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Capitolo 24 Damon

Cinque anni dopo

La stanza è così silenziosa e chiassosa al tempo stesso, sì, perché un silenzio può urlarti contro, può farti impazzire, può mozzarti il fiato in gola. Mille parole vorticano in punta di piedi, mentre fisso la tela bianca di fronte ai miei occhi, illuminata solo dalla flebile luce prodotta dalla lampada alle mie spalle. Non so da quanto tempo sono immobile su questo sgabello, inchiodato con lo sguardo su un bianco al quale non riesco a far prendere vita, le mani tremano. Merda, sono fottuto! Stropiccio il volto, ma è tutto qui, che implode nel mio petto che, ansante, si alza e si abbassa a un ritmo incessante che non riesco a rincorrere. La fronte si imperla di sudore, allo stesso tempo che tutta la mia vita... la nostra vita, mi sfreccia davanti come un treno che non può fare fermate.

«Allyson», mormoro a un cuore che si stringe al solo pensiero di lei, della mia luce, della mia àncora di salvezza. La ragazza che ha sgretolato la mia corazza ha curato la mia anima fino quasi a perdere la sua.

«Papà... papà!», Cindy irrompe nella stanza con il visino corrucciato, i capelli di un castano chiaro raccolti in due trecce che svolazzano a ogni suo passo; Damian dietro di lei, pesta i piedi a terra. È quando guardo lui, che trovo lei e perdo un battito. La vedo nei suoi occhi, nel colore dorato dei suoi capelli, in quella bocca che mi regala lo stesso sorriso. La sua copia perfetta, non avrei mai potuto desiderare altro.

«Che succede? Cosa avete combinato questa volta?», incrocio le braccia al petto, dedicandogli la mia totale attenzione con un sopracciglio inarcato, mentre il brusio dei miei pensieri si affievolisce, diradandosi in un angolo della mia mente.

«Voglio la mamma... papà, io voglio la mia mamma», ripete Cindy in un suono cantilenante, che mi strappa il respiro dal petto e sono di nuovo lì, in quella maledetta stanza d'ospedale, al suo fianco, mentre ogni suo respiro mi avvolgeva come se mi stesse salutando, come se mi dicesse: "Io ci sarò... qualsiasi cosa accada noi ci ritroveremo sempre... sempre e per sempre".

È così quando trovi un amore come il nostro, che va oltre l'impossibile, contro un destino che non potrà mai separarci, perché ovunque sia io non amerò altro che lei, i miei occhi annegheranno sempre nei suoi senza voler mai più riemergere.

«Manca anche a me, papà», interviene Damian strattonandomi la felpa; scorro lo sguardo sul tessuto ormai logoro dal tempo, lo stesso che ha sfiorato mille volte la sua pelle.

«Manca tanto anche a me», mi sporgo verso di loro, li fisso in quei loro sguardi che riempiono ogni vuoto che ha provato a mettere radici dal giorno della nascita di Damian.

Doveva essere il nostro giorno, dovevamo sorridere insieme, ma non è stato così.

La paura mi ha dilaniato, è arrivata un'altra volta a pugnalarmi alle spalle.

Ho sottovalutato tutto.

Ho sbagliato ancora.

«Ecco dove eravate finiti», Arleen si staglia sulla porta del mio studio, è bellissima con il suo pancione che cresce ogni giorno di più. A breve diventerò zio. Cody non è più il mio migliore amico, è l'uomo a cui ho affidato la vita di mia sorella e non potrei esserne più felice, soprattutto in un giorno come questo, che non è solo il compleanno del mio ometto.

«Noi vogliamo la nostra mamma», Damian aggrotta la fronte, strizzando gli occhi verso mia sorella, con la quale ci guardiamo un attimo senza proferire parola.

«Abbiamo una festa da organizzare, qui qualcuno compie cinque anni o mi sbaglio?», cerca di deviare il discorso, mentre Cody giunge in nostro soccorso, fiondandosi sul piccolo.

«Adesso vedrai che grande volo facciamo», gli dice prendendolo fra le sue braccia e facendolo volteggiare per la stanza. Le sue risate incombono facendomi sorridere, mentre escono dalla stanza, seguiti da Cindy che saltella dietro di loro.

«Come stai?», Arleen si siede di fronte a me, sul divano.

«Non lo so sinceramente, sono nervoso e la testa è un totale casino», sospiro e guardo fuori, dove in lontananza posso vedere la torre Eiffel che torreggia su tutta Parigi. Siamo qui, nella città dei suoi desideri, del suo sogno nel cassetto.

«Lo so che questo giorno ti fa star male, ma non oggi, Damon, oggi non puoi farti inghiottire dai ricordi», scrollo le spalle, non esiste dolore più grade di perdere una parte di te, con la consapevolezza che non potrai più tenerla fra le tue braccia. Ma ha ragione, sono passati cinque anni e oggi non posso permettere che i ricordi mi tormentino come vecchie ombre. «Hai letto il New York Times?», scuoto la testa in segno di diniego, prende il suo cellulare e scorre sul display fino a mostrarmi l'articolo che parla di me:

"Damon Sanders, diventato uno fra i più grandi artisti del nuovo millennio, sembra aver perso la strada ultimamente. Attendiamo già da svariati mesi la sua opera più grande intitolata "vita". Sembra che neppure la grande Parigi riesca a ispirarlo, eppure, un tempo, a questo giovane artista non serviva un luogo preciso per far prendere forma alle sue opere che hanno fatto il giro del mondo. Confidiamo in un suo ritorno".

«Non avevo dubbi che avrebbe sparato a zero», commento facendo schioccare la lingua contro il palato.

«È una critica d'arte, fa solo il suo lavoro e vorrebbe che anche tu facessi il tuo», rido amaramente, poi scatto in piedi facendo ribaltare la tela, che cade a terra producendo un tonfo che riecheggia per lo studio.

«Sono bloccato, cazzo.

Non riesco a muovermi senza il terrore che tutto possa sfumarmi da sotto gli occhi. Stiamo parlando di Allyson, della madre dei miei figli!», sbraito mentre lo stomaco si attorciglia su sé stesso.

«Damon...», sollevo la mano per fermare le sue parole.

«Non puoi capire, Arleen, non questa volta», restiamo in silenzio per un paio di minuti, nei quali mi perdo con lo sguardo su questa città che parla di lei; nella mia testa, frammenti di noi mi attraversano il petto, scorrendo sulla pelle, dove i brividi si propagano come fiamme che mi avvolgono e bruciano per il dolore che sento.

«Non posso capire, hai ragione, ma ormai ci siamo, sei andato avanti e non puoi tirarti indietro, lo devi a te stesso... ad Allyson», butto un'occhiata allo smoking appeso a una mensola che sporge dal muro.

«Sto facendo la cosa giusta?», mormoro, e quasi sembra che lo stia chiedendo a me stesso. Sento i suoi passi dietro di me, il suo mento che si posa sulla mia spalla, le braccia che cingono la mia vita.

«Non potresti fare cosa migliore, credimi», annuisco debolmente e resto solo con me stesso, a guardare il tempo scorrere più veloce, come se mi stesse sfuggendo di mano.

Ed è così, il tempo non aspetta nessuno, va avanti per la sua strada e a noi resta solo inseguirlo se non vogliamo restare indietro.

Vado in bagno per farmi una doccia, lascio che il vapore caldo dell'acqua saturi la stanza a tal punto da non riuscire più a vedere la mia immagine riflessa allo specchio.

Non voglio guardarmi, so che se lo facessi, mille dubbi si affollerebbero come fantasmi nella mia mente, ma ha ragione Arleen, è arrivato il momento di andare avanti, di lasciarsi questo fottuto passato alle spalle.

Lo devo ai miei figli e lo devo anche lei.

Rivoli d'acqua scorrono sul mio corpo, mentre ancora una volta immagino la sua bocca che marchia la mia pelle, i suoi respiri che incalzano nelle mie orecchie, i suoi gemiti che ingoio come l'essenza vitale per tenermi in piedi, senza farmi vacillare ancora una volta in quel baratro che ora è così lontano. Poggio le mani sulle piastrelle, lascio la testa cadere verso il basso, allo stesso tempo che l'acqua mi investe e lascio che lavi via tutto ciò che ha cercato di seppellirmi.

«Devi reagire, Sanders, cazzo!», le mani si serrano in due pugni, che pesto contro la parete, con la rabbia che sento montare come una vecchia amica. Quando sono nella mia camera da letto, mia madre mi osserva, poggiata allo stipite della porta.

«Andrà tutto bene, Damon», lei e Derek abitano ormai insieme da due anni, a Boston. Sono felice per mia madre, perché anche la sua vita ha trovato una luce che la illumini. «Ti aiuto?», sbuffo.

«Questo dannato cravattino, non ne vuole sapere...», lo strattono, pronto a gettarlo a terra, ma lei lo afferra prima che possa farlo e mi aiuta a fare il fiocco. I suoi occhi si inchiodano nei miei e credo che il suo sguardo non mi abbia mai parlato come in questo momento, in cui mi grida di andare avanti; trattengo le lacrime che, tenute nascoste per troppo tempo, implorano di uscire. «Puoi anche farlo, Damon, sei umano, puoi concederti di piangere», crollo senza rendermene conto, il mio volto sprofonda sulla sua spalla, le sue braccia mi avvolgono come quando ero solo un bambino che cercava di nascondersi dai propri incubi, fino a quando nessuno avrebbe potuto salvarmi, nessuno tranne Al. «Piangi, Damon, ne hai il diritto», i singhiozzi mi soffocano e mi liberano al tempo stesso. Cinque lunghi anni si sono tatuati indelebili sulla mia pelle, anni nei quali il pensiero, il ricordo che andava poco per volta a sfocarsi è stato sempre lo stesso. Le sue mani sollevano il mio volto, i pollici cancellano le lacrime. «Ora sei pronto».

Mi faccio largo fra la gente in fila, che mi guarda con curiosità, mentre mi affretto a salire sull'ascensore che mi porterà a centoventicinque metri d'altezza; il cuore pompa nel petto a ogni metro che mi separa dalla terra ferma, come se stessi volando verso una nuova vita.

Le porte si aprono al secondo piano della torre Eiffel, Le Jules Verne è deserto, l'intero locale è a mia disposizione.

Il proprietario viene verso di me. «Benvenuto, signor Sanders, è tutto pronto come aveva chiesto», accenno un sorriso e mi guardo attorno; fiori di vari colori adornano lo spazio circostante, mentre tante piccole luci bianche penzolando dal soffitto.

In fondo, di fronte alla grande vetrata che regala un panorama mozzafiato e dove l'intera città sembra chiusa nel mio pugno, c'è una sorta di arcata di legno bianco laccata.

«Ci siamo, allora?», Louis mi guarda in attesa di una mia reazione, ma non riesco a parlare, sono paralizzato.

Starò facendo la cosa giusta? domando a me stesso, ma non posso più tornare indietro.

Ora sono qui, dove devo essere. Mi limito ad annuire, le mani sudano e quando il "din" dell'ascensore mi avvisa che è arrivato il momento, mi volto quasi al rallentatore. Il cuore cessa di battere nel petto, per poi prendere a schiantarsi contro la gabbia toracica. L'abito color avorio le cade addosso proprio come immaginavo, i capelli corti le lasciano il volto libero.

Infilo le mani in tasca stringendoli in due pugni, per resistere alla tentazione di correrle incontro. La osservo camminare verso di me, mentre tutte le distanze che ci separano si annullano una ad una, come tanti piccoli cristalli che cadono in frantumi.

«Damon...», sussurra incredula.

«Evans», annaspo nel mio stesso respiro nel pronunciare il suo nome che esplode nella mia bocca.

«Perché siamo qui? L'abito e...», non la lascio finire di parlare che afferro la sua mano e l'attiro a me.

«Credevo che non saresti venuta», i miei occhi scorrono su di lei come se fosse una visione paradisiaca.

«Cody è venuto a prendermi all'aeroporto e Arleen, quando sono entrata in casa, mi ha messo in mano la scatola che conteneva questo abito, poi mi ha solo detto "vai da lui, questo è il vostro giorno"», dice mentre trattengo il fiato, cercando di trovare le parole giuste che non vogliono saperne di venire fuori.

«Cinque anni fa ho rischiato di perderti e quel dolore è ancora qui, mentre il tuo cuore non ne voleva sapere di riprendersi. Quel giorno, una parte di me è morta, Allyson, perché i minuti e le ore sono stati così interminabili che mi hanno risucchiato. Tu sei la mia vita, la mia luce e il mio tutto... non esiste nessun Sanders, senza la sua Evans...», la voce si incrina. «Credevo che avrei dovuto crescere i nostri figli da solo, senza che i tuoi occhi mi accompagnassero. Non mi sono mai sentito così vuoto e così impotente fino a quando sei uscita dalla sala operatoria...», poggio la mano sul suo petto, «con un nuovo cuore che batteva ancora per me, ma la paura, quella, cazzo, è rimasta. Io non posso perderti e per tutto questo tempo mi sono sentito bloccato, paralizzato dal terrore che qualcosa potesse andare un'altra volta storto. Ne abbiamo passate troppe, come se il destino avesse voluto separarci fin dal primo giorno che le nostre anime si sono scelte in silenzio. Oggi sono qui, nello stesso giorno in cui ti ho quasi persa, per prenderti e per tenerti stretta a me», i suoi occhi colmi di lacrime cedono, lasciando che le righino con dolcezza il volto. «Abbiamo detto che non ci saremmo mai sposati, ed è così, perché non ho bisogno di un pezzo di carta che dica che sei mia, ma voglio qualcosa che sia solo nostro», Louis si avvicina, posizionando le sue cose su un tavolo messo a disposizione; lei mi guarda confusa senza emettere un fiato.

Mi siedo e porgo la mano al mio amico tatuatore. Sa già cosa deve fare e il ronzio della macchinetta, poco dopo, fende l'aria circostante, mentre mi schiarisco la voce: «Ti prometto di esserci, ti prometto che non ti lascerò mai andare, anche se dovessi buttarmi in un altro inferno. Non ti dono il mio cuore o non una parte di me, ti dono tutto me stesso. Sempre e per sempre...», il disegno prende forma sul mio anulare, una fascia a forma di fede lambisce il mio dito con la scritta a caratteri stilizzati: Sempre...

«Tu sei pazzo, Sanders», la voce le trema, mentre il tatuaggio viene pulito e io le porgo la mano.

«Vuoi che sia tuo per sempre?», pronuncio a un millimetro dalla sua bocca carnosa, dove i nostri respiri si mescolano l'uno con l'altro.

«Lo voglio», poi si siede al mio posto, mentre le mie mani premono sulle sue spalle.

«Non farle male», minaccio al mio amico, che scoppia a ridere.

Ci guardiamo, occhi negli occhi, il suo mare mi inghiotte senza ritorno, nessuno può strapparmi da lei. Ho vissuto con l'angoscia che le potesse succedere qualcosa, che un giorno mi sarei svegliato e lei non l'avrebbe più fatto.

Ma è solo un'altra battaglia da affrontare, lottare contro la paura che devo sconfiggere perché la smetta di condizionare la mia vita. Lei ora sta bene, è qui sotto il mio sguardo che strizza gli occhi mentre l'ago marchia la sua pelle candida.

Allyson

Non sento dolore mentre il picchiettio costante dell'ago disegna sul mio anulare la metà perfetta di ciò che siamo. Sono tornata da New York, dove ero per lavoro, e la mia famiglia mi è mancata così tanto, ma ora sono una critica d'arte e viaggiare fa parte del pacchetto.

Quando ho aperto il pacco con il vestito che porto addosso, non sapevo cosa aspettarmi; anzi, credevo che, come al solito, volesse passare del tempo da soli nel nostro posto preferito. Qui, al Jules Verne, dove abbiamo cenato il primo giorno in cui ci siamo trasferiti nella città dei miei sogni.

È stato un regalo di Damon per la mia laurea; non credevo ai miei occhi mentre guardavo i biglietti aerei racchiusi in un cofanetto di velluto nero.

Mi ha detto che nulla avrebbe mai dovuto spezzare il mio sogno, che custodivo da quando ero solo una liceale che immaginava che da adulta avrebbe vissuto nella città dell'arte, la culla dell'amore.

Mi volto verso di lui.

«Ti prometto che sarò tua, che niente e nessuno potrà mai dividerci, che ci ritroveremo sempre... e per sempre», la stessa frase che ora occupa il mio anulare. Lui poggia la sua mano di fianco alla mia, le scritte spiccano e si congiungono come la promessa più grande che non potrà mai essere infranta.

«Sempre... e per sempre», pronunciamo all'unisono, prima che le sue braccia mi attirino a sé, la sua bocca sfiora la mia e una scarica elettrica mi attraversa la schiena mentre accolgo il suo sapore in me, che mi investe come ghiaccio e brucia come fuoco.

Mi prendo le sue paure, per restituirgli solo la consapevolezza che, ancora una volta, ce l'abbiamo fatta.

Siamo qui, solo noi oltre l'impossibile.

Ho creduto di morire, di non vedere più la luce, ma non è successo. Damon è forte quanto fragile e so che rischiare di perdermi l'ha devastato allo stesso modo in cui aveva distrutto me, quando ho rischiato di morire. Le nostre cicatrici si incastrano fra loro alla perfezione. Il destino ci avrà messo alla prova, ma ci ha fatto incontrare per una ragione.

«Ti amo, piccola», mormora contro la mia bocca.

«Ti amo, piccolo», ripeto intrecciando la mia mano nella sua. Si stacca, passandosi il pollice sulla bocca, dove i nostri sapori luccicano sotto i riflessi della luce che filtra dalla finestra.

«Non mi è piaciuta affatto la critica che hai scritto per il New York Times», mi rimprovera.

«Lo sai che voglio che torni a dipingere come hai sempre fatto. Sono passati cinque anni, io sto bene, sono qui e non ho intenzione di andare da nessun'altra parte che non porti il tuo nome, Damon. Sei la sola isola nella quale voglio vivere», mi afferra il volto, sorreggendolo nel palmo della mano.

«Ti darò quel fottuto dipinto, Evans», sorrido contro le sue parole.

«Stia attento, Sanders, o potrei scrivere un altro articolo su come lei sia poco professionale...», lo stuzzico mentre si protende verso di me, il calore del suo respiro solletica il mio collo e sono a casa, mentre la lingua umida scivola sul lobo del mio orecchio, facendomi quasi barcollare.

«Non mi dispiacerebbe una sua intervista, Evans, in un luogo più intimo, però...», ammicca in tono roco e graffiante che mi rende schiava delle sue parole e del suo corpo che preme contro di me. Veniamo distratti dalle grida di gioia che irrompono nel locale. Damian e Cindy corrono verso di noi.

«Mamma!», urlano, accompagnati dalle nostre famiglie. Mio padre cinge un braccio attorno a Klarissa.

Non ne sono rimasta sorpresa quando l'ho scoperto, forse perché il cuore non conosce regole o limiti che l'amore non sappia infrangere.

Certo è strano, lui è mio padre e lei la madre di Damon, eppure è come se il cerchio si fosse chiuso.

Se suo padre e mia madre, in qualche modo, con il loro amore hanno in parte rischiato di dividerci, questo ci ha uniti. Klarissa è la madre che non ho mai avuto, la persona più buona e dolce che abbia mai conosciuto.

Ha guardato suo figlio morire e rinascere, senza che nessuna delle sue parole potesse mai ferirla, non ha giudicato gli errori di Damon, perché i suoi sbagli l'hanno portato esattamente dov'è ora.

A volte devi cadere mille volte per imparare come non inciampare più nella strada della tua vita.

«Amori miei», grido chinandomi ad abbracciare i miei figli, che mi si gettano al collo; erano al parco con i nonni quando sono rientrata dall'aeroporto e sentirli stretti fra le mie braccia mi fa esplodere il cuore di gioia.

«Allora, fateci vedere», esclama Cody con un ghigno impresso sulla faccia.

«Fatti i cazz... gli affari tuoi», si corregge Damon, dopo avergli rimproverato che Damian se ne andava in giro per casa snocciolando parole un po' troppo colorite, che poteva aver imparate solo da una persona di mia conoscenza.

«Te la stavi facendo sotto, amico», lo prende in giro e aggrotto la fronte confusa, mentre vedo la palpabile insicurezza disegnare il suo profilo scolpito. Mi avvicino a lui posando la mano sul suo petto.

«Credevi davvero che non avrei voluto fare questo salto insieme a te?», scrolla le spalle.

«Non lo so... forse abbiamo saltato così tante volte...», poso il mio dito indice sulla sua bocca per fermare il flusso delle sue parole.

«Salterei nel vuoto e nell'ignoto altre mille volte se sapessi che la mia mano sarebbe intrecciata alla tua, Damon», ci sorridiamo, incatenando i nostri sguardi.

«Ho un'altra sorpresa per te», mi strizza l'occhio, allo stesso tempo che digita veloce qualcosa sul cellulare e, poco dopo mi trovo davanti Kam e Chaise, seguiti da Cristal con Trevis e da Jenna con Alec. Sì, avete sentito bene, Alec Sanchez ha seppellito anche lui il suo passato e ha dato un nuovo nome alla sua vita, che è quello della mia migliore amica che, insieme a Cristal e Kam mi travolgono in un abbraccio.

«Non ci credo che siete tutti qui», l'emozione mi soffoca le parole in gola. Guardo i miei amici.

«Non potevamo perderci il vostro...», Kam arriccia la bocca alla ricerca della parola giusta.

«Non matrimonio, no?», si intromette Alec, strappandomi da loro per stringermi in un abbraccio.

«Sei bellissima, Ally», i miei occhi non vedono più in lui il passato, ma solo il presente di ciò che è diventata la sua vita. Lui e Jenna vivono a Seattle, dove lei è un noto avvocato; ha fatto terminare gli studi anche ad Alec che alla fine si è dato al commercio, aprendo svariati locali nelle vie più centrali della città. Kam e Chaise non sono venuti da soli, con loro c'è Marianne, che sono riusciti ad avere in affidamento solo un anno fa. Non ho mai visto il mio migliore amico così felice. Ci scambiamo un sacco di e-mail e messaggi nei quali gli propino i miei consigli di madre già collaudata. Cristal e Trevis si sposeranno alla fine dell'anno, quindi ci spetta un viaggio nella grande mela dove abitano.

«Ma oggi non è solo il nostro "non matrimonio"», Damon mi cinge in vita e un attimo dopo entra una torta di compleanno per il nostro piccolo ometto. Siamo tutti qui, tutti insieme, i segreti si sono dissolti nell'aria, le ombre non sovrastano più le nostre vite. Hanno provato a piegarci, ma nessuno è riuscito a spezzarci. «Voglio dire una cosa», Damon mi porge un calice di Champagne e tutti ne prendono uno dai vassoi che portano i camerieri. «Sapete che non sono bravo con le parole, però mi tocca, ragazzi». Scoppiamo tutti a ridere, mentre mi irrigidisco. «Siete la mia famiglia e ognuno di voi, a modo suo, ha riempito le nostre giornate, ci ha salvato o ci ha fatto ritrovare...», alza il calice verso Kam, al ricordo di quando, sbronza, mi aveva lasciato come un pacco postale di fronte al portone della Kappa Sigma. «Quindi, grazie a ciascuno di voi... ora basta con le smancerie, festeggiamo!», grida scolandosi l'intero bicchiere, poi si volta verso di me. «Non lo bevi?», guardo le bollicine farsi strada nel liquido dorato.

«Non... Non posso...», lo guardo negli occhi, che si assottigliano contro i miei con curiosità. «C'è un Sanders in arrivo».

*SPAZIO XOXO*

Ve lo aspettavate?

E dopo questo capitolo manca solo l'epilogo

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