Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

20.

Il nonno mi raccontava spesso della guerra. Diceva sempre che, appena partito da casa, era come se avesse smesso di essere lui.

Ribadiva continuamente di essersi rifiutato di ricoprire altri ruoli all'infuori di quello del soldato semplice, come per togliersi di dosso delle colpe che non gli appartenevano: noi, comunque, sapevamo che il grado della medaglia non dipendeva esclusivamente da sue scelte. Non era un gran corridore, non sparava preciso e aveva il cuore troppo grande per metterlo a tacere sotto i colpi della rivoltella.

Ogni volta ci parlava dei viaggi in mare, delle traversate lungo la Manica, degli inverni ghiacciati trascorsi con una coperta sulle spalle e un bicchiere pieno di sputi che non riuscivano ad attraversare la gola arida. Ci parlava sempre di quelle quattro mura in cui lui e i suoi compagni di reggimento aspettavano che il giorno passasse, intenti a badare ai fucili che prendevano polvere sopra i tavoli -o contro le pareti- con gli occhi assonnati che non potevano chiudersi. Della pioggia inglese, che batteva lenta sulla finestra panoramica che dava sul giardino spoglio del rifugio militare. Delle bende insanguinate, delle gambe amputate, delle mani che piangevano le falangi perdute. Delle urla deliranti dei padri, dei figli, degli zii, dei medici da campo che vivevano tra le bestemmie, il rum e la vita che se ne va. Della morte, cruda, che incombe su ogni cosa, su ogni foglia, su ogni medaglia, su ogni granello di polvere da sparo, con lo stesso grigiore pallido e malinconico che ricopre tutti i quadri di Orozco.

Qualche volta nonno Arthur piangeva, mentre ne parlava, soprattutto quando confessava di aver pensato di non essere più inglese. Aveva smesso di essere parte della sua Inghilterra, per un po'. Se ne vergognava, qualche volta. Specie quando un soldato tedesco di 18 anni cadeva per colpa di un proiettile londinese, lasciando in Germania una vedova di guerra.

Il nonno diceva sempre che niente ha valore finché se ne assaggia il sapore acre della perdita. Lui aveva gustato quello della sua famiglia, della sua Birmingham, della sua donna. Mentre varcava la porta di casa, aveva assaggiato anche il gusto del suo essere inglese: non sentiva più niente, niente più gli apparteneva. Lui era niente: era il grigiore riflettente del suo fucile e tanfo di cadavere. La guerra aveva anestetizzato tutto.

Sfilo le cuffiette e le caccio in tasca, sapendo che tanto, c'è sempre qualcuno che le annoda per me.

Un anziano signore con la coppola mi sorride tenero, quasi voglia offrirmi il suo ombrello gigante per ripararmi dalla pioggia, dalla vita che scorre davanti a me e dietro di lui.

Che strano scherzo der destino.
C'hai li stessi denti storti der nonno.

Ricambio la cortesia e aggiusto la custodia del basso sulla spalla, corricchiando verso il portone di Thomas. Busso tre volte, come mi ha insegnato a fare il papá da piccola per sapere che stavo rincasando.

Da quanto tempo n'o vedevi così vicino?

Samuele mi apre la porta lentamente, cauto e premuroso come l'ho lasciato, e mi sorride con la testa storta.

Che strano, Samuè.
Ce semo scontrati su sto pianerottolo c'a speranza de potè aggiustá tutto meno de quattro mesi fa.
E qui se ritrovamo ancora.
Ma ora sappiamo che finge è inutile: n'c'è più nulla da aggiustá.

"Ciao."

Gli sono cresciuti i capelli e ha tagliato la barba di netto. Adesso ha una chioma folta di finti ricci carbone e gli si vede persino il mento liscio con quel simpatico buco in mezzo.

"Ciao." -raddrizza la schiena alla ventata di ricordi, prima di tornare a sorridermi- "Entri?"

Soffio tra le mani mentre Sam richiude la porta: ha lo stesso profumo forte di sempre.

Dove sei stato tutto sto tempo?

"Sei passato a salutare Tommy prima che parta?"

Sfilo la custodia che incalza contro la spalla e lui mi aiuta a poggiarla a terra.

"Giá." -ammette, grattandosi la testa- "Continui a prendere lezioni?"

Indica il basso e infila le mani nei jeans, stropicciando l'orlo del maglione di lana che metteva sempre a Natale.

Perché n'a smetti de sorride, Sam?

"Quando capita."

Annuisce e aspetta che aggiunga qualcosa: quando eravamo insieme, parlavo sempre. Parlavo prima di lui, dopo di lui, con lui, sopra di lui. E Sam mi ascoltava, annuiva, forse a volte fingeva, ma era attento a non darlo a vedere.
Ora non ho più niente da dire: vorrei dirgli che è cambiato, ma è rimasto lo stesso. Che mi piace ancora il suo Hugo Boss, o che sarebbe bello guardarlo di nuovo giocare. Ma non ho davvero niente da dire.

Vorrei chiedergli tante cose.. Come sta, come sta davvero; se ha finalmente capito un argomento di fisica; quanti canestri è riuscito ad infilare nell'ultima partita; se gli piaceva davvero come lo costringevo a tenere i capelli e la barba, perché li credevo più attraenti; se usa ancora gli occhiali mentre legge un carattere più piccolo del 10 o se sua madre gli ha più fatto il famoso sformato di patate. Ma non ho davvero niente da chiedergli.

Sorridi Sam: significa che sei felice?

"Sam, ascolta.. mi-"

"Bea." -mi blocca il polso così gentile da farmi odiare la stretta ferrea di Damiano- "Non farlo."

Annuisce insieme a me e sorride, ancora, fino a farmi sentire la nausea corrodere l'esofago.

"Mi piacciono. I capelli: mi piacciono."

"Oh, grazie." -stringe le spalle a disagio- "Anche tu sei.. Ti stanno bene i capelli legati così. Non ci avevo mai-" si ferma, scuotendo la testa tra sè.

N'c'avevi mai fatto caso prima, quanno ce amavamo?
Perché sorridi allora?
T'aspetto, Sam.
Sto aspettando l'odio, 'l rancore, l'urla.
Liberame da sto peso, te prego.

Sorride e io mi sento morire.

Sarebbe più facile gestire una pugnalata allo stomaco: la curerei con una benda e qualche punto a saturare l'amore che è volato via. Saprei accogliere la sua sofferenza, gestirla, caricarne il peso e lasciarla per strada.

Ma così.. così me rendi impotente.

L'ho distrutto e nonostante tutto, lui non mi ritiene responsabile. Ho sempre saputo gestire meglio un rancore giustificato piuttosto che un sorriso che nasconde una ferita, specialmente se il colpo è stato inflitto da noi stessi. Perché sappiamo di meritarlo: ci meritiamo il male del mondo, quando siamo capaci di certe atrocità.

Ma quando il moribondo ci accoglie con nient'altro che amore.. sappiamo di non meritare i suoi sorrisi e il suo andare oltre gli sbagli. E ci sentiamo a disagio, ci sentiamo bassi, infimi, beceri, vigliacchi.

"Damiano dice che mi risalta gli zigomi." -è la prima cosa stupida che dico per rompere il silenzio imbarazzante- "Oh, Sam.. m-mi dispiace."

Lui raddrizza la schiena e muove una mano da destra a sinistra, che adagia poi sulla mia spalla.

"Non devi scusarti. Puoi parlare di lui senza problemi." -ruota la testa e solleva gli angoli della bocca- "È passata, Bea."

"Non mi stai aspettando più?"

Stringo la lingua tra i denti, fino a sentirla sanguinare, e impunto i piedi a terra quando Sam indurisce la mascella e stacca la mano da me, nemmeno provi ribrezzo a toccarmi.

Perchè cazzo l'hai detto, Beatrì?

Se ne rimane zitto e una piccola mina scoppia indiscreta nei suoi occhi. Guarda il corridoio che conduce al salone, da dove non si diffonde altro che silenzio, rendendosi conto di non poter più fingere di avere tutto sotto controllo.

"Sei passata a salutare Victoria?"

Lei e Sam non sono mai stati ostili. Ancora prima che la trama della nostra relazione si sfilacciasse, discutevano volentieri. Sam la faceva ridere spesso, con le sue uscite buffe e sgraziate.

E da come ha pronunciato il suo nome, ora, capisco che non portano rancore. A Victoria non deve importare niente del litigio tra Sam e Damiano e lui deve fare lo stesso per l'amicizia che la lega a quest'ultimo.

Forse, pensandoci bene, si ritrovano l'uno nell'altra: abbandonati da chi amano, affogano gli sguardi malinconici nello stesso mare, tacciono gli stessi pensieri cupi, ridono della loro stessa pateticitá. Thomas non avrebbe mai approfittato  dell'assenza di Damiano per riunirli sotto lo stesso garage.

C'ha 17 anni, ma non è 'n idiota.

"Giá.." -giro le mani tra loro- "Volevo fare il fatidico in bocca al lupo prima che vadano."

"Mi hanno detto che eri con loro quando è arrivata la mail."

"Sì, eravamo.." -ci penso, prima di affogare l'immagine di Damiano che mi spinge contro il tavolo- "Eravamo tutti e cinque in sala prove."

"Capito.." -abbassa la chioma che gli copre il viso- "E lui adesso dov'è?"

Non sorride più: ha gli occhi selvaggi.

Non riesci a pronunciá 'r nome suo, Sam?
Come fai a dì che è passata?

"È dal barbiere." -penso anche di dirgli che vuole essere sempre perfetto per il suo pubblico, ma capisco che è meglio di no- "L'ultima sistemata prima del viaggio."

Sorridi, Sam, ma no' come prima.

"Ti accompagno di sotto?"

"Non stavi andando via?"

Carica il basso sulle spalle nerborute e si tradisce offrendomi una mano, che faccio finta di non vedere.

"Resto." -confessa- "Questa volta resto."

Perché sorridi, Sam?
Sento che te sto perdendo. Forse l'ho già fatto.
Il tuo sorriso come la guerra.

Il sapore marcio della perdita.

[...]

Damiano mi ha detto di farmi trovare a Parco di Villa Ada per le otto meno dieci: me trovi seduto sulla solita panca delle dieci, aveva detto strascinando le sillabe.

Da qualche settimana a questa parte era diventata la nostra panchina, quella nell'angolo nord: era più appartata delle altre e Damiano poteva fumare tranquillamente senza che nessuno potesse attaccare delle prediche giá sentite. Di solito stendeva le braccia lungo lo schienale vecchio e secco, allargava le gambe e si lasciava scivolare fino a che la nuca poggiasse sul primo asse di legno che gli reggeva la schiena.
E guardava le stelle. Con gli occhi a mezz'asta e una canna che stava per finire, mi raccontava di Jacopo e della sua ragazza -che era una vera rompiscatole, a detta sua-, del primo concerto, di Ethan che si gli si era presentato in sandali e baffi da latte. Con una Weiss in mano e la pancia gonfia mi aveva biascicato di come si erano conosciuti i suoi, su un volo per Parigi: 'a cittá dell'amore l'ha fatti innamorá prima ancora che arrivassero, divertente no?

Io lo avevo ascoltato con le gambe rannicchiate e una sigaretta scialba che mi faceva invidiare quella di Damiano, con gli occhi che pizzicavano dalla stanchezza e il cuore leggero di chi amava tutto di lui.

Spesso dal Parco ci spostavamo verso il locale del cugino di Tommy e prendevamo da bere coccolati dai baci ubriachi e dalle carezze reciproche: qualche volta io ero così euforica da spingermi sul palco con il pianoforte e lui così andato da cantare una di quelle canzoni strappalacrime che odia. Oppure restavano sulla nostra panchina, a guardare i ragazzi che si dondolavano sulle altalene e pretendevano di essere grandi.

Trovo Damiano chino sulle ginocchia, con la fiamma dello zippo che gli illumina una guancia: siamo soli stasera.

"Ehi.."

Solleva la testa e mi squadra da capo a piedi, con occhi diversi, e io capisco di dovermi sedere.

"Ciao." -mangia le parole a causa della sigaretta- "Sei 'n anticipo."

"Avevo voglia di vederti."

Dalla sua bocca escono cerchi di fumo che si rincorrono nel buio e l'aria diventa subito inospitale.

"Vogliamo andare a mangiare qualcosa?"

"Che fretta c'è." -replica secco, continuando a darmi la spalla- "Lasciame finì armeno questa."

Gli massaggio la schiena nell'insenatura sopra le vertebre centrali che gli si crea quando stringe le scapole e lo sento contrarre i muscoli.

"Hai salutato i ragazzi?"

"Sì." -faccio cauta- "Sono passata da Tommy nel pomeriggio."

C'era anche Samuele, ma meglio che tu n'o sai.
Domani parti e voglio tutto questo pe' noi.

"C'erano tutti tranne me?"

"Giá."

"Mh." -soffia il fumo così forte da farlo sbattere contro l'albero di fronte- "Perciò Vic s'è sbagliata a dimme che ce stava pure l'ex tuo?"

Continua ad aspirare apparentemente sereno, con una voce roca e meccanica che non ha niente del suo calore.

"Era venuto a salutare Thomas."

"E guarda caso tu stavi lá." replica all'istante, lanciando la sigaretta a qualche decina di metri.

"Cosa vorresti dirmi, Dem?"

Si alza con uno scatto, passando la mano tra i capelli disordinati, e noto che ha rasato la parte laterale fino alle tempie, dove c'è una linea divisoria piuttosto netta.

"Che nun so stupido, Beatrì."

"Non l'ho mai pensato." gli dico, cercando di prendere una mano che allontana.

"Ma me ce fai passá." -attacca a camminare nervoso- "Credi che a me me sta bene? No, zì. Non me sta bene pe niente."

La luce sporca del lampione che penetra tra la maglia di foglie di faggio gli stampa gli zigomi tirati sul volto, facendolo somigliare ad una maschera dell'orrore.

"Starti bene? Cosa credi che abbia fatto, Dem? Che mi sia messa a raccontare dei vecchi tempi felici e mi sia innamorata di nuovo di lui?"

Si arresta davanti a me, con la chioma che gli ricade sul viso e le palpebre divaricate, a far trapelare orrore da uno sguardo insicuro.

"Perché non l'hai detto subito allora?" contesta con uno sputo di voce.

"Avevo paura che succedesse proprio quello che sta accadendo."

Punta le mani sui fianchi e riempe i polmoni con aria pulita, ricominciando a calpestare il terreno umido con un suono viscido.

"Non sarebbe successo nulla se nu'm'avessi tenuto nascosto."

"Tenuto nascosto?" ripeto indignata.

"Sì, Beatrì, tenuto nascosto." -finalmente si gira, abbassando la schiena per avvicinare la testa-"Se m'avessi detto, me ne sarei fregato, com'ho sempre fatto. Ma te ne sei rimasta zitta: a casa mia se dice che i muti so i più bravi a dì 'e buggie."

"Perché cazzo fai così adesso?" -esplodo, tirandomi su fino a farlo indietreggiare- "Pensi davvero che..non lo so, che gli sono caduta tra le braccia? Pensi questo?"

Il contorno dei suoi occhi assume una forma insolita, inedita: l'angolo più esterno punta in basso e quello interno si stringe, dandomi un senso di pietá assoluta.

"L'hai fatto davvero?"

Lo so che è la paura a chiedermelo: lo so perché lo vedo, lo sento e lo capisco da come stringe le narici. Ma non posso ignorare il fatto che lo abbia pensato veramente.

"Non sono un tuo possesso, Dem. Non puoi venire qui e mettere su un putiferio per le tue pippe mentali." -indurisce le rughe del viso, spinto a credere che abbia veramente confabulato alle sue spalle- "Sei stato tu ad escludere qualsiasi relazione."

T'ho fatto male.
Te vedo e so che t'ho ferito.

Lo noto da come deglutisce lento, da come il suo pomo d'Adamo singhiozza lungo il collo. Da come respira a stento e stringe le nocche fino a farle diventare bianche. 

"Non c'entra un cazzo." ringhia duro, poi bestemmia.

"Non ci apparteniamo, Dem."

Lo credi davvero, o voi solo che reagisca, che te urli che te stai a sbagliá?

"Solo perché nun te chiamo fidanzata non vor dì che non sei mia."

I talloni pungono, chiedendomi il permesso di cedere e far capitolare le gambe a terra: è troppo, tutto questo è troppo. Lui che mi chiede di essere sua: è troppo.

"Lo sono?"

Rilassa la pelle, credo per la prima volta in tutta la sera, e torna -almeno per ora- a somigliare al mio Damiano.

"È l'unica cosa che voglio." bisbiglia, quasi vergognandosi.

Mi siedo sulla panchina, sporcando le guance con il sudore dei palmi, e sento Damiano tirare un calcio al breccino che gli spinge contro le suole.

"Non ti capisco, Dem. Davvero, non ce la faccio." -confesso stremata- "Sei una contraddizione continua e io.. io non ci riesco."

Annego nel buio delle dita che mi coprono gli occhi, solleticate dai sospiri profondi che spezzano il silenzio che pesa tra capo e collo.

"Perché devi essere così complicato, Dio.." ragiono con me stessa, sicura che lui non mi abbia sentito.

"Perché te amo, Beatrì!" -bestemmia, sporcando delle parole dal contorno rosa che mi avevano succhiato tutto il sangue- "È tanto difficile da capì?!"

Spalanco quelle saracinesche che trovo al posto delle palpebre e Damiano sorride lieve.

Perché sorridi Dem?
M'hai ucciso, ner modo più bello che potessi fá.
Sei 'n soldato ch'è ritornato da'a guera, Dem.

Mi si inginocchia davanti, seduto sui talloni, e sistema le mani sopra le mie cosce fredde. Solleva la punta del mento e scoppia in un sorriso bambino che gli arriccia i baffi.

"Mi ami?"

"Come 'n gol d'a Maggica."

Si sporge per zittirmi con un bacio e io lo lascio fare, mentre l'occhio sinistro, seguito a ruota dal gemello, cede al freddo e si fa scappare qualche lacrima.

"Non stavi delirando allora.."

"No." -muove la testa soddisfatto- "Te l'avevo detto che esageravi."

Gli prendo le guance tra le dita, arricciandole in decine di rughe, e lo bacio fino a non distinguere altro sapore dal suo.

"Ripetimelo." lo supplico a bassa voce.

"Ah-ah, nun voglio che ce fai er callo." mi dice contro le labbra.

"Dillo."

"Come 'a Maggica."

Mi asciuga le occhiaie con i pollici e mi offre la sua schiena per saltargli addosso. Il suo sapore in bocca e il suo odore nel naso, le sue spalle morbide sotto le braccia e le gambe attorno alla vita.

"Non voglio che te ne vai proprio adesso."

"Abbiamo tutta la notte." -mi consola, girandosi per baciarmi- "Possiamo restare svegli se te va."

E so che in meno di mezz'ora mi butterá sul letto e mi spoglierá di tutto.

Guardo in alto nel cielo e ci rivedo un po' di Birmingham, del nonno e della guerra. Le stelle brillano come palle di fuoco nel mare del Nord.

"Voglio portarti in Inghilterra un giorno."

"Ah sì?" ride.

"Mh-mh. Conquisterai tutti."

"Ci'o so." -ammette- "So er mejo fico der bigonzo."

Fa una pausa, che gli concedo dopo tutto il trambusto, per riordinare le idee, o semplicemente racimolare coraggio.

"Come 'n gol d'a Maggica, Beatrì. Ricordatelo per quando tornerò."

Mi fa tornare più su con un salto, accomodandomi sulla schiena.

"Cosa ce ne faremo di noi, Dem?"

Affonda un'ultima volta i piedi nell'erba, guardando dritto di fronte a sè.

"Non lo so." -rimanda tutto al mese prossimo, con la sensazione che voglia dirmelo ma stia trattenendo l'impulso- "Nnamo da Giorgione, c'ho voglia de na bira ghiacciata e de na spaghettata cacio e pepe."

E riprende a camminare.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro