Capitolo 19 Allyson
Osservo il volto di Damon esausto, sono passate le tre del mattino e finalmente sembra essersi addormentato. Mi godo per un attimo le sue palpebre che tremolano, domandandomi cosa occupi in questo momento la sua mente. La mascella è rilassata, il suo respiro calmo e caldo mi culla, mentre siamo immersi nella penombra della camera da letto. Sono passate solo due settimane da quella telefonata che ha cambiato la nostra vita. Non ci rendiamo conto di quando, come o perché possiamo ritrovarci in un tunnel che plasma la nostra esistenza. Accade e basta. Dobbiamo continuare a camminare nel buio, sentire la paura che divora la nostra anima senza mai dimenticarci di respirare; inspiri tutto ciò che la vita ti dà ed espiri tutto quello che alleggerisce il tuo cuore, lasciando andare tutte le tue sofferenze; è vero che non si possono evitare, ma si possono comunque affrontare. È come una tempesta che risale con calma lungo la marea e smuove le acque liberandole, per poi scagliarsi senza pietà su tutto ciò che trova sul suo cammino; poi i suoi venti rallentano e vedi le nuvole diradarsi, dando vita a un nuovo cielo, a un nuovo sole e a un nuovo giorno. So di essere stata la luce alla fine del tunnel di Damon, ma non quella sera sul tetto. Ho visto la sua e la nostra vita sfuggirmi dalle mani, quasi inafferrabile, ho cercato di curare le ferite che solo io conosco, di respirare sott'acqua insieme a lui, ma glielo leggevo negli occhi che qualcosa l'aveva cambiato. La consapevolezza di essere debole contro sé stesso, di essersi arreso a quella parte dannata che ha fatto parte di lui per così troppo tempo, lo ha indotto a pensare che liberarsene era impossibile, o quasi. Sgattaiolo fuori dal letto, cercando di non svegliarlo, esco dalla stanza e attraverso il corridoio. Sorrido mentre vado vicino alla finestra che si affaccia sulla parte est del palazzo, stagliandosi sul piccolo parco di fianco, illuminato dai piccoli lampioni nascosti dagli alberi impetuosi. Chino il mio sguardo per incontrare la luce che è stata in grado di salvarlo da sé stesso.
«Siamo di nuovo sveglie?», commento allo stesso tempo che prendo tra le braccia quel piccolo fagottino, avvolto in una copertina degna di una vera principessa. La sua manina si aggrappa subito al mio dito, strofino appena il naso contro il suo minuscolo. Mi siedo sulla sedia a dondolo alle mie spalle e la tengo stretta al mio petto. È stata Cindy a salvare Damon. Quella mattina, il medico ha chiamato dall'ospedale per informarci che stava più che bene e che nel pomeriggio sarebbe stata dimessa. Non dimenticherò mai l'espressione impressa sul volto di Dam, era come se tutto quello che era successo ore prima, fosse così lontano. Ho pensato che Joselyn, da lassù, in qualsiasi posto meraviglioso si trovi, avesse fatto un miracolo, per accertarsi che la sua bambina non crescesse senza un padre. «Allora, vediamo cosa ti posso raccontare...», mi do una spinta con il piede che preme sul pavimento e insieme ci culliamo, mentre sento che non siamo le uniche a essere sveglie, anche il mio piccolo sembra in vena di ascoltare la mia voce. Gli occhi di Cindy saettano di qua e di là, la sua bocca a forma di cuore fa un sacco di bolle che mi strappano un sorriso e non posso negare di essere stregata da questa bambina. L'ho amata dal momento in cui Damon l'ha posata fra le mie braccia. Credevo di essere di troppo e di non riuscire a sentirmi a mio agio, con la convinzione che quel piccolo corpicino meritasse di essere tenuto stretto dalle braccia della propria mamma. Un'altra spinta con il piede e le racconto la favola di una bella principessa, imprigionando i miei occhi nei suoi, che sono della stessa tonalità di quelli di suo padre. Alle mie spalle, sento qualcuno schiarirsi la voce. «Vedi, inizia già a invadere i nostri spazi», le sussurro, anche se so che lui ha sentito ogni singola parola. Mi volto e lo vedo a torso nudo, con il peso del corpo che preme sullo stipite della porta.
«Si è svegliata di nuovo?», Damon mi guarda con desiderio, ammirazione e amore. Un turbinio di emozioni che mi mozzano il fiato in gola.
«Sì, ma ce la stiamo cavando bene, torna pure a dormire», è così stanco tra il lavoro alla galleria e occuparsi di Cindy; vuole cercare di fare tutto da solo come al suo solito, ma gli ho detto che siamo una squadra e che deve permettermi di aiutarlo, anche se so perché lo fa. Non vuole che mi stanchi e il primo caldo di queste settimane di giugno non mi sta aiutando.
«Non potrei mai lasciare da sole le donne della mia vita», avanza verso di noi, accovacciandosi di fronte a sua figlia. Mi perdo completamente nel modo in cui il suo sguardo si posa su di lei, facendole tante promesse silenziose che solo il mio cuore e le nostre anime riescono ad ascoltare. «Devi dormire, Cindy, o mi farai impazzire», scoppio a ridere quando, per tutta risposta, lei sembra avergli quasi sorriso beffandosi del suo rimprovero.
«Deve abituarsi a questo nuovo mondo, ne ha passate tante...», lascio la frase in sospeso, mentre i pensieri si spostano sul fatto che nel suo destino c'è già inciso un dolore che un giorno si troverà a dover affrontare e la sola cosa che posso fare è prometterle che non sarà sola quando arriverà quel momento.
«Voi due vi state già coalizzando contro di me?», la sua mano si posa delicata come una piuma sul mio ventre molto ingombrante. «Damian, aspetto solo te, così poi saremo pari e gli faremo vedere chi comanda», aggrotto la fronte confusa.
«Damian?», ripeto. Non ci siamo ancora trovati a parlare di nomi, in realtà non ne abbiamo mai avuto l'occasione, perché il nostro viaggio insieme è sempre una corsa contro il tempo, ma sarà sempre la preferita di tutta la mia vita e non mi importa quante salite dovremo affrontare, se poi sarà tutto in discesa.
«Mio nonno, il padre di mia madre, si chiamava così», si siede a terra, sul tappeto, con le gambe incrociate. «Non sono un tipo tradizionalista, non lo sono mai stato, ma ho un bel ricordo di quell'uomo. Quando veniva a trovarmi, mi portava sempre a pesca sul Mystic. Quelle estati sono tra le più belle che abbia mai vissuto», il suo sguardo vaga altrove, come fa sempre quando parla del suo passato; ho ancora così tanto da sapere e da scoprire di Damon, che ogni volta un pezzo del mio cuore acquistata un battito diverso, dedicato solo a quella piccola confessione che ha deciso di condividere con me. Immagino un ragazzino felice e spensierato, ignaro di cosa avesse in serbo per lui la vita, di come tutto da un momento all'altro sarebbe cambiato sotto i suoi occhi, senza che lui potesse fare nulla.
«Be', allora che Damian Sanders sia», mi porto subito una mano alla bocca, mentre la sua testa rotea di scatto nella mia direzione. «Voglio che abbia solo il tuo cognome, io stessa appartengo e apparterrò sempre a te, lui deve essere un Sanders, come la sorella. Non voglio che ci siano diversità tra loro», scuote il capo incredulo.
«Al...», incastro il mio sguardo nel suo e non è mai stato più semplice di adesso perderci nei nostri mondi, lasciarci risucchiare da un caos che non ci fa più paura.
«Voglio questo, Dam, voglio te e voglio il noi che comporrà la nostra famiglia», mi sollevo dalla sedia a dondolo, la piccola si è addormentata e la poso con delicatezza nella culla, poi mi volto verso il cattivo ragazzo che ha rubato la mia anima, porgendogli la mano. «Andiamo a dormire», persino ora, mentre le nostre dita si intrecciano, posso sentire quanto siamo legati nel profondo; non è solo una scarica elettrica che attraversa il corpo, non è solo il calore del suo tocco, è il semplice fatto di appartenersi, sopraffatti allo stesso tempo da un amore più grande di noi. È questo che siamo.
«Ti amo», la sua bocca preme sulla mia tempia, mentre entrambi volgiamo lo sguardo affacciandoci al nostro futuro che dorme serena.
Damon
Sono nel laboratorio, Patrick ha ultimato la sua ultima opera e sono felice che la sua musa ispiratrice non porti più il nome della mia ragazza. Allyson ha recuperato i suoi voti e Patrick ha lasciato una lettera di credenziali positive sul suo conto al professore del suo corso.
«Sei pronto per stasera?», allinea i suoi dipinti. La prima mostra a Manhattan è stata rinviata, perché la sorpresa che Cindy sarebbe finalmente entrata a pieno titolo nella nostra vita, era il solo pensiero che occupava la mia mente.
«Credo di sì», ho lavorato molto duramente in queste settimane, volevo che la presentazione fosse perfetta e che rispecchiasse il titolo che ho deciso di dare all'evento: "Passato, Presente e Futuro". Lo sguardo si posa su ogni tela. Osservo tutte le sfumature di colore, ogni piccolo dettaglio dato dalle pennellate più forti, quelle che mi hanno strappato il dolore dal petto, a quelle più leggere, che hanno saputo regalarmi un sorriso. Ho davanti la mia vita, partendo dai toni del nero, che simboleggia il buio dei miei giorni, ai primi raggi di sole che hanno iniziato a investire la mia vita.
«Hai fatto un grande lavoro», la mano di Patrick si posa sulle mie spalle.
«Grazie», sono riuscito a tenere tutto nascosto a Gagosian, i patti erano questi: se voleva una mia prima mostra, doveva fidarsi. È stato proprio questo a darmi la forza, lui non ha esitato a farlo, mi ha dato la sua piena fiducia e mi sono sentito normale. Chiunque conosca il mio passato e parte del mio presente, girerebbe al largo da me, certo, non gli ho mai rivelato cosa sono stato capace di fare, ma credo che sappia più di quanto posso immaginare.
«Come sta la tua piccola?», sorrido, ormai è un gesto incondizionato.
«Bene, Allyson è... lei è una brava mamma», non sono riuscito ancora a dirglielo, ma sarà questo il suolo ruolo nella vita di mia figlia, nostra figlia. Non ho mai creduto in niente che non potessi vedere o toccare con le mie mani; quindi, non riesco a comprendere perché certe vite debbano prendere una strada piuttosto che un'altra, ma credo che Joselyn, se solo ci potesse vedere, sarebbe felice per sua figlia, per l'amore che le stiamo dando e per come mi impegnerò a proteggerla. Ho sbagliato molto in passato e, ora come ora, se qualcuno mi chiedesse se rifarei tutto da capo, sono onesto, non saprei cosa rispondere, perché, nonostante tutto, le mie scelte mi hanno condotto qui; se avessi imboccata una strada diversa, probabilmente adesso non potrei stringere tra le braccia la seconda donna più importante della mia vita, colei che possiede metà del mio cuore... Cindy.
Afferro il telefono dalla tasca dei jeans, con un gesto del dito sul display accetto la chiamata: «Cosa vuoi?», fingo un tono seccato.
«Il tuo culo, avrebbe risposto una persona di mia conoscenza», mi rammenta il mio amico facendomi scoppiare in una fragorosa risata. «Sei pronto per il tuo grande e scintillante debutto nella grande mela?». Dal tono gasato della sua voce, credo quasi che sia più agitato di me. Non abbiamo più parlato di quella notte, non abbiamo bisogno di dire ciò che si dicono sempre i nostri sguardi.
«Sono nato pronto, avrebbe risposto la stessa persona», lo sfotto, mentre il ricordo del mio passato, che ammiro nella tela che ho di fronte, è sfocato esattamente come nella mia mente. Sto lottando contro me stesso, sarà forse una battaglia sempre aperta, ma ciò che conta è che ora sto vincendo.
«Te la starai facendo sotto, ci sarà un sacco di gente importante», bene, se prima non ero agitato, ora non posso fare a meno di pensare seriamente al tripudio di persone che parteciperanno all'evento. Ho avuto la mia prima mostra, proprio qui in questa galleria. Ma ora è diverso, questa mostra sarà diversa, ma soprattutto io sono diverso.
«Sai che sei un cazzo di amico, Cody? Non ci ho pensato finché non me l'hai ricordato tu», Patrick scuote il capo e ritorna alle sue opere, che mostrerà nella sala adiacente alla mia.
«Ah, lo sapevo, coglione, che ti saresti fatto prendere dall'emozione». Ha ragione, ma sono poche le volte in cui mi sono emozionato e le posso contare sulle dita di una mano.
«Ora ho da fare, cazzone. Vestitevi bene, ci vediamo stasera».
Mia madre mi ha chiamato questa mattina presto, non condivido ancora la sua relazione con Derek ma, finché non ne parliamo, cercherò di far finta che non esista, così non dovrò dirlo alla mia ragazza. Spero che stando insieme nello stesso posto non faccia trapelare nulla dai loro sguardi.
«Ti ho mai detto che sei bellissima?», fisso Allyson dallo specchietto retrovisore, dove siede vicino alla navicella di Cindy; non credevo che gli accessori per bambini avessero dei nomi così strani. Si picchietta l'indice sul mento un paio di volte, è decisamente troppo sexy, con la sua innocenza che ho dipinto della mia libido, facendole scoprire un universo dove nessuno l'aveva mai condotta.
«Almeno un centinaio di volte da quando siamo partiti», aggrotto la fronte.
«Davvero?», faccio spallucce. «Comunque sei bellissima, lo sai, anzi, sei molto più di questo», il rosa sulle sue guance prende vita sotto il mio sguardo che la brama più di ieri, ma meno di domani, quando so che la vorrò ancora di più. L'Upper East Side è affollata, rumorosa e luminosa come sempre e la galleria di Gagosian è proprio di fronte al maestoso Central Park. Posteggiamo nell'area riservata perché non volevo una fottuta limousine, avevo bisogno di guidare per allentare la tensione. Siamo in anticipo di una mezz'ora, il tempo necessario per potermi vestire prima che tutto abbia inizio. Apro la portiera per aiutare Al a scendere, notando come il vestito color cipria le fascia con cura il petto, per poi scendere ampio lungo il corpo, nascondendo quasi il tesoro che porta in grembo. È radiosa. Ha preso qualche chilo, ma la trovo ancora più bella, e sapendo quanto il suo aspetto fisico ha inciso nella sua vita, non smetto di ripeterle quanto è perfetta. «Ricordi l'ultima mostra?», soffio contro il suo orecchio, lasciato libero dai capelli raccolti in uno chignon, con un paio di ciocche libere che le incorniciano il volto.
«Sì, Sanders, la ricordo molto bene», mi dà un buffetto sulla spalla, mentre prendo il passeggino della piccola.
«Be', potremmo fare il bis, sembra che porti bene», le strizzo l'occhio, mentre lei rotea gli occhi al cielo.
«Stasera non avrai tempo per questo», afferra l'impugnatura del passeggino, ma la fermo per un braccio. Si volta guardandomi con l'oceano dei suoi occhi, nel quale annego ogni volta come se fosse la prima.
«Sei una madre perfetta, la mia bambina è fortunata. Noi siamo fortunati», le avvio una ciocca di capelli dietro l'orecchio, accarezzandole il viso con il dorso della mano.
«Damon... io...», premo la mia bocca contro la sua e vorrei che potesse guardarsi solo per una volta con i miei occhi per rendersi conto della persona magnifica che è. Ci baciamo con calma, assaporando l'attimo, mentre tutto attorno si dissolve, tutto tranne il pianto di Cindy che in qualche modo ci sta avvisando della sua presenza. Sorridiamo poggiandoci l'uno alla fronte dell'altro, allo stesso tempo che la mia mano è ancora posata sulla sua nuca. «Forse è meglio andare», ci avviamo all'ingresso del palazzo a specchi, la sala è enorme e le mie opere sono tutte ancora coperte.
«Le piace un po' troppo quell'aggeggio», indico il passeggino, nel quale Cindy ha cessato di piangere non appena Al si è messa spingerlo.
«A tutti i bambini piace e, pensa, tra un altro paio di mesi ne avremo uno a testa», mi strizza l'occhio e non posso evitare di sorriderle.
«Vado a cambiarmi e, nel frattempo, non ti azzardare a sbirciare», l'avverto e mi dirigo verso la fine della sala alla ricerca dei bagni. Mi cambio frettolosamente, litigando con la cravatta, che alla fine rinuncio a mettere e trasalisco posando i palmi delle mani sul ripiano in marmo dei lavandini, quando vedo un'ombra alle mie spalle.
«Non volevo spaventarti, ma solo avvisarti che ci siamo», Gagosian mi sorride, io invece sono terrorizzato, perché sto per mettere a nudo la mia anima con tutte le sfumature dei suoi colori. Annuisco senza riuscire a emettere un fiato e, poco dopo, mi decido a uscire per raggiungere la stanza già gremita. Critici, altri artisti, fotografi e giornalisti sono presenti. Saetto lo sguardo alla ricerca di Allyson ma non riesco a vederla.
«Sono qui, Sanders», sussurra al mio orecchio, mi volto sopra la mia spalla, il suo sorriso mi dà la forza e il coraggio che mi serve non appena Gagosian mi invita a scoprire le mie opere. Non riesco a intravedere Cody, Arleen e mia madre, ma non posso più aspettare; mi avvio verso la prima tela che parla del mio passato e lascio che il drappo cada a terra quasi al rallentatore.
È un dipinto diviso a metà, in una parte del quadro c'è un bambino che tira i suoi primi calci al pallone. Il disegno è quasi sbiadito, come se i colori fossero scivolati sopra in modo quasi indefinito.
L'altra parte, mostra un temporale che si abbatte sullo stesso campo da calcio; tuttavia, il bambino non è più tale, è diventato un ragazzo. È inginocchiato di fronte a una voragine nel terreno, nella quale si intravedono delle fiamme. I colori sono scuri, ben evidenziati. Sento il silenzio calare nella stanza mentre scopro l'altra opera: una gabbia, dove lo stesso ragazzo del dipinto precedente si aggrappa inutilmente a quelle sbarre dalle quali non può uscire, perché ne è prigioniero, schiavo della sua stessa vita, incatenato alle scelte sbagliate. Non riesco a voltarmi verso Allyson, ma il suo sguardo è su di me, lo sento bruciare addosso. Scopro un'altra tela che è completamente nera, non c'è nient'altro disegnato, solo il colore che ha dipinto le giornate del mio passato. Proseguire, ora, è più facile. Afferro nel pungo il telo bianco e quasi lo strappo via; ritrae una ragazza, con i libri stretti al petto e lo sguardo chino sugli stessi. È la mia ragazza, colei che mi ha donato la speranza e mi ha dato una pagina bianca sulla quale poter scrivere un nuovo inizio. Continuo a liberare altri ritratti di lei, dei suoi occhi, delle sue labbra e della luce del suo volto, che mi ha mostrato la fine del tunnel. Le ho detto che non mi ha salvato, ma in realtà lei ha fatto molto più di questo, mi ha ridato la vita.
Quando arrivo all'ultimo dipinto, mi tremano le mani perché riguarda il futuro; afferro quel tessuto con entrambe le mani, stringendolo nei pugni, e lo tiro via poco alla volta, mostrando una semplice tela bianca.
Solo io posso capirne il significato o forse no, ma il mio futuro dev'essere ancora scritto, vissuto e voglio avere la mia tela bianca per dipingerlo dei colori che voglio, per assicurarmi che non ci siano ombre e che nulla si possa sgretolare fra le mie mani.
«Damon...», la sento trattenere il fiato alle mie spalle.
«Ti piace?», mormoro, mentre non ho il coraggio di voltarmi e affrontare le persone dietro di me.
«Damon, è stupendo! Voltati, ti stanno applaudendo», solo dopo le sue parole riesco a sentire gli scrosci delle mani che battono simultaneamente. Larry si avvicina e non riesco a decifrare l'espressione del suo volto.
«Ti rendi conto di cosa hai fatto, ragazzo?», rimango spiazzato dalle sue parole; è vero, chiunque potrebbe capire che il ragazzo nel dipinto sono io, ma non mi importa. L'arte è sinonimo di libertà di espressione e io ho lasciato solo che il dolore si incanalasse in questi quadri abbandonando la mia mente e il mio corpo.
«Io... io volevo...», incespico sulle mie stesse parole, mi blocca subito alzando una mano.
«Non hai capito, Damon, non ti rendi conto di ciò che hai fatto perché hai creato qualcosa di unico e che non avevo mai visto. Posso non solo vedere la sofferenza del dipinto, ma la posso anche sentire», mi dà una pacca sulla spalla per trascinarmi verso i critici, ma gli chiedo di darmi un secondo. Faccio un passo indietro, incateno il suo viso nei palmi delle mie mani e lascio che il solo sapore della sua bocca droghi il mio essere, fino in fondo a un'anima che non è più tormentata o dannata, perché ora è libera, libera di essere e dimostrare chi ero e chi sono.
«Ti amo così tanto, piccola», la stringo ancora un po' a me, i suoi occhi sono colmi di lacrime quando mi chino verso la mia seconda principessa e le poso un bacio sulla sua fronte coperta da una luccicosa fascia. «Amo anche te, piccola mia».
Rispondo a domande, mi metto in posa per qualche foto e stringo tante, troppe mani che si congratulano con me. Quando sono finalmente libero, vado alla ricerca della mia famiglia; mi fermo sui miei passi, di fronte al primo dipinto che ritrae il mio passato. Non posso crederci.
«Cosa cazzo ci fai qui?», sbraito senza curarmi di dove sono o di quante paia di occhi ho puntati addosso in questo momento.
«Volevo vedere come ho distrutto la tua vita», il cuore perde un battito, mentre l'uomo che non chiamo più "papà" da troppi anni cerca il mio sguardo.
*SPAZIO XOXO*
Il prossimo sarà un capitolo che non vi immaginerete mai
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