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Capitolo 10 Alec

In piedi di fronte allo specchio continuo a mettere e togliere questa dannata cravatta; gli occhi si offuscano e ricaccio indietro il dolore che mi ha accompagnato in queste settimane.

«Cazzo... Jo», esclamo dando voce allo squarcio nel petto che non mi lascia libero di respirare.

Immaginavo di dover indossare un completo nel giorno in cui l'avrei vista avvolta da un sontuoso abito bianco da sposa, con gli occhi lucidi e raggiante in volto, non chiusa in una bara che avrebbe definitivamente chiuso il cerchio. Sapevo che lei non era più con noi dal giorno dell'incidente, ma recarmi da lei tutti i pomeriggi e parlarle con l'illusione che mi potesse ascoltare, era tutto ciò che mi era rimasto.

Cosa farò adesso? Come potrò prendere della terra tra le mani, sapendo di doverla cospargerla su di lei per darle un addio che sono pronto a concedere a me stesso?

Stringo in un pugno il tessuto della cravatta, le nocche sbiancano allo stesso tempo che incespico sui miei passi, sino a crollare sul letto alle mie spalle.

«Alec...», sollevo il volto verso la porta d'ingresso, dove Ethel, poggiata allo stipite, mi osserva con lo stesso sguardo che mi perseguita da ieri notte. Tutti hanno impresso in volto un "mi dispiace", peccato che non serva a nulla dirlo perché non riporterà in vita mia sorella e non mi salverà da ciò che mi sta divorando. «Posso entrare?», chiede; indossa un tubino nero, ha raccolto i capelli e ha il viso pulito, senza un filo di trucco. A piccoli passi avanza e si siede al mio fianco.

«Ti sei mai chiesta perché il nero?», domando quasi senza una logica. Inclino il capo cercando il suo sguardo triste, non era la migliore amica di mia sorella, ma chi di noi lo era davvero alla fine?

«Credo perché sia un colore spento... non lo so», dice con un fil di voce che quasi si spezza.

«A lei non piaceva il nero», una risata amara sfugge al mio controllo, mentre il groppo che sento in gola prova a soffocarmi. La mano di Ethel si posa sulla mia, la stringe, e vorrei davvero sentire il calore della sua pelle che mi avvolge, ma è come se fossi stato risucchiato in un'altra dimensione, lontano dalla realtà, perché la verità che il destino mi ha dato non può essere quella di seppellire mia sorella, non può essere vero.

«No, non le piaceva», commenta lei, annuisco debolmente mentre nella mia testa vorticano silenziosi i ricordi del nostro passato e vorrei afferrarli tutti, toccarli con mano per metterli in un posto dove niente e nessuno potrà mai portarmeli via.

«Ho paura... Ho paura di non ricordare più il suono della sua voce. Di svegliarmi, un giorno, e non avere più impresso nella memoria il suo sorriso. Non posso dimenticarla», sibilo tra i denti, con il terrore che tutto ciò che era la sua vita svanisca insieme a lei, portandosi via anche me stesso.

«Ehi, amico», gli occhi mi si iniettano di sangue non appena incontro lo sguardo di Bret sulla soglia della mia camera.

«Potevi risparmiarti di venire», scatto in piedi puntandogli un dito contro.

«Sai che...», cerca di dire, ma sono già su di lui, a un millimetro dal suo volto, sul quale sputo senza vergogna.

«Cosa ti ha offerto mio padre?», ringhio furente di rabbia. Avevo chiesto a tutti di restare fuori da questa storia, di non intromettersi.

Quando Cody era venuto a palarci, ci eravamo seduti tutti da Collen's come ai vecchi tempi, solo con più dolore a gravare sulle nostre spalle e degli sguardi che non appartenevano più alle persone che eravamo solo pochi mesi prima. Senza alcun timore aveva rivelato anche a Bret e a Ethel che Arleen era ancora viva; rimasero in uno stato di trance misto a confusione per qualche secondo, per poi sentirsi quasi sollevati da quella notizia. Sapevo che i miei genitori dovevano trovare pace per quello che era successo a mia sorella, ma non era Damon a doverne pagare il prezzo.

Per la prima volta nella mia vita, avevo le idee chiare e sapevo esattamente cosa avrei fatto; credevo fosse così anche per Bret. Ma quando si è presentato qui, la sera prima dell'udienza, per intascarsi un assegno dalle mani di mio padre, ho capito che nulla tra noi sarebbe mai cambiato.

Ci sarebbe sempre stato qualcosa o qualcuno, che si sarebbe sporcato la coscienza per avere un privilegio in più, non avrebbe importato chi ne avrebbe pagato il conto, alla fine, le nostre mani sarebbero state sempre sporche.

«Eri il primo a voler dare una lezione a Sanders!», mi accusa, con la mascella contratta e i muscoli delle spalle tese.

«Oh, piantala Bret, guardaci...», sbraita Ethel indicandoci, come vecchi fantasmi di un passato che resterà per sempre incatenato alle nostre vite dannate, marchiate dal marcio che ha colmato le nostre giornate. «Damon ha fatto il bastardo, ma aveva i suoi motivi. Noi che motivi avevamo?», fa una pausa, torcendosi le mani in una morsa. «Io lo rivolevo, ma mi ero accontentata di te; credevo che se ne fosse andato per sempre dopo l'incidente di Arleen, tu mi avevi convinta di questo. Alec l'odiava per quello che aveva passato in riformatorio, ma tu... tu, Bret, lo odiavi solo perché sapevi che una parte di me non l'avrebbe mai dimenticato», le parole di Ethel sono pungenti, come una verità che ti si staglia davanti senza chiederti permesso. Eravamo tutti schiavi del rancore che ci aveva trasformati in animali, pronti a tutto pur di prenderci la nostra rivincita, persino perdere noi stessi, e il primo ad averlo fatto è stato proprio Damon.

«Cazzo, ho sbagliato, ma non fate gli innocenti, adesso, perché gli avete salvato il culo al processo. Ognuno di noi voleva il culo di Sanders per una ragione...», solo ora riesco a rendermi conto di quanto futili e assurde potessero essere quelle ragioni. Come se all'improvviso ogni cosa si fosse diradata, lasciandomi con il nulla fra le mani. Bret abbaia contro Ethel, la quale scuote il capo con disgusto. La bile mi salta in gola, mentre ogni frammento mi trapassa le tempie come un martello pneumatico. La voglia di sfidarlo, quella di poter essere migliore di lui, mi avevano spinto a tradirlo e, in quel preciso istante, ho perso quella che una volta era l'amicizia che ci legava. Basta prendere la strada sbagliata per non trovare più la via del ritorno ed è esattamente quello che avevo fatto io.

«Ti avevo chiesto di salvargli il culo perché...», la voce si incrina, mentre punto un dito a mezz'aria, soffocando per le parole che cerco di sputare fuori, «perché quella bambina merita di avere almeno uno dei genitori», tuono con il respiro che annaspa, il petto sale e scende velocemente. L'immagine di mia nipote, così piccola da poter stare in un palmo della mano, che lotta per restare in vita, è la sola doccia ghiacciata che riesca a svegliarmi da tutto lo schifo che ci siamo creati attorno. Bret resta in silenzio, si infila le mani in tasca e senza proferire parola, gira sui talloni togliendosi dalle palle.

«Dobbiamo andare, Alec», dice Ethel posandomi una mano sul petto.

«Ci vediamo lì», rispondo con l'ultimo fil di voce che mi resta, mentre ascolto il ticchettio delle sue scarpe che scendono le scale. Mi affaccio alla finestra, con lo sguardo fisso su quella che una volta era la casa di Damon e riesco ancora a vederci, con i nostri palloni a sfidarci come sempre lungo la strada del quartiere; poi vedo lei, seduta in un angolo del marciapiede, i capelli legati in due buffe codine, con i calzoncini di jeans e una t-shirt, che con occhi sognanti fantasticava già sul solo ragazzo che non avrebbe mai potuto avere... Damon. Ho cercato di tenerla lontana da lui quando è tornato in città, ma non voleva ascoltarmi e non voleva accettare che lui non la volesse; non potevo più fermarla, non me l'avrebbe permesso, era così testarda e risoluta che la sua vita mi è scivolata dalle mani come granelli di sabbia... «Mi sono arreso...», rimprovero a me stesso, pensando alla remota possibilità che potessi ancora udire la sua voce chiamarmi dal corridoio di casa. Sorrido a tutte le volte che è entrata a precipizio nella mia stanza per buttarmi giù dal letto, strattonandomi le coperte dopo una delle solite serate al Masters. A tutte le volte che mi ha parato il culo con nostro padre, per quella che era la mia vita da non-ragazzo-per-bene. «La mia Jos...», pronuncio il suo nome come se fosse ancora qui con me e lo squarcio nel petto si allarga sempre più, lasciando solo una voragine che mi inghiotte. Il portone d'ingresso si chiude, avvisandomi di essere finalmente solo con me stesso, e mi basta uscire dalla mia camera per trovarmi di fronte alla porta della sua stanza.

La maniglia sembra quasi che scotti, per come la mia mano si chiude tentennando sul pomello di ottone.

Tutto è rimasto esattamente come quattro settimane fa: il libro di testo di filosofia aperto a pagina duecentocinquanta quattro, con una penna conficcata nel mezzo, e una sua felpa poggiata sullo schienale della sedia di fronte alla scrivania.

La prendo con mani tremanti e la porto al volto, inspirando solo il ricordo che è rimasto del suo profumo.

Le mani si chiudono in due pugni mentre mi guardo attorno, facendo da spettatore ai resti della sua vita, e sento le lacrime rotolare silenziose e graffiarmi il volto.

Il cuore si schianta contro la gabbia toracica e i polmoni si infiammano perché privi d'ossigeno. «Non... Non sono pronto per dirti addio, sorellina», confesso al nulla che mi avvolge, in attesa di un segno da parte sua che mi dia la forza per andare al suo funerale.

Allyson

Scendo dalla macchina di mio padre, Jenna e Cristal ci aspettano all'ingresso del cimitero, perché la funzione verrà fatta all'aperto; sento quasi le gambe cedermi mentre ripenso al mio primo incontro con Joselyn. I suoi grandi occhi color nocciola che mi sorridevano con dolcezza, anche se dietro nascondeva una versione di sé stessa che forse nemmeno lei conosceva.

«Ehi», dice Cristal stringendomi in un abbraccio, mentre altre persone ci passano a fianco; c'è tutta la piccola cittadina di Medford a partecipare al dolore della famiglia Sanchez e mi sento quasi un'intrusa. Negli ultimi mesi io e Jo eravamo tutto tranne che amiche, ma io ero lì con lei quando ha deciso che voleva fermare il mondo per entrambe. Le devo il mio ultimo saluto, lo devo a Damon e a sua figlia, che lotta per affacciarsi al mondo che la sta aspettando. Mi sciolgo dall'abbraccio di Cristal per salutare Jenna.

«Damon?», mi chiede osservando subito oltre le mie spalle.

«Arriverà a momenti, è ancora in ospedale», ha passato tutta la notte lì, dietro a un vetro, a guardare la sua bambina, con il timore che anche lei possa andarsene da un momento all'altro. La situazione è stabile, ma è così piccola, e deve superare ancora molte settimane prima di poter finalmente stare fra le braccia del suo papà. Prego con tutta me stessa di godere di quella visione, con la speranza che cancelli ogni traccia di sofferenza dal volto di Damon. Ho visto i suoi occhi brillare quando per la prima volta si perdeva in un mondo nuovo, quello della sua bambina.

«Andiamo a prendere posto», dice mio padre posandomi una mano sulla schiena.

«Allyson», mi volto verso mia madre, aggrappata al braccio di Christian. Resto in silenzio mentre avanza verso di me e cerco di inspirare a pieni polmoni. Le ho detto tutto ciò che dovevo, ma fa sempre un certo effetto trovarsela davanti sapendo che ero tutto ciò che non aveva mai voluto.

«Isabel», la saluta mio padre in tono cordiale, ma i suoi occhi sono puntati su di me, come se mi stesse guardando per la prima volta.

«Come stai?», vorrei riderle in faccia, ma non è né il luogo, né il momento per farlo. Non posso rimproverarle di avere un tempismo di merda quando si tratta di me. Il tiepido sole di aprile riflette sui suoi capelli lucenti, che le cadono perfetti sulle spalle.

«Bene, grazie», mi limito a risponderle, faccio un passo avanti ma la sua mano sfiora il mio braccio.

«Volevo vederti in ospedale... sono venuta... volevo... volevo solo che lo sapessi», guardo la sua presa chiusa attorno al mio gomito, per poi puntare i miei occhi su chi mi ha solo abbandonata e ha sempre trovato tante scuse per giustificare la sua assenza.

«Non dovevi disturbati», rispondo tagliente, scostandomi rapida dal suo tocco così estraneo da non sapere quasi più chi mi trovo di fronte. Non ho avuto una madre, ma so che Isabel Stewart non sarà di certo l'esempio che un domani vorrò seguire quando lo diventerò.

«Stai bene?», chiede mio padre mentre ci addentriamo tra le alte querce che si stagliano ai lati del sentiero. Annuisco, ormai la corazza che lei stessa mi ha cucito addosso, senza rendersene conto, non vacilla più alle sue parole. So di avere una madre che vive in questa città, ma non nella mia vita, e sono stata io a scegliere di non volerla più; questo è tutto ciò che mi serve per andare avanti per la mia strada senza di lei.

Troviamo un paio di posti liberi e ci sediamo. Guardo dritta davanti a me e sento lo stomaco contrarsi mentre gli occhi si posano sulla bara bianca, in netto contrasto con il verde del prato, adornata da fiori di ogni colore. Saetto lo sguardo e non riesco a scorgere Alec, ma vedo Ethel e sembra quasi un'altra persona; ci scambiamo uno sguardo e il suo sembra quasi chiedermi scusa.

La gente mormora sottovoce e le loro parole in memoria di Joselyn, che non c'è più, mi penetrano fin sotto le ossa.

«Non... non credo di farcela», confesso ad alta voce, perché non so se lei mi avrebbe voluta; mi sento un'estranea in mezzo a chi la conosceva davvero e le voleva bene. Io non ero tra quelle persone, i nostri trascorsi non possono dissolversi solo perché lei non c'è più.

«Ally, ce la farai», Jenna mi stringe la mano nella sua e con un debole sorriso, che affiora sulle sue labbra, mi dà tutto il suo sostegno. «Togliti dalla testa tutto ciò che stai pensando», mi sussurra all'orecchio rimproverandomi, come se avesse letto nella mia mente, nella quale vedo solo la causa che l'ha portata a spegnere la sua vita. Volevamo lo stesso ragazzo e in parte mi sento come se glielo avessi preso senza pensare alle conseguenze. Damon non mi ha mai detto di tenere a lei in quel modo, ma dall'incidente continuo a chiedermi: se io non fossi tornata da lui, cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasto con lei? Joselyn sarebbe ancora viva?

Il telefono vibra nella mia borsa poggiata sulle ginocchia, facendomi trasalire dai pensieri che affollano la mia mente. Lo sfilo e leggo un messaggio di Damon: "Sono con Cody, stiamo cercando Alec". Deglutisco a fatica, conoscendo come anche Alec sappia dar sfogo alla sua rabbia.

«Cosa succede?», chiede mio padre.

«Era Damon, sarà qui a momenti», almeno è quello che spero mentre la funzione incomincia, con il parroco della città che inizia il suo elogio. Il silenzio cala come una coperta che avvolge tutti nella tristezza e ogni parola, ogni pensiero in memoria di Joselyn colpisce tutti i presenti, mentre singhiozzi iniziano a spezzarsi nell'aria quasi irrespirabile. Vedo i genitori in prima fila, uniti in un abbraccio, come se cercassero di salvarsi a vicenda da qualcosa che va oltre il nostro volere. Dopo mezz'ora, mi volto d'istinto oltre le mie spalle, percependo la sua presenza. Vedo Damon e Cody che sorreggono Alec. Mi mordo il labbro per l'agitazione e senza dare nell'occhio, mi alzo dal mio posto: «Torno subito», mormoro a mio padre che si volta per vedere dove sto andando. «Dam», dico non appena gli sono abbastanza vicina.

«Era al Masters», spiega Cody, cercando di tenerlo in piedi.

«Ally, ci sei anche tu...», biascica Alec, con la cravatta a penzoloni e la camicia semi slacciata.

«Alec...», non riesco a dire niente di sensato in questo momento, vedo solo il dolore dei suoi occhi che mi travolge, qualcosa che conosco, l'ho visto troppe volte nello sguardo di Damon.

«Devo... Devo salutare mia sorella... Lasciatemi andare», sbraita agitando le braccia in aria per divincolarsi e nel farlo scivola, cadendo a terra. Scoppia in una risata intrisa di rabbia, con lo sguardo inchiodato al suolo che pesta con i suoi pugni serrati. Rabbrividisco in un battito di ciglia.

«Ascolta, appena se ne saranno andati tutti ti accompagno, okay?», dice Damon, piegandosi per aiutarlo a tirarsi in piedi. «Ora stai qui con Cody e Allyson», aggiunge scoccandomi un'occhiata.

«Dove vai?», gli chiedo confusa.

«Alec avrebbe dovuto parlare di Joselyn...», sibila. Vedo il verde dei suoi occhi contornati dalle occhiaie mentre si avvicina per darmi un bacio sulla tempia, il calore della sua bocca a contatto con la mia pelle riesce a scaldarmi e a strapparmi, anche solo per un istante, dal luogo in cui siamo. «Stai bene, piccola?», sussurra al mio orecchio, annuisco e insieme ci voltiamo verso la voce del prete che chiede ai presenti un pensiero da dedicarle come ultimo saluto. Io e Damon ci guardiamo un'ultima volta, lui abbozza un sorriso stanco, il suo pomo d'Adamo sale e scende a fatica lungo la sua gola e poi si incammina. Gli occhi dei presenti si inchiodano su di lui, confusi, accusatori, ma non si ferma, non si volta nemmeno. Raggiunge il parroco e posa il suo sguardo sul legno laccato bianco lucido, illuminato dai raggi del sole. Io, insieme a Cody e Alec, restiamo all'ombra della quercia, mentre i mormorii iniziano a diffondersi. «Conoscevo Joselyn da quando eravamo piccoli... era una bambina che amava fare il maschiaccio, proprio con me e suo fratello Alec... ma non era solo questo...», vedo i suoi occhi che mi cercano e io li accolgo dandogli tutto il mio appoggio. «Era un'amica, era una ragazza piena di vita ed era... la madre di nostra figlia...», riesco a sentire il mondo infrangersi in un milione di frammenti al suono di quelle parole, ma non poteva dire chi era la vera Joselyn e cosa aveva fatto di sbagliato nella sua vita, la gente la doveva ricordare con un sorriso. «Ho sbagliato con lei e ora è troppo tardi per chiedere scusa, ma non per fare delle promesse», prende da terra una rosa bianca, la osserva per qualche istante per poi rivolgersi solo a lei. «L'ho chiamata Cindy, lei saprà chi eri, che l'avresti amata con tutta te stessa e conoscerà chi era sua madre, quali erano le tue passioni e cosa ti piaceva fare. Jo, mi prenderò cura di lei e farò in modo che tu faccia sempre parte della sua vita anche se non sarai con noi... te lo prometto», termina la frase con la voce incrinata dall'emozione, mentre lascia scivolare dalle sue mani quella rosa che quasi a rallentatore si posa sulla bara. Lo sceriffo Sanchez scatta in piedi e Damon si ferma sui suoi passi incrociando il suo sguardo, la mano dell'uomo si allunga per stringere quella di Dam, che confuso gliela porge a sua volta. Sembra che nell'ultimo atto della sua tragedia, Joselyn stia portando con sé tutto il male che scorreva nelle loro vene, lasciando, al posto della rabbia e del rancore, solo un senso di pace. Sento questo, mentre persino la gente guarda Damon con occhi diversi e non più come il cattivo ragazzo che si era approfittato di lei. Il suo sorriso mi raggiunge prima del suo profumo, che mi avvolge in un abbraccio, mentre in disparte aspettiamo che la gente poco per volta se ne vada. «Come sta?», chiede Dam a Cody, riferendosi ad Alec.

«È rimasto così, a fissare i ciuffi d'erba per tutto il tempo senza dire una parola».

Damon si siede al suo fianco, poggiando la schiena al tronco dell'albero: «Amico, non farti risucchiare dal dolore», gli dice mettendo una mano sulla sua spalla.

«Come faccio... come farò senza di lei?», chiede sollevando il volto verso di noi con gli occhi colmi di lacrime.

«Ti abituerai alla sua assenza. Non dico che sarà facile, perché non lo sarà. Anzi, sarà la parte più difficile di tutta la tua vita. Ma ce la farai, per lei e... per tua nipote Alec, lei ha bisogno di te, ha bisogno di noi». Le persone, poco alla volta, se ne sono andate, senza accorgersi di noi al loro passaggio e delle condizioni di Alec. È stato un bene. Solo mio padre mi ha intravista e sorridendomi mi ha fatto capire che ci saremmo visti più tardi. «Devi andare, ora», esclama Damon ad Alec scuotendolo per le spalle, lui incespica sui propri passi mentre raggiunge la bara per darle l'ultimo saluto. Restiamo impietriti a guardare le sue mani posarsi, per poi colpire con rabbia e infine crollare con tutto il peso del corpo contro ciò che lo divide dalla sorella. Le lacrime che prima pungevano i miei occhi ora scendono copiose lungo il mio volto rigandolo.

«Mi mancherai Jos...», le grida disperate e taglienti di Alec fendono l'aria come una lama infuocata che trapassa tutti, mozzandoci il fiato in gola. Nessuno di noi è stato capace di dire niente, ci siamo solo guardati negli occhi, con il vuoto che la sua assenza ha lasciato.

«Vado a tirarlo via», dice Cody allontanandosi.

«Cosa succederà adesso?», chiedo guardando Damon, con la mascella contratta e gli occhi inchiodati a quella scena a cui mai ci saremmo aspettati di assistere.

«Non lo so, piccola, non lo so», si volta incastrando il suo sguardo malinconico nel mio. «Se c'è una cosa che so di Alec, è che eravamo tanto diversi quanto uguali; spero che non commetta i miei stessi errori», sento la tensione e la paura nella sua voce prendere vita.

Damon

Quando torniamo a casa, dopo essere passati per l'ospedale a vedere la piccola, sono distrutto. Vorrei solo spegnere il mondo intero, staccare la spina e gridare "basta" a un universo che si scaglia di continuo su di noi. Alec che gridava il nome di Joselyn pulsa ancora nella mia testa, che quasi sento scoppiare.

«Ordino qualcosa da mangiare?», chiede Al, mentre mi dirigo in bagno per fare una doccia calda.

«Come vuoi», mi limito a risponderle frastornato. Getto gli abiti per terra e apro l'acqua calda della doccia, aspettando che il vapore riempia l'intero spazio. Entro e pesto i pugni sulle piastrelle. Chino il capo, lasciando che l'acqua lavi via l'odore di quel luogo, la sua tristezza e il suono dei singhiozzi che si disperdevano nell'aria, facendomi realizzare che era tutto vero. Avrei avuto tante altre cose da dire su Jo, nessuno la conosceva come la conoscevo io. Dietro la tranquilla figlia dello sceriffo, si nascondeva un animo ribelle al quale solo io avevo dato vita, prendendomi l'ennesima cosa che non era permesso avere. Quanto vorrei fermare il tempo e riavvolgere il nastro con tutte le mie stronzate, per saperla seduta in camera sua a studiare. Era una stronza egoista, è vero, ma non era solo quello; Joselyn sapeva anche essere buona e io mi sono preso gioco della sua bontà. L'anta del box doccia si spalanca, mi volto trasalendo dal turbinio di pensieri che si stanno scatenando nella mia testa. «Al...», dico quasi senza respiro, mentre entra sotto il getto della doccia con me. «Cosa... cosa fai?», domando confuso, perdendomi nelle curve sinuose del suo corpo perfetto.

«Sono qui», sussurra con voce calda al mio orecchio, i suoi baci scivolano insieme all'acqua, scendendo dall'incavo del collo alla spalla, fino a raggiungere i miei addominali, dove la sua lingua disegna cerchi perfetti facendomi vacillare e le ginocchia si piegano.

«Al...», pronuncio a fatica con voce roca mentre sento la sua bocca accogliermi, prendendomi alla sprovvista. «Cazzo!», grugnisco, lasciando cadere la testa all'indietro, con le mani che si perdono fra i suoi capelli bagnati e il tocco della sua lingua che mi rende schiavo. «Così, piccola...», la supplico, perché non smetta di far dissipare tutte le nubi che dense hanno avvolto la mia mente in questi giorni. I muscoli si tendono a ogni suo movimento, che mi strappa il respiro dal petto. Brividi scorrono insieme ai rivoli d'acqua ricoprendo il mio corpo. Non resisto più. Mi chino su di lei, prendendola fra le mie braccia, le sue gambe mi cingono in vita. «Sei sicura?», le chiedo, sapendo che smarrirmi in lei, nel suo essere, in questo momento, potrebbe farmi perdere completamente il controllo.

«Ti voglio, Damon, e tu hai bisogno di me, ora. Lasciati andare», quasi mi prega contro la mia bocca, per poi succhiarmi il labbro inferiore. Esco dalla doccia con lei ancora tra le mie braccia, seminando gocce d'acqua sul pavimento, e la porto verso la camera da letto. Sprofondiamo sul letto che cigola sotto il nostro peso, inzuppando le lenzuola. Affondo il viso sulla sua pelle, assaporandone avido ogni centimetro, e lascio che i suoi gemiti rimpiazzino i pensieri che vorticano minacciosi nella mia testa, che scaccino via il peso del senso di colpa che sento schiacciarmi, marchiarmi e lacerarmi. Lei è l'unica a tenere insieme i pezzi della mia anima, ogni volta che il mondo decide di franarmi addosso. «Damon, non resisto...», implora mentre il suo corpo vibra schiavo della mia lingua, sollevo lo sguardo per incontrare i suoi occhi velati dal desiderio.

«Vieni per me, piccola... vieni», ripeto infliggendole quei gesti lenti e veloci che torturano la sua carne.

«Damon... oh, mio Dio... Damon», grida mordendosi il labbro inferiore, facendo godere anche me di quel piacere, riesco ancora sentirne il dolce sapore sulla bocca.

«Ti scoperò forte, Al», dico come una promessa, incastrando i miei occhi ai suoi, mentre metto entrambi i palmi delle mani ai lati della sua testa per sostenermi sopra di lei. È bellissima: i capelli sparsi a ventaglio sul cuscino, gli occhi ancora annebbiati dall'oblio verso il quale l'ho spinta e le guance arrossate come piacciono a me.

«Scopami forte, Sanders», risponde lasciandomi senza fiato. Non mi sarei mai sognato di sentirla dire una cosa del genere. Quasi bastava il suono di quelle parole volgari, impresse sulla sua bocca innocente, per farmi perdere il controllo ed esplodere in questo preciso istante. Mi sporgo su di lei, senza distogliere lo sguardo, sentendo il suo respiro ancora ansimante solleticarmi il volto.

«Dillo di nuovo», ordino.

«Scopami!», in uno scatto inaspettato la faccio mia, la sua schiena si inarca venendomi incontro, annullando qualsiasi distanza.

«Oh, porca puttana, piccola», quasi ringhio per la perfezione del suo corpo incatenato al mio. «Baby, muoviti per me», supplico sentendola scivolare su di me. Chiudo gli occhi, affondando le mani sulle sue cosce, mentre tutto ruota e si frantuma in mille pezzi che solo lei può rimettere insieme. Solo Allyson riesce a curare la mia anima dannata che lotta contro di me per venire fuori. «Oh... cazzo, baby», biascico, travolto dalla sua bocca che succhia e soffia contro la pelle del mio corpo. Mi scosto e con un gesto rapido la faccio ruotare sul letto. «Dimmi che mi vuoi», chiedo ansimando, mentre il dito indice scorre lungo la sua spina dorsale e mi perdo con lo sguardo in quella linea del suo corpo che si staglia prepotente di fronte ai miei occhi.

«Ti voglio, Damon...», i suoi pugni si chiudono attorno alle lenzuola.

«Tieniti forte», l'avverto, intrecciando una ciocca di capelli fra le dita, in modo da farle inclinare la testa verso di me. «Sei pronta?», annuisce e sento solo il mio nome che scoppia sulla sua bocca; premo contro la sua schiena per assaporare quelle stesse labbra che mi hanno chiamato e desiderato, famelico mi nutro del suo sapore che diventa la mia salvezza, la sola luce che riesco sempre a vedere alla fine del tunnel, alla fine di ogni incubo a occhi aperti. «Ci sono, piccola... ci... oh, cazzo... oh, baby, sì», grugnisco, strascicando le parole con la voce che si spezza allo stesso tempo che crollo di peso su di lei. Le mie braccia l'avvolgono, stringendola al mio petto che pulsa ancora all'impazzata. «Ti amo», pronuncio contro la sua spalla bagnata.

«Ti amo anch'io», il cuore scalpita alle sue parole, come se mi restituisse tutto l'ossigeno che questa giornata ha risucchiato. «Hai... hai mai pensato a lei in modo diverso?», chiede quasi in un sussurro appena percettibile. Con il palmo della mano le faccio voltare il volto verso di me. I nostri occhi si scontrano, corrugo la fronte confuso.

«Al, sai bene che ho amato solo una persona...», la punta del mio naso si strofina contro il suo, «te. Sei tutto ciò che non sognavo nemmeno di poter avere. Piccola, non devi mai dubitare di quello che provo per te», le sue palpebre si chiudono, mentre il suo volto si nasconde contro il mio collo.

«Scusami, non volevo», mormora.

«Va tutto bene, baby, andrà tutto bene», prometto stringendola più forte fra le mie braccia, con le nostre gambe intrecciate l'una all'altra. Vorrei restare così per sempre. Con il calore del suo corpo che mi avvolge, il suo respiro che ossigena i miei polmoni e il sapore della sua bocca che nutre il mio essere.

È la sola e unica dipendenza della quale non ne avrò mai abbastanza, la droga perfetta che impregna ogni particella del mio corpo portandomi all'overdose di un amore proibito... il nostro.

SPAZIO XOXO

Ve lo aspettavate un capitolo su Alec?

e dell'amore proibito di Allyson e Damon?

commenti e stelline al prossimo capitolo

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