Capitolo 23 Allyson
Arrivo al campus in un ritardo assurdo e credo che oggi non mi ammetteranno alla lezione della prima ora. Vestirmi è diventata una sfida tra me e la mia pancia, che ormai arriva prima di me di fronte a tutto.
L'estate è volata in fretta, tra lo studio per recuperare alcuni corsi, la piccola Cindy e gli spostamenti di Damon tra le varie gallerie di Gagosian.
Ma è stato un sollievo, abbiamo vissuto la normalità, siamo genitori, sono una studentessa, lui è un'artista e tutto è quasi surreale. Sapete quel momento in cui ti fermi un attimo, guardi la tua vita e un sorriso spontaneo sfocia senza chiedere il permesso sulle tue labbra? Ecco, mi sento esattamente così, sopraffatta da tutto e avvolta dalla pace; è una sensazione nuova che mi attraversa con dolcezza e scorre lentamente. Tutto questo lo devo al fatto che il nostro passato, dopo la sera in cui Damon è andato dal padre, lo abbiamo preso e chiuso in un cassetto, con la promessa che non lo avremo più riaperto. Abbiamo tratto in salvo solo i frammenti che ci hanno strappato un sorriso, che ci hanno fatto mancare un battito o che ci hanno mozzato il fiato nel petto, quei ricordi di noi che vivranno sempre in ogni nostro respiro. Kam mi sta aspettando all'ingresso del portone della Boston University. Ha passato l'intera estate negli Hamptons con Chaise e le cose tra loro vanno molto meglio; sembra che per il ringraziamento, il padre di Kam si sia deciso a incontrare il compagno del figlio e ad accettare la sua omosessualità. Non potrei esserne più felice, perché nessuno merita di vivere nell'ombra o di essere additato come "diverso". Non ce ne rendiamo conto, ma siamo tutti diversi, tutti esseri speciali con qualcosa da offrire. È così che ora vedo i colori del mondo che mi circonda e non potrebbero essere più nitidi, dopo che per troppo tempo sono stati sfumati dal grigio delle nostre giornate.
«Perché diamine mi hai aspettato? Ora sei in ritardo per colpa mia», la mano del mio migliore amico si posa sulla mia schiena in un gesto affettuoso che mi fa stringere nelle spalle.
«Principessa, dovevo accertarmi che tu e la tua pancia arrivaste sani e salvi», commenta divertito, posando i suoi grandi occhi azzurri sul mio ventre. Mancano poche settimane al termine della gravidanza, il che significa che Damon è la mia ombra, che mio padre mi telefona due volte al giorno, a volte anche tre, e che Jenna e Cristal si alternano nel mandarmi messaggi a raffica. Sono tutti in fermento.
«Siamo arrivati sani e salvi, ora andiamo a lezione altrimenti sarà il professore a farci fuori», attraversiamo il corridoio ormai deserto del dipartimento di Storia e Filosofia.
«Come ti senti?», sorrido, perché mi aspettavo la domanda che mi propina ogni mattina.
«Come ieri: grassa, pesante e stanca». Dormire, fra i movimenti di Damian che si dimena nella mia pancia e Cindy che piange per stare nel letto con noi, è diventato quasi un sogno a occhi aperti; regalerei la mia scorta di gelato fragola e panna per un paio di ore di sonno.
«Non sei grassa, sei solo incinta», mi corregge senza staccare la sua presa dalla mia schiena.
«Sì, sono solo molto incinta», lo correggo a mia volta. Scoppiamo entrambi a ridere e finalmente entriamo in classe, sotto lo sguardo contrariato del nostro professore.
Kam non gli lascia nemmeno il tempo di aprire bocca che parte all'attacco: «Ha la minima idea del carico sporgente della Evans? Abbiamo trovato traffico», ironizza, facendomi scuotere la testa mentre nell'intera aula si solleva un'eco di risate e battute sommesse.
Non mi sento più esposta o in imbarazzo, non permetto più a me stessa di sentirmi così. Ho capito che il solo parere di cui mi importa, è quello delle persone che riempiono le mie giornate e non di coloro che sono solo degli incontri occasionali nella mia vita.
Quindi, le due ragazze in prima fila che commentano il mio culo troppo grande o quelle dietro di loro, che si interrogano su come potrò riuscire a laurearmi dopo la nascita del mio bambino, non mi sfiorano minimamente. Kam, al mio fianco, si irrigidisce, ma io sfoggio un ampio sorriso mentre le guardo dritte negli occhi mostrando loro quanto la mia vita, per quanto contorta possa essere dalla loro prospettiva, per me è semplicemente perfetta.
Non desidero altro che questo: io, Damon e i nostri figli. Strattono Kam per un braccio e prendiamo posto nell'ultimo banco, mentre lo sento grugnire qualcosa di incomprensibile alle mie spalle.
Tutti si rimettono composti e finalmente posso sedermi anch'io. «Non avrei dovuto fare quella battuta», sfilo il mio laptop dalla borsa e l'accendo, guardandolo di sottecchi.
«A me non è dispiaciuta», lo vedo contrarre la mascella.
«Anche a quelle stronze che non hanno perso tempo a...», lo prendo per il braccio per fermare i suoi gesti che fendono l'aria, mentre le indica.
«A dare aria alla bocca, non hanno perso tempo a dare aria alla bocca. Davvero, Kam, va tutto bene, non mi importa cosa dice la gente o cosa pensano di me e Damon. Solo io conosco la mia vita, solo io so cosa voglio ed è tutto ciò che mi basta», mi osserva per qualche secondo limitandosi ad annuire, allo stesso tempo che il professore inizia a riassumere cosa ci dobbiamo aspettare da questo secondo anno accademico. Cerco di seguire le sue parole, i traguardi che ognuno di noi dovrà prefissarsi per la vita che affronteremo fuori di qui e sorrido, perché so di aver affrontato più di quanto una qualsiasi persona potrebbe sopportare.
Il cellulare vibra nella tasca della mia giacca; siamo solo alla seconda settimana di ottobre, eppure a Boston sembra essere già arrivato l'inverno e il cielo è talmente grigio, di una sfumatura tendente al bianco, che quasi ti immagini che possa nevicare da un momento all'altro, mentre gli alberi che si stagliano nel giardino hanno solo qualche foglia gialla a adornare i rami spogli.
Lo sfilo dalla tasca e, tenendolo nascosto sul grembo, leggo il messaggio che ovviamente è di Damon:
"Sei arrivata in classe?".
Dio, sono incinta non stupida.
Roteo gli occhi al cielo.
«Damon?», mormora Kam, intuendolo dalla mia espressione.
Annuisco e picchietto velocemente le dita sullo schermo per rispondergli:
"No, sono rimasta incastrata nel portone d'ingresso".
Premo invio, immaginando i suoi splendidi occhi, di un verde smeraldo, ridotti a due fessure, le labbra carnose, con quella curva accentuata in quello inferiore, imprigionate nella presa dei denti.
Non tarda a rispondermi:
"Sei davvero spiritosa, Evans, comunque passo a prenderti io. Hai freddo? I pantaloni del pigiama dove li hai messi? E le scarpe che porti sono abbastanza comode?".
Rileggo più volte quelle domande senza senso, corruccio la fronte e arriccio il naso nel tentativo di capirci qualcosa:
"Sanders, mi stai facendo preoccupare, hai per caso sbattuto la testa? Ma che diamine stai farfugliando?".
Giocherello col cellulare fra le mani fino a sentire la prossima vibrazione che mi avvisa della sua risposta:
"Sto bene, piccola, e fidati, stasera farò sentire bene anche a te".
Stringo le cosce in un impulso che non posso controllare perché gli ormoni sono su una giostra che porta il suo nome.
«Mi auguro che non vi stiate scrivendo porcate mentre sono al tuo fianco», mi ammonisce Kam e io avvampo, ma cerco di mantenere un certo contegno, perciò, dopo averlo fulminato con lo sguardo, si limita a prestare attenzione alla lezione. Il cuore scalpita veloce nel petto, bastano poche parole, le sue, per farmi perdere la cognizione del tempo e di ciò che mi circondi, per quanto siamo fusi l'uno nell'altro. Metto via il telefono, dopo aver sentito il mio professore schiarirsi in modo sommesso la voce, mentre il suo sguardo punta dritto verso di me. La prima ora passa in fretta, come le seguenti, nelle quali mi ritrovo a essere senza la spalla di Kam. Mentre sto per uscire dall'aula della mia ultima ora di lezione di Storia dell'Arte, il professore mi richiama.
Mi fermo di fronte alla sua cattedra e attendiamo che il flusso degli studenti si diradi in fretta sotto i nostri occhi.
«Signorina Evans, so che a breve partorirà...», non gli rispondo dal momento che è abbastanza evidente, «mi domandavo, come intende procedere con il corso? Sa bene che questo campus, come molti altri, accetta un certo numero di allievi e...», non lo lascio finire di parlare, perché so esattamente dove vuole andare a parare, ovvero, a cedere il mio posto a qualcun altro.
«Nel il primo periodo studierò da casa e mi presenterò a ogni test o esame al quale deciderà di sottoporci», sono decisa, niente e nessuno potrà impedirmi di frequentare questo corso o di realizzare il sogno che continuo a custodire in un angolo remoto del mio cuore.
«Ammiro la sua tenacia e...», scuoto il capo storcendo la bocca.
«Ascolti, sarò io a dover cambiare pannolini e a stare in piedi nel cuore della notte, come sarò sempre io quella che dovrà aprire una pagina del libro per mettersi a studiare. Quindi, se non ha intenzione di discriminarmi solo perché sto per avere un figlio e le sue sono solo delle premurose preoccupazioni, io andrei. Sa, mio padre, l'avvocato Evans, mi ha detto che le cause contro un intero corpo docenti rendono molto», sbianca e trasalisce al tempo stesso, come se gli avessi appena dato un pugno sul muso; in realtà non mi sarebbe dispiaciuto affatto, forse non sa che non bisogna mai mettersi contro una donna incinta.
«Sì... sì, certo, signorina Evans, mi stavo solo... solo preoccupando», la sua balbuzie conferma che ha recepito il messaggio.
Metto in spalla la borsa ed esco. Sono cambiata? No, sono solo cresciuta, anche se ho dovuto farlo in fretta, per Cindy e per il mio guerriero che anche ora scalcia nella mia pancia, sostenendomi a ogni mia parola.
«Cosa voleva?», Kam mi sta aspettando lungo il corridoio.
«Solo farmi mollare il corso», faccio spallucce e lui non è affatto divertito, ma è da quando hanno saputo della gravidanza che mi dicono che non ce la potrò mai fare, per questo gli dimostrerò quanto si sbaglino. «Qualcuno ti aspetta, eh?», seguo il suo sguardo, che precipita atterrando sul mio ragazzo. Damon è poggiato alla sua nuova auto, una Daytona blu elettrico con due strisce nere da corsa disegnante lungo le fiancate. Devo ammettere che, quando un pomeriggio di luglio è rientrato a casa con quel gioiellino, i miei ricordi sono sfrecciatati veloci, come il giro in macchina che ci siamo concessi lungo l'autostrada deserta mentre la piccola Cindy era dai Sanchez.
I miei occhi scorrono sul suo corpo tonico, le mani calcate in tasca fanno guizzare i muscoli delle braccia, le gambe intrecciate mettono in risalto le curve delle sue cosce massicce, i capelli scompigliati in modo perfetto, con qualche ciuffo che ricade morbido sulla fronte, incorniciano il suo sguardo che, ardente, brucia ogni cellula del mio corpo facendomi dimenticare persino dove mi trovi. «Schiodati, Evans, e va' da lui prima che sbavi sulle mie nuove Stansmith», gli assesto una gomitata al fianco, mi incammino e gli faccio la linguaccia, prima di raggiungere un Damon che si stacca dalla carrozzeria della sua auto per raggiungermi.
«Ehi, piccola», la sua voce roca mi attraversa, ghiacciandomi e sciogliendomi come neve al sole.
«Ehi, piccolo», mi attira a lui e le nostre labbra si schiantano l'una sull'altra, il cuore fa una capriola nel petto, seguita da un'altra, fino a strapparmi il terreno da sotto i piedi. Mi aggrappo alle sue braccia possenti per il timore di cadere. Sento tutto di lui, lo percepisco scorrere dentro di me donandomi tutto sé stesso.
Il suo sapore si disperde nella mia bocca, i miei gemiti preferiti li sento strozzati nella gola, mentre con la lingua mi lambisce e mi tortura. Ci stacchiamo quasi senza fiato. «Sei bellissima», con il dito traccia una linea immaginaria che parte dal mio zigomo fino a raggiugere l'angolo della mia bocca, che porta ancora il suo sapore. «Sei pronta?».
Lo fisso confusa e subito chiedo: «Cindy?». Sapevo che l'avrebbe portata dai Sanchez, come spesso accade perché stia un po' con lo zio Alec, ma di solito, prima di passarmi a prendere a lezione, è già andato a riprenderla.
«Cindy sta bene, ora ho solo voglia di occuparmi di te», mi ravvia una ciocca di capelli dietro l'orecchio, prima di aprire la portiera e aiutarmi a sedere. Non riesco a staccargli gli occhi di dosso mentre si accinge a fare il giro del veicolo; i miei occhi si perdono in lui ogni giorno, eppure è sempre tutto così diverso e inteso da diventare unico, ancora una volta di troppo.
«Ora mi spieghi perché cercavi i pantaloni del mio pigiama?», avvia il motore, che romba colmando lo spazio e fendendo l'aria con sbuffi di fumo bianco che si innalzano in cielo. Ammicca un sorriso, prima di dare gas facendo stridere gli pneumatici lungo il manto stradale.
L'adrenalina ci investe, una mano sul volante, lo sguardo dritto alla strada, l'altra sul cambio delle marce.
Anche se va veloce non mi metterebbe mai in pericolo, gli ho già affidato la mia vita ed è stata una corsa, proprio come quella che sta facendo una volta che imbocca la provinciale.
«SpyPond», si limita a dire, facendo schioccare la lingua contro il palato.
«Stiamo andando al lago?», sono passati più di sei mesi dall'ultima volta che ci siamo stati; lì gli ho rivelato che sarebbe diventato padre. In quel luogo ci siamo rifugiati dal mondo che non ci lasciava via di scampo, è il nostro piccolo angolo di paradiso. Mi abbandono sul sedile, con le note di Closer dei The Chainsmockers che pompano nell'abitacolo. Ho ascoltato questa canzone mentre andavo a cercare i pezzi del puzzle che componevano la vita di Damon.
Quando la sola domanda che occupava la mia mente era: "Chi è Damon Sanders?
Cosa nascondono i suoi occhi, dietro ai quali ho scoperto un intero universo?".
E sentirla proprio ora, mentre tutto è tornato a posto, ha un effetto quasi liberatorio. Come se avesse ascoltato i miei pensieri, la sua mano si posa sul mio ventre, dove il pollice disegna dei piccoli cerchi.
«Ti amo», i suoi occhi cercano i miei per un attimo, ci incastriamo come due metà che si sono cercate per un'intera esistenza.
«Anche io, Sanders... oh, oh mio Dio, Dam...», mi aggrappo alla sua mano, Dam trattiene il respiro e accosta sul ciglio della strada, poi si slaccia la cintura protraendosi verso di me.
«Al, stai bene, che ti succede?», scoppio a ridere, prima di premere la mia bocca contro la sua. Non riuscivo più a resistergli. Mi morde il labbro inferiore, succhiandolo avidamente. «Ringrazia che sei incinta, altrimenti per questo scherzetto te l'avrei fatta pagare sui sedili posteriori», mormora con voce roca contro la mia bocca, facendomi rabbrividire.
«Sei il solito...», mi blocco mentre sento il respiro venir meno.
«Non mi incanti, dolcezza», ma io afferro il suo braccio con tutta la forza che ho, mentre una fitta che si contrae sulla pancia mi attraversa quasi immobilizzandomi. «Merda! Non stai scherzando», scuoto il capo prima di abbassare lo sguardo sui miei jeans zuppi.
«Mi si sono rotte le acque», grido, perché un'altra fitta mi invade facendomi prigioniera. Damon innesta la marcia, facendo inversione a U. Cerco di respirare come mi hanno insegnato al corso preparto che abbiamo frequentato durante i mesi estivi, ma non c'è respiro che tenga, il dolore è quasi insopportabile e ogni minuto che passa si intensifica sempre di più.
«Resisti, piccola, siamo vicini», cerca di rassicurarmi, mentre mi aggrappo al sedile e un urlo sfugge al mio controllo, la spinta che Dam dà sull'acceleratore mi schiaccia allo schienale.
«Fai... fai in fretta», lo supplico. Quando arriviamo al Boston General Hospital, Damon si precipita giù dalla macchina cacciando un urlo verso le porte del pronto soccorso. Corre dalla mia parte, spalancando lo sportello.
«Ehi, qualcuno ha fretta di conoscerci», parla alla mia pancia. «Andrà tutto bene, piccola, sono con te», annuisco non riuscendo a parlare, ma credo che se lo facessi urlerei di nuovo. Due infermiere mi caricano su una barella e mi contorco quando un'altra contrazione mi investe. La mano di Damon è intrecciata alla mia.
«Ho paura», la sua stretta aumenta, ma non dice nulla.
«Donna, ventuno anni, è in travaglio», spiega l'infermiera alla dottoressa di turno al pronto soccorso.
«Allyson», la mia dottoressa compare alle sue spalle, «che succede?», domanda alla collega che inizia a visitarmi, poi si scambiano un'occhiata.
«È in pieno travaglio, sta per nascere», risponde. Poco dopo, mi ritrovo in una stanza bianca che mi divincolo e mi contorco su una grande poltrona. «Spingi, Allyson. Guardami, come senti la contrazione fai una bella spinta», non so da quanto tempo andiamo avanti così, mentre mi aggrappo a qualsiasi cosa trovi per cercare un po' di sollievo.
«Dai piccola, ce la puoi fare», la vista di Dam al mio fianco si offusca.
«Dam...», sento le forze mancare, come se si stessero sgretolando una alla volta e abbandonando il mio corpo. «Dam...», ripeto.
«Deve uscire! Portatelo fuori, sta collassando. Serve un cesareo d'urgenza. Presto!», sono le ultime grida che rimbombano nella mia testa prima che tutto si faccia buio e freddo; i colori si sono spenti, le voci sono cessate, siamo solo io e il nulla che mi avvolge, come se mi stesse strappando via da tutto.
Damon
«Col cazzo che esco!», sbraito, mentre vedo gli occhi di Allyson rivoltarsi all'indietro. «Allyson, Allyson, cazzo, guardami!», urlo mentre vengo trascinato fuori di peso. Pesto un pugno contro il muro, con il respiro che incalza. «Non puoi farlo, cazzo, non puoi!», sibilo contro un destino che mi ha già portato via troppo.
«Damon!», mi volto verso Derek e mia madre che stanno correndo verso di me.
«Mi hanno buttato fuori. Mi hanno buttato fuori», piagnucolo come un cazzo di bambino, mentre la paura mi divora.
«Che cosa è successo?», Derek, in ansia quanto me, mi scuote per una spalla.
«Hanno... hanno detto che stava collassando», tremo, ogni nervo vibra nel mio corpo, perché sono impotente ancora una volta. Derek non molla il mio sguardo, la sua presa stringe attorno alla spalla.
«Non ti azzardare a pensarlo. Non. ti. Azzardare», vorrei non pensare al peggio, vorrei credere che andrà tutto bene, ma proprio non ci riesco. Scappo, inizio a correre per il corridoio, senza sapere nemmeno io dove sto andando. Mi fermo solo quando il freddo sferza il mio volto e un primo fiocco di neve si posa sulla mia spalla. Sollevo lo sguardo verso quel cielo di un bianco candido.
«Perché?», grido gettandomi a terra in ginocchio, non mi importa della gente che mi passa a fianco, sento solo una voragine farsi spazio nel petto. «Non di nuovo», sussurro. «Non di nuovo», ripeto, rivivendo quel giorno in cui ho creduto di averla persa per sempre.
E se succedesse davvero?
Se perdessi la mia Al, il mio angelo, la mia luce?
Cosa ne sarebbe di me... di noi?
Non riesco più a pensare, fisso il cemento grigio del marciapiede e rivivo tutto, ogni singolo frammento della nostra vita:
"Allyson, quindi? Non ti ha insegnato nessuno che non si origlia?" Ero già suo, prigioniero dell'oceano del suo sguardo.
"Hai detto che avresti risposto alle mie domande...".
"Ti ho mentito". Il momento in cui il suo sapore è diventato la solo droga dalla quale volessi dipendere per il resto della mia esistenza, mentre il mio mondo malato iniziava a prendersi piccole parti di lei.
"Perché continui a tormentarmi?".
"Perché non posso averti, cazzo!" Quando il mio cuore si è schiantato per la prima volta contro la gabbia toracica, implorandomi di esplodere dal petto.
"Sei tutto ciò che non posso avere...".
"Qualsiasi cosa accada ci ritroveremo sempre".
«Sempre e per sempre», mormoro a me stesso.
«Damon... Damon», mi volto frastornato verso mia madre. «È nato, Damian è nato», scatto in piedi e mi dirigo verso il reparto. Non so quando ho iniziato a piangere, ma le lacrime solcano il mio volto come lame taglienti mentre il corridoio sembra infinito.
«Allyson, come sta Allyson?», quasi abbaio.
«È sotto osservazione, stanno aspettando che si svegli», non mi piace il tono nella voce di Derek e nemmeno i suoi occhi colmi di lacrime.
«Sanders, da questa parte», interviene un'infermiera, la seguo con i pugni serrati e le unghie che sento conficcarsi nella pelle. «Venga», apre una porta bianca ed entro in una stanza dove il pianto incessante di mio figlio si aggrappa alla mia vita. Barcollo stordito fino a raggiungere la piccola culla in plastica dove è avvolto come un fagottino, in una coperta celeste. Ha la pelle chiara come Allyson, il nasino a punta è identico al suo e persino la forma delle labbra è come quella di lei. È la sua copia, tutto ciò che volevo dal primo momento che mi sono innamorato di lei. «Come lo volete chiamare?», trasalisco, senza però distogliere lo sguardo da mio figlio e la voce di lei fa da eco nelle mie orecchie: "Voglio che sia un Sanders".
«Damian... Damian Sanders», accarezzo con l'indice il suo viso minuto.
«Lo può tenere in braccio, se vuole», il cuore perde un battito, mentre le mani si protendono verso di lui e lo attiro al petto.
«Ehi, benvenuto al mondo, piccolo mio. Andrà tutto bene. Deve andare bene», strofino la punta del naso contro il suo, inebrio i miei polmoni del suo profumo e riprendo a respirare, mentre un turbinio di emozioni si danno battaglia fra la felicità e la paura di sapere. L'infermiera lo prende dalle mie mani, mentre la dottoressa posa la mano sulla mia spalla; mi paralizzo sotto quel tocco, mi volto e il mio mondo crolla in un milione di pezzi mentre cerco di ascoltare il flusso delle sue parole. Aggrotto la fronte confuso, scuoto il capo mentre guardo le sue labbra muoversi, ma niente di ciò che dice ha un senso, niente può essere vero. Solo quando sono nella camera con lei, mi rendo conto di quanto la realtà possa fare male, di come la vita non possa essere difficile, ma impossibile. Distolgo lo sguardo dalla vista che dà sul parco, dove gli alberi sono ormai coperti da un leggero strato di neve che ricopre l'intera città, facendola nascondere al nostro sguardo. La osservo, con gli occhi chiusi e i capelli biondi che ricadono sul cuscino. Vorrei svegliarla, ma continuo a godermi il suo volto rilassato, voglio ricordarlo così per ogni respiro che emetterò. Per tutte le parole non dette, che le sussurro nel sonno, per far sì che ovunque vada le porterà con sé. Ascolto il suo flebile respiro avvolgermi ancora una volta, con il timore che possa essere l'ultimo... È vero, l'amore non conosce regole e limiti che non possano essere infranti, per questo niente potrà mai separarci, penso allo stesso tempo che stringo la sua mano tra la mia... «Sempre e per sempre, piccola mia. Ti amo, Evans», sussurro a un silenzio assordante.
SPAZIO XOXO
Il capitolo parla da solo a voi commenti e stelline
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