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Capitolo I

Il cielo, sfondo di quello splendido tramonto, era silenzioso e immobile, come stregato da sé stesso mentre le setole del pennello aggiungevano un miscuglio di infiniti colori che perfettamente si adattava a quelle sfumature rossastre.

Era stato difficile trovare la giusta combinazione di tonalità, ma alla fine ci era riuscito: il suo dipinto sembrava essere una perfetta copia in miniatura del reale paesaggio. Una fotografia, quasi, se lo si guardava da lontano. Da vicino invece le scie del pennello erano evidenti, ma non gli dispiaceva: era quello il suo talento, il suo marchio di fabbrica.

Aveva aggiunto dapprima il rosso e il giallo; poi il nero, per scurire. Di nuovo il rosso e poi un'infinita quantità di bianco per schiarire. Vi era persino una traccia di blu. Poi ancora giallo, rosso. Un pizzico di bianco, ancora e ancora.

Era un perfezionista e ne andava fiero.

Doveva essere tutto perfetto come desiderava, non una sfumatura o un'ombra fuori posto.

«Ren»

La sua voce lo riscosse.

Se lo avesse interrotto qualcun altro, avrebbe sentito la rabbia e l'irritazione ribollirgli nelle vene. Avrebbe scacciato via quella fastidiosa presenza come faceva con gli stupidi insetti attratti dal giallo riverso sulla sua tavolozza. Se fosse stato qualcun altro, forse, avrebbe persino sbagliato a tracciare a causa della fastidiosa voce squillante. Ma lei aveva il tono più dolce e basso che lui avesse mai sentito, come se avesse perennemente pausa di disturbare ed essere di troppo.

Ma lei, per lui, non era mai un disturbo.

«Dimmi, Amèlie»

Amèlie.

Lei.

«Quando puoi, prima di andare al lavoro, passeresti in libreria?» domandò e la sua risposta fu immediata.

«Sì»

Sì, sì, sì. Qualunque cosa gli potesse mai chiedere Amèlie, qualunque accortezza, lui l'avrebbe sempre accontentata. Non aveva nemmeno bisogno di sentire la sua richiesta poiché avrebbe persino allungato di cento chilometri pur di vedere quel sorriso dolce spuntarle sulle labbra carnose e rosse.

«È bellissimo, Ren, come sempre» mormorò quando i suoi occhi ricaddero sul suo dipinto: Amèlie considerava la sua arte un talento, qualcosa che sarebbe dovuto arrivare nei grandi musei ed essere ammirato da tutti. Non capiva perché lui non provasse a farsi conoscere e a partecipare alle mostre d'arte nella loro città.

Ren voleva che la sua arte restasse celata. Voleva essere lui a decidere chi potesse guardare. Dipingere, disegnare, per lui andava oltre alla mera gratificazione, al possibile guadagno economico.

Mentre lei si concentrava sulla tela, lui guardava lei. Più passavano gli anni, più nascondersi diventava difficile: gli sguardi, le occhiate che le rivolgeva dinanzi agli altri, erano sfuggenti. Passava gran parte del tempo a fissare oggetti insignificanti, solo perché poteva ammirarla con la coda dell'occhio, senza che sguardi indiscreti gli potessero porre domande a cui avrebbe preferito non rispondere mai.

Ma quando erano solo lui e lei, come in quel momento, poteva perdersi in lei per quanto tempo desiderava ed era magnifico.

«Ceni con noi, stasera?»

Amèlie era perfetta, aveva solo il brutto vizio di fare troppe domande. Erano continue ed era difficile starle dietro. Ma quando Warren poteva, rispondeva sempre.

«Penso di no».

Non cenava spesso con la sua famiglia, da anni. Di preciso, da quando Amèlie era entrata a far parte della loro vita. Non era a causa sua ovviamente, c'era dell'altro che non tollerava e che non gli andava di ricordare in quel preciso momento.

Amèlie tirò il labbro inferiore fuori. Era un'abitudine che prese sin da bambina e che mai se ne era andata: i suoi occhi grandi e ambrati si aprivano ancora di più e facevano solo venir voglia di stringerla a sé e di accontentare ogni suoi piccolo capriccio. Una ciocca di capelli biondissimi le ricadde sul viso, disegnando una piccola spirale chiara.

«Neanche se ti dico che ci resto male?» disse, ma lui provò ad ignorarla per quanto riuscisse, mentre tornava a dipingere. «Fallo per me», continuò. «Ci tengo, lo sai».

Nonostante avesse diciassette anni, a volte sembrava che lei ne avesse dodici. Amèlie era incredibilmente infantile e un po' viziata, ma per quello doveva dare la colpa a se stesso, che la accontenta sempre. Amèlie chiedeva qualcosa e lui spesso e volentieri acconsentiva. Era sempre stato così e sempre lo sarebbe stato. Avrebbe dovuto ostinarsi e dirle di no in quel momento, perché davvero non aveva la minima voglia di stare seduto a quel dannatissimo tavolo in presenza della sua famiglia al completo, ma lei ci teneva sul serio a consumare la cena tutti insieme.

«Forse» le concesse allora.

Lei non ci rimase male, anzi. Un enorme sorriso spuntò sul suo volto dalla pelle candida, un sorriso sincero. 

Amava i suoi sorrisi. Lo rendevano sereno.

«A un patto, però» continuò il moro. Lei si fece vicina così che il suo profumo fresco e dolciastro gli invadesse il respiro. «Devi finire tutti i compiti che ti ha assegnato il Maestro Reynolds e farli vedere controllare a Margot, per filo e per segno, prima di cena».

Vide presto la felicità sul suo volto scemare.

No, no, no.

Odiava esserne lui la causa, ma a volte, per dissimulare agli altri quanto tenesse a lei, doveva imporle delle piccole regole da seguire. Non poteva acconsentire ad ogni suo capriccio, altrimenti avrebbero sospettato.

Era lì per dirle che non avrebbe fatto niente, che avrebbe cenato lo stesso insieme a lei, e che non doveva fare nulla che non le piacesse, ma Amèlie lo sorprese, mostrando per la prima volta un cenno di maturità.

«Sì, va bene. È giusto così, farei anche i compiti per dopodomani pur di cenare con te» rispose.

Dopodiché gli sorrise ancora, e con piccoli passi all'indietro si allontanò dalla sua figura, continuando a mantenere il contatto visivo.

«Corro a studiare. A dopo».

E corse davvero.



Quando ormai si fece buio, rientrò in casa. Le sfumature tenui del rosso e del rosa avevano lasciato posto ad un blu cieco, interrotto soltanto da brevi sfarzi luminosi.

Warren entrò in casa e si diresse nella sua camera. Buttò i pennelli sporchi all'interno di un cesto di plastica ormai completamente macchiato, mentre i colori furono risposti nell'armadio, lontani dalla possibile luce solare. La tela l'aveva lasciata fuori nella veranda ad asciugare per bene.

Poi andò in bagno. La porta era aperta e sua sorella Margot stava passando la piastra come al solito.

Le fece cenno di spostarsi e si lavò le mani sporche di pittura, sfregandole energicamente per toglierne ogni residuo.

«Indovina chi è in ritardo ad una festa da paura solo perché doveva controllare i compiti ad una bambina» esclamò d'un tratto, trucidandolo con i suoi occhi verde chiaro identici a quelli di Warren.

«Ha diciassette anni, non è una bambina» sottolineò. «E non eri costretta a farlo, li avrei controllati io dopo».

Lei sbuffò.

«No, testuali parole:» prese un respiro profondo mentre spegneva la piastra e la riponeva al suo posto. «Ren ha fatto il tuo nome ed io non voglio che non ceni con me perché tu dovevi partecipare ad un'inutile festa» continuò, provando ad imitare in maniera ridicola e infedele la voce di Amèlie. Con gli altri era sempre stata più risoluta che in presenza di Ren.

Prese dell'acqua tra le mani e la buttò sul viso. Ad occhi esterni sembrava si stesse semplicemente rinfrescando, il realtà l'aveva fatto per camuffare il sorriso spontaneo che si fece largo sul suo volto.

«Stravede per te da sempre, è assurdo».

«È perché l'ho portata io a casa, lo sai» dissimulò, fingendo un'indifferenza che non gli apparteneva.

Amèlie non era sua sorella di sangue. Non era come Margot, nati dallo stesso padre e dalla stessa madre. Lei, fu trovata da lui una notte di dodici anni prima. All'epoca lei aveva soltanto cinque anni e non parlava. Non ne era in grado, forse non l'aveva mai fatto e mai le era stato insegnato.

Si innamorò di lei sin dal primo istante in cui la scorse. Non fu un colpo di fulmine, niente del genere. Fu qualcosa di forte, un senso di contemporanea felicità e timore che crebbe dentro di lui e che anno dopo anno, secondo dopo secondo, si alimentava della costante presenza di Amèlie nella propria vita.

«Sarà» rispose Margot. «Comunque li ha svolti tutti».

Sorrise. Sapeva che l'avrebbe fatto perché sapeva quanto tenesse alla sua presenza.

«Bene».

Si allontanò da lei.

Lui e Margot avevano un buon rapporto a differenza di altri fratelli. Più che altro, lui non si immischiava troppo nelle sue cose e lei gli concedeva i giusti spazi. Era per la maggiore un rapporto un po' superficiale, ma era capitato che si confidasse con lui di alcuni suoi problemi – soprattutto in ambito sentimentale – e Warren l'aveva ascoltata, senza mai dare però consigli sbilanciati. Del resto, Margot non si era mai aspettata altro da suo fratello.

Sua sorella, inoltre, non gli aveva mai accusato la sua plateale preferenza per Amèlie. Probabilmente lo riduceva soltanto al fatto che lei era la piccola di casa e che quindi attirasse su di sé tutte le attenzioni. Anzi, Margot si riteneva persino fortunata al non avere il fiato di Ren sul collo e ringraziava la presenza di Amèlie. Quello che non capiva è che lei, per lui, non era un sostituto di un affetto fraterno.

Sovrappensiero, si ritrovò presto in cucina. La loro casa non era enorme, ma sicuramente non poteva definirsi modesta a causa del grande giardino perfettamente curato che la contornava. Sua madre, biologa e appassionata di flora, reputava la presenza della vegetazione molto più importante rispetto ad un abitazione dalle eccessive dimensioni. A causa di ciò, abitavano in periferia: la patente era necessaria per gli spostamenti e lui e Margot, appena compiuta l'età adatta, avevano preso a guidare autonomamente.

La cucina presentava decori abbastanza rustici, dove il legno regnava sovrano. Diversi vasi di forme inimmaginabili erano poggiati sul davanzale della finestra e sulle mensole. Sul fuoco, la pentola produceva un rumore scoppiettante, segno che l'acqua al suo interno ormai bolliva da un pezzo.

Era quasi ora di cena.

«Amèlie ha detto che ceni con noi questa sera» affermò sua madre. Dinanzi a lei vi era una bilancia dove aveva appena pesato il quantitativo di pasta necessaria.

Annuì.

«E Margot esce, anche stasera!» sbuffò. Nellie – sua madre – un po' odiava l'eccessiva vita sociale della figlia minore, che scendeva ormai ogni giorno con l'avvicinarsi dell'estate. A dire il vero però, odiava anche il non uscire mai di casa con amici di Warren. «Tu invece stai sempre a casa?»

Appunto.

Nella sua vita non aveva mai avuto molti amici. Soltanto uno, Zack, una sua rimanenza dei tempi del liceo. Ma si era trasferito da anni a Parigi per studiare qualcosa che avesse a che fare con i beni culturali. Sosteneva che gli inglesi non ne sapessero un bel niente di pittura e scultura e mai si sarebbe abbassato a studiare l'arte in quel posto p0rivo di buon gusto.

Si sentirono in modo altalenante per i successivi tre o quattro mesi, tramite social. Poi ognuno si perse nelle sue cose e andava bene così. A volte Zack tornava per far visita ai suoi familiari e si concedevano una birra insieme, ma questo avveniva ovviamente di rado.

«Sì, sto sempre a casa» ribatté seccato.

«Perché non provi a uscire con gli amici di tua sorella? Alcuni sono tuoi vecchi compagni delle superiori e poi io starei molto più tranquilla a saperti con lei».

Sua madre, purtroppo, viveva nella falsa concezione che soltanto poiché era stato costretto ad avere a che fare con determinate persone per cinque anni, allora doveva sicuramente apprezzare la loro compagnia. Onestamente non gliene fregava un bel niente di loro, non eravamo compatibili, motivo per cui i rapporti non si erano mai evoluti.

Nellie si avvicinò alla pentola, riversando la pasta.

«Mamma, perché non ti rassegni al fatto che hai fatto un figlio asociale?» domandò sarcastica sua sorella mentre entrava in cucina producendo quel fastidioso rumore con i tacchi. «Come sto?» disse mentre si metteva in posa dinanzi a Warren e la madre.

«Sei bellissima, tesoro. Mi raccomando, non fare troppo tardi, domani abbiamo il pranzo dai Colton».

Già. I Colton. La splendida famiglia Colton.

«Tu non mi fai nessun complimento?» chiese ancora Margot, rivolgendosi all'altro.

«Aspetta e spera».

«Adoro queste tue magnifiche manifestazioni di affetto, Warren, davvero. Sei il fratello migliore del mondo!»

«Evapora» rispose e lei gli fece il dito medio.

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