Capitolo X
I giorni passarono e tutto tornò alla normalità, eccezion fatta per i suoi ritmi di studio. Amèlie aveva passato già gli scritti col massimo dei voti, fiera di sé stessa, e quella mattina le toccava soltanto completare l'orale. Warren diceva che era soltanto una ridicola formalità e non c'era alcun bisogno di essere così in ansia, ma lei non era assolutamente d'accordo con lui. Il più grande aveva quindi deciso di non ribattere, consapevole dello stato nervoso dell'altra.
Ren, quel giorno, era più gentile del solito: aveva persino preso un giorno di ferie dal lavoro pur di accompagnarla lui stesso alla sede della scuola a lei assegnata ed aveva aspettato diligentemente in macchina come gli era stato raccomandato.
"Non voglio che mi senti, mi imbarazza!", aveva esclamato Amèlie alla sua richiesta di vederla in un giorno così importante, ma aveva desistito presto, consapevole dei complessi mentali che risiedevano nella sua mente.
Così era andato tutto per il verso giusto: lui aveva atteso ben 3 ore e mezza in macchina con Spotify accesso, aveva visto una partita di NBA, aveva pensato ad Amèlie, aveva riflettuto su come svolgere successivi progetti lavorativi ed aveva scelto ben altri 4 album musicali, di artisti diversi, prima che la figura di lei si facesse viva, con un sorriso smagliante in volto ed un'aria più leggera, che quasi avevano reso più sensate quelle ore di attesa.
«Mi hanno fatto i complimenti!» esclamò, non appena prese posto dal lato del passeggero. Era al settimo cielo e un sorriso spontaneo comparve persino sul volto di Warren. Sentì immediatamente le braccia di Amèlie avvolgerlo intorno al collo. Si era praticamente buttata su di lui talmente era felice, e lui di certo non l'avrebbe spostata. L'abbraccio durò giusto il tempo di captare il meraviglioso profumo dei suoi capelli. «E tu hai aspettato qui senza lamentarti per quasi quattro ore. Non so cosa mi renda più felice».
A me, tu.
Fu quello il primo pensiero di Warren, ma non lo avrebbe mai pronunciato ad alta voce.
«Sei quasi diventata grande» disse invece.
«Sono grande».
«Certo» la prese in giro. «Andiamo a mangiare qualcosa».
Nemmeno il tempo di acconsentire, che Warren mise in moto. La scuola che le era stata assegnata si trovava in una zona piuttosto periferica, così che il traffico era assolutamente inesistente. Amèlie accese la radio e partì uno dei classici tormentoni estivi che l'altro tanto odiava.
Ren cambiò immediatamente frequenza, costringendo Amèlie a voltare lo sguardo dai paesaggi cittadini del finestrino, sulla figura al suo fianco.
Warren, mentre guidava, era davvero bello. Amèlie si ritrovava a pensarlo ogni volta: aveva una presa sul volante sicura e leggera, quasi fosse il prolungamento delle sue braccia. Il cambio marcia, a differenza di sua sorella Margot, sembrava naturale e perfetto e non produceva nessun fastidioso suono. E poi aveva delle braccia belle, dalla pelle diafana risaltata dalle vene in evidenza.
«Perché mi stai guardando?»
Il volto di Ren, al pronunciare quella domanda, istintivamente si voltò verso di lei, per poi riprendere la guida, ed Amèlie fu abbagliata ancora una volta da quei due pozzi verdi. In molti libri che aveva letto aveva trovato descrizioni di occhi fantastici, occhi che si potevano soltanto immaginare, ma quelli di lui non potevano nemmeno essere paragonati a quelle storie prive di significato: lo sguardo di Ren era vivo, a volte freddo e a volte così accogliente che ti ci legavi inevitabilmente. In quello sguardo, potevi leggervi tutto, se avevi imparato a conoscerlo.
Gli occhi di Warren erano ben più di cinque righe di descrizione ultraterrena.
E a completare il tutto vi era la pelle chiara, e i capelli corvini, gli unici che riuscivano a vincere la sua mania dell'ordine. Una meravigliosa battaglia persa.
«Sei bello».
Amèlie perse un battito quando sentii pronunciare quelle parole dalla sua stessa voce. Non voleva dirlo. Lo stava soltanto pensando, inconsciamente, e Warren non doveva sentirlo.
Era imbarazzata.
Ma Ren non la prese in giro. Non disse nulla, continuò a guidare come se non fosse successo assolutamente niente.
L'unica traccia di quella frase risiedeva sul sorriso soddisfatto che si era fatto largo sul volto del moro.
Ren odiava mangiare al McDonald's. Era soltanto roba unta e dal dubbio sapore, dove non si distinguevano nemmeno i singoli alimenti. La carne era molle e sembrava gomma pura, per non parlare dell'insalata all'interno di quei panini. E le patatine erano veramente tristi. Dal suo punto di vista un panino corposo, serio, in un pub vicino, sarebbe stato decisamente meglio.
Ma quello era il suo giorno, ed Amèlie adorava quel ridicolo fast-food. Così l'aveva accontentata, come era solito fare fin troppo spesso.
Ren ed Amèlie avevano deciso di comune accordo che quella giornata l'avrebbero passata completamente insieme e poiché era lei ad aver raggiunto un importante traguardo, avrebbe deciso cosa mettere sotto i denti.
Fu così che si ritrovarono in uno degli innumerevoli tavoli a mangiare, chi con più gusto, e chi con meno.
«Non comprendo i tuoi gusti» disse lui, risoluto.
«Forse sei tu a lamentarti di tutto, no?»
Amèlie era stupenda persino quando mangiava e aveva uno strano modo di farlo: prendeva una patatina – solo una per volta – e la immergeva nella salsa – tre volte, ma solo per metà. Poi, finalmente, la mangiava. Se ne prendeva due, posava l'altra. Se le immergeva solo per due volte, non andava bene. Se non erano sufficientemente bruciacchiate, le dava a Warren.
Sei bello.
Era questo che si era fatta sfuggire, in macchina. E lui non poteva esserne più felice.
D'istinto, allungò una gamba, così da fiorare quella di lei. Cercava il contatto fisico in quel momento e quel dannato tavolo che li teneva separati era di troppo. Fu liberatorio quando avvertì il tocco delle gambe di Amèlie. Era giusto.
Non posso provarci con lei.
Ritrasse la gamba, come scottato.
Ma vorrei tanto.
Stava per riavvicinarsi al suo corpo, quando il telefono di Amèlie, poggiato distrattamente sul tavolo, si illuminò, segno che le era arrivato un messaggio. D'istinto, come se fosse un bisogno ineliminabile, Ren si sporse per vedere chi le aveva scritto.
Mike.
«Cosa ti ha scritto?»
Non era riuscito a trattenersi dal chiederglielo. Amèlie lo fissò, spalancando i suoi grandi occhi nocciola, estremizzando quel leggero strabismo che l'altro conosceva alla perfezione. Ma in quel momento Warren non aveva la minima voglia di perdersi in lei, non gli interessava il suo aspetto. Voleva sapere che diamine le aveva scritto quel ragazzo sbucato dal nulla e quella stupida faceva finta – o forse no – di non comprendere dove volesse andare a parare.
«Chi?» domandò infatti questa.
«Strano, non hai notato il tuo telefono illuminarsi?» ribatté, con una freddezza che raramente usava con lei. «Sei per caso diventata cieca?»
Amèlie smise immediatamente di mangiare. Posò la patatina che stava avvicinando alla bocca nel vassoio dinanzi a lei. Poi guardò il telefono, sbloccando lo schermo ormai spento, e lesse il messaggio che le era stato inviato da quello.
E sorrise.
Amèlie sorrise alle parole scritte.
La mente e il corpo di Warren si bloccarono, definitivamente. Il cuore perse un battito. Era lieve, ma aveva notato le sue labbra curvarsi, per poi tornare serie appena posò gli occhi su di lui.
Sentì il cuore frantumarsi in mille mezzi.
Non si era mai sentito così lontano da lei, nonostante fossero ad appena poche decine di centimetri di distanza. Il sorriso che lui tanto amava, che desiderava farle spuntare ogni secondo della sua vita, era stato fatto emergere da qualcun altro, qualcuno che lei a stento conosceva, ma che evidentemente aveva preso il suo posto – e molto più – in un battito di ciglia.
Ren sapeva che non aveva speranze di essere ricambiato. L'aveva sempre saputo, era una consapevolezza che si portava dentro sin dal loro primo incontro.
Ma mai avrebbe immaginato che un altro, così presto, prendesse il posto che era destinato a lui nel suo cuore.
Fu straziante quel sorriso.
Avrebbe voluto urlare, esternare il suo fastidio e il suo dolore. Avrebbe voluto prendere il cellulare e scaraventarlo contro quelle pareti. Avrebbe voluto non aver mai litigato giorni con lei per suo puro narcisismo, così che lei non avesse mai potuto incontrare l'altro.
«Cosa ti ha chiesto?» ripeté, ma le parole furono atone, prive di inclinazione.
Sono masochista.
Amèlie sembrò notare il suo stato d'animo, così ponderò le parole. Aveva capito che il problema fosse Mike, solo che non capiva il perché.
«Se volevamo incontrarci...» mormorò, incerta.
Lo odio.
«Quando?»
Non rispondermi.
«Tra un'oretta, al parco vicino casa».
Fu una conversazione strana. Il clima tra loro era gelido, le parole soppesate, soprattutto da parte di Amèlie. Warren si limitava a recepire le informazioni, a immagazzinarle, a soddisfare il suo bisogno incontrollabile di farsi del male. Avrebbe passato la notte insonne a crogiolarsi, a piangere in silenzio lacrime amare del suo fallimento.
«Ci andrai?»
Amèlie tremò a quella domanda. Il braccio iniziò a pizzicarle per il freddo. Aveva la pelle d'oca.
Non andarci.
«Non lo so» rispose. «Tu vuoi che ci vada?»
No.
Se ne era accorta che c'era qualcosa che non andava.
«Non sono io a doverti dire cosa fare nella vita» disse invece Ren. Si alzò, posò le carte unte nei due vassoi. A dire il vero, non aspettò nemmeno che Amèlie finisse di mangiare, e buttò l'intero contenuto nemmeno terminato nei cestini appositi. Poi si riavvicinò a lei, mentre in mano già aveva a disposizione le chiavi nella macchina da inserire nella portiera. I suoi movimenti erano rapidi e confusionari, cosa che Warren non era mai stato. La esortò ad andarsene presto da lì. Poi continuò: «Sei fin troppo grande per prendere le tue decisioni».
E quella frase, apparentemente senza alcun motivo logico, fece sentire Amèlie incredibilmente in colpa.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro