritrae nel locale del cugino di Thomas: io a cavalcioni su di lui, con i capelli in avanti che gli pizzicano il naso, e lui con la fronte alta che mi sorride ubriaco. Ripenso alle sue mani che si posano sul mio sedere mentre dormiano, finché qualcuno picchia alla porta.
Che sia.. no, nun pò esse.
Giro sulla sedia rotante e vedo papá pietrificato accanto all'uscio, con la mano ancora calda sulla maniglia.
Indossa il pigiama sotto la vestaglia e ha i capelli scompigliati del pre-brillantina: deve essersi svegliato da poco.
"Stavo.." -balbetta, quasi non voglia parlarmi- "Tua madre vuole sapere cosa preferisci per colazione."
"Qualsiasi cosa va bene."
Annuisce e sembra andarsene, invece accosta la porta dietro di lui e infila le mani nelle tasche, abbassando la testa sulle pantofole consumate dal nonno.
"Non pensavo fossi sveglia." -cerco di dirgli che non é poi così presto, ma lui mi precede con la voce gassosa e pungente- "Stavi parlando con quel ragazzo?"
"Conosci il suo nome, papá. Chiamalo come si deve, per favore."
"Tua madre mi ha detto che é partito. Non ho voluto sapere altro."
Si siede ai piedi del letto, che non ho ancora sistemato e che odora un po' del sudore di Damiano e del suo fiato pesante al sapore di rum e pera.
Ma papá questo non lo sa.
"Sei venuto qui per ricordarmi quanto sia sbagliato per me?"
"No." -dice, anche se vorrebbe poter sostenere il contrario- "Sono venuto per la colazione."
Poggia le mani sfiancate sulle ginocchia e mi guarda con la testa incavata tra le spalle, gli occhi un tantino lucidi.
"Cosa vuoi dirmi, papá?"
So che me voi parlá.
Sò tu figlia, parlame.
Si gira le mani nelle mani, giocando con la fede che gli stringe l'anulare, mentre i capelli scuri gli ricadono un po' di fronte agli occhi.
"Ti ho sentita prima. Hai detto che lo ami."
"É così."
Porta la testa alta sul collo e mi guarda duro, come se avessi rotto uno dei piatti di ceramica inglese della collezione della nonna.
"Smettila di dire stupidaggini."
"Non ce la fai proprio?" -rido amara- "É cosí difficile accettare che sono in grado di fare scelte diverse dalle tue?"
Scatta in piedi, con l'intenzione di riempirmi di schiaffi, poi riporta la mano lungo il fianco e si affaccia alla finestra che dá sul cortile.
"É lui che ti aiuta ad essere cosí sfacciata?"
"Ti ho detto di chiamarlo con il suo nome."
Mi guarda scuro come un condor.
"Perché vi stavate videochiamando? É già scappato?"
"Hai detto che non ti interessava."
Sospira e chiude gli occhi, schiantando la fronte sul vetro della finestra.
Vuoi giocá? Giocamo.
"Beatrice.. non ce la faccio. Non ce la faccio piú." -si siede di nuovo sul letto, chino sulle ginocchia come un prigioniero- "Sono troppo stanco per questo."
"Non ho mai voluto una guerra in casa, pa'."
"Credi che io sia felice di discutere, invece? Credi che vada a lavoro sereno sapendo che mi odi?"
Sorrido, felice di vedere la sua bontà timida vincere sul proibizionismo familiare.
"Io non ti odio, papà. Faccio solo difficoltà a capire perché tu ce l'abbia tanto con Damiano."
Si sfila la fede, ci soffia attraverso per pulirla e la indossa di nuovo.
"Voglio che tu abbia il miglior futuro possibile, che trovi subito un lavoro ben pagato e una famiglia tutta tua."
"Tutto questo non esclude che stia con qualcuno come Damiano."
Mi accoccolo contro le ginocchia, stringendomi sulla sedia come una bambina, e lui tira indietro i capelli ricordandomi Damiano.
"Perché insisti tanto con lui?"
"Lo amo, papá. Avresti mai scelto qualcuna che non fosse la mamma?"
Guarda di nuovo la fede, baciandola teneramente, e prende in mano una vecchia cornice sul comodino, pulendo la polvere che si è adagiata sul mio volto bambino.
"Da piccola mi dicevi sempre che sarei rimasto il tuo amore più grande."
Sento il cuore bussare contro il petto e i dotti lacrimali aprire la diga che separa la sicurezza adulta dai ricordi infantili.
"Come cambiano le cose.." aggiunge.
"Ti amo come ieri. È solo che amo anche lui, in maniera diversa."
Riaccompagna la foto sul comò e la sistema in modo che sia la prima cosa che vedo appena apro gli occhi.
"Sei sicura di amarlo, piccola?"
Gli rispondo con un cenno e lui pare sorridermi, o forse è solo una mia stupida speranza.
"La mamma dice che è un bravo ragazzo."
"Lo è."
Si alza sulle gambe lunghe e secche, nascondendo di nuovo le mani nelle tasche, e mi cammina incontro. Mescola le carte che sono sparse sulla scrivania, tra nuovi progetti scultorei, architettonici e pittorici, locandine di film e bozzetti di moda. Tra i tanti, afferra il volantino dell'Accademia, portandoselo sotto il naso per leggere meglio.
"Sai, da piccola disegnavi sempre." -mi confessa, posando il foglio accanto alla lampada- "Tua madre aveva paura che pitturassi persino i muri con quei colori a cera che ti avevo regalato."
Rido al ricordo delle tempere pastose che mi macchiavano sempre i vestiti e papá si unisce a me, scoprendo i denti ingialliti dal tabacco della pipa.
"Avevi sempre un foglio in mano e dei colori sul tavolo. Pensavo davvero che avresti voluto fare l'artista e che sarebbe stato difficile farti cambiare idea."
Eppure, ce sei riuscito.
Vorrei dirglielo, ma lo ferirei gratuitamente.
"È stato.. è stato Damiano a farti riprendere?"
Muovo la testa e lui rilascia un sospiro rassegnato, traditore di una certa felicità che lascia spazio alla speranza.
"Invitalo a cena da noi per il primo sabato dopo il rientro."
Mi coglie impreparata, approfittando dei miei occhi grandi e della mia bocca aperta per sgattaiolarsene via.
Si ferma a un metro dal corridoio, dandomi le spalle.
"Ci sto provando, Bea. Voglio davvero provare a farti felice."
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