Capitolo III
Le lezioni di Amèlie quella domenica mattina prevedevano una prima ora di preghiera e di cultura religiosa, accompagnata dalla lettura e perifrasi dei testi sacri e una seconda ora di matematica. Strano a dirsi, ma lei adorava quest'ultima materia, mentre considerava incredibilmente noiosa la prima.
In quel momento Ren era steso sull'amaca presente nel loro giardino, poco distante dalla lezione di Amèlie, che invece si teneva su un tavolo di legno d'esterno. A lui piaceva molto guardarla mentre era concentrata, sembrava metterci tutta sé stessa in quello che faceva.
Amèlie, a differenza Ren e di Margot, non era mai andata in una scuola pubblica. La sua istruzione, dal primo istante in cui entrò a far parte di quella famiglia, fu relegata ad un insegnante privato, noto per la sua incredibile abilità.
All'età di cinque anni, non sapeva parlare bene, se non per specifiche parole che riusciva con fatica a mettere in ordine. Non era in grado né di scrivere, né di leggere. Non era assolutamente al livello di una normale bambina di cinque anni, cresciuta nel loro ambiente, e dapprima di fare le dovute analisi i suoi tutori avevano creduto potesse avere una disabilità, o qualcosa che ci andava molto vicino. L'aiuto dei medici, e degli psicologi, si reputò fondamentale, e il lavoro del suo maestro era stato eccellente, tant'è che adesso non vi era alcuna differenza con un suo qualsiasi coetaneo.
«Oddio, Amèlie, hai davvero una pessima grafia!» esclamò il signor Reynolds. Aveva più di sessant'anni, ormai. In altre condizioni avrebbe abbandonato il suo lavoro per concedersi il meritato riposo. Ma, come diceva lui, la piccola Amie l'aveva vista crescere e farsi donna, ed era giusto che le permettesse di concludere in sua compagnia l'ultimo anno di studi, prima dell'università.
Ren dal suo conto amava la domenica mattina: non aveva di che lavorare, sua sorella dormiva beatamente dopo una serata movimentata e i suoi genitori erano fuori casa, dapprima in chiesa e poi al supermercato più vicino per fare la grande spesa settimanale. Poteva passare ore intere a guardare Amèlie senza che nessuno lo giudicasse, mentre si godeva il bel sole estivo sulla pelle chiara.
Ogni tanto, però, anche Amèlie si voltava a guardarlo: lei sapeva benissimo che lui fosse lì. Era ormai un'abitudine che a lei non dispiaceva. Anche se sbagliava qualche esercizio, non si vergognava davanti a lui, mai, perché Ren l'avrebbe sempre spronata a fare di meglio e a congratularsi in caso di ottima riuscita.
«Concentrati, Amèlie!»
A differenza sua invece, il Maestro Reynold non condivideva quell'abitudine. La sua allieva si distraeva molto di più quando c'era il ragazzo a guardarla, era evidente.
«Mi scusi».
Warren odiava quando quell'uomo anziano la rimproverava. Non ne aveva alcun diritto e si poteva percepire benissimo il senso di colpa della ragazza all'interno di quelle sillabe, immotivato. Amèlie si era davvero impegnata tantissimo, a volte studiava anche fino a sera inoltrata per accontentare le esigenze del suo maestro, ed i progressi erano evidenti. Non aveva bisogno di nessuno a sminuirla.
Mentre un altro esercizio più complicato del precedente si mostrava sotto gli occhi di lei, in quel momento a Ren venne in mente quando se ne innamorò e tornò con la mente a quando lei aveva appena cinque anni.
Era notte, lo ricordava bene. Quello era il primo gennaio, Capodanno, ed i genitori avevano ben pensato di passarlo a casa di amici portando con loro anche i figli. All'epoca, Warren aveva dodici anni e nonostante si sentisse quasi un ribelle ad andare a letto tardi nei normali giorni feriali, in quel momento all'una di notte faceva davvero fatica a tenere gli occhi aperti. Sua sorella Margot, invece, dormiva indisturbata da un pezzo.
Erano in macchina e pioveva. Suo padre stava maledicendo la pioggia e guidava davvero piano per paura che qualche ubriaco potesse invadere la corsia e perdere il controllo della sua macchina.
«Se ne sentono troppe, Nellie» si giustificava e la moglie sorrideva alla sua paranoia.
Andavano così piano che Ren riusciva a captare tutti i dettagli delle strade e della città in cui si trovavano. Poteva quasi giurare di aver visto cinque minuti di film, attraverso la finestra di un balcone di chissà chi.
Procedeva tutto in modo piatto.
Warren non si addormentava mai in macchina a differenza di sua sorella poiché sentiva un leggero mal di pancia. Soffriva di mal d'auto in forma lieve, ma sufficiente a tenerlo desto. Passava il tempo a guardare al di fuori del finestrino, non notando niente di particolare interesse.
Fin quando notò Amèlie.
Inizialmente non era sicuro di aver visto una bambina poggiata con la schiena vicino ad un vecchio palazzo, seduta per terra con l'acqua che le immergeva parte del corpo. Era talmente bagnata, che per un attimo pensò fosse soltanto l'ennesimo cane randagio pieno di pulci. Ma poi si concentrò meglio: vide la punta delle scarpe, e i capelli lunghi che le coprivano il volto. Se ne convinse maggiormente quando sembrò tossire, muovendo il petto.
«C'è una bambina lì a terra, sotto alla pioggia» annunciò.
Sua madre, accomodata sul sedile del passeggiero, si voltò pigramente verso il figlio.
«Dove?» domandò un po' assonnata. Fu più una domanda di cortesia, era abbastanza frequente che un ragazzino si confondesse e scambiasse un semplice gatto con un essere umano.
«Lì, dove c'è quella scritta enorme sul muro. Sta scritto... A, C, A, B? Mi pare» e indicò il luogo.
La madre, più per curiosità che per altro, si voltò verso la direzione detta dal figlio. Captò immediatamente quella frase, scritta di un brillante rosso che nemmeno la pioggia fitta era in grado di offuscare completamente. Dopodiché notò, per terra, poco vicino, che effettivamente ci fosse qualcosa.
Impiegò qualche secondo per mettere a fuoco: inizialmente le sembrò solo un cumulo di vestiti ormai andati, che qualche incivile aveva lasciato per strada lontano dal cassonetti, ma poi la figura tossì di nuovo, muovendosi.
Era troppo piccola per essere un adulto.
«Oddio, James, fermati immediatamente!» esclamò per poi togliersi di fretta la cintura.
«Che succede?»
«C'è davvero una bambina sotto alla pioggia! Mio dio, ma quale genitore lascerebbe mai sua figlia lì con questo tempaccio. Si vede che sta tossendo, guarda, James!».
L'uomo inserì la freccia e si accostò al ciglio della strada, come aveva detto sua moglie. Si levò la cintura, così da poter guardare meglio attraverso il finestrino appannato. La strada, deserta, era completamente buia se non per qualche lampione ancora funzionante, ad intermittenza.
«Sei riuscito a vederla?»
«Sì, mi sembra di sì, è vicino alla scritta giusto?»
«Esatto» rispose lei, che a sua volta si slacciò la cintura. «Vado a vedere come sta. Warren, passami l'ombrello».
La mano di James la bloccò, intimandola di restare seduta.
«Non è sicuro, potrebbe esserci qualche malintenzionato. Vado io a vedere come sta, tu resta qua in macchina con i ragazzi. Chiuditi dentro, mi raccomando. È deserta questa strada».
L'uomo alzò il cappuccio sul suo capo e chiuse il giubbino. Ricontrollò la strada, per vedere se la bambina non si fosse mossa. Aprì l'ombrello e sua moglie seguì le sue indicazioni sulla sicurezza, mentre il cuore le scalpitava nel petto.
Warren riuscì a vedere la figura di suo padre avvicinarsi alla bambina. Dapprima si fermò, a distanza di sicurezza, e le disse qualcosa. Lei alzò il capo, ancora parzialmente coperto dai capelli che a causa della pioggia si erano ormai attaccati al volto. Riconoscendo un'altra figura vicino a lei, si alzò di scatto e impaurita provò a scappare, ma l'uomo era più veloce di lei, e le bloccò facilmente la strada. Lei si appiattì al muro.
Qualche minuto dopo, James stava bussando sul finestrino della sua macchina, per farsi aprire.
«Nellie, passami il tuo cappotto che è asciutto, glielo mettiamo addosso. È completamente bagnata e penso abbia la febbre» spiegò. «Portiamola a casa a riscaldarsi e contattiamo qualcuno».
La bambina fu chiusa tra le braccia calde dell'indumento. La donna svegliò sua figlia, distesa sui sedili posteriori, per far spazio alla nuova arrivata. La fece sedere accanto ai suoi figli, e le levò con qualche difficoltà le scarpe zuppe ed i calzini, asciugandole i piedi con dei fazzolettini.
«Come ti chiami, tesoro? Dov'è la tua mamma?»
Non rispose.
«Non ha emesso un fiato neanche prima» disse James, che aveva ripreso la sua marcia.
La bambina era seduta vicino al finestrino, accanto a Warren. I suoi occhi saettarono subito su di lei e sentì una sensazione strana al petto, ed alla mente, che trovò una spiegazione solo anni dopo. Da vicino, con le luci dell'abitacolo, notò che avesse la pelle chiara e i capelli di una chiarissima tonalità di biondo. Possedeva gli occhi più grandi che avesse mai visto, color nocciola, contornati da ciglia bagnate.
Ren pensò che sembrasse un piccolo angelo.
La cosa però che maggiormente lo sconvolse, fu che gli occhi di lei non sembravano guardare un solo punto.
Quella che poi avrebbe preso il nome di Amèlie era leggermente strabica.
Il tempo, perso in quei ricordi, passò rapidamente. Il maestro Reynolds aveva ormai terminato il suo lavoro quotidiano ed alzò il cappello in direzione di Warren, salutandolo come se si trovassero ancora all'inizio del ventesimo secolo.
Amèlie posò accuratamente le sue penne nell'astuccio, il quale fu risposto al di sopra del quaderno chiuso. Di base, in realtà, lei amava il disordine, si trovava bene. Ripose tutto accuratamente solo perché consapevole dell'occhiataccia che Ren – maniaco dell'ordine – le avrebbe rifilato.
Poi, come sempre, corse da lui.
«Che stanchezza» disse Amèlie, sbuffando sonoramente. Gli intimò di farle spazio, così che anche lei potesse sedersi sull'amaca.
«Wow, deve essere così difficile scrivere due numeri. Davvero, non riesco proprio a capire come tu faccia ad essere ancora viva» rispose sarcasticamente Ren.
La ragazza roteò gli occhi al cielo. Crescendo, il suo strabismo si notava solo se ci si soffermava troppo sulle sue iridi. Un occhio poco attento non avrebbe nemmeno notato quel difetto.
«Scemo» disse, sorridendo. «Sto scomoda così».
Amèlie sentiva la schiena dolerle in quella posizione e le precedenti due ore passate seduta su una sedia, col capo chino sui libri, non avevano aiutato per niente. L'amaca non era sufficiente per due persone, lo aveva imparato bene da tutti i rimproveri di Nellie, ma a lei non importava comunque. E poi le piaceva stare così vicina a Ren.
Si stese, di lato, facendo bene attenzione a non cadere e posò la testa sul corpo di Ren. Si stiracchiò. Aveva trovato una posizione perfetta, in contemplazione del corpo caldo dell'altro.
«Ti batte forte il cuore» continuò.
E Warren ci provò ad arrestarlo, sul serio. Tentò in ogni modo.
È una cosa normale, innocente. Sta semplicemente più comoda.
Ma trovarsi a pensare ad Amèlie non fece alto che peggiorare la situazione. Il cuore gli batteva di felicità perché lei era vicino a lui, e di paura che lei potesse andarsene presto, che i suoi genitori tornassero e fossero costretti a distaccarsi da quella posizione perfetta.
Warren immerse una mano tra i capelli di lei e li spostò dal suo viso, gli facevano solletico, ma non gli dispiacevano affatto. Erano morbidi, lunghi, e gli erano sempre piaciuti. Amèlie se ne prendeva davvero tantissima cura.
Rimasero così per un po'. Non parlarono, del resto non avevano nulla di nuovo da raccontarsi. Warren si fece cullare dalla bellezza del sole e dal contatto con il suo vero amore, ed Amèlie contò i battiti del cuore di Ren, per sessanta secondi.
Erano talmente tanti che, dopo poco, perse il conto.
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