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Capitolo VI

«Amèlie, cosa diamine ti è venuto in mente?!»

La ragazza aveva sperato che quella ramanzina l'avrebbe accolta almeno appena avesse messo piede in casa, ma si sbagliava. Nellie pensò bene di anticipare la cosa all'esatto momento in cui si avvicinarono alla propria macchina per tornare finalmente a casa, dopo aver salutato quei gentili ospitanti.

Adesso anche lei poteva affermare di odiare i Colton.

«Ti rendi conto di quanto sei risultata maleducata? Non è questo che io e Nellie ti abbiamo insegnato. Dean Colton è il mio capo, colui che mi dà lo stipendio, non uno sconosciuto. E anche se fosse, l'educazione e il rispetto vengono prima di tutto!». James Taylor rimarcò quanto detto da sua moglie. Le rughe sulla sua fronte erano talmente evidenti da averlo invecchiato di almeno dieci anni.

Amèlie, però, non riusciva proprio a sentirsi mortificata, anzi. Per lei quella fu una vittoria schiacciante.

«Margot, scusami, puoi sederti tu al centro?» domandò allora lei ed intimò alla maggiore di farsi più in là. L'obiettivo primario, quel giorno e per quelli avvenire, sarebbe stato ignorare Warren. Non aveva alcuna intenzione di sederglisi vicino, o cercarlo. Era irritata con lui profondamente e la cosa che più odiava era che non riuscisse a comprendere a pieno la causa di quel rigetto per l'altro. Le dava fastidio e basta e non c'era nient'altro da dover sottolineare.

«Mi stai ascoltando, Amèlie?»

Nellie provò a rimarcare il concetto, non accettando di essere ignorata da una ragazzina. Ma Amèlie sembrava di tutt'altra idea.

Il marito sbuffò, mettendo in moto: «A casa ne riparliamo».

Ma quanto programmato non avvenne. Amèlie una volta giunta nella loro abitazione, si precipitò nella camera che divideva con Margot, chiudendosi con un tonfo la porta alle spalle. Si spogliò di quel ridicolo vestitino e delle scarpe, ed indossò una comoda tuta, per poi rintanarsi sotto il tessuto leggero del lenzuolo del suo letto, con le cuffie nelle orecchie che la isolavano dal mondo.

E pensò di nuovo a quella scena. La rivisse, ancora, e l'irritazione e lo sconforto furono così forti la farle stringere la mano a pugno e ferirsi il palmo con le sue stesse unghie prive di smalto.

Forse avrebbe dovuto laccarle di rosso come Bianca Colton.

L'imbarazzo di quell'affermazione, ridicola, la costrinse a portarsi una generosa ciocca di capelli biondi sul viso a nascondere il rossore delle sue guance, nonostante nessuno potesse vederla in quel momento.

La musica leggera nelle sue cuffiette non era sufficientemente alta a placare le urla fuori dalla camera: Nellie e James sembravano essere sconvolti, mentre la figlia continuava semplicemente a dire che era un qualcosa che poteva capitare in adolescenza e che non sembrava niente di così grave ai suoi occhi. La voce di Ren, invece, non si udiva.

Chissà come mai.

Si rigirò nel letto. Era in ansia e in balia di un'adrenalina talmente forte da farle battere il cuore a mille. Scostò il lenzuolo con forza e prese a camminare in cerchio per la stanza per ridurre quella frenesia scalpitante. Ma poi non seppe più che fare e girare in tondo le sembrava così noioso e psicotico.

Si stese di nuovo sul letto.

E si rialzò e camminò.

E si ristese, ancora.

Dopo minuti di riflessione, finalmente Amèlie comprese.

Warren è l'unico amico che ho e quindi ho paura che mi ignori per qualcun altro.

Quella era la soluzione più ovvia e si sentì veramente stupida a non esserci arrivata prima. 

Amèlie non usava granché i social perché, semplicemente, non aveva amici. Per lei Instagram era un semplice seguire attrici e attori famosi delle sue serie preferite, vedere le mode del momento e video stupidi di animali. Ma sapeva bene che tutte le altre sue coetanee usavano i social per parlare e divertirsi con gli amici, organizzarsi per uscire, prendere in giro i professori per loro ridicoli aneddoti. Ma Amèlie non era mai andata a scuola e aveva sempre studiato da privato: non conosceva nessuno. Zero amici e amiche. Zero contatti. Aveva appena realizzato che l'unico amico che avesse mai avuto era Warren, e nessun altro.

Si alzò di scatto. Rimosse di fretta la tuta logora e vecchia e si recò dinanzi alla sua parte di armadio: non aveva molte cose, ma erano sufficienti se facevi la sua vita triste ed apatica, rinchiusa dietro quattro mura. Prese un jeans largo e una maglietta nera a giro maniche aderente, che infilò accuratamente nel pantalone. Una cintura, nera e semplice, e le converse bianche. Legò i lunghi capelli in una coda alta e si guardò allo specchio. Era... Normale. Senza infamia e senza lode.

Guardò fuori dalla finestra. Era estate, e il sole era ancora alto nel cielo nonostante fossero le sette di pomeriggio. Avrebbe fatto quattro passi in centro, in uno dei bar dove le sue coetanee postavano foto su Instagram e magari avrebbe conosciuto qualcuno.

Non doveva essere così difficile.

Ma imbarazzante per una ragazza timida come lei.

Sbuffò. Stava quasi cedendo alla tentazione di spogliarsi nuovamente e infilarsi sotto al lenzuolo a commiserarsi sulla sua triste e banale vita, quando Margot entrò in camera. Si fermò esattamente al centro, con gli occhi chiari spalancati e sorpresi.

«Esci?» domandò sinceramente curiosa.

«Penso di sì».

«Pensi?» si lasciò andare ad una risatina. Margot indossava lo stesso vestito della mattinata, nero e semplice, ma in quel momento stava sostituendo le scarpe aperte e basse con dei sandali con almeno dieci centimetri di tacco e di un rosso fuoco decisamente molto appariscente. Adesso indossava un rossetto rosso e le ciglia finte, che evidenziavano ancora più quegli splendidi occhi da gatta.

Stava uscendo. Con amici veri.

E non immaginari come i miei.

«Margot» la richiamò. «Ehm... Sei molto bella stasera».

«Stai provando a fare la ruffiana? Guarda che mamma e papà non penso proprio ti facciano uscire dopo quello che hai combinato».

«Andiamo! Ma io non esco mai!» sbuffò la minore, lamentandosi. Era assurda la diversità che c'era tra lei e le sue coetanee: si sentiva completamente fuori dal mondo e le sue uniche conoscenze sociali si limitavano a ridicoli telefilm americani adolescenziali fatti di feste, feste e... feste. E amori, e amicizie, cose che lei non aveva mai provato chiusa in quella bolla di protezione superflua.

«Amèlie, non posso portarti con me in una discoteca stasera insieme a ragazzi di dieci anni più grandi di te, mi dispiace» iniziò la più grande, mentre la guardava negli occhi color nocciola dapprima determinati e in quel momento soltanto incredibilmente tristi ed abbattuti. «Ma se proprio insisti, vieni con me a casa della mia amica Anne mentre la aiuto a prepararsi. Vediamo se c'è anche suo fratello a casa, si chiama Mike e mi pare abbia la tua età, così fate amicizia. Che dici?»

Il grande sorriso che le riservò Amèlie fu una risposta più che sufficiente.





«Margot, sul serio pensi che i tuoi genitori siano così scemi da non riconoscere dei cuscini sotto al lenzuolo al posto di un corpo umano?»

L'amica in questione – Anne – era una ragazza davvero stupenda. Quello fu il primo pensiero di Amèlie quando la vide. Sembrava proprio la classica cheerleader dei film da teenager romantici che lei tanto adorava e che Warren definiva imbarazzanti persino da guardare. Anne era alta e con un corpo atletico, a differenza di quello di Amèlie magro, ma per niente tonico, aveva gli occhi grigi dal taglio a mandorla e i capelli biondi e lisci. Di sicuro quando pioveva non le si gonfiavano come se fosse un leoncino. La differenza tra una banale cheerleader era che non fosse né stupida né prepotente. Era anzi piacevole e aveva un carattere abbastanza simile a quello di Margot, forse un poco meno estroversa.

«Avevi una soluzione migliore?»

«No, ma questo non mi ferma dal criticare il tuo operato».

Amèlie, che non aveva mai avuto granché a che fare con gli sconosciuti, si sentiva leggermente a disagio. Del resto, si era praticamente autoinvitata per capriccio senza permesso ed era più piccola di loro. Aveva pochi argomenti di conversazione e non sapeva se Anne avrebbe davvero apprezzato un suo intervento.

«Amèlie, che scuola fai?» domandò la bionda. Le sorrise dolcemente, mostrando la perfetta dentatura bianca. Era evidente che stava cercando di rompere il ghiaccio.

«Studio con un insegnante privato, ma seguo il programma di un Liceo Scientifico».

«Lei fa parte di quelle persone strane a cui piace la matematica e la chimica» la prese in giro Margot, mentre Anne storceva il naso, terrorizzata da quella confessione.

«Io l'ho sempre odiata» affermò Anne. «Però sai, mio fratello ha la tua stessa età e la adora. Addirittura, vorrebbe fare Matematica all'Università».

Amèlie, in quel momento, pensò di aver appena avuto la sua prima occasione per farsi un amico. Di certo non avrebbe potuto costringere la ragazza a presentarle il fratello, avrebbe potuto fraintendere, ma almeno un minimo avrebbe dovuto provare ad instaurare una conoscenza.

Bisognava cogliere le occasioni, sempre.

«Come si chiama?» domandò.

Anne dovette interpretare in modo errato quella domanda. Gli occhi azzurri le si illuminarono, raggiungendo le tonalità del grigio chiaro. Rivolse un sorrisetto complice a Margot, e quest'ultima alzò gli occhi al cielo, comprendendo perfettamente le intenzioni dell'amica.

Fu così che, d'improvviso, la bionda si alzò dalla sedia ed aprì la porta per dirigersi in corridoio, mentre Amèlie riuscì a stento a capire cosa avesse da dire.

«Oddio, Margot, diventeremo cognate!»

E quando dopo pochi minuti tornò indietro nella stanza, con la mano poggiata sul braccio di un ragazzo poco più basso di lei, Amèlie non potette fare a meno di arrossire incredibilmente.

Oddio. Quello è Mike.

Amèlie voleva sprofondare, letteralmente, in quel pavimento. Si sentiva a disagio, quasi come se si trovasse in uno degli strani programmi che tanto amava guardare in compagnia di Warren – il quale, al massimo, si limitava a giocare al cellulare piuttosto che seguire: i due futuri innamorati che non si erano mai visti, costretti a stare vicini e da soli, tutt'un tratto, con un silenzio imbarazzante ad accompagnarli.

«Amèlie, lui è mio fratello: Mike» iniziò Anne, con un sorriso a trentadue denti sul volto. «Mike, lei è Amèlie».

In un primo momento, Amèlie pensò di non alzare gli occhi dal pavimento. Un'ansia indescrivibile la stava percuotendo e si pentì di aver chiesto a Margot di trovarle un amico.

Ma quando trovò coraggio ed alzò gli occhi sul nuovo ragazzo, le sue paure svanirono.

Mike era... carino. Forse avrebbe dovuto dire bello, ma era un aggettivo che era solita riservare soltanto a Warren. Sì, perché per lei, che aveva sempre e soltanto avuto a che fare con un unico ragazzo, il paragone era inevitabile. Il fratello di Anne era abbastanza alto e magro, aveva le gambe molto toniche a differenza del busto, segno evidente che giocasse a calcio. Era vestito molto bene per gli standard di Ren, che si limitava ad indossare perennemente un jeans sbiadito e T-shirt monocolore, senza stampe. Mike indossava un pantalone scuro, ed una camicia a maniche lunghe, arrotolata sugli avambracci. Dal destro, Amèlie notò la presenza di un tatuaggio, una rosa dei venti per l'esattezza che Warren avrebbe sicuramente definito banale. Gli occhi erano scuri, così come i folti capelli ricci, e le labbra sottili erano schiuse in un bellissimo sorriso.

Amèlie si sentì immediatamente accettata da quell'espressione amichevole.

«Dai, scendiamo di sotto e lasciamole spettegolare da sole».

Anche la voce era bella.

Così, a discapito della sua timidezza ed introversione, Amèlie lo seguì.





Fatemi sapere cosa ne pensate!

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