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Capitolo 13 Allyson


È strano svegliarsi nella stanza di Damon, nel suo letto. Malgrado la biancheria pulita, ho potuto comunque sentire il suo profumo, lo stesso che aveva inebriato il mio respiro quella sera al campo da calcio. Lo sguardo si era come smarrito nel buio della notte e per la prima volta avevo visto un'espressione nuova sul suo volto. I lineamenti erano rilassati, mettendo per un istante da parte quell'aria da cattivo ragazzo. Mi sono chiesta sin da quel momento cosa l'avesse cambiato così nel profondo. Perché un ragazzo non può essere realmente così, lui non può godere delle sofferenze che semina in giro.

Persino poche ore fa sembrava scherzare con me e ho rivisto un accenno di quell'espressione in un sorriso dal quale avevano brillato i suoi occhi, ma è svanito tutto in un istante. Quando sono entrata in lavanderia mi sono trovata di fronte un'altra persona, la gentilezza e i sorrisi erano stati cancellati, rimpiazzati dalla cattiveria che è stata il suo biglietto da visita sin dal primo giorno.

Nessuno vuole dirmi cosa sia successo fra lui e Alec, ma io non riesco a smettere di pensarci. Per cosa può essere così arrabbiato? Cosa lo rende così cattivo anche con chi gli dimostra un po' di gentilezza? Finisco di rimboccare bene le coperte, sollevo appena il materasso e la mano sfiora qualcosa di rigido. Lo sfilo e mi ritrovo fra le mani un raccoglitore di pelle bordeaux, lo guardo un attimo perplessa con la curiosità di scoprire cosa contenga. Scuoto la testa negando a me stessa di mettere il naso in cose che non mi riguardano e allungo la mano per rimetterlo dov'era; resto con il raccoglitore quasi sospeso a mezz'aria mentre lotto contro il desiderio di sapere. Mi siedo alla scrivania, le mani tremano mentre lo apro trattenendo il fiato; al suo interno un solo foglio che sfilo con cura. Sgrano gli occhi per quello che vedo, il cuore perde un battito mentre continuo a fissarlo sbigottita.

«Allyson, sei pronta?», chiede Cody da dietro la porta.

«Sì solo un minuto», rimetto tutto esattamente dov'era, lascio il letto intatto e indosso nuovamente il vestito; non ho altro da mettere e non so nemmeno cosa inventarmi per questo livido. Esco dalla stanza dove Cody mi aspetta poggiato al muro.

«Grazie di tutto», gli dico sorridendo.

«Figurati, ho preferito lasciarti riposare da sola dopo tutto quello che è successo. Il mio compagno di corso aveva un posto libero, quindi non è stato un problema», spiega mentre scendiamo le scale e ci dirigiamo verso la caffetteria. In effetti ho proprio bisogno di un caffè doppio, forse anche triplo. «Sembri di buon umore», osserva. Sollevo le spalle, non sapendo ancora bene come sentirmi, però è vero, sono di buon umore.

«Forse sì», dico, «anche se devo assolutamente parlare con Alec».

Ho ancora il suo sguardo ferito e deluso di fronte agli occhi. Non meritava che glielo dicessi in quel modo e in quel momento.

«Credo che faresti bene a parlargli. Insomma, a volte è un po' stronzo anche lui, ma ci tiene a te», sorrido al ricordo di quando Joselyn me l'aveva presentato. C'era stata subito intesa fra di noi, faceva di tutto per farmi sentire a casa, malgrado io mi sentissi ben lontana da quel luogo. È nato tutto in modo così naturale, da una semplice una passeggiata per farmi conoscere la città; veniva a prendermi quasi ogni giorno, nel quale io gli raccontavo un po' di me e lui era così diverso nel parlarmi della sua vita, che non rispecchia nemmeno lontanamente ciò che ritrovo ora di fronte ai miei occhi.

Poi è arrivato un bacio mentre mi riportava a casa, dopo essere stati un intero pomeriggio al Mystic River in una calda giornata di agosto. Il primo che le mie labbra hanno ricevuto. Gli occhi di Alec scrutavano il mio viso, facendomi sentire bella come credevo di non poter mai essere agli occhi di nessuno.

«Anche io tengo a lui, stiamo insieme da un mese e mezzo. Sono sicura che non voleva. Io non avrei dovuto dirglielo», confesso più a me stessa che a lui.

«Hai fatto bene, invece. Sei stata sincera e coraggiosa».

Forse non sempre, però, è bene conoscere la verità se questa può ferirti e renderti una persona peggiore.

«Non ci credo!», esclama Cody mentre sono persa nei miei pensieri, così sollevo lo sguardo da terra e lo vedo.

Il corpo si blocca, immobile e lo vedo, Damon che intreccia la sua mano a quella di Joselyn mentre in castra il suo sguardo nel mio prima di voltarsi e baciarla di fronte ai miei occhi.

Vorrei sottrarmi a quella vista, ma è come se i piedi avessero messo radici su questo suolo, così resto lì, spettatrice delle sue mani che cingono la vita di lei contro il suo corpo. Si staccano e l'unica cosa che riesce a fare è sorridermi come se niente fosse; ancora una volta è come se si fosse preso gioco di me, anche se forse non ho il diritto di sentirmi in questo modo.

«Andiamo, dai», dice Cody tirandomi a sé. Faccio finta di nulla e lo seguo dentro la caffetteria, dove prendiamo posto sedendoci a uno dei tavoli liberi. Cosa mi aspettavo? Sono stati a letto insieme, in fin dei conti non c'è nulla di strano. Non me ne importa, sì, non m'interessa quale altra ragazza sarà il suo trofeo. Quante bocche toccheranno la sua, quante mani sfioreranno il suo corpo

«Basta!», dico quasi urlando. Mi volto rendendomi conto che quella parola non era solo nella mia testa, è uscita dalla mia bocca senza chiedere il permesso.

«Stai bene?», sento il volto avvampare. Cerco di ricompormi mettendomi seduta di spalle agli altri studenti. Ecco, ora sarò presa di sicuro per pazza, non bastava come venivo soprannominata al liceo. Di bene in meglio, Allyson, davvero complimenti.

«Scusami, non so cosa mia sia preso», provo a dire.

«Possiamo sederci?», domanda Damon, anche se si sta già accomodando facendo sedere Josy sulle sue ginocchia. Con il pollice le accarezza il fianco disegnando piccoli segni circolari e lei sembra aver trovato il suo posto nella vita, per come i suoi occhi sorridono ancor prima della bocca.

«Quindi ora voi state insieme?», Cody ride amaramente scuotendo il capo e io sorseggio indifferente il mio caffè, facendo finta di essere interessata a ciò che succede al di là delle vetrate. Sento il suo sguardo addosso, lo stesso della sera precedente, di quello stupido bacio e su quest'ultimo pensiero stringo talmente la tazzina da farmi quasi male.

«Non esageriamo, amico, sai che non amo dare etichette ai rapporti, anche perché non serve», spiega con tutta tranquillità.

Etichette? Da quale pianeta vieni, Sanders? Vorrei urlargli alzandomi in piedi e magari, perché no, lanciargli il caffè addosso. Respiro profondamente e scaccio tutto ciò che di irrazionale mi passa per la testa.

«Scusate, io vado», dico guardando solo Cody. «Grazie ancora, ci vediamo a lezione di storia», prendo la borsa e mi appresto a uscire, ma la voce di Joselyn mi obbliga a voltarmi. Non riesco a guardarla in faccia e forse è lo stesso anche per lei visto che continua a guardarsi attorno.

«Sono stata una pessima amica...», incomincia a dire, «è solo che per me era stata una serata speciale e sono stata così egoista da non rendermi conto di quello che invece ti era capitato». Sento la sincerità nelle sue parole anche se comunque mi sono sentita ferita dalla sua indifferenza.

«Non importa ormai», mi limito a dire.

«Alec, non perché è mio fratello ma, sì, insomma, lui non è quel tipo di ragazzo, non è violento e....».

«Non è stata solo colpa sua», la interrompo, sto per dirle del bacio, ma i suoi occhi sorridenti me lo impediscono.

È felice, persa in un mondo chiamato "Damon Sanders" che spero non la faccia soffrire, anche se credo di conoscere già la risposta.

«Comunque sai dove posso trovarlo?», sono sempre più decisa a volergli parlare, a voler chiarire ogni cosa. Non devo lasciarmi influenzare da niente e da nessuno.

Da lui.

Damon.

«Credo che sia ancora da Bret», la ringrazio e raggiungo l'aula di arte, per una volta sono puntuale e prendo posto in prima fila. Non ho nulla con me, non potrò prendere appunti e di certo non sto guadagnando la fiducia del professor Liry. Prendo il telefono e avviso mia madre che rientrerò sul tardi per un corso di letteratura al quale ho deciso di iscrivermi; altra bugia da aggiungere alla mia lista che si sta facendo sempre più lunga. Lei risponde quasi subito con il solito "va bene".

Dalla nostra litigata non abbiamo più avuto modo di parlare, ma ora ho la testa troppo affollata da tutte le discussioni che hanno preso parte alla mia vita in questi pochi giorni per occuparmi anche di lei. L'aula incomincia a riempirsi e quando i nostri sguardi si scontrano, abbasso subito il mio.

«Quindi vuoi parlare con Alec?», si piazza con le mani protese sul banco sporgendosi verso di me.

«Senti, Damon, non ho tempo per i tuoi giochetti questa mattina».

«Ti ha picchiata e tu torni da lui?», aggrotta la fronte, la voce carica di rabbia.

«Si può sapere cosa ti importa della mia vita? Delle mie scelte? Ho sbagliato quanto lui perché aveva ragione, io dovevo...», mi mordo la lingua ma è troppo tardi.

«Dovevi cosa?», chiede con aria di sfida. Il verde dei suoi occhi è così sopraffatto da non so bene cosa, da riuscire a nascondere ogni tipo di emozione passi per la sua testa.

«Dovevo starti lontana!», sbraito sollevandomi in piedi di fronte a lui. «Ed è quello che ho intenzione di fare a partire da ora», mi faccio largo fra gli studenti che hanno già preso posto per la lezione ed esco dall'aula.

Incomincio a correre senza nemmeno sapere dove andare. Il respiro si spezza a ogni mio passo e il cuore vuole esplodermi fuori dal petto. Vorrei sapere cosa vuole da me. Continua a metter bocca su ogni cosa che non lo riguarda. Non lo sopporto e inizio a rimpiangere sempre di più Boston. Mi fermo per prendere fiato poggiando la mano alla corteccia di un albero nel giardino del campus. Sfilo il telefono dalla borsa e chiamo mio padre, che risponde al secondo squillo.

«Ciao, papà», porto la mano al petto per il sollievo nell'udire la sua voce, che riesce sempre a farmi sentire a casa, lì con lui, nei nostri pomeriggi a discutere di politica o della partita dei Red Sox per i quali tifiamo entrambi. Mi domanda come mai non sono a lezione e mento dicendogli che avevo un'ora buca. Vuole che gli racconti delle mie nuove amicizie. Sento l'entusiasmo in quelle parole, sapendo che lui, per primo, sa che al liceo non ne ho mai avute di sincere con la consapevolezza che quelle stesse persone, insieme al dolore dell'abbandono di mia madre, mi avevano letteralmente spinta nel baratro.

«Lo sai, sto bene con questo gruppo di amici, sono tutti molto gentili con me e mi trattano bene. Avevi ragione tu.», lo rassicuro mordendomi il labbro per trattenere le lacrime. «Mi trovo davvero bene qui a Medford», mento di nuovo e non solo a lui, ma anche a me stessa, visto che mi sento sola come credo di non esserlo mai stata.

«Verrò presto a trovarti, ora devo andare», la voce gli si incrina e chiudo ancora prima di ascoltare il suo saluto. Col telefono ancora stretto fra le mani, come se fosse la cosa più preziosa in questo momento, mi giro trovandomelo di fronte.

Le braccia tese lungo il corpo, i pugni serrati e lo sguardo perso sul prato; solo quando sente i miei occhi su di lui lo vedo sollevare la testa poco per volta, come se avesse quasi paura di incontrare il mio volto. Ci ritroviamo occhi negli occhi, a dividerci solo pochi passi, con la compagnia dei nostri silenzi a parlare per noi.



*SPAZIO XOXO*

Innanzitutto scusatemi per la mia assenza, ma stanno succedendo un sacco di cose nella mia vita e non vedo l'ora di potervi dire qualcosa in più.

Abbiamo scoperto qualcosa in più su Allyson.

Che cosa sarà successo durante la  sua adolescenza?

Cosa ha trovato in quel raccoglitore?

Damon ha scontato le sue bugie verso il padre, cosa farà adesso?

Commenti e ⭐⭐⭐ vi aspetto al prossimo capitolo. 



Love All You My Freedom ❤️

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