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Capitolo II

«Ren».

Nonostante il tono basso di Amèlie, quando lo chiamava, Warren riusciva sempre a udirla perfettamente, anche nel bel mezzo delle esclamazioni inutili di sua sorella e della madre, anche se si trovavo dall'altro lato della casa. Questo era dovuto al fatto che lei era perennemente nei suoi pensieri e che desiderasse le sue attenzioni come se fossero ossigeno.

La melodia proveniva dalla camera che condivideva con Margot. La porta in legno scuro era socchiusa ed uno spiraglio di luce artificiale faceva capolino e da guida sul corridoio buio.

Poggiò la mano sulla maniglia, ma non spinse ancora. La porta chiusa significava che non si poteva entrare, nella loro famiglia. Si bussava, al massimo. Erano particolarmente attenti alla privacy. Amèlie, però, non chiudeva praticamente mai la porta, diceva che la opprimeva. Gli unici momenti in cui si isolava nella stanza, era mentre si stava spogliando.

Ma stavolta la porta era appena socchiusa.

Posso entrare?

Ren esitò.

Potrei essermi solo immaginato che mi stesse chiamando.

Continuava a sfiorare il pomello freddo, in acciaio.

Potrebbe essere nuda.

Quel semplice pensiero inevitabilmente rimandò una leggera scossa alle sue parti basse. Era incredibile l'effetto immediato che anche solo pensarla gli procurava e si rendeva perfettamente conto che nessuno avrebbe mai ritenuto normali quei pensieri. In quel momento, ad esempio, sarebbe bastato soltanto chiederle se potesse entrare. Una domanda semplicissima, una domanda che tante volte aleggiava in casa.

Ma quello significava perdere un'occasione irripetibile.

Così entrò, senza pensarci due volte. Del resto lo aveva chiamato lei. Sarebbe stata soltanto colpa sua.

Amèlie era al centro della stanza, dinanzi allo specchio e, purtroppo per lui, completamente vestita. Ancora non aveva fatto caso alla presenza del ragazzo tanto che era concentrata sulla sua immagine riflessa. I capelli le ricadevano in splendide onde sulla schiena, lasciati sciolti come sempre e dalle mille sfumature. Il suo corpo, invece, era avvolto perfettamente da un vestitino bianco, un po' arricciato, la cui fantasia era caratterizzata da piccole roselline, comprese di gambi e fogliolina. L'abito le ricopriva meravigliosamente il sedere, e l'orlo raggiungeva la metà coscia, lasciandole scoperte le gambe.

Il suo cuore perse un battito. 

«Sei bellissima».

Amèlie si voltò immediatamente, accorgendosi della sua presenza. Gli sorrise dolce per poi portare di nuovo l'attenzione sulla propria figura nell'immagine riflessa.

«Me l'ha regalato Nellie» spiegò. «Lo metterò domani dai Colton, lo stavo provando».

Lei e il suo vestitino avrebbero reso il pranzo della domenica decisamente meno spiacevole del solito. Warren si ritrovò quasi ad essere contento di partecipare a quella ridicola formalità, se questo significava vederla così bella.

Si avvicinò a lei.

Si posò esattamente dietro la sua figura e la loro differenza di altezza era più che sufficiente a permettere al moro di scorgere tutto il proprio volto attraverso lo specchio. La guardò attraverso quel pezzo di vetro e gli sembrò ancora più bella. Forse, a rendere quell'immagine visiva così suggestiva ai suoi occhi, fu vedersi accanto a lei, vicini come non mai.

Era davvero un bel quadro.

Amèlie, sul suo corpo, aveva una cicatrice molto evidente. Quando entrò a far parte della loro vita, c'era già, quindi nessuno sapeva come se la fosse procurata e soprattutto nessuno aveva idea di chi gliel'avesse cucita a dovere. Lei, una dolce bambina di cinque anni, non poteva ricordare quell'evento; quindi, la cicatrice aveva da sempre portato con sé un'aria di mistero.

Quella piccola imperfezione si trovava a metà coscia e si estendeva in verticale per tre o quattro centimetri. L'orlo del leggero abito bianco la copriva soltanto per metà, dando un'idea di asimmetria. Amèlie, inoltre, odiava quel piccolo segno e provava in tutti i modi a coprirlo con i vestiti.

La mano di Ren si portò istintivamente sulla sua gamba magra. Richiuse l'orlo tra i polpastrelli e si concesse di soffermarsi più del dovuto sulla sua pelle liscia. Non capì se Amèlie avesse compreso il desiderio dietro a quel tocco bramoso, ma non commentò. Portò il lembo più su, così che il vestito aderente finisse appena sopra la cicatrice: ora era completamente visibile ed esposta.

«Non hai niente di male, Amèlie» disse.

Sui polpastrelli, Warren poteva sentire ancora il calore del suo corpo.

«Non devi sforzarti di coprirla, nessuno ci farà caso».

Tranne me.

Lui avrebbe sempre fatto caso ad ogni dettaglio di lei. Niente gli sarebbe mai sfuggito. Mai.

«Perché odi i Colton, Ren?» gli chiese d'un tratto così da rompere quella magia che si era creata tra loro.

«E' una storia lunga di cui non mi va di parlare».

Soprattutto non in quel momento, con lei così vicina.

Si girò così che i loro volti potessero rispecchiarsi nelle iridi dell'altro. Il suo vestitino bianco era aderente, ma non abbastanza da coprirle completamente il seno, mostrando un piccolo solco nel centro. L'arricciatura dell'abito non permetteva di scorgere altro, ma si capiva perfettamente non indossasse alcun reggiseno al di sotto.

Lei, la sua voce, il suo corpo, gli facevano completamente perdere la testa.

Desiderò toccarla, come aveva fatto poco prima. Solo un accenno, un leggero sfiorarsi, ma non poteva. Amèlie era troppo piccola per lui: sette anni di differenza si facevano sentire, era evidente, lei conservava ancora il carattere di un'adolescente immatura, e soprattutto la sua famiglia era fermamente convinta del loro meraviglioso rapporto fraterno, che così doveva restare. E con molta probabilità, Amèlie lo vedeva solo per quello che era, una specie di fratello, un amico, non un ragazzo da tenere in considerazione.

Avrebbe solo rovinato tutto e Warren non era disposto a rinunciare a quella complicità che li legava.

Avrebbe accettato di amarla in segreto per sempre pur di stare sempre al suo fianco, anche se come mero spettatore della sua vita.

«È pronta la cena!» annunciò sua madre dalla cucina richiamando l'intera famiglia.

Si staccò da lei, come scottato e si diresse verso la porta: «Non vieni?» domandò perplesso, non vedendola seguirlo.

Gli sorrise imbarazzata.

«Mi devo prima levare il vestitino, non vorrei sporcarlo».

Lui indugiò. Voleva vedere.

«Warren, Amèlie, avete sentito?» urlò ancora Nellie dalla cucina.

Ren si ridestò lasciandola sola e si diresse al luogo del patibolo.





La cena era il pasto che odiava per eccellenza e non senza causa. Il motivo del suo astio era seduto proprio a capotavola, di fronte a sua madre nell'altra estremità. Di fonte a lui c'era sua sorella che messaggiava sicuramente con qualche amico, sorridendo di tanto in tanto, e di fianco c'era ovviamente Amèlie.

«Margot, quante volte ti abbiamo detto che a tavola il telefono non si usa?» domandò James, il suo secondo genitore, biologicamente parlando.

«E dai, papà, mi sto organizzando per stasera. Anne a quanto pare non ha più la macchina e non sappiamo come andare al locale».

«Non puoi prenderla tu?» chiese ancora lui.

No, perché era sabato sera e Margot si sarebbe ubriacata fino a vomitare quella fantastica cena.

Era ormai risaputo. Prendere la macchina significava per lei non poter bere e quindi non potersi divertire, a detta sua. Ma non poteva biasimarla, andare a ballare era talmente noioso e squallido che solo con un quantitativo sufficiente di alcol in corpo si poteva affrontare quella serata dal suo punto di vista.

«A che ora andiamo domani dai Colton?» fu questa volta Amèlie ad intervenire così da salvare Margot da quella situazione scomoda.

Warren si irrigidì e al contempo analizzò con attenzione la reazione di suo padre.

Dall'esterno, sembrava del tutto tranquillo, per niente toccato: probabilmente era quello il motivo che non aveva mai spinto la moglie a dubitare dell'uomo al suo fianco. Ma Warren, invece, quel dannato martedì pomeriggio di dodici anni fa, l'aveva visto aver appena terminato di scoparsi la sua collega in affari, Bianca Colton, sulla sua cazzo di scrivania.

E lui sapeva che Ren sapeva.

Avrebbe dovuto parlarne immediatamente con sua madre, ma non ne ebbe il coraggio. L'unica cosa che riusciva a immaginare come conseguenza era lo sfascio completo di quella famiglia apparentemente perfetta che Amèlie sembrava adorare con tutta se stessa. Non riusciva a pensare ad un lieto fine, solo ad urla, tensioni, un divorzio e all'abbattimento di sua madre, che per l'uomo che le aveva messo l'anello al dito, decenni prima, avrebbe fatto di tutto.

Così preferiva tenersi tutto dentro e soffrire, da solo, da anni. Come sempre.

«Verso mezzogiorno, Amie, appena avrai terminato le lezioni col Maestro Reynolds».

Lei sbuffò. Evidentemente, aveva sperato di poter saltare quelle noiose ore di apprendimento.

La serata passò così, tra dialoghi continui tra la famiglia, con il telegiornale di sottofondo ascoltato unicamente da Warren. D'altro canto, lui non emise nemmeno un suono.

E suo padre sapeva il perché.

Per il resto della famiglia invece era soltanto una delle stranezze asociali di Warren, che presto avevano imparato ad ignorare.

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