Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 25 Allyson.

Sono furiosa, no, non è il termine giusto, sono incazzata. Calpesto con rabbia il marciapiede fino a raggiungere la fermata dell'autobus. Non posso credere che finiranno per combattere uno contro l'altro. L'aria pungente del primo mattino mi rinfresca le guance che sento ancora avvampare. Non riesco a capacitarmi di quello che è successo... cioè, sì, me ne capacito eccome, ma è come se non ci credessi. Con lui è tutto... diverso. È come salire su una giostra, ma quella che più ti fa paura; il tuo giro personale sulle montagne russe. Ti porta in alto, ti aggrappi con il timore e vorresti scendere, ma non puoi... è troppo tardi. Arriva la discesa ripida nella quale chiudi gli occhi, il fiato si spezza e il cuore ti finisce in gola e, alla fine, ti lasci semplicemente travolgere.

Sì, è proprio lui. Non potevi trovare definizione migliore, Al. Sorrido alla mia gemella interiore, ma più che altro a quello strano diminutivo.

Un attimo, sto sorridendo?

«Signorina, vuole salire?», sollevo lo sguardo verso l'autista del bus che mi riscuote dai pensieri e mi appresto a prendere posto. Mi perdo fuori dal finestrino, dove la giornata incomincia a elevarsi con i suoi raggi di sole più alti. È bastato il ricordo di appena pochi minuti fa per cancellare dalla memoria il motivo per cui sono furiosa con lui. Sono andata via sbattendo la porta, ma sono anche rimasta per un secondo sul pianerottolo ad attendere che la stessa si riaprisse e una versione "migliore di Damon" mi rincorresse.

Troppi film.

«Già», sussurro dando voce ai pensieri.

D'istinto prendo il telefono dalla borsa, scorro nella rubrica dove il suo nome non è salvato. Devo fare qualcosa per evitare che quei due combattano.

Pensa, Allyson, pensa.

Arrivo di fronte al Campus, scendo e mi dirigo verso la caffetteria. Aumento il passo come intravedo Cody.

«Cody. Cody, aspetta», la voce troppo alta attira l'attenzione dei presenti, sento bisbigliare qualcosa che arriva incomprensibile alle mie orecchie.

«Allyson. Tutto bene?», chiede con un certo tono di premura. Fra noi c'è questo strano legame di amicizia dettato dal bene che entrambi vogliamo alla stessa persona. È l'unico che in un certo senso non mi ha voltato le spalle.

«Hai saputo?», domando e lo vedo subito irrequieto. Cammina verso la porta della caffetteria e lo seguo.

«Come lo sai?», chiede a sua volta. Non sopporto quando rispondono a una domanda con una domanda, è solo un pretesto per non rispondere e sviarti dal tuo discorso iniziale; in questo assomiglia molto a Dam.

«Me l'ha detto lui», ammetto avvicinandomi al bancone di legno laccato bianco, dove ordiniamo i nostri caffè e vedo Cody guardarsi intorno come alla ricerca di qualcosa o di qualcuno.

«Cosa facciamo?», continuo, sperando che anche lui sia della mia stessa idea.

«Allyson, questa volta non possiamo fare niente». A quanto pare non è della tua stessa idea.

«Magnifico», esclamo. Come può volere che due suoi amici se le diano di santa ragione?

Sono due emeriti idioti? «Ci dev'essere un modo», insisto, bruciandomi la lingua col caffè.

«Non c'è, Allyson. È meglio che ne resti fuori», ha un'espressione seria che non si addice minimamente alla sua persona e incomincio a credere davvero che questo dannato incontro non si possa evitare.

«Io non li capisco», mi sento così estranea a tutto. Fino a poco tempo fa stavo incominciando ad ambientarmi a questa cittadina, credevo persino di avere un'amica e tutto scorreva senza intoppi... di certo le lotte clandestine non erano nella mia lista di programmi da approfondire alla Tufts. Damon, lui e il suo mondo sono troppo complessi. Ruota su sé stesso come un vortice dal quale rischi di essere risucchiato. «Bene, se non mi vuoi aiutare allora farò da sola; grazie lo stesso». Poggio la tazza di caffè ormai vuota sul bancone ed esco senza dargli il tempo di aggiungere altro.

Percorro il lungo porticato ad archi. Guardo svariati gruppi di ragazzi e ragazze che raggiungono le loro classi, alcuni di loro sono persino nei miei corsi e la cosa triste è che non ci ho scambiato neppure un misero "ciao".

Stringo i libri al petto e vorrei scacciare via questo senso di vuoto che compare all'improvviso facendomi sentire così diversa.

Trattengo il respiro, anzi, è meglio che ne prenda uno bello grande e che mi stampi sul volto un caloroso sorriso. Busso e attendo che la voce del professor Liry mi inviti a entrare.

«Buongiorno, Signor Liry», esordisco entrando nel suo ufficio. È in piedi, intento a impilare alcuni fogli. Accidenti, mi ero scordata del compito. La mia gemella si sta sbattendo la mano in fronte poiché io non posso farlo.

«Signorina Evans, posso aiutarla?», chiudo la porta alle mie spalle, fissando per un istante le venature del pregiato legno ciliegio.

E ora?

«Sono qui per... sì... si ricorda della nostra conversazione riguardo a Sanders?», gli occhiali gli scivolano lungo il suo naso e i suoi occhi color nocciola mi osservano con attenzione. Credo sia il suo modo per intimorire le persone che si trova di fronte e da come le mani incominciano a sudare, non posso negare che non ci stia riuscendo.

«Sì, ricordo perfettamente. Allora?», non sono mai stata una bugiarda e di certo le bugie mi piacciono ancora meno, però ci possono essere delle eccezioni e questa è una di quelle. Sfilo un foglio da uno dei libri di testo che tengo fra le braccia. Il cuore non la smette di martellare di terrore nel petto mentre glielo porgo. Scocca un'occhiata a me e successivamente al foglio in questione. I secondi sembrano condensarsi mentre l'osservo a leggere intento le poche righe che ho scritto in autobus. «Bene, mi fa piacere che sia riuscita a convincerlo a riprendere gli studi. Però mi chiedo come mai non sia venuto lui di persona», osserva, appoggiando con cautela il foglio sulla scrivania senza smettere di guardarmi. Mantengo la calma, raddrizzo la schiena per darmi una maggiore sicurezza.

«È malato», vorrei dirgli che lo è davvero, di testa, ma mi mordo la lingua prima che i pensieri prendano voce da soli.

«È stato molto gentile da parte sua, signorina Evans.». Perché sembra che stia rimarcando il mio cognome? Perché lo sta facendo sul serio. D'un tratto il lupetto è troppo alto per il mio collo e devono aver aumentato di svariati gradi la temperatura. «Una dichiarazione scritta è un documento importante, avrebbe potuto perderlo», con l'indice spinge gli occhiali in su, portandoli ad aderire meglio al volto.

«Non l'ho perso», biascico. Annuisce abbozzando un sorriso e dopo avermi indicato la porta, esco il prima possibile.

Riprendo fiato come se avessi appena corso una maratona. Calmati, Allyson, hai fatto la cosa giusta. Spero. Le sue parole riguardo alla dichiarazione non erano del tutto casuali, anzi, era come se mi stesse avvertendo.

Mi auguro soltanto di riuscire a convincerlo a tornare il prima possibile, altrimenti credo che sarò proprio in un brutto guaio.

Sento un gran dolore al fondoschiena e solo in quel momento mi rendo conto di essere col sedere per terra.

«Allyson, scusa», gli occhi si sollevano dal suolo, dove vedo i miei libri sparsi vicino a un paio di Timberland familiari.

«Alec», mormoro allo stesso tempo che allunga una mano per aiutarmi ad alzarmi. Si china a raccogliere i libri senza che i nostri sguardi si incrocino nemmeno per un istante. Vederlo è così strano, il tempo sembra trascorso senza essere riuscita a quantificarlo. È un dolce e amaro ricordo. Siamo passati dai sorrisi agli insulti, poi alle urla e infine a quello schiaffo che ancora sento bruciare sulla pelle.

«Scusami non ti avevo vista», dice per scusarsi. Ero troppo assorta nei pensieri o per meglio dire, catapultata sull'isola Damon, che credo di aver dimenticato il mondo circostante. Accidenti, riesce a essere presente anche quando non c'è.

«Non ti preoccupare», mi limito a rispondergli nell'imbarazzo che ci separa.

«Come stai?», solo in quell'istante i miei occhi incontrano i suoi. Due estranei che hanno condiviso molto.

«Bene e tu?», non abbiamo più parlato. Non sono arrivate le risposte alle domande che avrei tanto voluto fargli e che ora non ho alcun diritto di ottenere.

«Bene», risponde con un debole sorriso.

«Bene», ripeto io dondolandomi sui talloni.

«Ci vediamo», esclama e fa per andarsene.

«Aspetta!», lo vedo sorpreso, fa un passo indietro per essermi di fronte. «So che non dovrei, ma ho saputo dell'incontro e....», sorride ancor prima che possa terminare la frase.

«Vuoi salvarlo anche questa volta, Allyson? Possibile che una ragazza come te non riesca a vederlo per quello che è realmente?», corruccia la fronte indicandomi e io mi stringo nelle spalle, come se volessi difendermi da quelle parole nelle quali sono appesi stralci di verità. «...L'altra volta era tutto organizzato perché tu andassi al Masters e lo portassi via da lì, solo per farmi dispetto. Come puoi ancora preoccuparti per lui? Si è scop... si è portato a letto Joselyn senza alcun rispetto», rabbrividisco al pensiero di lui e Josy insieme, il ricordo di lei avvolta dal lenzuolo nel suo letto si materializza di fronte agli occhi per tormentarmi. Un senso di nausea prende forma nel corpo al pensiero di quello che hanno condiviso.

«È stata Joselyn a decidere di andarci», non trovo nemmeno le parole che vibrano sulle labbra per poter uscire.

Sono consapevole di quanti difetti scolpiscano a opera d'arte Damon, ma per la storia di Joselyn non posso fargliene una colpa, anche se una parte di me vorrebbe dimenticare che sia esistita.

«Non ci credo. Continui a difenderlo», trattiene a fatica un ghigno malevolo, la mascella contratta e le sopracciglia inarcate a incorniciare il suo sguardo di disapprovazione. «Comunque puoi fare solo una cosa, Allyson, venire a vedere l'incontro e capire una volta per tutte chi hai davanti», se ne va via dopo aver scagliato l'ennesima bomba.

Resto con i piedi piantati al suolo per qualche secondo allo stesso tempo che la testa ascolta ancora una volta un altro avvertimento sul suo conto. Chi è Damon? Non lo conosco, eppure il mio corpo reagisce quasi da solo quando sono al suo fianco, come se in realtà non fosse così, come se un filo sottile, quasi impercettibile, legasse, per qualche strano scherzo del destino, le nostre anime così diverse.

Le prime due ore del compito di arte sono un vero inferno, non riesco a concentrarmi e, per giunta, non ho avuto modo di studiare come avrei dovuto o come faccio di solito. Il mio obiettivo... il mio sogno sembra divenire una meta sempre più lontana. L'Europa e Parigi non sono più dietro l'angolo come immaginavo al mio primo giorno qui. Il resto della mattinata è ancora peggio, mi sposto nelle varie aule anche se la mia mente è già catapultata a questa sera e a quello che potrà succedere.

Mentre sto per entrare nell'aula di filosofia sento chiamarmi, ma non può essere lui, no non ci farebbe nulla qui. Quando mi volto, però, sono piacevolmente sorpresa che le mie orecchie ci sentano più che bene e che un Damon Sanders per nulla gentile si stia fiondando su di me come un quarterback che sta andando a segnare il suo touch down.

«Mi spieghi che cazzo ti passa per la testa?», tuona. Mi afferra per un braccio allontanandomi dall'aula fino a scomparire entrambi in una parte al momento desolata.

«D... di cosa stai parlando? Comunque, smettila di stringere, mi stai facendo male», gli faccio notare strattonando la presa. Stringe gli occhi in due fessure.

«Mi ha chiamato il professor Liry per congratularsi del mio R-I-E-N-T-R-O», sibila furente di rabbia. Si avvicina pericolosamente schiacciandomi contro il muro con le sue braccia a tenermi in trappola. «Ne sai per caso qualcosa?», inclina il capo scrutando con attenzione il mio volto.

«Può darsi che», solleva le braccia al cielo allontanandosi.

«Non ci posso credere? Si può sapere che cazzo ti sei messa in testa?», indica la tempia come se le sue parole non bastassero a farmi capire il concetto.

«Volevo solo darti una mano, Damon...», quasi in punta di piedi mi avvicino a lui, la mano trema nel tentativo di posarsi sul suo braccio che solleva per non essere toccato.

«Ti avevo avvisata di non metterti in mezzo alla mia vita», sbraita a muso duro, le narici dilatate, gli occhi spiritati, come se avessi fatto chissà cosa.

«Ho solo...», tento di spiegargli ma sembra tutto inutile, sono nuovamente con le spalle al muro.

«Sei solo un'impicciona», esclama furioso e il palmo della sua mano sbatte al tempo stesso sulla parete di fianco al mio viso facendomi sobbalzare. D'istinto chiudo gli occhi. «Merda», ride amaramente e in quel momento socchiudo gli occhi per scontrarmi con i suoi puntati nei miei. «Hai paura di me», annuisce in modo severo con la testa e non riesco a proferire parola mentre vedo le sue spalle ricurve allontanarsi da me.

Vorrei andargli dietro e spiegargli ogni cosa, anche questo timore che non è stato di certo lui a insinuare nella mia mente. Ma per quel poco che so di lui, è meglio che lo lasci andare a sbollire la sua collera. Giro l'angolo e la giornata sembra essersi accanita contro di me.

«Ti stavamo quasi dando per dispersa, piccola Ally», dice sarcastica Ethel, facendo scoppiettare rumorosamente la gomma da masticare che rumina meglio di un cammello.

«Davvero?», l'oltrepasso senza aspettarmi una risposta della quale non mi importa.

È un suo problema se malgrado sia fidanzata continui a pensare a Dam.

Inizio a pensare a quante ragazze ha avuto, per ora so di loro due ma per pura casualità. Sarà come uno di quei ragazzi che tiene il conto?

Oppure è uno di quelli che si sveglia l'indomani con a letto una ragazza della quale non conosce nemmeno il nome?

I film nella testa iniziano a girare pellicole non richieste.

«Scommetto che sei stata un'intera settimana a piangerti addosso», esclama alle mie spalle e a quelle parole mi volto di scatto. Gioca divertita con una ciocca dei suoi capelli che fa arrotolare al dito mentre con aria di superiorità i suoi occhi passano allo scanner il mio corpo. La vedo innalzarsi su un piedistallo che solo io riesco a vedere; i capelli cadono lisci sulle spalle, il viso è truccato alla perfezione insieme ai vestiti che rendono giustizia al suo corpo snello e slanciato. «Dovresti darti una rimodernata se vuoi entrare nelle sue grazie o.... nel suo letto. Ops...», con finta convinzione si copre la bocca, dipinta di un rosso scarlatto visibile oltre lo stato del Massachusetts.

«Magari ci sono già entrata senza aver bisogno...», la addito sentendomi particolarmente coraggiosa, «di tutto questo stucco che ti metti in viso per mantenere in piedi l'impalcatura». Mi godo la sua bocca spalancata per lo stupore, poco prima di voltarle le spalle. Sorrido divertita per come ho saputo tenerle testa. Poco tempo fa non avrei proferito parola incassando il colpo, chinando la testa in attesa che la smettessero di deridermi.

Cos'è cambiato? Domando quasi a me stessa.

È l'effetto Damon Sanders. Risponde la mia gemella interiore, che per una volta sembra giocare nella mia stessa squadra.

«Non così in fretta», mi sento strattonare il braccio e chi credevo di aver messo al tappeto è più agguerrita che mai. «Stai insinuando di avere per caso una relazione con Damon?».

«Io non ho detto questo, ho detto...», scoppia in una fragorosa risata.

«Uno come lui ha certi bisogni», si protrae verso il mio orecchio con aria di sfida, «bisogni che una come te non saprebbe neppure da dove incominciare a soddisfare. Vieni al Masters e vedrai come festeggerà chi vince l'incontro. Sempre se sei in grado di trattenere almeno per un po' le lacrime», si volta con i suoi lunghi capelli che raggiungono il mio volto, accompagnati dal fastidioso ticchettio degli stivali che calpestano vittoriosi il suolo sul quale cammina.

Dov'è finito l'effetto Damon Sanders?

Me lo chiedo anche io.

È stata solo un'illusione credere di poter tenere testa a una come lei. Sono così lontana da questo mondo dal quale mi sento come schiacciare.

"Vedrai come festeggerà chi vince".

Cosa voleva insinuare?

C'è un solo modo per scoprirlo.

Raccolgo da sotto i piedi la mia autostima, determinata a voler reagire o per lo meno a provarci. Una volta sul bus decido di non scendere alla solita fermata. Avviso mia madre che non rientrerò per passare in biblioteca a studiare. Risponde quasi subito con un affettuoso messaggio. È strano pensare alle sue parole in questo modo. In qualche maniera, seppur a piccoli passi, il nostro rapporto non si sta ricucendo, perché il passato è difficile da dimenticare, ma sta nascendo un nuovo rapporto e sono curiosa di scoprire dove ci porterà. Scendo sulla Main, la via principale dove negozi e locali fiancheggiano la strada. Passeggio di fronte a qualche vetrina in cerca di qualcosa che possa cambiare il mio aspetto. Non voglio nulla di eccessivo, però una boccata d'aria al mio guardaroba non farebbe male. Entro da Bride & Belle, ha abiti di ogni genere, quasi mi perdo fra i vari stand. Con la mano tocco i tessuti, morbidi e lisci.

«Posso darle una mano?», chiede gentilmente una ragazza che avrà più o meno la mia età, un volto che mi mette subito a mio agio dato che mi sento un pesce fuor d'acqua in mezzo a tutti questi luccichii.

«Cercavo un vestito, qualcosa che non sia troppo, insomma», farfuglio cercando di spiegarmi ma è difficile non sapendo neppure io che cosa voglio.

«Tranquilla, ho capito. Vieni», dice con un caloroso sorriso, facendomi strada verso uno stand dove ci sono appesi svariati vestiti. Non ho neppure il tempo di guardarli che me ne porge subito tre fra le mani. «Prova questi, sono certa che ti piaceranno. Lì, trovi il camerino», annuisco timidamente e vado subito a provarli. Il primo è nero, maniche a tre quarti, lungo appena sotto il ginocchio con uno scollo a barca. Semplice, ma arricchito con dei piccoli strass sulle cuciture dei bordi delle maniche e dello scollo. Guardo la mia immagine allo specchio, scende morbido lungo il corpo, non è troppo aderente ma allo stesso tempo riesce comunque a mettere in risalto le mie forme generose.

«Ti sta benissimo», esclama la ragazza alle mie spalle.

«Dici? Non è che...», in effetti non mi sta male, sarebbe il mio secondo vestito. Non sono mai stata amante degli abiti, delle gonne o cose simili, per me un pantalone e una maglia sono l'essenziale per essere ordinata, comoda e sportiva.

«Secondo me se mettessi questi sarebbe perfetto», mi mostra degli stivali con una zeppa vertiginosa che le caviglie implorano pietà ancor prima di averli ai piedi. Ho già degli stivaletti semplici e comodi e opterò per quelli.

Wow, i tuoi stivaletti raso suolo, commenta ironica la mia gemella.

«Va bene, li provo», le concedo. Li infilo e torno allo specchio.

Ora ci siamo. Incalza la vocina non capendo mai quando è il momento per stare in silenzio. Resto a guardarmi ancora un po', chiedendomi una sola cosa: cosa penserà Damon nel vedermi così?

Esco dal negozio già con l'ansia per dovermi presentare vestita così, in un nightclub per giunta e da sola. Non avevo pensato alla possibilità che magari non mi faranno entrare se sarò da sola. Prendo il telefono dalla borsa e scorro la rubrica fino al numero di Cody. Ce lo siamo scambiato per via del corso che seguiamo insieme e quasi mi ero dimenticata di averlo. Al terzo squillo risponde.

«Allyson?», dice con quella che sembra proprio una domanda.

«Sì, sono io. Scusa se ti ho chiamato, è che avrei, ecco, avrei bisogno di un favore», sento un vociare dall'altro capo del telefono, una delle voci è inconfondibile... Damon...

«Dimmi, se posso volentieri», lo sento allontanarsi dal punto in cui si trova.

«Sei con Dam?», non era questa la domanda, i pensieri sono esplosi nella bocca senza che il mio cervello potesse fare da filtro. «Scusa, non ti ho chiamato per questo e.... e non sono affari miei. Potresti venirmi a prendere per andare al Masters?», mentre aspetto che mi risponda, cerco di capire chi altro ci sia con loro. Cody ha risposto al telefono e Damon con chi stava parlando? Ho sentito troppo poco accidenti.

«Non è una buona idea», lo interrompo prima che possa terminare la frase.

«Se non puoi accompagnarmi va bene, ma sappi che ci andrò comunque», spero che la mia finta determinazione possa dissuaderlo. Dopo una pausa interminabile acconsente ad accompagnarmi. Ci diamo appuntamento sotto casa mia per le dieci. Lo ringrazio e mi appresto a inventarmi una scusa per uscire di lunedì sera agghindata in questo modo. Una festa di compleanno potrebbe andare. È banale, ma dovrà andare bene.

Quando arrivo a casa, sono felice che non ci sia nessuno e corro su per le scale fino in camera. Lancio le buste sul letto e rallento il passo mentre raggiungo la finestra. Guardo verso l'appartamento di Dam, è in casa, l'intravedo passare e indietreggio evitando che possa vedermi. Trascorro il tempo con il naso fra i libri, ma giusto quello, perché nessuna parola che leggo vuole entrarmi in testa. Mia madre e Christian sono a una cena per una raccolta fondi alla quale il sindaco non poteva di certo mancare e io ne sono sollevata mentre inizio a prepararmi.

La doccia calda non riesce a stendere i nervi che sento accumularsi sempre di più sulle spalle. Ogni tanto butto un occhio alla sua finestra dove la luce è spenta e mi chiedo dove possa essere. Dopo quel breve litigio al campus non so più cosa passi per la sua testa. Infilo i collant.

«Perfetto», esclamo sollevando le braccia al cielo di fronte al buco che vedo allargarsi sempre di più. Corro in camera di mia madre alla ricerca di un altro paio. Apro cassetti, ante dell'armadio. «Dove li tiene? Usa solo abiti lei».

Nell'aprire l'ennesima anta mi trovo di fronte alla roba di Christian e nel richiuderla, lo sguardo mi cade su una piccola scatola nera con sopra incise due lettere: A/D. Continuo a fissarla notando che dev'essere lì da molto tempo per via degli angoli ormai consumati. Cosa conterrà? Sono troppo curiosa, ma non posso permettermi di aprirla... o forse sì? NO. La chiudo e finalmente trovo quello che stavo cercando; sono in ritardo, Cody sarà qui fra mezz'ora.

Metto il vestito, gli stivali li indosso per ultimi perché non vorrei rischiare di rompermi l'osso del collo ancor prima di uscire di casa. Arriccio le punte dei capelli, non l'ho mai fatto ma ho visto mia madre farlo spesso, quindi non dev'essere così difficile.

Dopo essermi bruciata dieci volte su dieci le dita e aver utilizzato un quintale di lacca perché non si disfino, mi osservo soddisfatta del risultato. Traccio una semplice linea nera sugli occhi, un po' di colore alle guance e concludo con il lucidalabbra, che odio perché è troppo appiccicoso, ma è sempre meglio della collezione di rossetti super appariscenti di mia madre. Il clacson suona, giusto il tempo di mettere gli stivali e il cappotto. Voglio mascherare tutta l'angoscia che inizia a impossessarsi di me, allo stesso tempo che chiudo il portone alle mie spalle. È come se ad avvolgermi non fosse il tepore del cappotto, ma una brutta sensazione che mi si insinua fin sotto la pelle.

«Ciao, Cody», sussurro appena mi accomodo al suo fianco. Sono nervosa e le mani sono le mie principali vittime.

«Allyson Evans? Ci sei veramente tu sotto?», indica sfoderando il suo solito sorriso da giullare.

«Ah... Ah... Ah...», imito una risata sarcastica. «Ho solo...», provo a dire.

«Dato vita al tuo corpo? Oh. Ci sei riuscita alla grande», conclude partendo con l'auto. Mi stringo nelle spalle e resto in silenzio, con la convinzione che forse avrei dovuto essere solo me stessa e non una finta copia di chissà chi. «Guarda che stai benissimo. È solo che non ti avevo mai vista così», aggiunge mentre scendiamo dalla macchina, attraversiamo la strada e ci addentriamo nel locale già affollato.

«Grazie», mi limito a dire seguendolo sotto gli sguardi curiosi di altri ragazzi presenti.

«Cosa c'è in premio per chi vince?», domando, provando a sovrastare la musica troppo alta.

«Soldi», dice con ovvietà.

«Solo soldi?», scendiamo le scale per raggiungere il seminterrato dove tutto ha inizio. Cody si sofferma a metà gradinata.

«Con chi hai parlato?», domanda a sua volta. Faccio spallucce e mi arrendo. «Ethel», sospiro.

«Stronza», esclama. «Lasciala perdere, okay?», annuisco e raggiungiamo la ringhiera in ferro che ci separa dalla gabbia. Guardo Dam vicino al sacco, si sfila la felpa col cappuccio dalla testa facendo guizzare i suoi muscoli, dove risaltano i tatuaggi che disegnano parte del suo corpo. Una ragazza mora, con i capelli lunghi fino al sedere, si avvicina ancheggiando. Gli sussurra qualcosa all'orecchio. Lo vedo sorridere e nello stesso istante lo stomaco si attorciglia su sé stesso.

«Chi è?», indico la ragazza a Cody non rendendomi conto che non siamo più soli.

«Tamara. Se parli del premio in palio per il vincitore», gongola Ethel nel rispondermi, mentre si mette proprio al mio fianco.

«Smettila», abbaia Cody. Stringo la ringhiera per evitare di scoppiare.

«Certo che ci siamo date una bella sistemata», aggiunge.

Faccio finta di non sentirla. Scorgo Alec raggiungere la parte della gabbia opposta a Damon. Mi concentro sulla voce del ragazzo al microfono ricordando le regole: tre minuti, niente colpi al volto, il primo al tappeto perde. La folla esulta, battendo i piedi per terra all'unisono, con le mani che applaudono incitando la mora che fa il suo ingresso nella gabbia.

«Cosa ci fa lei lì?», Ethel ride senza curarsene troppo.

«Quando una coppia come Alec e Dam decidono di non combattere più insieme, c'è questa sorta di rito o di metafora. È la donna a spezzare il legame...», spiega e non riesco a seguire il filo del discorso malgrado mi sforzi. Vedo Tamara, così credo che si chiami, sfilarsi senza troppi indugi le mutandine da sotto la gonna evitando di mostrare al mondo intero il suo didietro. Le agita per aria, ma soprattutto vicino al volto di Damon e un ghigno, quel suo ghigno, gli compare sul volto. Tamara lascia il suo perizoma appeso alla gabbia e uscendo, dà inizio al combattimento.

«Che schifo», dico senza pensarci troppo.

«Vuoi andare via?», chiede Cody.

Scuoto la testa perché voglio vedere davvero chi ho davanti. Damon colpisce per primo Alec all'addome. Lui si piega a metà, ma come Damon sta per assestargliene un altro, Alec lo colpisce a sua volta. Continuano così per un minuto e mezzo che sembra interminabile. Entrambi affannati e con la pelle imperlata di sudore non si arrendono l'uno all'altro. Damon saltella sul posto intorno ad Alec che lo colpisce invano. Un pugno lo raggiunge al fianco facendolo stramazzare a terra.

«Oh, oh, il nostro Dam è in vantaggio».

«Basta adesso, Ethel», interviene persino Bret, mentre Alec subisce l'ennesimo colpo che lo lascia accasciato a terra. Damon sputa contro di lui, poi guarda la folla di ragazzi che lo acclama, felici per i soldi vinti. Si dirige verso le mutandine appese, le prende e le mostra come fossero un trofeo. Sorride vittorioso fino a quando non incontra i miei occhi. Tamara entra nella gabbia, si aggrappa al suo collo cingendogli in vita le gambe. Ho visto anche troppo.

«Permesso», quasi grido per farmi spazio fra la gente e scappare il prima possibile via da lì.

Sento Cody chiamarmi, ma non posso resistere un minuto di più di fronte a quell'immagine di Damon, che continua a riempirmi la testa come un flash che si riproduce di continuo. Arrivo al piano superiore, lungo il corridoio che porta sul retro.

«Cosa fai qui?», sbatto contro il suo petto prima di poter rispondere. La mano con la quale mi ha fatto girare trattiene il mio polso.

«Lasciami stare, Dam. Non scherzo». Mi divincolo.

«Perché ti sei vestita in questo modo?», lo guardo sconcertata.

«Tu sei pazzo! Vuoi davvero parlare di come mi sono vestita?», ringhio mentre lo spingo. «Tornatene da quella troia», grido e corro verso l'uscita. Gli stivali non aiutano e vorrei almeno risparmiarmi la figura di cadere di fronte a tutti. Spalanco la porta di ferro ed esco nel vicolo buio.

«Tu non vai da nessuna parte da sola», ordina alle mie spalle e mi volto. Non si è nemmeno rivestito, i rivoli di sudore luccicano al bagliore della luna. Passo le mani fra i capelli che vorrei quasi strappare dal nervoso. Più penso a quello che gli ho permesso di fare questa mattina e più sento la nausea assalirmi.

«Sei uno stronzo. Ecco cosa sei», confesso quei pensieri più a me stessa che a lui. Dovevo ascoltare Alec quando mi aveva messa in guardia da lui. Dovevo stargli lontana e invece no, il suo sguardo, la sua voce, i lineamenti contratti del volto e ogni cosa di lui si prendeva giorno dopo giorno un pezzo di me.

«Al, guardami», scuoto la testa alle sue parole.

«Vai a riscuotere il tuo premio», gli intimo con un gesto plateale della mano, indicandogli la ragazza proprio dietro le sue spalle. «Vai a restituirle le mutandine, Sanders», la mano raggiunge il suo volto senza che me ne accorga e lo colpisco. Il suo volto si gira in uno scatto per poi tornare fisso contro il mio. Resto inerme e per una volta non ci sono lacrime a solcare il mio volto, ma solo la rabbia e la delusione per me stessa... quella per essermi fidata di lui.


*SPAZIO XOXO*

Altra delusione per Allyson, ma quanto state odiando Damon?

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro