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L'ultimo ballo

La palla stroboscopica roteava nell'aria, irradiando una miriade di colori e riflessi nella stanza. Lenta, inesorabile, proprio come il moto del pianeta stesso. Un giro che pareva infinito, mentre il tempo sembrava sospeso. In sottofondo, una dolce musica s'irradiava sulla pista. Invisibile come l'aria che accarezza i polmoni degli esseri viventi, la canzone doveva scaldare i cuori, sciogliere le lacrime e aprire i sentimenti.

Da osservatore esterno, come lei si sentiva, le note accompagnavano un ondeggiare di corpi indistinti divisi a coppie, vicine e strette in un abbraccio più o meno intimo. Anne alzò la testa. Il fascio blu e verde le colorò il viso e le fece scintillare gli occhi. Cos'era andata a fare lì?

Anne colpì il muro alle sue spalle con il capo, stringendo le braccia al petto. Il ballo della scuola doveva essere un momento indimenticabile, una degna conclusione di un periodo segnato da momenti più o meno felici: un rito di passaggio. Tuttavia, cos'aveva lei di bello da salutare? Voleva davvero condividere lo stesso spazio dei bulli che le avevano reso la vita un inferno sin dal suo primo giorno? Desiderava davvero sentirsi paragonare alle bellissime ragazze che avevano sempre avuto tutto dalla vita e che, probabilmente, avrebbero continuato ad averlo?

Abbassò gli occhi, massaggiandosi con fare rassicurante la pelle. Sentiva freddo.

Un sospiro le abbandonò le labbra. Guardò la punta delle sue scarpe, immacolate come il suo vestito, di un bianco più che adatto per un'invisibile come lei. Un fantasma in mezzo ad uno stormo di pavoni.

Si voltò a destra. Poi, a sinistra. Anche la tappezzeria aveva trovato il modo di tenersi occupata. Qualcuno chiacchierava, mentre altri bevevano qualche bibita dai bicchieri di carta. Solo lei se ne stava lì, sola e in disparte rispetto a tutti e tutto, incapace di trovare un reale bisogno di finire in mezzo, fagocitata dalla massa e da tutto quel vocio sommesso.

Guardò il palco. La musica restava la sola cosa buona in quel momento. La voce del cantante la raggiungeva, le faceva vibrare la pelle, i capelli, persino le ciglia. Il suono del pianoforte, invece, le solleticava le spalle, il collo e la schiena come un'amante devoto e delicato.

Serrò le labbra di colpo, quando ebbe realizzato la natura dei suoi pensieri. Sbarrò gli occhi e incrociò quelli di Matthew. La pelle ambrata, i capelli mori e le dita precise in ogni passaggio di spartito.

Le guance le s'imporporarono, mentre con la testa inclinata lui sembrava cantare verso di lei parole appassionate. Provò una forte stretta al petto, tanto da dover portarci sopra una mano. Doveva uscire da quella stanza, prima di illudersi che dietro quel suo meraviglioso sorriso ci fosse dell'altro.

Si mosse verso il maniglione antipanico che dava sul corridoio e si lasciò tutta quell'atmosfera soffocante alle spalle. Man mano che superava gli armadietti il respiro tornava regolare e la musica si faceva sempre più lontana. Un mormorio, un ronzio, un ricordo...

In un attimo si scopriva lontana, al centro della strada. Ferma con le scarpe in mano e le calze sporche e rotte. Sul suo volto era impressa un'espressione incuriosita per tutti i metri percorsi senza cognizione. Anne si voltò di scatto, confusa. Un passo dietro l'altro, fino a che l'edificio scolastico non era diventato solo un puntino all'orizzonte. Il fulcro di una terribile sensazione di disagio. Mura che d'un tratto si deformavano, comprimevano e, infine, esplodevano. Una luce accecante in piena notte che bruciava tutto, anche le lacrime. Odore di morte, cenere, ossa e marciume che la sbalzavano via, la schiacciavano a terra e le mozzavano il fiato.

"Anne!" una voce familiare che la chiamava.

"Anne!" qualcosa la scuoteva. Dentro. Fuori.

"Anne! Svegliati!"

Come se stesse affogando in mare, Anne prese fiato, emergendo dalla melma dei suoi incubi.

Il corpo tremate a causa del sudore di cui erano pregni i suoi vestiti sudici. Il respiro affannato di chi era finito in apnea e il volto pallido di chi aveva appena visto la morte in faccia.

L'unico sostegno saldo, pronto a tenerla ancorata alla realtà, erano le robuste braccia di Matthew, che ora la stringevano e cullavano, bisbigliandole dolci suoni per calmarne i tremori.

«Anne sono qui! Tranquilla. Sono qui...»

Era ancora buio fuori, un'oscurità che non veniva più rischiarata dall'elettricità, ma solo da una luna particolarmente luminosa. I riflessi argentei dei raggi attraversavano le fessure come spifferi e s'infrangevano sulla desolazione del loro piccolo rifugio.

Anne si guardò le mani, che con forza si erano strette ai gomiti del suo compagno. Erano callose, ruvide e provate dal freddo. I suoi piedi non erano scalzi e non indossavano nemmeno le scarpe bianche che ricordava in modo così vivido, ma anfibi neri ben allacciati. Non c'era nulla d'immacolato in quel mondo. Non più. Era sveglia, ora. Ricordava, adesso.

Un respiro ancora, prima di scoppiare in lacrime contro la sua spalla. I singhiozzi spezzati contro il suo petto per non fare rumore, perché la realtà era l'incubo, perché ai sopravvissuti come loro non restava altro, perché tutto era sporco e sudicio.

«Matt... Ero di nuovo lì.»

Le sue mani le accarezzavano la nuca, le scostavano i capelli dal viso e con i pollici le asciugavano le guance, adesso. Matthew la guardava, come se volesse sondarla dentro, pur conoscendo già cosa vi celasse.

«Al ballo?» le chiese, più per assecondare il suo sfogo che altro. Anne annuiva, ma cercava il suo contatto in modo febbrile come se lui fosse l'unico scoglio rimastole in quell'oceano profondo.

«Anne non potevi immaginare che sarebbe iniziato tutto questo. Nessuno poteva!»

Sapeva sempre cosa dirle. Conosceva perfettamente come calmarla, sia quando si trattava di incubi che di fatica o fame.

«Ero così furiosa con tutti, con tutto. Incapace di vedere quanta fortuna avessi a poter storcere il naso a uno stupidissimo ballo scolastico...»

Pianse, stavolta per la colpa, il terribile senso di ingiustizia che provava per tutti i suoi coetanei morti nello scoppio: per quei pavoni, compresi i bulli e le ragazze bellissime che potevano avere tutto dalla vita.

Matthew le baciò una tempia e la tirò a sé con forza. «Non è colpa tua.»

«Mi sono augurata il loro male così tante volte...»

La strinse. «Non è colpa tua.»

«... e ho desiderato così tanto avere una minima occasione di essere notata da te.»

La luce argentea gli illuminò il sorriso, mentre con il naso si chinava su di lei in cerca delle sue labbra. Un attimo che si sospese di colpo.

«So che non mi staresti così vicino, se non...»

Di colpo, Matthew si bloccò e allontanò il viso da lei. La fissò severo, tanto che le sue iridi sembrarono diventare metallo gelido. Anne rabbrividì. L'ultima cosa che desiderava era allontanarlo con le sue paranoie e paure, ma non riusciva più a portare quel peso dentro. Raccolse il coraggio. Se doveva annegare, il momento era arrivato.

«Io so che ero invisibile, prima di tutto questo. Nessun talento speciale, nessun particolare curriculum scolastico, solo una ragazzina impaurita che non aveva idea di cosa fare della propria vita e...»

Matt la interruppe. «Quella sera, come sempre...»

Anne si pietrificò, pronta ad essere dilaniata dalla verità.

«...nessuno badava ai musicisti. Tu sei stata l'unica a guardare verso il palco.»

Rassicurandola con la sua espressione tranquilla e ferma, approfittò della sua sorpresa.
La prese per la vita e l'accompagnò fino a farla stendere su un fianco. Le sue mani sempre intente ad accarezzarle il viso, con il naso immerso nei suoi capelli.

«Chiudi gli occhi. Ora ti racconto quello che sarebbe stato, se tutto ciò non fosse successo...»

Anne pendeva dalle sue labbra, curiosa di sapere e sfinita. Chiuse gli occhi e tese le orecchie.

«Ti avrei dedicato la mia canzone. Poi, sarei sceso a chiederti di ballare. Avrei cercato di rendermi irresistibile e a fine serata ti avrei riaccompagnata a casa in macchina. Avrei sperato di rubarti un bacio e un vero appuntamento. Comunque, mi avresti detto di sì, perché al mio sorriso non avresti potuto resistere.»

Anne sorrise, ma rimase con le palpebre abbassate. «Saremmo usciti un paio di volte, poi ti avrei invitato a casa dai miei. Ti avrebbero adorato, anche se mia madre non lo avrebbe dato a vedere. Poi, immagino mi avresti presentato ai tuoi. Quanto mi sarei impegnato per fare colpo su tuo padre e tuo fratello!»

Stavolta, Anne rise con un velo di malinconia sulle labbra. Nessun membro delle loro rispettive famiglie era riuscito a salvarsi.

«Ci saremmo dovuti separare per andare al College, ma avrei fatto di tutto per restare in contatto. Dopo il diploma, ti avrei fatto la proposta di matrimonio. Anche qui, il mio magnifico sorriso ti avrebbe strappato un "sì, lo voglio".  Ad entrambi piace il caldo, quindi avremmo cercato casa e lavoro lungo la Costa. Una famiglia: dei figli, un cane. Ok, anche un gatto per te. Un sacco di viaggi e avventure. Promozioni e successi e, alla fine, saremmo diventati due fantastici nonni. Avremmo avuto il privilegio di invecchiare assieme ed essere felici finché morte non ci separi.»

Anne aprì gli occhi, colmi di tristezza. Li posò su Matt e gli accarezzò una guancia. Il petto le doleva, come se pensare a certe cose la facesse sanguinare.

«Questo è un sogno irrealizzabile.» gli disse, come se volesse davvero spiegarglielo.

«Già... Ma poi mi sveglio e, quando ti vedo al mio fianco, so che posso farcela, che voglio superare tutto questo!» 


FINE



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