Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 5 Damon

Viviamo la vita a metà lasciando troppo

spazio alla paura di gridare

che a questo mondo ci siamo anche noi

Non riesco a crederci, quel lurido figlio di puttana è riuscito ad arrivare a lei. Ecco perché quel bastardo di Alec aveva lasciato la presa su Allyson, ora è tutto più chiaro, è lui che manovra i fili e vuole portarmela via.

No. È un altro incubo che prende vita e non posso permetterlo.

«Damon... calmati. Volevo parlartene, ma...».

Continuo a guardare verso di lei anche se la mente viaggia troppo lontano: Sebastian, Cindy, Indianapolis... sento la testa esplodermi. Le mani tremano e il cellulare cade a terra.

«Damon!».

Crollo in ginocchio, sollevo una mano verso di lei perché non si avvicini.

«Al... Al... per favore... vai via», biascico appena, mentre il respiro lotta per riempire i polmoni. La sento che sta tornando a tormentarmi, striscia come un serpente silenzioso nel corpo.

«Cosa... cosa posso fare?», chiede con voce tremante; guardo il suo volto impaurito prima che l'immagine di lei inizi a sfocarsi.

«Le med... medicine», riesco a dire piegandomi su me stesso, i denti che battano senza sosta e brividi coprono il corpo con la coperta del dolore; mi contorco mentre lotto per resistere allo squarcio che continua a riaprirsi ogni volta, dilaniandomi l'anima.

«Tieni», Al mi solleva la testa, apro appena la bocca e lascio scivolare in gola altro veleno, per far sì che annienti quello che io stesso mi sono inflitto.

«N-non... non voglio che tu mi veda in questo stato», dico stringendomi con le braccia il petto, cercando di fermare i tremori che come scosse elettriche mi attraversano, lasciando che il suolo sul quale sono sdraiato svanisca. Cadere nel vuoto... è questo che sento, mentre il freddo mi avvolge e la testa martella pensieri, incubi, visioni distorte che vorresti cancellare per sempre. Riesco a osservare solo i suoi piedi vicino al mio corpo, qualcosa di morbido cade su di me, poi vedo i suoi occhi azzurri di fronte ai miei.

«Sono qui, guardami, continua a guardarmi. Ora passa, Damon», è stesa al mio fianco, il suo corpo lo sento contro il mio e riesco a trovare un po' di sollievo.

«Sto male», confesso; la sua mano accarezza il mio volto.

«Lo so, Dam, lo so, ma passerà», lo dice come se fosse una promessa. Mi concentro sul suo tocco contro la pelle, sui suoi occhi che aggrappati ai miei non mi abbandonano un solo istante, il suo respiro caldo solletica il viso. Stringo i pugni e mordo il labbro, mentre una lama mi lacera dentro affondando sempre di più, come se non esistesse una fine al dolore. «Ora passa», continua lei. «Guardami, Dam, guarda solo me», mi implora e io cerco di assecondare la sua richiesta. Mi domando dove saremo ora se avessi lasciato da parte tutto il mio rancore, se mi fossi preso le mie responsabilità e se la voglia di fargliela pagare, a tutti quelli che mi hanno tradito, non fosse stata più grande. Ho sporcato anche la sua anima, così pura e così vera, per ritrovarmi steso a terra senza più la forza di rialzarmi.

«Come ti senti, ora?», allungo la mano sul suo fianco e mi poggio contro il suo petto, senza proferire parola. Non mi sento, è questo il problema. Non so più chi sono. Ogni certezza, ogni pensiero positivo è sostituito dalla paura, dagli stati d'ansia e da tutto ciò che prima non mi avrebbe minimamente sfiorato. Vorrei gridare aiuto verso un Dio che non ho mai pregato.

Sento le sue mani intrecciarsi nei miei capelli, i battiti del suo cuore rimbombare nelle orecchie, ma gli occhi sono troppo pesanti e mi abbandono a me stesso, a un sonno che mi strappi via dalla realtà.

L'odore del caffè invade le mie narici, apro le palpebre a fatica, la luce filtra dalla finestra; mi sollevo sui gomiti e la vedo trafficare in cucina. Mi prendo un paio di minuti per osservarla, si sposta avanti e indietro aprendo i pensili, tirando fuori le tazze per la colazione; poi, si sofferma come se stesse pensando a qualcosa. È così bella. I capelli, nelle sue onde imperfette, le ricadono su una sola spalla legati da un elastico; indossa ancora i vestiti della sera precedente.

«Ehi, buongiorno», dice incrociando il mio sguardo ammaliato; sì, questa ragazza mi ha fottuto il cervello. Si avvicina in punta di piedi con in mano una tazza di caffè. «Non ti sei mosso per tutta la notte», dice porgendomela, mi poggio con la schiena contro il divano.

«Mi tolgono tutte le forze», confesso con vergogna. «Non hai avuto paura?», le chiedo.

Sorride, portandosi alla bocca la tazza che le copre metà del volto.

«Sapevo quando avrei dovuto chiamare qualcuno. Ho chiesto a Jamie».

«Cazzo, è sempre in mezzo», dico in modo ironico.

«Sono simpatica, io», rimarca puntandomi un dito contro.

«E io come sono?», poggio la tazza per terra, prendo la sua dalle mani che poi incastro nelle mie e la tiro contro di me. «Come sono io, Al?», ripeto con voce roca che cerca di arrampicarsi su di lei.

«Sei...», si morde il labbro inferiore.

Cazzo, quanto do di matto quando lo fa.

«Lascia fare a me», mormoro contro la sua pelle, sfiorandole il naso con il mio. Dobbiamo parlare di tante, troppe cose, ma non ora. Se lei è qui, lui non può averglielo detto e farò in modo che non lo faccia. Lei dovrà saperlo solo da me, quando sarà il momento. Afferro con i denti il suo labbro, che bagno con la lingua strappandole un gemito. Il suono della sua voce intrisa dal piacere, che si propaga nella mia bocca, è la mia cura perfetta. Ho bisogno di te come credo di non aver mai avuto bisogno di nessuno. Non credevo che potesse esistere un sentimento così forte, capace di stordirti, di toglierti le forze, di renderti debole e vulnerabile, peggio di qualsiasi droga.

Voglio dipendere da questa ragazza, dalla sua risata, dalle sue labbra che richiamano le mie, dalle sue mani che vagano sul mio corpo. Non posso perderla, lo prometto quasi a me stesso. Le sue labbra si schiudono, regalandomi il sapore della sua bocca che si mescola al mio; il fiato mi si mozza in gola e il cuore incomincia una corsa che non riesce a fermare. Scivolo con le mani lungo i suoi fianchi, fino a sentire il calore della sua pelle sotto il mio tocco. Sale a cavalcioni sopra di me, come il gesto più naturale che possa esistere.

Ci baciamo lentamente, per poi lasciare che la passione prenda il sopravvento, la sento muoversi appena, offrendomi un biglietto di sola andata verso un paradiso che solo lei mi ha mostrato.

«Al...», sussurro in una supplica. Mugola qualcosa che non capisco, mentre la sua bocca lascia piccoli baci umidi lungo il collo. «Al...», ripeto prendendola per i polsi.

«Ho fatto...», le sue guance si dipingono di imbarazzo. Scuoto il capo.

«No, non hai fatto niente, ma non voglio che sia questo il nostro momento. Non ora e non con me in queste condizioni», guardo i suoi occhi che sembrano non capirmi.

«È per via di Sebastian? Non ne abbiamo ancora parlato», dice allontanandosi dal mio corpo per mettersi seduta di fronte, con le gambe incrociate. Serro la mascella in un gesto automatico. Odio sentire quel nome uscire dalla sua bocca.

«Non è per quel coglione, ma solo per causa mia; ogni cosa è colpa mia, anche questo. Cazzo, Al...», mi passo la mano tra i capelli, mentre sento la tensione accumularsi. «Guardami, ho avuto una crisi d'astinenza di fronte ai tuoi occhi, non ho il controllo del mio corpo, capisci?». Si stringe nelle spalle e il suo sguardo scivola lungo il pavimento.

Le sollevo il mento con due dita per farle incontrare i miei occhi, voglio che veda lei stessa quanto la desidero. Possibile che ancora non lo hai capito? Che non vedi come i miei occhi ti guardano? Che non capisci che sei capace di strapparmi dal mondo intero con un sorriso? «Quando succederà... quando io mi prenderò ogni centimetro di te...», la vedo sussultare sotto le mie parole, «voglio essere concentrato solo su di noi. Voglio perdermi in te senza aver paura di perdere il controllo di me stesso», le spiego. Una lacrima solitaria scivola lenta rigandole il volto. La asciugo con il pollice. «Ti ho promesso che tornerò», dico.

«Ti ho promesso che ti aspetterò», mormora lei con la nostalgia che accompagna la sua voce. Passiamo il resto della mattinata abbracciati, mi racconta della scuola e ascolto le sue giornate, immaginandole nella mia testa, per poterle portare con me quando tornerò in quella stanza troppo bianca e troppo vuota.

«Vuoi parlarne?», mi chiede e, conoscendola, sapevo che questa domanda prima o poi sarebbe arrivata.

«Come lo hai conosciuto?», domando con il sangue che mi ribolle nelle vene.

«La prima volta è stato nella serra, al campus, poi...».

La sposto da sopra il mio petto.

«La prima volta? Da quanto tempo lo conosci?», inarco il sopracciglio con la fronte aggrottata.

«Da... da un paio di mesi, ma...».

Scatto in piedi e incomincio a camminare avanti e indietro.

«Un paio di mesi?», tuono passandomi le mani fra i capelli mentre scuoto la testa incredulo.

«Non è come pensi...», dice raggiungendomi, la sua mano cerca di sfiorarmi il braccio ma mi scanso e la fulmino con lo sguardo.

«Non è come penso?», rido amaramente. «Hai conosciuto un altro mentre stavi con me. Perché avrò anche il cervello a puttane, ma tu, un paio di mesi fa, stavi con me», ringhio puntandole un dito contro. E io non ti posso pensare con un altro che non sia io. Non lo posso immaginare qualcuno che possa solo respirarti vicino. Non lo posso immaginare perché mi manda fuori di testa, tu mi mandi fuori di testa.

«Non credevo fosse importante, l'ho incontrato a New York quando mi hai accompagnato da tua zia».

Porca troia. L'ha avvicinata poco alla volta, come ha sempre fatto con chiunque volesse divertirsi. Lo ammazzo, giuro che questa volta lo ammazzo. Erano tutti d'accordo fin dall'inizio. Tutto programmato per il mio ritorno in città e qualcosa, anche se ancora confuso, inizia a prendere vita nel puzzle incasinato della mia esistenza. Serro le mani in due pugni lungo il corpo.

«Damon, parlami, dimmi qualcosa».

Sferro un calcio contro una sedia, che cade al suolo in un tonfo sordo che riecheggia per l'intera stanza.

«Merda!», sbraito.

«Non farlo di nuovo», mi supplica.

«Cosa, Al? Spaccare ogni cosa che tocco?», le scocco un'occhiata, mentre l'adrenalina che sembrava avermi abbandonato inizia a scorrere di nuovo, a pulsare dentro di me risvegliandomi. «Cosa ti ha detto?», tuono.

«Non ho voluto sapere niente. Lui ha detto di conoscerti...».

«Bastardo», abbaio.

«Ha... ha detto che chi ti incontra non dimentica facilmente il tuo nome».

Gli occhi mi si iniettano di sangue, bruciano come benzina sul fuoco.

«Ha detto così?», aggrotto la fronte. «E tu?», chiedo facendo sbattere la lingua contro il palato per la rabbia.

«All'inizio volevo sapere come ti conoscesse, ma poi gli ho detto che se c'era qualcosa da dirmi, me l'avresti detta tu», ammette; non mi ero accorto che stesse piangendo finché non la vedo asciugarsi il volto con il bordo della manica.

«Lui è mio cugino, ecco chi è Sebastian. È il figlio di mia zia Ella» rido. «Perché cazzo ha il tuo numero?».

Il sangue arriva al cervello offuscando la ragione.

«Tuo cugino?», domanda confusa.

«Non cambiare argomento con me, Al, per quale dannato motivo ha il tuo numero?», sbraito e sento il controllo sfuggirmi dalle mani.

«Quando abbiamo preso un caffè al campus...».

Mi blocco, gli occhi si riducono a due fessure.

«Lui è qui?».

Lei muove la testa in segno di assenso.

«Mentre io sono chiuso in quel cesso di clinica, tu sei andata a prenderti un caffè con lui?», ringhio furioso additandola.

«Non puoi incolparmi, Damon, io non lo sapevo; lui sembrava...».

Avanzo verso di lei che retrocede fino a sbattere la schiena contro la parete e il mio corpo torreggiata su di lei, ed è come rivivere i flashback del nostro passato che sembra perseguitarci.

«Cosa sembrava, Al? Cosa cazzo ti sembrava?», digrigno i denti premendo il mio corpo contro il suo, con possesso, rabbia e delusione. Non ne ho il diritto, però mi sento tradito. Tradito dalle parole non dette, dall'immagine di lei seduta con lui, dalla confidenza che può essere nata fra loro.

«Gentile, solo gentile... un amico».

Ghigno posando la fronte contro la sua.

«Hai scelto l'amico sbagliato», con l'indice traccio una linea immaginaria lungo il profilo del suo volto. «Io ti ho ferita, ti ho tradita», confesso in un sussurro dove la voce si incrina, «perché ero marcio e il mio mondo era contorto, sotto sopra. Ma tu, tu, Al, non sei così...», chiudo gli occhi. «Sai cosa vuol dire per me saperti con un altro che non sia io?», sbatto il pugno sulla parete di fianco al suo volto facendola sussultare.

«È stato solo un caffè, Dam... io, credimi», le sue mani incorniciano il mio volto.

«Ti porterà via da me», biascico facendo un passo indietro.

«Cosa stai dicendo? Io amo solo te».

Scuoto la testa ridendo di me stesso, per aver sottovalutato chi mi ha fatto conoscere questo mondo di merda. La prima canna, la prima pasticca, tutto ciò che, come veleno, ha iniziato a scorrere nel mio sangue è stato servito dalle sue mani.

«Io non posso proteggerti, capisci? Sono rinchiuso come un topo in gabbia e lui approfitterà di tutto questo... Oh, sì, lui lo farà», ripeto come una cantilena.

«Cosa è successo tra di voi? Dimmelo, Damon!», la sua voce che grida, spalanca la porta che ho cercato di tenere chiusa fino a questo momento.

*****

«Sebastian, che ci fai qui?», gli chiedo sorpreso trovandolo fuori dalla mia scuola a Indianapolis.

«Non posso venire a trovare mio cugino?», dice dandomi una pacca sulla spalla. «Sai, secondo me dovresti alleviare tutta questa tensione che hai», aggiunge squadrandomi da capo a piedi.

«Ho chiuso con quella merda, lo sai benissimo. Hai visto cos'è successo ad Arleen», sibilo a denti stretti.

«Non potevi prevedere che Alec ti avrebbe tradito. Qui sei solo, nessun partner».

Scrollo le spalle al ricordo di quella notte che precipita nella mia mente come un macigno.

«Ho detto che non mi interessa», tuono seccato.

Solleva le mani in segno di resa.

«È così che mi ringrazi?», inarco un sopracciglio.

«Mi stai per caso minacciando, Sebastian?», gli chiedo in tono di sfida. È stato lui a presentarmi a Jack, lo ha incontrato in una delle tante lotte clandestine dove gli piace scommettere pesante. Mi ha mostrato un nuovo mondo, dove la rabbia repressa per ciò che mi sta divorando dentro per via di mio padre sarebbe finalmente potuta uscire fuori. È stato facile iniziare.

«So quanto vali, cugino. Ti chiedo solo di venire con me in un posto», mi guardo attorno e, alla fine, decido di seguirlo. Raggiungiamo un cantiere abbandonato, lontano da occhi indiscreti, dove ha sollevato la saracinesca di quello che sembrava un semplice garage. L'odore di muffa invade subito le mie narici, poi, una volta abituatomi al cambio di luce, mi accorgo di tutta la gente distribuita a cerchio. Si sta svolgendo un incontro. Urla e applausi acclamano i ragazzi che, uno contro l'altro, cercano di restare in piedi per più tempo possibile.

«È lui?», dice una voce femminile rivolta a Sebastian, che annuisce semplicemente alla sua domanda. Mi volto e incontro il nero dei suoi occhi, il più profondo che abbia mai visto.

*****

«Damon, mi ascolti?», trasalisco dai ricordi, non avendo più quegli occhi neri come la pece che mi puntano, ma quelli azzurri di Allyson.

«Al... Sebastian è pericoloso. Tu... tu non puoi capire e io... io, ora...».

Scuote la testa in senso di diniego.

«Tu non puoi dirmelo, vero?», chiede.

«Non ora. Non ce la faccio. È troppo per me... non posso...».

Cerco di scacciare dalla testa i suoi capelli rossi come il fuoco, con il quale mi sono bruciato. Pensavo di avere più tempo per potergliene parlare, credendo che fosse lontano da lei. Quanto sono stato stupido. Ho ignorato il nostro incontro a New York, quando mi ha detto che era stato lui a rivelare ad Alec del mio ritorno; ha persino detto che doveva ancora riscattare il suo premio. Non avevo capito che quella frecciatina era rivolta a me, che il suo premio sarebbe stata la ragazza qui di fronte ai miei occhi. Una ragazza che forse non capirebbe mai tutti i casini che ho combinato e le persone che ho trascinato a fondo, senza pensare mai alle conseguenze. Senza pensare che prima o poi avrei pagato per ogni mio singolo errore.

«Perché non puoi dirmi cosa è successo?», mi supplica.

Scuoto la testa.

«Perché fa troppo male riportare in superficie ciò che hai seppellito in un angolo di te stesso!», grido e nella testa riecheggia la sua voce che mi graffia. "Damon, dai... solo un altro giro", mi sembra di impazzire, quella frase è marchiata a fuoco sulla mia pelle, una promessa mancata attorcigliata ad un'ancora. Pensavo bastasse solo quello per non dimenticare, per pentirmene, invece, ho lasciato sbiadire l'immagine di lei, che è tornata a occupare i miei incubi.

«Mi... Mi stai spaventando, Damon...», mormora con lo sguardo stanco. Non la biasimo.

«Forse dovresti andartene e basta», mi lascio cadere di peso sul divanosprofondando insieme ai miei pensieri che mi soffocano.

SPAZIO XOXO:

Cosa sarà successo?

Allontanerà un'altra volta Allyson?

Voi cosa ne pensate?

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro