Capitolo 35 Allyson
I cambiamenti, quelli da lasciarti un sorriso sul volto, i brividi a coprirti il corpo, e gli occhi colmi di lacrime, vanno respirati fino in fondo.
Stringo talmente forte nel palmo della mano la chiave, che ho tirato fuori da quel piccolo involucro di carta, da farmi male. Il mio cuore ha mancato un battito mentre la sua bocca si è mossa, pronunciando ciò che avrei sempre voluto sentire da quando i nostri universi si sono fusi dando vita al caos.
«Anche se fosse? Qual è il problema, Al, non abbiamo perso abbastanza tempo?», domanda assottigliando lo sguardo verso di me, si alza in piedi stagliandosi di fronte al panorama che ci circonda.
«Io... io, Damon, non so...», spalanca le braccia al cielo scrollando di poco le spalle.
«Cosa, Al? Io non riesco a capirti, sai? Credevo che ne saresti stata felice», dice con la voce intrisa di tutto ciò che inizia a scorrergli in testa, dove le sue mani si perdono nella chioma nera dei suoi capelli.
«Certo che sono felice», rispondo scattando in piedi per raggiungerlo. Cerco il suo sguardo, che sembra vagare in cerca di qualcosa che non riesce a trovare. «Mi sembra solo troppo presto...», cerco di dire provando a prendere il suo volto tra le mani. La sua pelle calda, a contatto con la mia, riesce a scaldarmi malgrado l'aria pungente continui a picchiettare sul mio viso.
«Dimmi perché, allora?», ordina, incastrando le sue giade contro di me, il fiato si mozza in gola, il cuore martella nel petto, mi perdo in lui senza voler trovare mai più la strada del ritorno. Sei questo, Damon Sanders, per me, un viaggio di sola andata verso un amore che sembra proibito da tutto ciò che ci avvolge.
«Sta succedendo tutto troppo velocemente...», mi volto a guardare verso i palazzi vicini perché non riesco più a sostenere il suo sguardo senza cedere. «Insomma, la storia di Sebastian, Joselyn... mia madre...», sospiro lasciando di proposito la frase a mezz'aria, con la speranza che la brezza se la possa portare via, insieme al vuoto che neppure Damon potrà mai colmare. Volevo solo avere una madre, essere cresciuta con la complicità di un legame unico e indissolubile; invece, lei non mi ha mai voluta; ora che penso alle sue carezze le immagino finte, dettate solo dal momento, solo perché doveva e non perché voleva. Mi stringo nelle spalle, reprimo ogni ricordo di lei che riesce solo a ferirmi, sento il bruciore di una lama sottile che incide i suoi segni nella pelle.
«Devi dimenticarti di lei!», tuona Dam alle mie spalle.
Mi volto trattenendo quelle lacrime che vorrei fossero di cristallo per potersi infrangere una volta per tutte al suolo, e non doverle più sentire solcare il mio volto.
«Lo so...», mi limito a dire con un fil di voce, le sue mani si posano sui miei fianchi.
«Piccola, ho bisogno di te», mi supplica poggiando la sua fronte contro la mia. «Dimmi solo che ci penserai», si appresta ad aggiungere. Annuisco cingendogli le braccia al collo e cercando conforto nel calore del suo abbraccio, il ritmo del suo cuore che batte per me mi culla, strappandomi lontano da tutto ciò che mi circonda. «Voglio stare con te, Al, non ho mai desiderato così tanto qualcosa in vita mia», sussurra al mio orecchio. La sua voce mi entra fin dentro le ossa, i brividi si propagano in tutto il corpo e mi sento fluttuare, sospesa sul peso delle sue parole. Solo lui è capace di restituirmi il respiro di cui gli altri cercano di privarmi.
«Sono stanca... è stata una giornata lunga, ti spiace se chiediamo a Kam di accompagnarci?», domando staccandomi dal suo abbraccio senza aggiungere altro.
Guardo la mascella serrarsi e trattenere ciò che vorrebbe chiedermi; per questo lo ringrazio, perché mi obbligherebbe a mentirgli. Annuisce mordendosi il labbro, si volta e lo seguo fino alla porta, poi giù per le scale. I suoi passi calpestano ogni gradino con troppa foga, vedo i suoi muscoli tendersi e contrarsi a ogni passo. Il telefono vibra nella tasca dei miei jeans, lo sfilo senza che se ne accorga mentre percorriamo l'ultima rampa e leggo: "Ho riconosciuto la sua voce. Era Damon!" dice il messaggio, lo cancello senza rispondere e lo rimetto in tasca raggiungendolo prima che si possa voltare verso di me.
«Dam...», si gira una volta che ci troviamo di fronte alla porta dell'appartamento del mio migliore amico. «Ci penserò», dico, anche se mi sento un'altra volta messa all'angolo. Apre la porta senza proferire parola, lasciandomi il passo per entrare. «Scusate, ragazzi, ma abbiamo bisogno di un passaggio», Kam si alza dal divano sorridendomi.
«Nessun problema, principessa», dice, il respiro di Dam che accelera mi martella nelle orecchie. Lo conosco, si aspettava qualcosa di più da me, ma la confusione attanaglia la mia mente in questo momento, senza lasciarmi un piccolo spazio dove potermi fermare, stoppare il tempo e riflettere su ogni sfumatura di colore con cui questa giornata ha deciso di dipingere la mia vita. Kam afferra le chiavi della sua auto e scendiamo verso il parcheggio del suo palazzo. Il silenzio di Dam è assordante, sembra urlarmi addosso; mi sono trovata spesso ad ascoltare le sue parole non dette, a guardare quegli occhi che parlavano per lui, quando non trovava il coraggio o la forza di dire ciò che gli passava per la testa. Ci sediamo, io dietro di lui che siede al fianco di Kam, il quale mi scocca un'occhiata dallo specchietto retrovisore.
«Accompagno prima te, Sanders, dato che è più vicino?», chiede facendo inversione per immettersi sulla strada.
«Come vuoi», sibila Damon con lo sguardo fisso di fronte a lui; sporgendomi, riesco a intravedere la sua mano serrata in un pugno. Allungo la mia verso la sua spalla, sulla quale la poso, lo sento irrigidirsi al mio tocco. La sollevo lentamente, lasciandogli i suoi spazi. Ringrazio mentalmente il mio amico per aver messo un po' di musica a spezzare questo silenzio che sembra inghiottirmi in un mare di parole. Kam svolta verso la Kappa Sigma, dove sembra esserci una festa per la miriade di auto posteggiate lungo l'intera via.
«Fantastico!», commenta Damon poco entusiasta.
L'auto si ferma, entrambi scendiamo. I suoi occhi mi scrutano da capo a piedi ricordandomi come il suo sguardo mi bruciasse ogni qualvolta lo facesse.
«Ci vediamo domani?», chiedo incrociando le braccia al petto con un po' di imbarazzo e timore.
«Già...», esorta sollevando appena il mento. «A domani, Al».
Si sporge e la sua bocca, fredda, si posa con distacco sulla mia.
«Non fare così», lo supplico.
Abbozza un ghigno, quello sguardo e il tono della sua voce mi raggelano il sangue nelle vene.
«Io non sto facendo niente, Allyson...», inarca un sopracciglio aspettando una qualche risposta che non arriva. «Non questa volta», aggiunge mostrandomi le sue spalle ricurve che si allontanano da me, con le mani cacciate in tasca, si mischia ai ragazzi radunati tra il giardino e il portico della confraternita fino a scomparire dal mio campo visivo.
Entro in macchina.
«Che cazzo sta succedendo?», ordina Kam, guardo di sottecchi il mio amico che riparte portandomi lontano da quella casa.
«Maledizione!», grido pestando le mani contro il cruscotto in pelle della macchina. «Maledizione!», ripeto strattonando appena i capelli.
Kam si accosta al ciglio della strada poco illuminata. Si volta verso di me che non riesco a guardarlo negli occhi.
«Non era Jenna al telefono», spiego riferendomi al momento in cui gli ho chiesto se potessi rispondere alla mia amica dalla sua stanza, poco prima che arrivasse Damon.
«Chi era, allora, e cosa cazzo ti ha detto per ridurti in questo stato?».
Guardo le mani posate sul mio grembo.
«Era... era Joselyn», biascico.
«Joselyn?», ripete lui stupefatto. Annuisco frettolosamente.
«Cosa vuole da te?», sorrido amaramente e solo in quel momento riesco a guardarlo negli occhi.
«Vuole il padre di sua figlia», sibilo, con una morsa che schiaccia il mio cuore contro la gabbia toracica mozzandomi il fiato. Non posso negarlo a me stessa, quella bambina che cresce dentro di lei è di Damon. Cerco di scacciare via l'idea, di rassicurarmi che tutto andrà bene, che riusciremo ad affrontare anche questo unico scoglio rimasto, ma se non ce la dovessimo fare?
«È solo una troia», tuona Kam furente di rabbia e io scuoto il capo.
«Lo pensavo anche io...», quasi rido al ricordo di tutte le volte che mentalmente l'ho additata mentre si strusciava compiaciuta su Damon, «ma in realtà lei è solo innamorata di lui. Lo è sempre stata e.... e io l'ho sempre saputo», ammetto a me stessa. Anche lei si è lasciata risucchiare da Damon pur di averlo.
«Lui però ama te. Perché non gliel'hai detto? Cosa è successo sul tetto?», le domande escono dalla sua bocca come un fiume in piena che spezza i suoi argini travolgendomi.
«Se Damon non fosse un buon padre per causa mia?», chiedo con sincerità puntando lo sguardo sul mio migliore amico. «Sono dovuta crescere senza una madre e guardami, Kam...», dico con la voce che si incrina mentre indico me stessa. «È stata assente per cinque anni.
La sua assenza ha plasmato la mia vita rendendomi debole. Mi sono fatta del male per compensare quel dolore che non voleva lasciare la presa. Ho cercato di scappare inutilmente da me stessa, sono caduta e mi sono rialzata, ma ogni volta era sempre peggio», confesso, deglutendo il groppo che quei ricordi così vividi hanno creato nella mia gola. «Non voglio essere io la causa della sua sofferenza», spiego con il timore di trovarmi, un giorno, di fronte una ragazza dagli occhi verdi e lo sguardo vuoto, come quello che aveva suo padre.
«Non puoi pensare a ciò che non è ancora successo. Non puoi porre rimedio a qualcosa che non si è ancora spezzato, Ally. Stai facendo una grande cazzata! Cosa credi, di poterti fare da parte? Damon non te lo permetterà mai. Io non te lo permetterò. Questa è la tua vita, la vostra vita, e Joselyn sta solo cercando di toccare i tuoi punti deboli; a quanto pare ci sta riuscendo alla grande», mi volto verso il finestrino perdendomi nel buio del piccolo parco che si estende di fianco a noi. «Sarà Damon a pensare a sua figlia. Tu pensa a lui e a nessun altro».
Osservo il bagliore della luna accarezzare la punta degli alberi che si stagliano sul prato producendo ombre sull'erba.
«Mi ha chiesto di andare ad abitare insieme a lui... non sono stata in grado di rispondergli», confesso con un fil di voce.
Kam pesta il pugno contro il volante facendomi sobbalzare.
«Dannata Joselyn!», sbraita. «Devi parlarle chiaro. Deve sapere che non può usare la scusa della bambina per separarvi e devi farle capire che le sue parole non ti toccano minimamente», sentenzia prendendo il mio mento per obbligarmi a guardarlo dritto negli occhi. «Sa come farti crollare, ti conosce, si è finta tua amica, ma non devi permetterglielo, Allyson, non un'altra volta», aggiunge quasi in un sussurro.
«Lei credeva che ci fossimo lasciati, mi ha chiamato per assicurarsi che questa volta sarei stata lontana da Dam e.... e sono rimasta lì, inerme al telefono, a sentirla parlare del futuro che merita di vivere la sua bambina. Mi sono sentita...», Kam preme il suo dito indice contro la mia bocca.
«Non dire altro. Non lascerò che quella puttana giochi con le tue debolezze. Ora ti riporto da Dam, lui deve sapere», dice avviando il motore dell'auto.
«No. Gli parlerò domani, ora è troppo deluso e lo deluderei ancora di più. È meglio che gli lasci un po' di spazio».
Kam mi scocca un'ultima occhiata prima di acconsentire e partire per portarmi a casa. Scendo dalla sua auto dopo averlo salutato e ringraziato. Corro nel vialetto come se quasi stessi fuggendo da me stessa. Mi chiudo il portone alle spalle, la casa è immersa nel buio, tranne uno spiraglio che fuoriesce dallo studio di mio padre. Entro quasi in punta di piedi, il suo sguardo si distoglie dal portatile per posarsi su di me.
«Sei un padre straordinario...», le mani tremano mentre cerco di sciogliere ogni dubbio che si è insinuato nella mia testa. «Non so cosa avrei fatto senza di te...», gli occhi scivolano sul parquet che riveste il pavimento della stanza, sento il suono della poltrona stridere. Resto immobile come una statua che teme che le sue crepe la riducano in polvere. «Grazie per avermi voluta con tutte le tue forze, anche se per causa mia hai perso lei», mormoro a fatica riferendomi a mia madre. So che il suo cuore non ha smesso un solo istante di amarla con tutto sé stesso.
«È lei che ha voluto perdere noi, Ally», dice stringendomi tra le sue braccia, alle quali mi aggrappo come se all'improvviso fossi tornata bambina. I singhiozzi si disperdono tra noi colmando ogni angolo della stanza, rimbalzano nelle pareti liberandomi dal dolore. «Non avrei mai voluto dirtelo», ammette posando un bacio sui miei capelli.
«Dovevo sapere», sibilo, consapevole che solo conoscendo la verità potrò veramente sentirmi libera dal peso di tanti perché che non ricevevano mai una risposta. Ci guardiamo occhi negli occhi, lo stesso mare che si infrange, l'uno contro l'altro. «Damon diventerà padre e io ho così tanta paura» dico con quanto fiato ancora posseggo in gola.
«Sarà suo figlio, Allyson. Tu farai parte della sua vita solo se lo vorrai e quel bambino non potrebbe essere più fortunato nell'averti», le sue parole mi avvolgono, mostrandomi una prospettiva che non avevo minimamente immaginato. Sorrido a mio padre che ricambia porgendomi una carezza lungo il volto. «Non lasciarti sfuggire l'occasione di essere felice e, anche se non avrei mai creduto di dirtelo...», trattiene a stento una risata, «Damon Sanders è la tua sola felicità, Allyson».
Già, nemmeno io avrei lontanamente pensato che proprio mio padre avrebbe potuto pensare una cosa simile di Damon.
«Grazie, papà», dico con un po' più di coraggio, poi percorro le scale fino alla mia camera e, senza pensarci due volte, estraggo il cellulare dalla tasca sedendomi sul bordo del letto. Le mani si muovono frenetiche sul display sino a premere invio al messaggio che dice: "Sì, Joselyn, era Damon. Noi stiamo insieme e tu e io dobbiamo parlare una volta per tutte!". Lascio il timore in un angolo remoto di me, soffoco le parole che mi ha sputato contro e cancello i pensieri che hanno cercato di infettare la mia mente, rendendomi vulnerabile. Sprofondo sul materasso con lo sguardo fisso al soffitto; nel bianco di ciò che occupa in questo momento il mio sguardo, so che posso dipingerlo dei colori che voglio, potrò scegliere le sfumature a cui permetterò solo io di sfiorare la mia vita perché nessuno si dovrà più intromettere. Ripeto tutto mentalmente a me stessa, in una promessa che non potrò mai infrangere neppure se volessi. Perché vivo per i tuoi occhi verdi, che occupano ogni mio pensiero da quando i miei si spalancano ogni giorno di fronte a una nuova alba. Vivo in te e per te... sempre, Dam.
Damon
«Ehi, amico», esclama Arnold stagliandosi di fronte a me, mentre cerco di farmi spazio tra la gente accalcata che trovo all'ingresso.
«Ehi», rispondo con un cenno del mento. Mi mette tra le mani un bicchiere di birra. «Io no...», non termino la frase che la porto alle labbra senza pensarci e la butto giù, la sento scendere fresca nella gola, le bollicine solleticano il palato e quel retrogusto dolce amaro mi impasta appena la bocca.
«Giornataccia?», commenta, scrollo le spalle strappandogli di mano anche il suo bicchiere. Non gli rispondo e fendendo la folla, con il bicchiere tra le mani, arranco verso le scale per rinchiudermi nella mia camera. Passo di fianco al tavolo adibito ad area bar, gli occhi scivolano sulla bottiglia trasparente, mollo il bicchiere e l'afferro dal collo senza esitare, dileguandomi al piano superiore.
«Non resti con noi? La squadra ha vinto la partita», farfuglia Arnold cercando di sollevare il tono della voce per sovrastare la musica che pompa con i suoi bassi in tutta la confraternita.
«Sai quanto cazzo me ne sbatte di quei quattro coglioni della squadra di hockey?», sibilo tra i denti incenerendolo quasi con lo sguardo. «Non ci sono per nessuno», faccio un passo per poi fermarmi e guardare nuovamente in faccia il mio coinquilino. «E per nessuno, intendo nessuno!», scandisco facendo sbattere la lingua contro il palato.
Raggiungo la porta della stanza che apro in uno schianto e la richiudo alle mie spalle con un calcio, mi appresto a svitare il tappo della vodka. La tempia pulsa confusa, peggio di un dopo sbronza. Il suo sguardo di ghiaccio, quasi terrorizzato alle mie parole, mi tormenta. Non era questo che volevo. Non era questo che mi aspettavo da te, cazzo, mi stai fottendo il cervello in questo momento, lo hai sempre fatto, sei sempre qui anche quando non ci sei. E odio sentire quanto le tue parole riescano a ribaltare la mia intera esistenza in un secondo, tu ancora non l'hai capito e io vorrei urlarlo a un cielo che lo incida nelle sue stelle perché tu lo possa guardare ogni sera. Forse pretendo troppo, dico a me stesso.
L'odore del mio nemico numero uno, l'alcol, brucia le mie narici avvolgendomi in una nube densa che conosco come le mie tasche. Mi siedo sul letto, ancora con la bottiglia tra le mani, la guardo con riluttanza, come se stessi lottando quasi contro me stesso. Poi succede tutto in un attimo, le mie parole che la supplicano, i suoi occhi che mi negano anche un solo bagliore di speranza nella quale lei mi ha sempre fatto credere.
Il fuoco divampa nel petto, tossisco, mentre il liquido inizia a scorrere nel mio sangue, sorso dopo sorso, la mente si offusca, la ragione perde il controllo. Fottuti flashback mandano in blackout ogni cazzo di pensiero razionale. Mi sento prigioniero di un sentimento più grande di me, che ormai si è preso tutto... tu ti sei presa ogni parte di me. Sospeso tra sogno e realtà, riesce a farmi vacillare nell'incertezza e odio sentirmi così. E ora eccomi qui che barcollando, arranco fino allo specchio appeso alla parete della mia camera. Osservo i miei occhi ridotti a due fessure iniettati di sangue. La bottiglia semivuota giace sul pavimento alle mie spalle. «Che cazzo mi ero messo in testa?», biascico con la lingua che si lega a ogni sillaba. «Vivere insieme. Le ho chiesto di andare a vivere insieme. Cazzo!», tuono serrando i pugni lungo il corpo, le unghie si conficcano nel palmo e non sento nulla se non la delusione. Dovrei pensare che ha bisogno di tempo, ma sono io a non averne più, a non voler più aspettare. La testa gira come in una cazzo di giostra che non ha intenzione di arrestare la sua corsa. So che sta facendo dei passi indietro, la conosco, lei non si fida di me, ripeto in maniera cantilenante nella mia testa, mi volto incespicando sui miei stessi passi fino a crollare a terra. Rido istericamente. La porta si apre. Con lo sguardo ancora fisso sul pavimento, pesto il palmo della mano contro.
«Ho detto che non volevo vedere nessuno, porca puttana!», ringhio col sangue che arriva al cervello.
«D-Damon...», sollevo appena il capo inclinandolo verso la sua voce.
«Oh... signore e signori, ecco a voi, Allyson Evans, la mia ragazza...», bofonchio additandola mentre cerco di rialzarmi per trovarmi col culo per terra un'altra volta.
«Hai bevuto?», chiede con la voce che le trema e i suoi occhi, anche in questo momento in cui non dovrei sentire nulla, riescono a penetrarmi fino in fondo all'anima. E tu quest'anima, alla fine, me la strappi e non mi lasci niente. E io in quel niente ci soffoco senza di te, di te che sai di vita, la sola che io ho conosciuto.
«Solo un po', piccola... sei venuta...», mi mordo il labbro inferiore cercando di far ordine tra i pensieri, «sei venuta salvarmi da me stesso, Evans, vero?», chiedo con tono ironico prendendomi gioco di lei.
«Damon», dice avanzando verso di me quasi in punta di piedi.
«Devi andartene, Ally...», scandisco incastrando il mio sguardo al suo. «Ti ricordi quando ti chiamavo così solo per irritarti?», si siede al mio fianco senza proferire parola. «Cazzo, mi stavi fottendo il cervello e non lo sopportavo. Non ti volevo nella mia testa...», confesso a denti stretti. «Ma tu dovevi salvare questa cazzo di anima dannata, vero? Guardami... Guardami!!», ordino voltandomi verso di lei.
«Ti sto guardando, Dam, sono qui e non mi importa se sei ubriaco...», si stringe nelle spalle. «Se vuoi prendertela con me, fai pure. Non me ne andrò e non te ne andrai nemmeno tu, lo sappiamo entrambi», risponde con tono sicuro spiazzandomi, gattonando fino alla bottiglia.
«Cosa fai?», dico sporgendomi verso di lei che torna a mettersi a sedere al mio fianco.
«Se bevi... beviamo insieme. Se salti... salto anche io, Sanders. Qualsiasi cosa tu voglia fare, io ti seguirò. Ricordi? Qualsiasi cosa accada, noi ci ritroveremo sempre», dice portandosi la bottiglia alla bocca; con un gesto netto della mano, gliela strattono.
«Tu non bevi questa merda», sentenzio.
«Ah, sì?», mi sfida con quegli occhi che mi strappano ogni forza possibile alla quale cerco di appellarmi.
«Sì!», rimarco scandendone ogni sillaba.
«Allora alza il culo, Sanders. Ora!», tuona scattando in piedi. Mi aggrappo al bordo del letto e cerco di alzarmi, aiutato da lei.
«Che cosa vuoi fare?», chiedo, con un braccio a circondarle le spalle e il suo a cingermi la vita, mi trascina fuori dalla mia camera.
«Qualcuno mi ha insegnato a far passare in fretta le sbornie», si limita a rispondere spalancando la porta del bagno. Sorrido, i miei occhi vagano su di lei ipnotizzati. Mi spinge verso la doccia fino a farmici entrare dentro con tutti i vestiti ancora addosso; prima che possa aprire bocca, vengo investito da uno scroscio di acqua gelida. Cerco di spostarmi, ma la sua mano preme contro il petto.
«Non ti muovere!».
Rido di fronte alla sua prepotenza mentre sento sciogliersi quella nube del passato che mi aveva quasi rapito. Con la vista offuscata, per l'acqua che scivola indisturbata lungo il mio corpo, cerco di guardare la mia unica ragione di vita.
«Mi farai ammalare, Evans», protesto riacquisendo in fretta la ragione.
«Peggio per te, vorrà dire che dormirai sul divano, mentre a me toccherà il nostro letto», biascica.
Chiudo l'acqua, asciugandomi il volto con le mani.
«Cosa hai detto? Allyson, cosa stai...», fa un passo verso di me, entrando anche lei nella doccia.
«Ho detto... che dormirai sul divano e io...», mormora, scuoto la testa.
«Quello l'ho capito, ma cosa vuoi dire?», il cuore martella nel petto talmente forte da rimbombarmi nelle orecchie.
«Sì, Damon, voglio scrivere una pagina che porti solo i nostri nomi e la voglio scrivere da zero, con te», sussurra gettandomi le braccia al collo. I miei vestiti bagnati inzuppano i suoi.
«Perché non lo hai detto sin da subito?», domando confuso.
«Perché...», sorride appena scrollando le spalle. «Perché ho avuto paura», ammette per poi indurire il suo sguardo. «Ma tu non hai perso tempo per fare il coglione», mi rimprovera.
«Non mi piacciano le parolacce su questa bocca», sibilo accarezzandogliela con il pollice. I suoi occhi si socchiudono mossi dai miei gesti e lentamente incastro le mie labbra alle sue, il dolce del suo sapore si mescola all'amaro del mio. Siamo questo: il giorno e la notte, due mondi lontani che entrano in collisione fra loro generando il caos, ma è il caos più perfetto che abbia mai visto. È lei, siamo noi. La mia lingua accarezza la sua strappandomi un grugnito. "Lo Yin e lo Yang", mi smarrisco nella sua bocca dando vita a una danza che sembra non avere fine. "Gli antipodi di due emisferi", i suoi mugolii mi mozzano il fiato mentre bacio ogni centimetro del suo collo, succhiando e soffiando contro la pelle umida. "Il demone e il suo angelo custode", mentre ci priviamo di tutto ciò che indossiamo e la sollevo cingendola tra le mie braccia. La sua pelle candida si incastra con la mia, marchiata dai colori neri dei miei tatuaggi che nascondono cicatrici profonde, che solo lei conosce e ha saputo curare. Ci fondiamo insieme creando l'imperfetto amore che non conosce regole e limiti che il cuore non sappia infrangere.
«Cazzo, Al», mugolo ansimante contro la sua bocca mentre sento le sue unghie conficcarsi nelle mie spalle. «Mi fai impazzire», grugnisco spingendola contro la parete, le sue gambe mi legano a lei facendomi perdere la ragione.
«Damon...», annaspa nel suo stesso respiro mentre continuo a spingermi dentro di lei sentendo ogni centimetro del suo corpo adattarsi alla perfezione al mio, il mio tocco che raggiunge la sua anima più profonda nella quale decido di annegare per sempre.
«Dillo ancora... piccola», biascico perso nell'oblio della lussuria e un'altra ondata di piacere ci raggiunge per inghiottirci.
«Oh, Damon», esplode inarcando la testa all'indietro con la bocca semiaperta che continua a ripetere il mio nome, inciso su quelle labbra che sanno di perdizione; vacillo fino a sprofondare nell'incavo del suo collo, il mio corpo continua a premere contro il suo mosso dagli spasmi del piacere che alla fine ci consuma.
«A-Allyson», mugolo cercando di sentire nuovamente il suolo sotto i piedi. Poggio la fronte contro la sua. «Ti amo, mi hai fatto passare la sbornia e mi hai regalato la più bella scop...», la sua mano tappa la mia bocca soffocando quelle parole che riescono ancora a metterla a disagio.
«Sono ancora arrabbiata con te», ribatte piccata fingendosi accigliata. La tengo ancora tra le mie braccia, incastrata al mio corpo, legata alla mia vita.
«Hai ragione, ma cazzo, Al, io non ce la faccio più ad aspettare altro tempo che a volte sembra scivolarci dalle mani», confesso senza vergognarmi di quanto desidero una vita con questa ragazza.
«È colpa mia... mi hai solo... solo preso alla sprovvista», biascica chinando lo sguardo.
«È solo questo, Al? Perché se...», cerco di dire, ma la sua voce mi interrompe.
«È solo questo», ripete scoccandomi un bacio.
«Ti ha chiamato quel coglione di Arnold?», chiedo mentre mi stacco da lei con una scia di brividi che corrono lungo la spina dorsale.
«Sì, ha detto che non sapeva bene per cosa, ma avresti dato di matto da un momento all'altro», scrollo le spalle.
«In effetti, se non fossi arrivata, forse sarei sceso giù a pestare qualcuno a caso», dico prendendo due asciugamani puliti dall'armadio e porgendone uno a lei. Osservo come aderisce sinuoso alle sue curve.
«Ehm... dormi qui, giusto?», chiedo legandomi l'asciugamano alla vita e posando le mani sui fianchi inclinando appena la testa verso sinistra.
«Veramente...», cerca di dire, ma la strattono verso di me.
«Veramente ho in mente mille cose da farti in un posto più comodo», sussurro con voce roca succhiando il lobo del suo orecchio.
«Sembra... sembra che non mi lasci scelta, Sanders», balbetta avvampando con le guance che prendono subito colore.
«Non ne lascio mai a nessuno, dovresti saperlo», dico facendo scivolare la mia mano nella sua mentre la conduco verso la mia stanza. Ho fatto il coglione, è vero, ma lei era qui; lei c'è sempre e se in questo momento riesco a pensare lucidamente a qualcosa, è che lei ci sarà sempre nella mia vita, fino al mio ultimo respiro.
*SPAZIO XOXO*
Come trovate questo Damon che sta cambiando per Allyson?
All The Love Readers ❤
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro