19. (Damiano)
Il cerchio alla testa se n'é andato, nemmeno fosse un tatuaggio d'inchiostro sbiadito. Le palpebre mi si alzano come serrande arrugginite: dalla finestra filtra un filamento sfibrato di luce che mi si stampa sul polpaccio.
Impunto i gomiti sul materasso e passo una mano sui capelli fradici di sudore: la stanza puzza di ossigeno vecchio.
Spezzoni di immagini si riavvolgono in una bobina di ricordi e allungo la mano sul comodino: cerco la lampada a tastoni, disorientato in un ambiente estraneo che non ricorda affatto la mia camera.
Il buio nasconde una sveglia a led che segna 12.40 e un biglietto stropicciato, calcato da un corsivo ordinato ma frettoloso.
Ti ho lasciato le medicine sul tavolo della cucina e ho scritto ai tuoi per avvisarli che stai bene.
Aspettami per il pranzo e CERCA DI NON AMMALARTI DI NUOVO: resta a letto, torno appena finita scuola.
Bea (:
Sorrido, senza davvero pensarci, e corro in bagno a farmi una doccia. Le gocce tiepide scivolano contro il sudore come olio sopra l'acqua e la mia schiena s'incurva sotto il getto frizzante. Libero la cucina dalle medicine e rovisto nell'armadio alla ricerca della vecchia felpa che avevo prestato a Vic. Mentre infilo i pantaloni del giorno prima -puzzano un po' di fumo e scampato pericolo, ma non ci faccio caso- la serratura principale scatta con un rumore secco.
"Rockstar?"
Quante canzoni ce potrei scrive su de te, Precisì?
N'sarei mai ripetitivo.
La spio dalla camera mentre poggia la spesa sul tavolo: ha i capelli raccolti in una crocchia incasinata e un leggero fiatone che le mozza il respiro.
Penso per un attimo a quanto sia disposto a vedere quest'immagine per il resto della mia vita.
Fin troppo, ve'?
"Che c'é di buono da mangiare?"
Salta sui piedi, portando una mano sul cuore che galoppa imbizzarrito, e mi lancia il mazzo di chiavi stizzita.
"Possibile che devi sempre farmi venire un infarto?" -si lamenta, mettendo le pentole sul fuoco- "Spero per te che tu sia guarito, o devi trovare qualcun'altro che ti stia dietro."
"Ce l'hai sta cosa de lanciá 'e chiavi, eh.." le dico, acceso dai suoi occhi che mi pizzicano i pettorali nudi.
"Giuro che se non vai a metterti qualcosa addosso e ti ammali di nuovo.."
Sbatte una cipolla e una carota sul tavolo, poi un pezzo di carne e un pacchetto di dadi vegetali.
"Minestra in arrivo?"
"Va' a vestirti." ribadisce, tirando su le maniche e iniziando a cucinare.
"Saresti una mamma noiosissima."
-sgattaiolo fino al bancone, abbracciandola da dietro- "E anche la piú sexy der monno."
Le bacio il collo, ridendo sguaiato non appena rilassa la schiena contro i miei muscoli accaldati, come un gatto che fa le fusa.
"Dem, pensa alle prove.. Ti ammalerai di nuovo." sospira, tagliando la cipolla.
Le slaccio la felpa, stampando il palmo contro la pancia piatta.
"Peccato, me piacevi come crocerossina."
Filo in camera, infilando un maglione a caso che puzza di naftalina.
Bea, intanto, versa il brodo su dei piatti cupi ricamati ai bordi con delle tempere grossolane, simili a quelli che il nonno tiene nella credenza.
"Come é annata a scola?"
"Cosí." -risponde, sedendosi dopo di me- "Niente di entusiasmante."
Soffia dolce sopra la superficie malleabile del brodo, increspandolo in tante piccole onde che bagnano l'orlo. Ha le guance accaldate e la bocca rotta dalle mille pellicine, risultato del continuo mangiucchiare timido e indeciso delle labbra.
"È strano sai?"
"Mh?" farfuglia, versandomi un po' d'olio.
Scuoto la testa in una risata sorda: quando nasci maniaca dell'ordine, ci rimani anche se Damiano David ti spinge a cambiare.
"Te la soni, te la canti, disegni, c'hai ottimi voti, na bona famiglia.. Che te ne fai de uno come me?"
Beatrice addolcisce lo sguardo di fronte alla mia ironia menzognera: é bello sapere che puoi pretendere di essere uno stronzo simpatico, ma c'é qualcuno che ti capisce da come mescoli una minestra. Fa pattinare la mano docile lungo il tavolo e stringe la mia, esibendo un sorriso consolatorio come l'alcool.
"Ti senti ancora la febbre?"
Alzo le spalle, incosciente che quelle sarebbero state le ultime parole di un pranzo intimo come lo é una doccia alle cinque del mattino, dopo esser stati a devastarsi in chissá quale vicoletto di Roma.
Le passo il piatto sporco, ingoiando una pasticca che sa di legno: lei impila i piatti l'uno sopra l'altro e li adagia nel lavello, poco prima di strisciare verso di me. Mi abbraccia le spalle, china sulla sedia, e mi dondola canticchiando una canzone che ha sicuramente rubato alla radio.
"Sono patetico?" dico sovrappensiero.
Un narcisista dannunziano che c'ha paura de non meritá 'a donna sua.
Nun fa ride anche a voi?
"Essere sicuri di sé non esclude la possibilità di essere fragili." -mi bacia la tempia- "Scoraggiarsi fa parte della vita di ognuno di noi."
Mi lascio cullare dal suo profumo silenzioso, agrodolce come un arancio di Sicilia.
"Non voglio che pensi di valere meno del resto, Dem. Sei il mio valore aggiunto. Senza di te, niente di tutto quello che faccio avrebbe lo stimolo per uscire dal groviglio incasinato che ho in testa."
Alzo gli occhi nei suoi, sorridendole mentre mi bacia il centro dei baffi appena rinnovati.
Forse Jacopo aveva ragione.
Fraté, ce stai sotto.
É stata l'unica che t'ha saputo tené testa e te ce sei cascato co tutte 'e scarpe zozze. Ha fatto l'occhi dorci e puff: te sei preso na tranvata bella grossa.
Non c'ho artra spiegazione. Quanno una te entra n'a capoccia come ha fatto lei.. Significa poche cose, bello..
Te sei 'nnamorato Damianí.
Incastro la mani ai lati del suo viso, catturandole il labbro superiore tra gli incisivi. La sento gemere piano e mi accendo come un pino rinsecchito durante il faló di Ferragosto.
La costringo a sedersi sulle mie cosce, a gambe aperte, con il fondoschiena che spinge contro i pantaloni che iniziano a gonfiarsi. Lei mi incornicia le guance con le sue dita affusolate e io tiro indietro la testa per suggerirle di passare al collo. Lecca il pomo d'Adamo e io affondo i polpastrelli nei suoi fianchi, cercando di tenere a freno l'afflusso di sangue che minaccia il basso ventre.
"Vuoi.. vuoi che mi fermi?" mi domanda insicura, staccando per un attimo la bocca scarlatta dalla mia clavicola.
Le sciolgo i capelli, affondando le unghie mangiucchiate nelle ciocche mosse: hanno il colore del sole che affoga nel mare.
"Non voglio più sentì na cosa der genere."
La stacco su in un raptus impazzito, facendole cozzare i glutei contro il legno del tavolo: i bicchieri cadono a terra, rompendosi in mille pezzi affilati che odorano di giungla. Beatrice caccia un urlo e sussulta appena, con gli occhi grandi che mi ricordano Villa Doria, o quelle bottiglie di Heineken che il mare ha sputato sulla riva ancora intatte. Io, intanto, mi infilo tra le sue gambe, poggiando i palmi sopra i suoi, e comincio a baciarle la mandibola, poi la carotide, il piccolo buco sopra lo sterno, dove si toccano le clavicole. Le sfilo la felpa, la canottiera, il reggiseno, poi sbottono i jeans e infilo una mano fredda dentro ai suoi slip. Lei salta sul posto al contatto con la pelle gelida, poi reclina la testa all'indietro, mordendosi il labbro inferiore.
"L'hai mai fatto su 'n tavolo?" le soffio nell'orecchio.
Nega con il movimento della chioma - le gote paonazze e i polpacci legati attorno alla mia sagoma - così comincio a far scivolare i jeans lungo le cosce, lento come ho sempre fatto quando volevo godere un po' della buona vista che il panorama offriva: Roma, una bella donna, un palco più alto degli altri.
Che cambia, 'n fin dei conti?
Beatrice fa saltare la zip dei miei jeans e li abbassa fino a che le è concesso, aggrappandosi alla carne dei miei glutei per tenermi vicino.
"Quanta fretta.." commento in un sorriso.
"Hai il.." -morde la lingua e aggrappa l'orlo del mio maglione, pronta a farlo capitolare sul pavimento polveroso- "Ce l'hai?"
Mi svesto del pezzo superiore e lei non mi lascia tempo di rispondere che mi bacia il pettorale sinistro, proprio sopra al cuore. Un bacio fugace, uno di quelli che si danno quando si saluta.
"Vado a dá n'occhiata ar portafoglio."
Ritorno stringendo il quadratino di plastica tra indice e medio: un sorriso beffardo, che non gioca alla pari nemmeno con il ghigno pazzo di Dalì.
Beatrice ha le gambe ciondolanti che pendono dal tavolo, la schiena curva e la testa bassa, a fissare la mia maglia caduta a terra. Quando mi sente arrivare, le si illuminano gli occhi d'una scintilla che divampa sulle guance e sul petto rosso come una malattia che si espande.
"M'o voi mette tu?"
Dischiude le labbra, pronta a darmi dell'idiota impazzito, della canaglia; poi assume lo sguardo asettico di chi doma la paura, con le pupille rigide e il collo tirato. Estrae il preservativo dalla busta e in una mossa che non credevo fosse capace di ripetere nemmeno nei sogni che tace agli estranei, ne lecca tutta la superficie.
'R diavolo me sorride cor viso de 'n angelo e l'occhi verdi come l'edera.
Sento il lattice circondarmi lento, le sue dita che lo guidano e mi solleticano divertite. La lascio fare, sopraffatto dal tocco e dall'idea che stia prendendo l'iniziativa, poi la sistemo con uno scatto rabbioso, trascinandola per le cosce.
"Dio.." si fa scappare un gridolino, che tradisce la sicurezza.
Comincio a muovermi seguendo il cigolio del tavolo che dondola sopra le assi del pavimento: l'afferro per la vita, facendo sì che i suoi fianchi si incastrino bene tra loro, e reggo la gamba sinistra che tende a scivolarle verso il basso ad ogni spinta.
Con Bea è sempre stata questione di sesso affamato: amorevole ma convinto, deciso ma con ritegno. Un gioco di inedia rabbiosa: tutto sta nella fiamma che parte dal ventre e si irradia fino all'aorta, facendola esplodere in un rivolo di sangue amaro.
Fare l'amore con lei è un po' come osservare un'opera di Fontana, o un quadro che cambia prospettiva, colore, curve a seconda di come inclini la testa. Il connubio tra la folle morbosità e il sentimento nobile dell'amore, un incontro che si traduce in unghie nella carne, morsi sulle labbra, lividi tra le cosce e frasi dolci che si alternano a ruggiti selvaggi. Ogni urlo di piacere -o momentaneo dolore- è solo un bel ricordo da tacere alla vergogna.
Le catturo i labbroni tra i denti non appena dá l'impressione di liberare un grido e le ruoto di poco il bacino per evitare che senta male. Ansima e infilza le unghie di tre dita sopra le mie costole; altre due sulla schiena quando il battere contro il tavolo le indolenzisce i glutei scoperti.
"Ci sono quasi.." ammette col fiatone.
Intreccia le nostre mani e le schiaccia sul petto, stringendomi le dita fino a farmi mordere la lingua.
Il tallone destro prende a formicolare, infastidito dalla vibrazione del cellulare che è rimasto nella tasca dei pantaloni, ma cerco di non distrarmi.
Proprio quando capisco di esserci vicino, il campanello stridulo s'insinua tra incudine e martello, picchiettando il timpano con fare fastidioso.
"Fai come se non ci sia." mi prega Beatrice, riportando le mia labbra sulle sue.
"Me sconcentra."
Le nostre bocche fanno contatto e il campanello sospira di nuovo, come un vecchio professore stanco di ripetersi. Alzo i pantaloni il poco che basta e mi spingo alla porta, mentre Beatrice batte il palmo sul tavolo e sbuffa veleno.
"Che cazzo voi?"
Ethan sbatte le palpebre come una farfalla e fa un passo indietro.
"Fra venti minuti abbiamo le prove. Volevo dare una sistemata per quando sareste arrivati."
Schianto una mano in fronte e Ethan tira le labbra orizzontali, allungando il collo per cercare di vedere l'interno.
"Ah-ah." -socchiudo la porta- "Non se sbircia."
"Chi è?"
Cazzo Beatrì, che tempismo.
Ethan smuove il capo con mezzo sorriso e le treccine compiono un'orbita circolare attorno alla sua nuca.
"Devi per forza battezzare tutte le sale prove?"
"Ancora! Io e Vic lá dentro non c'abbiamo fatto popo niente."
"Sará.." -marca la r moscia- "Quindi? Cosa vuoi fare?"
Do un'occhiata fugace alle mie spalle: Bea allarga le braccia spazientita, le gambe ancora aperte e i seni rossi dai baci.
"Ce la fai ad aspettá finché non arriva l'artri?"
"Ma veramente-"
"Grazie Indianì." -gli lancio un bacio con la mano, strizzando un occhio mentre i suoi si assottigliano per l'inaspettato egoismo- "Te devo 'n favore."
[...]
"N'è vero, è lei che sta a fá tutta scena.."
Victoria sgranocchia delle patatine grigliate e Beatrice me ne lancia un paio, allungando i piedi sopra le ginocchia dell'amica.
"Ma se stavi pure a delirá!" -contesta, sfoggiando il suo romano arrugginito- "Dovevate vederlo: e Jacopo qui, e Jacopo lá."
Thomas scoppia a ridere, sporcando il pavimento di coca cola, ed Ethan alza gli occhi al cielo di fronte al disordine del salotto. Il tavolo -da poco battezzato- è pieno di briciole e bicchieri sporchi, cartacce di panini del fast food e cartoni di pizza, il pavimento un tripudio di polvere, i divani angolati asimmetricamente in modo che possiamo guardarci negli occhi.
"A principì, per chiamá quella testaccia de tu fratello mentre stavi co 'na ragazza, dovevi sta popo male.."
Roteo le pupille, sorridendo di sbieco mentre il lupo cerca sollievo in una conversazione con Elena.
"A Damiá, stai a invecchiá." -scherza Thomas, spostando la frangia con il dorso dell'indice- "Nun sei più bono a fa 'a rockstar."
"Prima quanno hai preso 'n Do de petto, pensavo che te esplodeva 'n polmone." aggiunge Victoria, stringendo gli occhi in un sorriso bello come la sua bocca schiusa quando dorme.
Tiro un buffetto a Thomas, che mi si divincola contro come una piovra, e mostro a Vic una linguaccia demoniaca che arriccia i baffi tipo un cartoon di Tim Burton.
"Madò quanto state cattivi.." -faccio strabordare un labbro- "Lupè, m'aiuti tu?"
Ethan distoglie lo sguardo sereno dallo schermo, strizzando i bulbi fino a far spuntare delle rughe ai loro lati.
"Mi hai lasciato a marcire sul pianerottolo per venti minuti e dovrei aiutarti?"
La testa di Bea scatta verso Ethan: sento i suoi pensieri che urlano vaffanculo dolci come una carezza alle spine di una rosa.
"Ch'hai combinato adesso?" mi chiede Vic.
Inghiotto l'ultimo sputo di saliva e guardo Bea, chiedendole un consenso che io non necessito: non ho mai avuto filtri, perché dovrei nascondere un po' di ti amo e pelle nuda?
"Stavate a consumá?"
Le guance di Beatrice si impregnano di porpora e sorrido quasi colpevole quando nasconde il viso dietro la schiena di Victoria, che trattiene le risa solo per non fare un ulteriore torto all'amica.
Dio, le donne più belle der monno sprecate su 'n divano consumato.
"Thomas!" -lo sgrido con un pugno sulla spalla- "Tappate que'a fogna!"
"Scusate.. non pensavo fosse un problema parlarne."
Fa i suoi occhi da cucciolo orfano e Bea si lascia sciogliere, accoccolandosi contro la spalla di Vic, che le pettina i capelli arruffati.
"Scusalo." le mimo con la lingua muta, stirando le gambe indolenzite dalla febbre e dal sesso.
Le cambia lo sguardo, come quello di un leoncino affamato di fronte ad una gazzella compagna di giochi.
"Vi consiglio almeno di pulire il tavolo.. Per bene."
Tratteniamo una risata rumorosa, mentre Ethan non si fa problemi a sbarrare gli occhi, Thomas a spalancare la bocca e Vic a mostrare disgusto.
"Ragá! Ma sur tavolo? Sul serio?"
"E lasciali fá, Vittò.. Almeno loro che possono."
"Perché Tommá," -commento malizioso- "Giulia non te fa sperimentá quarche volta?"
Lui, per sfida, mi tira una ciocca di capelli e io lo allungo sul divano, tenendolo fermo per le spalle. Cerca di ritornare dritto, dritto come lo spillo che mi ricorda ogni volta che mi cammina di fianco, ma io lo incollo per bene alla stoffa sgualcita, divertito dalla sua impazienza.
"E lascialo perde, principì. N'o vedi che lo stai a spezzá?"
Ethan alza per un attimo gli occhi, rimmergendosi nel mondo confortevole che gli fa disprezzare la quotidianità stupida che ci circonda.
"Dem, su, lascialo."
Perché quanno m'o chiede lei, non so dì de no?
Thomas sistema il colletto della Polo e il ciuffo laccato che i cuscini hanno scompigliato: che damerino.
"Te devi da iscrive in palestra, Tommá."
"Vedi de fa poco er galletto, principì, che co sta panza che t'è cresciuta me sembri mi padre."
Bea morde la bocca per frenare una risata, invece Vic fa un occhiolino a Thomas, che torna a raddrizzare le spalle.
"L'ho sempre detto che voi due insieme non me piacete."
"Io?" -si indica indignata Bea- "E adesso che ho fatto?"
Lego i capelli come mi ha insegnato Jacopo, con il codino a metà altezza, e stendo i polpacci sopra Thomas, che accetta senza protestare.
"Partecipazione passiva."
Bea apre la bocca per rispondermi per le rime, finché il cellulare di Victoria risuona nel frazionario silenzio della stanza: anche Ethan solleva per un attimo la mira.
"Oh, cazzo." -sussurra all'aria, dilatando le narici e allargando il petto- "Cazzo cazzo cazzo."
"Cosa succede?" chiede Ethan allarmato, bloccando lo schermo del telefono.
Bea stira il collo per vederci meglio e la sua faccia si tramuta in una maschera bianca, una tela statuaria invisibile alle emozioni, estranea al tradimento di un pensiero.
Thomas scatta verso Vic, lasciandomi sul posto con un movimento talmente fulmineo da spingere il mio cervello verso la paura: come una bicicletta senza freni, posso solo pedalare in direzione dell'inevitabile.
"Regá, e su! Me volete dì che c'è?"
Victoria -per la primissima volta da quando ha letto il messaggio- porta gli occhi su di me: hanno una strana patina riflettente, quasi siano lucidi.
"Un tour. Ci hanno offerto un tour."
"Un che?!" esplodo, ghermendo i braccioli del sofá.
"Un tour? E dove?" domanda più lucidamente Ethan.
"Danimarca."
Vic ha la bocca chiusa: è stata Bea.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro