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Capitolo VIII

Ovviamente il loro rapporto non tornò come prima. Tutt'altro. In casa Taylor era ormai evidente la tensione che c'era tra il figlio maggiore ed Amèlie, ma non osavano intromettersi più del dovuto a causa delle risposte secche e per niente esaustive da ambo le parti.

La vita di Amèlie riprese la sua routine, tra lezioni private la mattina e pomeriggi interi passati a studiare ed esercitarsi per l'ormai prossimo esame di stato. L'unica nota positiva era che finalmente aveva deciso che studi universitari intraprendere: matematica, da sempre la sua materia preferita, sicura che quella sarebbe stata la strada corretta da seguire.

Farò la ricercatrice.

Del resto, per una come Amèlie che aveva avuto ben pochi contatti col resto del mondo, perennemente chiusa in se stessa, prendere una decisione definitiva le costava più di quanto potesse ammettere, e quel piccolo traguardo la rendeva seriamente fiera.

L'indecisione, però, c'era stata: lettere moderne la attirava come non mai. Aveva una passione per la letteratura, trasmessa da Nellie sin dalla tenera età, sin da quando aveva finalmente imparato a leggere, con quel fastidioso ritardo rispetto a tutti gli altri suoi coetanei, ma poi non si era mai più allontanata da un libro per periodi di tempi sostanziosi.

Ma non sapeva scrivere, doveva ammetterlo. Non era una di quelle persone sognatrici che ricercavano la parola più bella, più altisonante, più giusta, tutt'altro: era una persona diretta, pragmatica e razionale, che si limitava ad esprimere il concetto in forma bruta più che in forma lirica.

Amèlie si trovava sul terrazzino, sul tavolo che ultimamente utilizzavano anche per mangiare a pranzo all'aperto. Avrebbe sul serio voluto ignorarlo, far finta che non ci fosse, ma la presenza di Warren si faceva sentire forte e chiara, steso sull'amaca che solo pochi giorni prima avevano condiviso, l'una sull'altro, vicini come non mai.

Lui la fissava insistentemente. Era difficile per Amèlie ignorare i suoi sguardi, tanto che ne era stata abituata per gran parte della sua vita. Era difficile svolgere un problema di fisica, trovarsi con la soluzione e non esultare andando dritta da Ren, rimarcando il suo piccolo successo giornaliero. Invece adesso semplicemente faceva un sorrisetto, da sola, nascosta dai suoi occhi, per poi riprendere con il successivo.

E Warren continuava a guardarla, con gli occhi disperati di chi vorrebbe tanto lei si avvicinasse a lui, lo abbracciasse, dimenticasse quella ridicola discussione e con la fervida speranza che tutto tornasse come era prima. Si sentiva anche ridicolo a stendersi ogni volta su quell'amaca per poterla guardare da lontano, e mettersi decentrato, un po' più a destra, solo per lasciarle spazio, nel caso lei avesse deciso di stendersi accanto a lui.

Aveva atteso quasi una settimana che lei si riavvicinasse, ma ciò non era avvenuto. In quell'ultimo periodo la concentrazione di Ren era messa a dura prova e la causa era proprio lì, dinanzi a lui.

Amèlie svolgeva i suoi esercizi, i suoi compiti diligentemente. Sembrava essere diventata una perfetta studentessa modello e gli sarebbe anche andato bene se soltanto ogni dieci minuti o meno, lei non si distraesse per prendere in mano il cellulare, e scrivere. Vedeva distintamente le dita della mano affusolata e liscia di Amèlie premere sullo schermo. Ogni tanto, persino, sorrideva.

Stava messaggiando con qualcuno.

Ma Amèlie non aveva amici e reputava altamente improbabile potesse scriversi con Margot, nell'altra stanza, a pochi metri di distanza.

Non è Margot. Chi è?

Qualcuno conosciuto online? Qualcuno più grande, forse? Era sicuro? Erano quelle le milioni di domande che perennemente si facevano largo nella sua mente ed ognuna gli sembrava un'idea pessima.

Quanto desiderava non aver mai litigato con lei e starle accanto e leggere quei maledetti messaggi. Si sarebbe accontentato anche soltanto del nome, per indagare.

Doveva sapere.

Warren conosceva Amèlie da dodici anni. Sapeva tutto di lei, sapeva anche come corromperla e fare pace, come indurla da lui. Sapeva che lei aveva un buon cuore e non riusciva a portare rancore a qualcuno per più di pochi giorni. Probabilmente, l'irritazione per quanto visto dai Colton le era passata da giorni, ma non avrebbe mai fatto lei un passo verso di lui e lui, per orgoglio, non avrebbe mai fatto un passo verso di lei. E quest'ultima affermazione era reale, veritiera, peccato che dopo una settimana Warren non riusciva più a resistere dallo starle accanto: era diventata una tortura e pur di vederla più da vicino, pur di sentire bene la sua voce, per quella settimana aveva deciso di cenare sempre con la sua famiglia. Né sua madre, né suo padre erano ovviamente a conoscenza del motivo della loro lite ed Amèlie sembrava proprio non avere intenzione di parlargliene. Quindi Ren si sedeva al suo solito posto tranquillamente, accanto ad Amèlie, e ogni tanto le sfiorava la gamba con la sua, per sbaglio, un gesto assolutamente casuale e per nulla premeditato, forse.

Lui era la persona più orgogliosa che conoscesse, eppure non resistette.

Ren si alzò dall'amaca e si diresse a passo fintamente calmo in casa, nella sua stanza. E poi ritornò, le mani nascoste dietro la schiena, e si avvicinò al tavolo dove Amèlie, ormai completamente distratta dai movimenti dell'altro, fingeva di leggere il paragrafo, quando in realtà i suoi pensieri erano completamente altrove.

La mano di Ren, decisamente più grande e ruvida della sua, si posò vicinissima al suo corpo. Prese la copertina del libro e lo chiuse, accompagnando il movimento.

Le parole scomparvero, lasciando alla vista di Amèlie solo quella stupida copertina con Shakespeare disegnato in modo stilizzato sopra.

«Ti ho preso un regalo».

Amèlie non avrebbe voluto farlo, ma inevitabilmente alzò il volto, calamitata da quelle parole.

Si conoscevano da troppo tempo e troppo bene per non conoscere i punti debole dell'altro.

I suoi occhi grandi puntarono sul libro che tanto aveva desiderato, posto nelle mani di Warren: era Jane Eyre, di Charlotte Bronte, e anche nella sua edizione preferita.

Mi conosce troppo bene.

Lo prese dall'altra estremità: «Grazie, Warren» disse col tono più indifferente che conoscesse.

«Ren».

Amèlie fece finta di non averlo sentito, non volendo dare corda al suo tentativo di fare pace. Posò il libro davanti a lei, mentre riponeva l'essenziale e il materiale necessario ai suoi studi nel portapenne. Warren, dal suo canto, non accennava a spostarsi, imponendosi per forza di cose nella sua visuale. Stava persino per alzarsi quando lui la fermò.

«Parlami».

La risposta non tardò ad arrivare, così fredda e assente da spezzargli il cuore.

«Non ho niente da dirti».

«Abbiamo sempre qualcosa di cui parlare».

«Non oggi».

«Sempre, anche oggi».

Era difficile far cambiare idea ad uno come Warren. Se si puntava su qualcosa, allora lo avrebbe ottenuto con tutto se stesso. E lui, in quel momento, voleva Amèlie. Erano stati separati per troppo tempo e rischiavano sul serio di contaminare per sempre il loro splendido rapporto. Nemmeno lui, come lei, era un tipo ferrato in relazioni sociali, ma l'esperienza gli aveva insegnato che più tempo passava, più era difficile recuperare un contatto.

E lui avrebbe fatto di tutto pur di non perderla. Persino mettere da parte il proprio orgoglio e scurarsi per qualcosa che non esisteva, pur di farla tornare da lui.

Gli mancava.

Era come iniziare e terminare una giornata senza sentirsi completi e realizzati. Persino la promozione a lavoro era passata in secondo piano se non c'era Amèlie a congratularsi con lui. Ma Warren non aveva il coraggio di dirglielo, per paura dell'ennesimo rifiuto da parte di lei.

«Possiamo anche stare in silenzio» ribatté lui, in cerca di un vano appiglio. «Ma insieme. Possiamo guadare un film. Uno a caso, ad esempio Lilli e il vagabondo».

Amèlie, in quel momento, stava seriamente per urlargli contro. Odiava il fatto che sapesse tutto di lei, persino il suo ridicolo film di animazione preferito che lui non voleva mai guardare. Quel giorno, invece, glielo aveva persino proposto.

Avrebbe dovuto dire di no.

Avrebbe dovuto continuare ad ignorarlo e fargliela pagare per il suo atteggiamento.

Ma sapeva anche quanto sforzo avesse fatto a farle quella proposta infantile, che solo lei apprezzava.

«Però devi seguirlo». Si arrese. «Senza addormentarti o metterti al telefono».

Warren accennò un sorriso ed Amèlie si sciolse. Il cuore prese a batterle forte, insistentemente, e udì le farfalle nello stomaco. L'ansia crebbe, ma non era una sensazione negativa... era bello.

Lui prese il cellulare dalla tasca anteriore della tuta grigia, che usava per stare in casa, e lo posò sul tavolino del soggiorno. Erano entrambi ormai entrati in casa, e Amèlie imitò il suo gesto, nonostante lei non si sarebbe mai distratta con quello splendido film in riproduzione.

Si diressero in camera di Warren, la più piccola della casa, ma per Amèlie sarebbe sempre stata la più accogliente: era molto semplice, sui toni dell'azzurro e del verde, il legno era betulla. Ren accese la televisione collegandovi il computer e rapidamente inserì il DVD del film, graffiato e consumato a causa dei molti utilizzi nel corso degli anni.

Amèlie si sedette sul letto, un po' a disagio: era troppo tempo che non stavano vicini ed aveva il timore che l'altro si mettesse distante da lei, e non vicino come al suo solito.

Ren chiuse le tapparelle e la stanza fu avvolta da una piacevole oscurità. Il film partì.

E lui si avvicinò a lei.

Ancora in piedi, posò il ginocchio tra le sue gambe leggermente divaricate, e poi la spinse giù sul letto, dove la schiena atterrò sul morbido materasso. Su di lei, il corpo caldo di Ren, intorno a lei, le sue braccia, strette in una morsa così forte da farle quasi male.

Amèlie su sentì così bene come non lo era mai stata da giorni, che quella frase le uscì del tutto spontanea.

«Mi sei mancato».

«Anche tu. Tanto».

A discapito di quanto aveva detto Amèlie, si addormentarono presto entrambi, con Ren che era stretto al suo corpo e le mani esili di Amèlie tra i folti capelli neri del ragazzo che – ancora non aveva realizzato a pieno – le faceva battere il cuore.

Se ci sono errori, fatemeli notare, così correggo! A presto

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