Capitolo 22 Damon
Mi guardo attorno annaspando nel mio stesso respiro, la vista si annebbia, il groppo in gola quasi mi soffoca e le gambe vacillano mentre avanzo nella stanza.
Osservo i miei quadri.
La mia vita passata e il mio presente sono tutti qui di fronte ai miei occhi. Li ha comprati lui, è stato lui a prendere le mie opere. Giro su me stesso, saettando lo sguardo da una parete all'altra che viene ricoperta dai miei frammenti, dalle mie ombre, dal fuoco del mio inferno che in questo momento è nelle mani dell'uomo che ha innescato le mie pene. Indietreggio fino a sbattere contro la scrivania in legno massello alle mie spalle.
È lì che si ferma la mia corsa, è lì che si ferma il mio cuore, mentre vengo assalito da un odore forte che mi investe, travolgendomi.
Mi volto quasi al rallentatore, ogni muscolo si contrae, gli occhi si spalancano terrorizzati mentre si posano sulla figura di mio padre, stesa a terra oltre la grande poltrona girevole di pelle nera.
«Papà!», urlo il suo nome, avendo dimenticato il sapore amaro che aveva sulla mia bocca. Scatto verso di lui, mi chino al suo fianco, una bottiglia di scotch vuota giace sul pavimento.
Lo scuoto per le spalle continuando a pronunciare quelle quattro lettere, che si infrangono su di me come la tempesta perfetta alla quale nessun essere umano è mai sopravvissuto. La chiamano il tocco di Dio, perché non lascia nulla sul suo camminano, niente tocca più il suolo dopo il suo passaggio. Sono io, solo contro il mio passato, contro mio padre, contro quel dolore che non se ne è mai andato.
Pulsa, mi risucchia e scuote ogni cellula del mio corpo, che è come paralizzata. Non vedo nulla, se non me stesso e lui... mio padre, noi e il cerchio che si stringe attorno.
I ricordi sbiaditi dal tempo ripercorrono la mia mente consumandola. «Svegliati, cazzo!», colpisco il suo torace, con i pugni serrati che tremano e il volto umido; sono le lacrime che non ho mai versato per lui, ma che hanno sempre vissuto dentro di me, alimentandosi come fiamme che poco per volta mi hanno divorato.
Lui mi ha lasciato divorare da tutto il peso del mondo che pendeva sulla mia testa.
Ha chiuso gli occhi di fronte al torpore che mi avvolgeva come una coperta logora, che, se non fosse stato per Allyson, sarebbe stata la mia condanna. «Papà... papà...», sono aggrappato al suo corpo, non riesco a lasciarlo andare.
Non può andarsene ora.
Un tremore mi fa allontanare, facendomi finire con il culo per terra.
Le sue palpebre fremono e lo fisso come se fossi un bambino che si è appena svegliato da un incubo.
Tossisce, con estrema lentezza cerca di alzarsi facendo leva sui gomiti e io sono qui, ma non riesco a muovermi; osservo l'uomo che era la colonna portante della mia vita, sgretolarsi sotto il mio sguardo.
I nostri occhi si incontrano, nei suoi vedo un dolore che non è più soltanto mio, ma anche suo.
«Damon», non rispondo, continuo a fissarlo con le braccia strette attorno alle gambe, mentre il cuore pompa talmente forte nella gabbia toracica che gemo quasi dal dolore, ma non è una cosa fisica, è lui, sono i suoi occhi che per la prima volta cercano di entrare nei miei. «Damon, sei davvero qui?», la voce rauca, impastata dall'alcol, mi porta a rivedere me stesso in quella spirale di fantasmi che era la mia esistenza. Si massaggia la testa, spingendosi con il peso del corpo contro la libreria alle sue spalle.
Non muovo un muscolo, proprio come quando da bambino un incubo mi faceva trasalire nel sonno e andavo di soppiatto nella camera dei miei genitori dove, senza svegliarli, mi accovacciavo accanto a loro sul letto.
Una mano prendeva le mie, come se avesse sentito le mie paure.
Mi portava tra le sue braccia e tutto scompariva, come un brutto ricordo che non sarebbe più tornato a tormentarmi. Non sapevo che, crescendo, la mia vita avrebbe potuto essere un incubo a occhi aperti, perché quella mano tesa per salvarmi e quelle braccia pronte a donarmi sollievo, non ci sarebbero più state.
«Hai comprato le mie opere», riesco a dire a fatica strascicando le parole, senza abbandonare il verde che accomuna i nostri sguardi.
«Te l'ho detto... dovevo vedere come ti avevo distrutto... è giusto che conviva con questo, per non dimenticare che non ti ho protetto e non ti ho salvato, ma ti ho lasciato annegare», fissa uno dei dipinti, il labbro si piega verso sinistra, abbozzando un ghigno nel quale posso vedere il mio stesso riflesso. «L'amore può salvarti o distruggerti, Damon, non dimenticarlo mai», aggrotto la fronte confuso, ma non faccio domande e non gli urlo contro, non ne ho più le forze. Sono stanco di tutta questa merda, stanco di lottare contro me stesso e stanco di lottare contro di lui. «Il tuo, l'amore di Allyson ti ha salvato e non potrò mai ringraziare abbastanza quella ragazza, perché malgrado non riavrò più mio figlio...», la voce gli si incrina, il pomo d'Adamo sale e scende a stento lungo la gola e gli occhi si velano di lacrime, «sei vivo, sei diventato un uomo e, anche se non te l'ho detto, sono fiero di te», i suoi occhi scivolano sulla fede che porta al dito, non è l'anello che si è scambiato con mia madre, lo riconoscerei ovunque, è il simbolo di ciò che ha messo tra di noi chilometri infiniti di distanza e ha innalzato muri che non sarebbero mai crollati. Lo sfila, osservandolo con gli occhi assottigliati a due fessure. «Questo...», punta quel cerchio perfetto verso di me, tenendolo fra l'indice e il pollice, «questo tipo di amore mi ha distrutto senza che me ne rendessi conto». Scuote il capo, come se lo stesse ammettendo per la prima volta a sé stesso.
«Perché non hai fatto niente?», sibilo quelle parole che mi graffiano la lingua fino quasi a farmi sentire il sapore metallico del sangue. «Perché?», incalzo, lo spazio intorno sembra non bastarmi, le pareti è come se si stessero avvicinando al mio corpo, pronte a crollarmi addosso.
«Perché non ero abbastanza forte per lasciarla andare, per scegliere, perché sono un fottuto bastardo!», reclina la testa verso il mobile alle sue spalle, sospira sommessamente con lo sguardo rivolto al soffitto, che per tutto il vorticare di parole, pensieri e ricordi, non resisterebbe neppure lui al peso delle nostre vite ormai distrutte. Non sempre puoi voltarti indietro, raccogliere ciò che è rimasto e provare a rimetterlo insieme. Ogni frammento si sgretola fra le tue mani, il tempo l'ha reso schiavo, vittima dell'odio, di quel rancore che ti ha mangiato dall'interno, alimentando solo altro dolore che non riuscivi a placare. È questo che la mia pelle ha vissuto, marchiata dall'assenza, segnata dalle scelte sbagliate e dalle strade che mi trascinavano sempre più a fondo, nel baratro.
«Tutti abbiamo una scelta», trovo le forze di rialzarmi dal pavimento, torreggiando su di lui. È la prima cosa che mi ha insegnato Al, non bisogna arrendersi a ciò che abbiamo, limitarsi ad accettare gli eventi, dobbiamo lottare per virare in un'altra direzione che non sia quella errata, non c'è una sola scelta a tatuarci la pelle. Allungo la mano verso di lui, che la fissa stupito, tentenna incredulo per qualche secondo di fronte al mio gesto, per poi afferrare la presa. Lo sollevo, trovandoci l'uno di fronte all'altro. «Dovrai sempre fare i conti con quello che mi hai fatto, hai cancellato anni che nessuno può restituirmi». Inchiodo i miei occhi a quella gabbia che si staglia nel dipinto e, solo ora, nel vederla, mi sento finalmente libero. Ho pagato i miei errori, ho scontato la mia pena e ho trovato la strada per la rinascita. Il Damon Sanders che è arrivato qui a Medford, in una calda giornata di settembre, è rinchiuso in quel quadro dal quale non potrà più uscire.
«Lo so che non mi perdonerai mai», mormora trattenendo a fatica le lacrime, le nostre mani sono ancora unite e ricordo quando la mia si perdeva nella sua.
«Il perdono non spetta a me. Credo che se io sono uscito dal mio inferno, tu debba ancora affrontarlo, ma... ma sono qui... l'affronteremo insieme», non dimentico il male che mi ha fatto, ma nemmeno il padre che è stato prima che Isabel entrasse nelle nostre vite. Solo su una cosa ha ragione quella donna: ho fatto soffrire tante, troppe persone, eppure le stesse continuano a sorridermi, a capirmi e a permettermi di far parte delle loro vite. Odiarlo non mi porterà da nessuna parte, non cambierà il passato, quello ormai è segnato, ma il mio futuro è appeso alle sue spalle. Una tela bianca da dipingere e sarò io a scegliere i colori, a dare le sfumature che lambiranno la mia vita.
«Dam... Damon, stai dicendo che...», la sua stretta aumenta nella mia, scuoto il capo facendo un passo indietro.
«Non dire niente...», l'interrompo cacciando le mani in tasca. «Lasciamo che sia il tempo a parlare per noi», abbozza un sorriso, mentre gli volto le spalle senza aggiungere altro e chiudo non una porta qualunque, ma quella di un inferno lambito dal ghiaccio dove le fiamme non potranno più nutrirsi di me. Percorro quei corridoi che ora posso guardare con occhi diversi, che non sono più accecati dalla rabbia. Si dice che il tempo lenisca tutte le ferite, ma a volte non è così, perché le cicatrici restano, portano dei nomi incisi, però, forse... forse si può avere la forza di portarle marchiate sulla pelle, con la consapevolezza che non potranno più farti del male.
Allyson
Metto Cindy nella sua culla, il sole è tramontato da ore e Damon non è ancora rientrato. So che non è andato da Larry, il suo corpo, la sua voce e i suoi occhi non sanno più mentirmi. Ma aspetterò che sia lui a parlarmi, a dirmi dove è stato. Vedere il padre l'ha sconvolto e conosco fin troppo bene quel dolore, il suo, lo stesso che a volte occupa le mie giornate. Penso spesso a mia madre, ma lo faccio solo per ricordare a me stessa di non diventare mai come lei. Accarezzo il mio ventre pronunciato e sorrido a quei piccoli movimenti che mi mozzano il fiato in gola dalla gioia. Ogni giorno mi rendo sempre più conto che una parte di Damon, di noi, sta crescendo dentro di me. Damian e Cindy sono la luce che illumina la strada che stiamo percorrendo, insieme, senza che niente e nessuno, questa volta, possa mettersi in mezzo per strapparci il sorriso. Mi metto ai fornelli per preparare la cena, ma un nodo si stringe alla bocca dello stomaco, è una stretta che mi fa quasi prigioniera senza lasciarmi scampo e cerco di rallentare il respiro che incalza. «Sono solo stanca», ripeto a me stessa, la porta si apre, sento dei tonfi ovattati calpestare il pavimento.
«Allyson!», sollevo lo sguardo e vedo Damon correre verso di me.
«Sto bene», minimizzo, ma lui non mi ascolta, portandomi quasi di peso fino al divano al centro della stanza, dove mi fa sdraiare.
«No che non stai bene, dannazione!», impreca, passandosi la mano tra i capelli che scompiglia con un gesto frustrato. «Sei andata dal dottor Tucker?», mi ha accompagnata per le prime sedute, ma parlare dei miei stupidi attacchi di panico o della persona che ne è la causa, non è mai stato facile; quindi, ho semplicemente smesso di andarci senza dirglielo. Ho passato gran parte della mia adolescenza in analisi, a spiegare motivi che non mi hanno mai portato risposte.
«Questa settimana non ho avuto tempo», si siede sul divano, sollevando le mie caviglie, per poi poggiarle sulle sue gambe forti e toniche; adoro come i jeans neri fascino le sue cosce.
«Come la settimana scorsa e quella precedente ancora?», inchioda il suo sguardo al mio, incastrandolo come siamo rimasti incatenati sin dal primo giorno.
«Può darsi», scrollo le spalle, mancano pochi mesi alla nascita di Damian e voglio concentrarmi solo su questo, su noi.
«Può darsi?», mi fa il verso, incrociando le braccia al petto con un'espressione corrucciata, che rimarca il suo volto spigoloso. Il suo profilo è come se fosse un diamante, per come ogni lineamento sia messo in risalto. «Mi stai ascoltando, Allyson?», la sua voce graffia sulla pelle che rabbrividisce al suo suono. Credo di averlo amato dal nostro primo incontro, di averlo scelto quando il mio cuore ha mancato un battito di fronte a quelle pozze verdi che scorrevano ardenti su di me.
«Mi stai distraendo», confesso con tono malizioso, ma in realtà voglio solo evitare di affrontare questo argomento. Posso farcela, questa volta, non ho bisogno di nessuno, nessuno che non sia lui. «Cosa voleva Larry?», inarco le sopracciglia e ora sono io che aspetto una risposta da lui. E quando arriva, tremo sotto ogni sua parola. «Non posso credere che ti abbia cercato e nemmeno che tu non me l'abbia detto», penso a mia madre, a come si è permessa di cercare Damon dopo tutto quello che ha fatto alla sua famiglia.
«Vedi perché non te l'ho detto?», mi indica mentre cerco di alzarmi furente di rabbia, le sue mani premono sulle mie spalle, obbligandomi a stendermi di nuovo. «È stato mio padre ad acquistare tutte le mie opere», evito di dirgli che già lo sapevo, l'ho visto parlare con Larry poco prima che mi dicesse che ogni opera era stata venduta. «Ora è lui a dover affrontare i suoi demoni...», si pizzica il labbro inferiore, pensieroso, come se non sapesse come dirmi ciò che già so. Mi basta guardarlo per capire che ha chiuso il libro che parlava del suo passato; ora resterà a prendere polvere per il resto delle nostre esistenze, perché non ci guarderemo più indietro.
«Sono orgogliosa di te, adesso è finita davvero, Damon», si volta verso di me con gli occhi colmi di lacrime e vedo la speranza velarsi nel suo sguardo; non riavrà indietro gli anni rubati, ma potrà godere di quelli futuri insieme a suo padre, se vorrà.
«Ti amo così tanto, piccola...», scuoto il capo, perché le sue parole giungono come scuse alle mie orecchie.
«Sono felice per te ed è tutto ciò di cui ho bisogno. Abbiamo la nostra famiglia, mio padre, tua madre e non mi serve altro», ma la sua mano cerca la mia che trema, rivelandogli che, per una piccola parte di me, non è così.
«Lei non ti merita, Allyson», non resisto e scoppio in lacrime, perché avrei tanto voluto avere una madre, avevo bisogno del suo sostegno e delle sue parole, che mi avrebbero aiutata a diventare una donna, a crescere. Le braccia di Damon mi avvolgono, attirandomi sul suo petto caldo. «Shhh... ci sono io», ha ragione, ho lui e il suo amore che mi attraversa prendendosi il mio respiro, per poi fare inebriare i miei polmoni del profumo della sua pelle. Amo questo ragazzo come non credevo si potesse amare in questo modo, incondizionato.
Struggente.
Unico.
Non esiste tempo, luogo o altro che possa quantificare ciò che sento, che provo ogni volta che mi sfiora o che le sue labbra premono contro le mie, è come morire e rinascere. Cadere in un milione di pezzi colorati che creano un arcobaleno che si rifletterà in eterno in un cielo al quale apparteniamo. Dove i nostri nomi sono scritti su ogni nuvola che ci ha visto nascere e crescere. Su quelle stelle che hanno cullato i nostri sogni, in tutte quelle notti nelle quali eravamo distanti, come vite lontane, e i nostri occhi si perdevano nella stessa luna, con la speranza che i nostri sguardi potessero incastrarsi anche in quel momento. Amore... cinque lettere che possono salvarti la vita e insegnarti a guardare oltre a tutto ciò che incombe nelle tue giornate, proprio come in questo momento, che fra le sue braccia dimentico anche io il mio passato e lascio scivolare il mio dolore. "Siamo liberi", penso.
«Siamo liberi», sussurro allo spazio che ci circonda come una promessa.
SPAZIO XOXO
Lo so, vi ho fatto attendere ma dietro tutto c'è un motivo, uno di quelli importanti, di quelli che sogni da una vita intera fatta di parole scritte nere su bianco, ma per saperne di più dovrete aspettare ancora un po'
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