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15. (Damiano)

"Raga, raga.." -ci interrompe Thomas- "Na pausa, ve prego."

Stacco il microfono dall'asta e lo poggio sul letto di Vic, mentre Ethan ferma il rimbombo del cajon con una mano.

"Vado a prenne 'na bottiglia d'acqua, qualcuno ne vuole 'n po'?"

Ethan alza la mano e Victoria trascina i piedi a terra fino alla cucina, sbuffando in direzione di Thomas, che osserva i miei pantaloni vibrare modellandosi i capelli.

Precisina: La mia rockstar è ancora impegnata? (:
Dem: emo appena finito d'arrangiá n pezzo..
Precisina: Non tenere la tua fan numero 1 sulle spine!!
Dem: Sorpresa :p
Precisina: Uff.. avevo voglia di vederti oggi..
Dem: Te manca giá r letto mio? C'ho la schiena ancò graffiata, meglio s'aspettamo
Precisina: idiota
Precisina: Dio, pensi sempre a quello..
Dem: Perché tu no?
Precisina: un po'..

Sorrido allo schermo e leggo di sfuggita il suo ultimo messaggio prima che Thomas mi si avvicini.

Precisina: Se passo fra un'ora?

Mi stringe la spalla con le sue dita lunghe e mi fa segno di sedere sul letto: ha la bocca sottile e le orecchie rosse.

"Che c'è?"

"Dovemo parlá."

"Va bene." -accavallo le gambe- "Parlamo."

Thomas agita la testa e si toglie la chitarra di dosso, imbevuto fino all'osso di indecisione.

"Sei strano 'sti giorni, Ica. Stai.. stai co' 'a testa su 'e nuvole."

"C'ho i piedi per terra Thomas."

"Non è quello che intendevo." -precisa, mordendosi un'unghia- "Ce sembri sconnesso, quanno famo 'e prove non sei preciso come sempre."

Il cellulare mi dá una piccola scossa lungo la coscia e sono tentato dall'ignorare le impressioni infondate di Thomas, prima di venire colpito dal boomerang.

C'hai popo ragione, brutto fiodena.
C'ho artro p'a testa, o armeno c'ho artro all'infori de quello che ce dovrei avè: 'a musica, 'r testo, 'r basso de Vic e i piatti dell'indianino.

Gli do una pacca sulla schiena e Thomas impreca sottovoce, massaggiando la parte lesa.

"Me dispiace, Tom. Cercherò de facce attenzione."

Lui acconsente e carica di nuovo la chitarra in spalla, esibendo un mezzo sorriso.

"Lo dico per te, Ica. Victoria.." si blocca, spalancando gli occhi come se si sia reso conto di aver detto troppo.

"Victoria? Che c'ha Victoria?"

Mentre Thomas fugge via verso la cucina, fingendo di non aver sentito, Ethan mi guarda inebetito con gli occhi da licantropo e inclina la testa come fa un cane quando gli domandiamo più di quello che può intendere.

"Ne sai quarcosa Pocahontas?"

Ethan si guarda intorno, un ladro che deve sapere dove sono i padroni di casa: sente le voci di Thomas e Victoria lontane, così mi si siede accanto.

"Promettimi di non dirglielo."

"Dire cosa?"

"Che te l'ho detto."

Bacio le dita incrociate e Ethan mi guarda come se non sappia cosa voglia dire.

"Vic.. è un po' giù di morale. Le manchi, David."

Ethan e il suo amore per l'arte: preferisce credere che David sia il mio nome.

È più poetico, dice.

"Se vedemo ogni giorno, Jacob. Non è umanamente possibbile che le manchi."

Lui sospira e alza un indice, che riabbassa quando capisce che è inutile fare il filosofo.

"Non in quel senso."

"N'te immischiá, Ethan. N't'o consiglio." rispondo, con un tono più dispiaciuto che ammonitorio.

Voglio davvero che resti fuori da tutto questo, voglio che chiunque se ne stia alla larga, perché io e Vic siamo deodorante e fiamma ossidrica. Innocui, se presi da soli; ti incendiamo casa quando siamo assieme.

"Non voglio immischiarmi e lo sai bene anche tu." -mi dice con le sue labbra sottili- "Ma questa.. questa cosa non fa bene al gruppo."

"Perché nun parli co Vic, allora? Non sono io a creá probblemi."

Ethan pensa di rispondermi per le rime, quando il cellulare inizia a vibrarmi incontrollato contro i pantaloni attillati.

Ottimo tempismo, Beatrì.

"Rispondi pure."

"Non devo risponde pe'fforza."

Ci guardiamo come due cowboy con le dita nel fodero della pistola, le gambe molleggianti e la fronte corrugata, poi Ethan rotea gli occhi e lancia le sue armi a terra, capendo quanto sia stupido parlarsi in silenzio.

"Anche se da batterista non mi interessa cosa fai quando non tieni in mano il microfono, da amico, mi sta bene che frequenti altre ragazze, David. Sono felice che ti piaccia questa Beatrice. È simpatica, bella, intelligente.. coniuga i congiuntivi meglio di te." -confessa, riuscendo come sempre a non essere simpatico- "Penso che forse ti migliorerá, o forse ti sta giá migliorando."

"Non si tratta di Bea, Ethan."

"Lasciami finire." -mi prega, guardandosi intorno per paura che arrivi Vic- "Puoi portarla qui quando vuoi e non mi importerebbe. Può venire in studio, può uscire con noi, può portare i suoi amici. Ma quando interferisce nelle prove e fa star male Vic, non riesco ad essere felice, David. Sono egoista e non ci riesco."

La palpebra destra gli trema impercettibilmente e io capisco che è nervoso: Ethan non è mai nervoso, a patto che fiuti una lite. Pensare che abbia paura di me, che faccia scenate, o mi arrabbi fino a tirare su un polverone, ha lo stesso effetto di una secchiata d'acqua.

"Nun me sento in dovere de giustificamme, Poca." -ammetto sincero, battendo una mano sulla sua spalla- "Ma se sta cosa è 'n probblema per tutto 'r gruppo, me tocca risolvella."

Ethan sorride riconoscente e non appena il cellulare squilla di nuovo, lo caccio veloce dalla tasca.

Precisina: due ore??
Precisina: Presumo che la pausa sia finita
Precisina: scrivimi quando puoi

"Ti piace proprio, eh?"

Guardo Ethan ridere compiaciuto e lo schiaffeggio sul petto, attento a non fargli male.

"Sta zitto, Jacob."

Mi osserva controllare l'orologio e si alza dal letto, ripulendo i jeans nuovi in una mossa abitudinaria.

"Va con lei."

"Come?"

"Dirò agli altri che ho mal di testa e preferisco finire domani." -si sistema una treccina allentata- "Sei stato ragionevole, io voglio esserlo con te."

"Grazie Indianino, ma devo da risolve 'a questione prima che diventi troppo granne."

Sentiamo le voci di Victoria e Thomas farsi più suadenti, mischiate in una risata, e Ethan cammina per la stanza con un fischiettio cercando di essere naturale.

"Deficiente, smettitela de fá 'r passerotto e mettite sopra quer cajon."

Ethan si siede nell'esatto momento in cui Victoria e Thomas entrano nella stanza: lei regge il solito vassoio pieno di dolci danesi e lui porta le bottiglie di birra sotto le ascelle. Guardo Victoria cercare il mio sguardo e quando si accorge che è già nel suo, sorride piano, senza volerlo dare a vedere.

"Mi dispiace." le sussurro, aiutandola a poggiare il cibo sulla scrivania.

Thomas ci spia da lontano, immerso in una conversazione finta con Ethan, e questo a Victoria non va giù.

"Non devi, m'ero solo illusa che potesse funzionà." ribatte nervosa.

Fa per andarsene, con due pezzi di torta sulle mani, ma la tengo ferma per il fianco, sapendo che è sempre stato il suo punto debole, sensibile.

"Nun fá così. Lo sai bene pure tu che semo sbagliati."

Victoria abbassa la testa sulla mia mano e subito la sento bruciare: il suo sguardo come laser tossico.

"Semo stati sbagliati, Dem. È vero, lo semo stati. Ma era più de 'n anno fa: tu n'c'avevi manc'a barba e io ero ancora vergine." -mi vomita addosso, colpendomi con i ricordi delle nostri notti insieme, delle litigate, delle sigarette spezzate nella tasca della giacca dopo essersi strattonati fino a farsi male- "Non è detto che semo destinati ad esse sbagliati per sempre."

Victoria è sempre stata gelosa. Non ho mai saputo perché e non lo so tutt'ora. Ho sempre avuto fortuna con le ragazze, ma con lei era diverso. Non mi importava d'essere guardato, di avere gli occhi addosso e il nome sulla lingua di tutte. Mi bastava cantare sopra il basso di Vic e mangiare i suoi dolci danesi, farmi accarezzare i capelli sul suo cuscino, con il petto nudo e il frinio delle cicale nelle orecchie.

Ma Victoria questo non lo capiva, forse non lo sapeva.

Non ci siamo mai parlati troppo, e poi io credevo che non fosse necessario sprecare le parole. Le parole possono essere fraintese, specie per due come noi che masticano la lingua della strada e a scuola ci vanno solo per fumare le sigarette nel sottoscala. I gesti, quelli sono inequivocabili.

Ma Victoria questo non lo capiva, sicuramente non lo sapeva.

Ed ecco le scenate, gli schiaffi, i pugni sulla schiena mentre me andavo via per non ferirla con la mia rabbia repressa. Ecco gli sputi e le bestemmie, gli sguardi assassini durante le prove e i dispetti, quelli bassi e infami che fanno male più di una coltellata sul polmone.

"Non voglio che ce facciamo del male, Vic." -le confesso, sistemandole i capelli dietro l'orecchio- "Adesso che tutto pare tranquillo, te vorresti rimette l'elmetto da guera?"

"R probblema vero è che sarei anche disposta a fallo, ma tu rischieresti la morte per lei, no pe'mme."

Se ne va via, siede sul letto e mangia in silenzio con le gambe accavallate.

Thomas butta l'idea di partecipare ad un contest cittadino che si terrà fra un mese, ma non sono sicuro di aver sentito bene: ho le orecchie otturate dall'acqua e lui mastica troppo mentre si spiega.

'rischieresti la morte per lei, non per me'

Ethan è entusiasta di farci conoscere, Thomas non ha niente da perdere: Damiano, il David di bronzo, o meglio di legno, sente come di aver giá perso qualcosa.

[...]

Pocahontas: So che era difficile e ci hai provato
Pocahontas: Ma potevi almeno evitare di peggiorare la situazione
Thomas: è intrattabile porca puttana

Silenzio il telefono e lo schiaccio sul tavolino del bar, facendo strabordare lo spritz dal bicchiere.

"Wo oh, che c'hai bello?"

Andrea fa un sorriso sghembo e succhia il suo boccale dal bordo scheggiato.

"I soliti cazzi."

La cameriera ci passa di fianco e mi solletica il ginocchio, così affondo il naso tra l'alcool, per zittire i ricordi che si susseguono confusi: Victoria che urla, Bea che mi graffia la schiena.

"Non te la pija, Ica! 'E donne fa tutte così.."

"Certe volte ce vorrei avè 'a saggezza tua, Andrè." -dico ironico- "Sempre 'n passo avanti."

Andrea mi tira un buffetto sulla nuca e io glielo restituisco sulla spalla, finendo per imbrattare il tavolino con un miscuglio di birra bionda e spritz.

"Guarda ch' hai fatto, cretino!"

"Ah io!" -si indica, con la fronte alta- "Ma se c'hai le movenze de 'n gorilla!"

Scoppio a ridere, poi il cellulare squilla in mezzo a quella risaia alcolica.

"Rockstar? Sei uscito?"

La sua voce mi calma subito e io prendo una boccata d'aria pulita, macchiata dal solo sorriso sornione di Andrea.

"Sì, sono ar bar con Andre."

"Chi è?" -mi chiede lui a bassa voce- "Quella nuova?"

Scuoto la mano all'aria e Andrea accende una sigaretta che puzza di canna.

"Faccio finta di conoscerlo." -risponde Bea, con una voce che odora di sesso sudato- "Sai, ho appena controllato il registro.. e ho deciso che sarai tu a giustificare il cinque in fisica a mio padre."

"Io?" -mi indico, trattenendo una risata compiaciuta- "Nun credo che sapere 'r motivo de quer cinque glie migliorerebbe la giornata."

"Mh, forse.." -la immagino mordersi il labbro con la pancia sul letto e le gambe all'aria- "Però devi ancora rimediare per aver rovinato la mia media impeccabile. Dici che riesci a passare da me?"

Deglutisco una saliva che si fa secca all'idea delle sue cosce magre e morbide e Andrea mi offre un tiro, che accetto per calmare la trepidazione.

"Devo portá i cerotti?"

"Dem! È una settimana che ti dico che mi dispiace!" piagnucola.

"Scherzo, scherzo.." -faccio un altro tiro- "Passo a prendere da mangiare?"

"No, no, cucino io."

Sorrido tra le gengive e Andrea si piega in due alla visione del suo amico emozionato.

"Va bene, sto lá fra mezz'ora."

"Perfetto.." -mormora, fallendo nel trattenere l'entusiasmo- "Ti aspetto."

Chiudo la chiamata e Andrea mi abbraccia con il fare brillo del post fumo, tirandomi contro il tavolino che si piega per metà.

"Ica s'è fatto 'a fidanzatina! C'è da festeggià!"

La cameriera passa di nuovo e io mi maledico quando non riesco a fermare un'altra ordinazione. Poi Andrea mi fa un occhiolino e un sorriso fraterno, passandomi il resto di quella sigaretta sporca e la tensione vola via insieme al fumo.

[...]

Vic <3: Me dispiace per oggi, cancella tutto quello che t'ho detto.

"Dem.. mi senti?"

Sollevo la fronte dal cellulare e Bea è lì a fissarmi allarmata, con una vecchia tuta larga e un mestolo in mano.

"Scusa, m'ero distratto."

"Ti ho chiesto quanta pasta vuoi."

Ascolto lo stomaco brontolare all'odore di aglio e peperoncino inzuppati nell'olio e Beatrice aggiunge altri spaghetti sulla pesa.

La guardo da dietro: alcuni capelli sfuggiti dallo chignon le cadono gentili sul collo, i pantaloni grigio chiaro le fasciano i fianchi e le caviglie sottili. Le mie orecchie si riempiono delle sue urla e la mia schiena riprende a pulsare come carne viva sotto l'ossigeno.

"Sei bella Beatrì." -mi sfugge di bocca, con i pantaloni che stringono sul cavallo- "Non sò 'r tipo da smancerie, ma credo de non avettelo mai detto abbastanza."

Gira il collo e mi sorride con le guance rosse, dello stesso colore dei suoi capelli illuminati dalla lampada di camera mia.

Potresti gareggiá pure co'a Gioconda, sua maestá de Michelangelo.

"Sei sicura che i tuoi non rientrano prima de mezzanotte?" le soffio in un orecchio, cingendole la vita.

"Così mi hanno detto."

Le bacio il collo e sento un brivido passarle per la spina dorsale.

Non importa quanto il mondo cerchi di snaturarmi, di farmi ricredere o incazzare. Non importa se Ethan sta male per Vic o se a Thomas interessi solo non avere grattacapi. Perché l'importante è trovare qualcuno con cui il mondo è capace di fermarsi, almeno per un momento. Come in quelle palle di vetro in cui cade la neve, lenta e assonnata. Stare con Bea è come dormire sotto la neve: fa freddo, ma fuori c'è il silenzio, e se trovi la persona giusta con cui scaldarti, riesci comunque a chiudere gli occhi.

"Sembra buono."

Allaccio le braccia attorno alla sua pancia e ficco il mento sulla sua spalla.

"Piano con i complimenti, risparmiali per quando lo assaggerai."

Respiro piano e penso che potrei davvero addormentarmi lì, sopra all'olio che frigge e l'acqua che bolle.

Beatrice si muove sotto di me, finchè sento la sua bocca timida sulla mia e ci sorrido contro. Le restituisco il bacio, sempre con gli occhi chiusi, pensando a quanto tutto questo sia strano. Perché da fuori, sembrerebbe che sia stato io a cambiarla, che sia stato io il motore attivo di tutta questa strana amicizia d'amore.

Che te dà che prima n'c'avevi?
Tu j'hai aperto l'occhi, e lei?
Che t'ha restituito per tutto quello ch'hai fatto?

Ed è questo il motivo. Bea non chiede niente e non dá niente. Quando agisco, è perché sono io a volerlo. E lo stesso accade per lei.

Non sono stato io a costringerla ad avere una brutta prima impressione di me, non sono stato io a puntarle un coltello alla gola affinché si ricredesse. Non sono stato io a spingerla con la forza a ballare in quel giardino umido e tutto per noi. Non é stato Damiano a farle il lavaggio del cervello perché lasciasse il ragazzo che da tre anni la lasciava senza fiato con un bacio. E soprattutto, non sono stato io a implorarla di dormire su quel letto sudato, tra le mie braccia fastidiosamente strette. Lei ha creduto in tutto quello che ha scelto di fare.

Ma poi, non é stata nemmeno lei a chiedermi di arrivare a provare qualcosa che somiglia alla paura della notte prima del matrimonio. Posso essere uno stronzo, posso bestemmiare, posso dedicarle canzoni e regalarle cento rose bianche, della stessa sfumatura della sua pelle. Sarei sempre io a volerlo, sarei sempre il David di Roma che Ethan ama, sarei me stesso.

Perciò, richiedetemelo.

Che cosa ti dá lei che prima non avevi?

La possibilitá di essere ciò che voglio senza dovermi ripetere, nascondere, capire. Cosa c'è più di questo che possa essere definito libertà?

Bea é la calma dopo una scazzottata, le carezze dopo il sesso e le sue cicatrici, la pace dopo la guerra. È tutto ciò che si avvicina all'amore, che lo sfiora, ci arriva, per un attimo, ma non lo completa. Perché io non sono capace di amare.
Ma questa é tutta un'altra storia.

"Beatrice?"

Una voce estranea colpisce la ragnatela di pensieri come un proiettile contro il vetro di un bar.

"Papá?!"

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