Capitolo XV
Era martedì pomeriggio, di giugno con l'esattezza, e Warren stava letteralmente morendo di caldo. Sarà che ormai non era più abituato a vivere senza la macchina e l'aria condizionata, stava di fatto che per lui prendere i mezzi pubblici e soprattutto aspettarli per infinite ore sotto al sole, sembrava essere un'impresa ai limiti dell'impossibile. Inoltre, quella mattina aveva anche avuto la malsana idea di indossare una camicia bianca poiché avrebbe dovuto tener parte ad un'importante riunione nel pomeriggio, che adesso era completamente alzata lungo le braccia. Aveva persino lasciato uno dei bottoni vicino al collo aperto, nonostante dal suo punto di vista fosse un po' di cattivo gusto.
In sintesi, era una giornata di merda e il suo unico desiderio era quello di andare a casa il prima possibile, farsi una doccia gelida e stendersi a letto a dormire fino al giorno dopo.
Emozionante per un ventiquattrenne. Chissà che fine avrebbe fatto a cinquant'anni, sempre se ci sarebbe arrivato.
«Warren?»
Era completamente immerso nei suoi pensieri quando udì una voce chiamarlo che inizialmente non aveva collegato a nessuno di noto. Alzò gli occhi, spostandoli dal cellulare e da Instagram. Capì subito chi era quella figura femminile.
«Ciao, Anne» salutò.
E che bella visione. La migliore amica di sua sorella era indubbiamente una delle ragazze più belle che lui avesse mai visto nella sua vita. Alta, magra, bionda, occhi azzurri, culo e tette. Era la classica ragazza che persino con quaranta gradi era perfetta, senza un filo di sudore. E poi era sempre curata e sicura di sé: quel giorno indossava un jeans molto aderente a vita alta, una camicetta rosa antico e dei sandali col tacco, che le alzavano ancora di più il sedere perfetto e rotondo.
«Come mai anche tu da queste parti? Non ti ho mai visto qui, eppure prendo il pullman ogni giorno».
Anne sorrideva tantissimo, ed era anche ovvio, considerando i bei denti e le labbra che aveva, colorate di un rossetto dai toni neutri.
«Ci lavoro» rispose. «La macchina è dal meccanico».
Si pentì immediatamente di averlo detto. Magari adesso Anne si convinceva di poter ricevere un passaggio per i soldi a venire e lui non ne aveva la minima voglia.
«È andata bene la giornata?»
Evidentemente la fronte sudata e l'aspetto trasandato non sembravano essere una risposta sufficiente per lei.
«Sì,» disse di rimando. «A te?»
«Tutto bene, grazie».
Warren catalogò quella conversazione come una delle più noiose della sua vita ed erano appena a quota tre frasi di senso compiuto. Il problema in realtà non era nemmeno Anne, ma proprio il fatto che lui quel giorno non avesse alcuna voglia di comunicare.
Aveva ancora il telefono in mano quando una notifica illuminò lo schermo.
Da: Amèlie
«Domani escono i risultati dell'esame».
Sorrise di rimando. Sapeva quanto lei fosse in ansia per quel voto, nonostante non le avrebbe minimamente cambiato la vita. Lui nemmeno ricordava il suo risultato, l'aveva completamente rimosso dalla sua memoria.
«Sai, Mike e tua sorella vanno molto d'accordo» parlò ancora Anne. «Sono carini insieme».
Carini.
Ren aveva molto da ridire su quest'ultima espressione. Però incredibilmente quella conversazione sembrava aver assunto una piega interessante. Purtroppo, nonostante avesse provato più volte a chiedere a Margot informazioni, lei non gliene voleva dare, e Amèlie sembrava non nominare praticamente mai quel suo nuovo amico in sua presenza. Di conseguenza, Anne sembrò rilevarsi un'ottima fonte di informazioni.
«Sì, sembrano amici».
«O qualcosina in più» rise la bionda, portandosi una ciocca dietro l'orecchio con fare complice.
Col cazzo.
Già solo che si ipotizzasse in giro una cosa del genere gli faceva ribollire il sangue nelle vene. E poi Amèlie aveva ribadito più volte che Mike era un amico.
Ma quel bacio sulla guancia...
«Tu che ne pensi? Li vedresti bene insieme?» chiese ancora lei.
«Per niente».
Si pentì immediatamente di quanto aveva detto e del tono usato, freddo e categorico. Non aveva lasciato alcun dubbio, era palese non li volesse vedere vicini. Anne stava facendo il passo più lungo della gamba e aveva trovato come primo argomento di conversazione per attirare la sua attenzione, il peggiore possibile.
Lei restò un attimo perplessa, per poi ricomporsi.
«Ci sta un po' di gelosia tra fratelli, posso capirti, anche io sono la maggiore».
Warren dubitava vivamente che lei lo comprendesse. Lui desiderava toccare, baciare, sentire Amèlie, essere tutt'uno con lei, con la mente e col corpo. Non era minimante paragonabile ad un rapporto fraterno e lui lo sapeva bene. Con lei provava un istinto di protezione, un bisogno di starle accanto che andava oltre. Era un sentimento forte, doloroso a volte, estenuante. Stava di fatto che se al posto di Anne ci fosse stata Amèlie a costringerlo a parlare sotto al sole caldo, dopo otto ore di lavoro, avrebbe fatto i salti di gioia e non avrebbe contato persino i secondi all'arrivo del pullman.
Il problema era che se Amèlie non fosse mai esistita, forse, Ren avrebbe notato Anne e ne sarebbe rimasto affascinato, così come le altre decine di ragazze che negli anni ci avevano provato con lui. Sapeva di essere un bel ragazzo, sapeva che in mezzo alla strada attirava diversi sguardi, eppure erano tutte le altre a non attirare lui. Era come se vivesse da sempre in una bolla di essenza di Amèlie.
Riprese il cellulare in mano: non riusciva a non risponderle o non sentirla per troppo tempo.
Da: Warren
«Domani festeggiamo insieme».
Per nessun altro lui si sarebbe impegnato ad organizzare anche una semplice uscita, ma per Amèlie avrebbe mosso il mondo pur di renderla felice.
Fu per questo che decise che, nonostante il caldo, nonostante la camicia appiccicata addosso, nonostante le sue condizioni indecenti e la stanchezza, Amèlie meritasse un bel regalo. Del resto, Ren era sicuro che avrebbe preso il massimo dei voti.
«Scusami, Anne, ma devo andare» pronunciò quelle parole, mentre riponeva il cellulare in tasca e si staccava dal muretto su cui era appoggiato da quasi venti minuti.
«Ma passa tra poco l'autobus!»
«Devo fare una cosa. Ci si vede».
Warren se ne andò e nemmeno la degnò di uno sguardo.
Warren era un attento osservatore, persino quando alle otto di mattina si dirigeva al lavoro, per questo motivo conosceva a memoria tutti i negozi del proprio tragitto. In particolar modo quel giorno, la sua destinazione era una gioielleria molto piccola, ma talmente luminosa che era in grado di attirare l'attenzione persino durante le lunghe e soleggiate giornate estive.
Non appena mise piede nel negozio, l'acchiappasogni al di sopra della porta fece oscillare i campanellini, segno che un nuovo cliente era entrato nel negozio.
Solitamente non era mai andato da solo a fare un regalo ad Amèlie, ma l'accompagnava la madre. Era la prima volta che metteva piede in un posto del genere e di primo impatto si sentì spaesato, circondato da tutti quei gioielli d'oro e d'argento, disposti in perfetto ordine e messi in risalto dai faretti. Vi erano vetrine su vetrine, anelli bellissimi, collane e orecchini sfarzosi, che però poco si adattavano allo stile di Amèlie, semplice e delicato.
«Salve, cerca qualcosa in particolare?» intervenne una commessa sulla quarantina.
«Sì, vorrei fare un regalo. Vorrei un braccialetto».
Amèlie indossava già una collana ogni giorno, regalata dalla sua famiglia anni prima. Era d'oro bianco, con una pietra color ceruleo ad attirare l'attenzione. Per questo Warren aveva deciso per il bracciale: i polsi di Amèlie erano vuoti e desiderava che portasse soltanto lui addosso, senza doverlo confondere con qualcun altro. Doveva essere una presenza costante, non qualcosa che avrebbe messo a giorni alterni, in poche occasioni, ma sempre.
«È per la sua ragazza? Quanti anni ha?»
Mille domande a cui lui odiava dare risposta.
No. Diciassette.
«Sì, ne ha ventidue» mentì invece. Ma non importava. Ormai ci era abituato, erano anni che mentiva e camuffava i suoi sentimenti agli occhi del mondo e una persona in più o in meno non faceva differenza.
La commessa gli mostrò diversi bracciali, di grandi e piccole dimensioni, ingombranti o sottili. D'oro giallo, d'oro bianco, d'argento. Gli mostrò una miriade di pietre preziose, ma nessuno sembrava rappresentare Amèlie. O, più precisamente, nessuno riusciva davvero a renderle giustizia.
Impiegò molto tempo a decidere cosa prenderle, tanto che ebbe paura di reticenze da parte della povera commessa. Amèlie era una ragazza semplice, pacata, non amava gli sfarzi, ma prediligeva la delicatezza. Quando Ren vide quel braccialetto, non ebbe dubbi fosse perfetto per lei: la catenina era sottile, ma resistente, in oro bianco e lucido. Il ciondolo era legato al filo, un bellissimo punto luce che le avrebbe illuminato il polso sottile.
Non appena l'aveva visto, già l'aveva immaginato sul corpo di lei e non vi era altro modo di definire quell'unione come perfetta. Non vi era bracciale migliore che potesse definire Amèlie.
Un'altra cosa che aveva amato di quel gioiello era stata la minuscola targhetta accanto alla chiusura. Era minuscola, caratteristica.
«È possibile incidervi un nome?» domandò alla commessa, mentre lei con maestria, eleganza ed attenzione ai dettagli preparava la scatolina blu e bianca. Lei guardò dubbiosa la piccolissima targhetta.
«Si potrebbe fare, ma ci entrano poche lettere».
«"Ren" va bene?»
«Sì, certo».
Quando uscì dal negozio, fu felice di avere quel pacchettino tra le mani. L'aveva fatto con amore, quel regalo, e sapeva che Amèlie l'avrebbe apprezzato tantissimo. Si sentì bene, carico di aspettative per il giorno successivo. Persino quando controllò il cellulare in tasca, notando che ormai erano le sette e mezza passate di resa e gli innumerevoli messaggi di sua madre asfissianti, non si sentì attaccato. Era sereno come non mai.
Warren aveva sempre visto i regali come un obbligo sociale. Ma non quella volta.
Ebbe finalmente la consapevolezza che adesso un pezzo di lui sarebbe stato per sempre sul polso di lei.
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