Capitolo 20 Allyson
Ruotiamo attorno ad un Universo sconosciuto,
alla ricerca della galassia della nostra vita.
Kam, Jenna e Cristal sono seduti nella mia camera da letto e mi fissano come se da un momento all'altro dovesse spuntarmi una seconda testa. Kam era fuori dal portone di casa ad aspettarmi quando sono fuggita dalla confraternita di Dam. Ho camminato senza pensare, accompagnata dal sole di una mattina qualunque di febbraio. Non riuscivo a mettere insieme i pezzi di tutto quello che era successo; osservavo le persone andare avanti con la loro vita, mentre qualcuno aveva deciso di mettere in pausa la mia. La sua bocca mi aveva marchiata in maniera indelebile, doveva essere un momento solo nostro, ma forse di nostro non è mai esistito niente se non la stessa illusione che qualcosa potesse esserci.
Kam mi ha guardata, occhi negli occhi, e ho capito che sapeva già tutto. Vedevo il timore velare il suo sguardo. Siamo entrati senza proferire parola e dopo quaranta minuti esatti sono arrivati i rinforzi. Forse io stessa non riesco ancora a metabolizzare quanto sia assurda e crudele tutta questa situazione che mi ha completamente svuotata. Dopo le poche lacrime che sono sgorgate di fronte a Dam, non sono riuscita a buttarne fuori delle altre. Vorrei disperarmi, urlare, piangere e spaccare qualcosa ma non riesco. Sono seduta sullo stesso letto di quando ero una bambina con lo sguardo che vaga alla ricerca del nulla.
«Hai bisogno di qualcosa?», chiede Cristal avvicinandosi a me, poggia la testa sulla mia spalla.
«Sì, vorrei non averlo mai conosciuto», sibilo a denti stretti.
Ed è così, vorrei non essere entrata nei tuoi occhi che mi hanno legata a te senza che me ne rendessi conto.
Vorrei che la tua voce non si fosse annidata nella mia testa.
Vorrei non amarti, perché sarebbe più facile, ma non lo è, perché ti amo, e fa male, fa un male cane, Sanders.
Non mi rendo nemmeno conto di averlo detto ad alta voce.
Gli occhi di Jenna si sgranano.
«Allyson...», prova a dire e io sorrido debolmente.
«Sentiamo, che scuse troverete ora per giustificarlo?».
Ho sempre cercato di trovare risposte a domande impossibili. Guardavo con occhi diversi dagli altri la sua vita che gli sfuggiva di mano, giorno dopo giorno, perché io ero lì, pronta a farmi inghiottire e schiacciare ancora una volta, solo per un amore malato come il nostro.
«Non lo giustifico. Però se ci pensi bene, era un coglione, più di quanto lo sia ora», sussurra e le sue parole provano inutilmente ad aggrapparsi a me, ma scivolano via velocemente, perché so che ora non ci sono scuse, ora da questo uragano non ci possiamo riparare, perché ci spazzerà via in un soffio. Cristal solleva la testa dalla mia spalla e mi osserva di sottecchi. «Tutto questo, Ally, fa parte della sua vita passata», aggiunge.
«Non direi che sia così passata, se aspettasse un...», trattengo il fiato, ogni sillaba graffia la gola mentre la pronuncio, «un figlio da Joselyn».
Quante volte si può cadere in frantumi? Ho perso il conto ormai. Ho imparato che Damon sa farti toccare il cielo con un dito, per poi strapparti da quell'angolo felice che ti eri creata e spingerti fino in fondo all'inferno. Le fiamme ti avvolgono, bruciando tutto ciò in cui credevi e quando ti volti vedi solo cumuli di cenere di ciò che era la tua vita.
«Questo ancora non lo puoi sapere», esclama Kam alzandosi in piedi per raggiungermi sul letto. «Quando mi ha chiamato stavo per andare dritto da lui a prenderlo a pugni, ma sai perché non l'ho fatto?», scuoto la testa in segno di diniego, stringendo forte le gambe al petto. «Piangeva come un bambino. Allyson, non ho mai sentito nessuno piangere in quel modo», il cuore manca un battito, un altro che è finito fra le sue mani. Kam cerca il mio sguardo.
«Questo non cambia la situazione», dico tirandomi in piedi per raggiungere la finestra; il cielo si colora di rosso, arancione e striature di rosa chiaro, annunciando un altro tramonto, un altro giorno che sta per concludersi. Quante ore siamo stati chiusi qui dentro? Persino il tempo si è distorto insieme alla mia esistenza. Vorrei solo poter strappare dal calendario questa giornata come se non fosse mai esistita.
«Potrebbe non essere suo», mormora Kam alle mie spalle mentre mi stringe in un abbraccio.
Il telefono squilla.
«Spegnilo», ordino senza voltarmi. La suoneria che avevo personalizzato per lui cessa all'istante facendo calare il silenzio. Era Joselyn... è incinta pulsa nella testa come un disco rotto e non riesco a descrivere cosa ho provato in quel preciso istante. Lo guardavo sconvolta, scongiurarmi di restare, ma io volevo solo scappare lontano dal veleno che rapido aveva iniziato già a scorrermi nelle vene, uccidendo sogni, speranze e ricordi... mangiandosi il nostro futuro prima che potessimo affacciarci a guardarlo.
«Sta chiamando me», comunica Kam facendomi trasalire dai pensieri; mi volto, si allontana di qualche passo, caccia fuori il cellulare dalla tasca e risponde. «Dimmi», abbaia. «Non è il caso. Ho detto di no! Non farmelo ripetere», chiude la chiamata scoccandomi un'occhiata. «Forse verrà ugualmente qui».
Scrollo le spalle e resto esattamente dove sono, di fronte alla finestra che si affaccia sulla strada del quartiere.
«Quella troia potrebbe inventarsi qualsiasi cosa per dividervi», quasi tuona Jenna furente di rabbia. Sono poche le volte che l'ho sentita dire qualche parolaccia, lei e la sua aria da perfetta studentessa modello.
«Anche io l'ho pensato e come una pazza mi sono messa a fare i conti per potermi dare una risposta...», una risata isterica e strozzata esce a fatica dalla mia bocca. «Dam è andato in overdose poco più di tre mesi fa...», un brivido percorre il mio corpo al ricordo di lui inerme steso sulle mattonelle fredde di quel bagno. «In quel periodo se la spassava alla grande con Jos, persino in quel momento era con lei», pronuncio quelle ultime parole in un sussurro appena percettibile persino da me.
«Quindi... quindi tu pensi che...», balbetta Cristal.
«Non so nemmeno io cosa pensare. Continuo a scontrarmi con le sue stronzate...», espiro, alleggerendo il petto su cui un macigno preme con forza.
«Sapevi che non era il ragazzo più facile della città», mi ricorda Jenna. «Ti sei innamorata di qualcuno che aveva più difetti che pregi. Di uno che ti ha reso la vita impossibile, ma che ti ha resa anche più forte».
Scrollo le spalle.
«Più forte? E se crollassi per non vedere più la luce dell'indomani? Non prendiamoci in giro, è già successo. Per lui... per lui mi sono buttata senza paracadute facendomi sferzare la vita dal caos che era Damon. Volevo solo chiudere gli occhi per sempre», fa male pensare di essere arrivata a tanto, doverlo ammettere a chi non ti ha mai chiesto spiegazione anche se sapeva mi lacera ancora di più.
«Di cosa stai parlando, principessa?», biascica Kam; lo guardo, l'espressione corrugata di chi non riesce a comprendere.
«Ho tentato il...».
Sporge una mano in avanti verso di me, proteggendosi dalla verità della mia vita passata.
«Basta, non dirlo. Ho capito», ringhia digrignando i denti, poi mi raggiunge stringendomi in un abbraccio. La guancia preme contro il suo petto caldo. «Andrà bene», promette oltre l'impossibile.
«Non va mai bene quando si tratta di me e Damon», confesso più a me stessa che a lui, posa il suo mento sopra la mia testa.
«Merda», esclama, mi stacco dal suo abbraccio e seguo i suoi occhi oltre la finestra. Damon scende di tutta fretta da un Suv bordeaux, corre verso il portico. I suoi pugni pestano contro la porta alternandosi al suono del campanello che incessantemente suona echeggiando per tutta la casa. Restiamo tutti immobili come statue avvolte dal silenzio. Solo io grido parole che nessuno può udire. Verso lacrime che nessuno vede perché rigano solo la mia anima che lui è riuscito un'altra volta a smarrire.
«Allyson... Al...», grida, la voce attutita dai muri che ci separano. «Ti prego...», supplica seguito da un colpo più forte.
«Vuoi che vada io?», chiede Kam.
«No.... se ne andrà da solo», faccio un passo avanti, sfiorando quasi con la punta del naso il vetro della finestra. Gli occhi scivolano sul giardino dove i lampioni si accendono illuminando il viale. Scorgo la sua felpa rossa, il cappuccio calcato in testa. Con un gesto della mano se lo scrolla via sollevando il mento verso la mia stanza. I nostri occhi si schiantano e posso sentire il tonfo di quel rumore che ci spezza. I suoi sono iniettati di terrore, le sue mani si sollevano verso l'alto come se volesse toccarmi. Poso la mano contro il vetro freddo, chino lo sguardo distogliendolo dal suo. Tiro la spessa tenda come un saluto che lo invita ad andarsene.
«No, Al! No!», le sue grida squarciano prepotenti il buio, entrano fin dentro le ossa e graffiano il mio cuore che chiede pietà. Lasciami andare, Sanders, lasciami andare. Lo supplico in silenzio.
«Qualcuno ha dormito in macchina di fronte a casa nostra», dice mio padre non appena varco l'arco che porta alla cucina. Kam, Jenna e Cristal sono tornati a casa dopo che Damon si è arreso, tornando sui suoi passi e andandosene via. Non avrei mai pensato che sarebbe tornato. «Tutto a posto?», chiede sorseggiando una tazza di caffè fumante.
Scrollo le spalle costringendomi a sorridere, malgrado la voglia di piangere e chiudermi in camera per il resto dei miei giorni sia più grande.
«Solo una stupida discussione», commento versandomi del caffè.
«Non sembra», incalza.
«Davvero, non devi preoccuparti», lo rassicuro cercando di bere di tutta fretta per sgattaiolare via il prima possibile.
Afferro la mia borsa, sfilo il cellulare dalla tasca e mando un messaggio a Kam. Non devo aspettare molto affinché mi risponda. "Dammi cinque minuti e sono lì", dice nel messaggio. Dalla tenda del salotto sbircio verso il Suv rosso. Ci separa talmente poco ma ci divide talmente tanto. Trattengo il fiato ed esco avvolgendomi nel mio cappotto; non voglio insospettire mio padre, perciò decido di avviarmi lungo la strada per andare incontro a Kam. Attraverso il giardino di tutta fretta superando l'auto mentre trattengo la voglia di voltarmi per vederlo. Uno sportello sbatte rumorosamente alle mie spalle, aumento il passo. Una mano fredda come il ghiaccio si chiude attorno al mio polso, mi fermo.
«Al...», la sua voce è flebile, si spezza senza forze pronunciando a stento il mio diminutivo e il cuore perde un battito. Mi volto, la sua mano stringe ancora il mio polso. Gli occhi sono contornati da occhiaie e rossi come il sangue, come chi non ha cessato di versare una sola lacrima in tutto questo tempo.
«D-devo andare a lezione, Damon», mi limito a dire.
«P-posso accompagnarti... ti scongiuro, ho bisogno di te... sto impazzendo».
Il pollice disegna piccoli cerchi sul dorso della mano, il corpo reagisce al suo tocco magico propagando brividi che mi attraversano come una scarica elettrica.
«Ho bisogno di tempo... mi dispiace», lentamente ritraggo la mano dalla sua, le sue si intrecciano nei capelli che strattona con forza perdendo il controllo.
«Non posso farcela senza di te», ammette sferrando un calcio a un bidone dei rifiuti che si rovescia sul marciapiede. Faccio un passo indietro.
«E io non posso farcela con te».
Gli occhi sgranati di terrore si inchiodano ai miei.
«Non dici sul serio... cazzo, non lo puoi dire, Al...», avanza cercando di afferrarmi per le spalle.
Un'auto inchioda bruscamente, lo sportello sbatte.
«Stai lontano da lei, Damon», lo avverte Kam mettendosi come scudo di fronte al mio corpo.
«Stanne fuori!», sbraita Dam in preda alla collera.
«Sei tu che mi hai chiamato, ricordi?».
Entro di corsa in macchina, allaccio la cintura e fisso il cruscotto di pelle nera di fronte a me. Poco dopo, Kam sale e Dam colpisce il vetro dalla mia parte.
«Non ti lascerò andare... hai sentito, Evans? Io non ti lascio».
Una lacrima smarrita e solitaria si fa strada sul mio volto, come richiamata dalla sua voce. Kam parte a tutta velocità. Scocco un'occhiata allo specchietto retrovisore, Damon è a terra in ginocchio e sferra pugni al cemento sottostante. Cedo, i singhiozzi esplodono sulla mia bocca, il respiro si spezza in cerca d'aria perché ciò che amo con tutta me stessa sta diventando soltanto un lontano ricordo.
«Sfogati», sussurra Kam accarezzandomi la mano che poi stringe nella sua.
«Fa tanto male», grido con quanto fiato possiedo.
«Lo so, principessa», continua.
«Cosa... cosa ti ha detto?», chiedo tirando su col naso.
«Che se non mi tolgo dai piedi non ci penserà due volte a prendermi a calci», lo guardo, abbozza un sorriso. «Gli ho detto che poteva accomodarsi, ma non l'ha fatto e il solo motivo sei tu», mi passa un pacchetto di fazzoletti che prende dal vano portaoggetti dello sportello. «Al, non ti dico che so quanto possa essere difficile perché, in verità, non posso capire ciò che stai passando. Però una cosa la posso dire con certezza. Non ti farebbe mai del male di proposito».
Restiamo in silenzio con il solo ronzio del motore, della città che si sveglia frettolosa come sempre. Guardo fuori dal finestrino, il cielo non è occupato da una sola nuvola e vorrei potermi sentire così anche io, quando, in realtà, una tempesta sta portando alla deriva solo i detriti della mia esistenza.
«Pronta? Basta che chiedi e ti porto dove vuoi, se non ti va di andare a lezione».
Scuoto la testa e scendo prendendo la borsa, ci dirigiamo verso l'ingresso del campus. Tutti mi salutano e sorridono, ignari che una parte di me è intrappolata nel suo sguardo tormentato. Io e Kam ci separiamo per un'ora, lui va alla sua lezione di Diritto civile, io a quella di Arte. Mi siedo nel solito banco e Chaise, non appena mi vede, prende posto al mio fianco. Lo guardo confusa, ci conosciamo solo di vista e ho sempre pensato di non essergli troppo simpatica. Si agita sulla sedia.
«Tutto bene?», chiedo.
Si volta mostrandomi il suo sguardo nocciola che spicca in netto contrasto con la carnagione chiara e i capelli neri.
«Come se la passa Kam?», domanda a sua volta nervoso.
«Perché non provi a chiederglielo tu stesso?», ribatto estraendo il mio blocco da disegno.
«Sabato è San Valentino», mormora con lo sguardo perso.
Una fitta al petto mi ricorda di non averlo mai festeggiato e quest'anno non sarà diverso, ricordo a me stessa con un groppo che si forma in gola.
«Chaise, devi parlargli», dico in sussurro.
«Come puoi amare una persona e non riuscire a perdonarla? Perché è questo che provo. Lo vedo passare per i corridoi e vorrei solo aggrapparmi a lui, poi alla mente torna vivido il ricordo di lui che... che mi tradisce...», le parole gli muoiono sulle labbra che tremano, tortura le mani.
«Stai chiedendo alla persona sbagliata», biascico sprofondando sulla sedia.
Kam mi aveva raccontato di una sfuriata che avevano avuto, erano volate parole pesanti da parte di entrambi e Kam si era rifugiato nel solito locale che era sua consuetudine frequentare. Si era sbronzato talmente tanto che, alla fine, Chaise l'aveva sorpreso tra le braccia di un altro. Forse lui riesce a trovare una giustificazione per Dam perché si trova quasi nella stessa condizione, quella di doversi far perdonare.
«È successa la stessa cosa anche a te?», chiede bisbigliando mentre il professore fa il suo ingresso in aula.
«In realtà non so più nemmeno io cosa sia successo alla mia vita», ammetto a me stessa. «Dovresti parlargli, comunque, Kam è pazzo di te».
Un sorriso compare spontaneo sul suo volto.
«Anche tu dovresti parlargli», esclama strizzandomi l'occhio.
Quando usciamo, non racconto a Kam della chiacchierata con Chaise perché non voglio illuderlo.
«Che programmi hai per oggi?», stringo la borsa al petto, percorriamo i giardini fino alle gradinate e giù fino al parcheggio.
«Film, gelato e tanta depressione...», mi ferma per una spalla.
«Non vorrai fare tutto questo da sola?», commenta in tono scherzoso attirandomi a sé.
«Grazie», mormoro.
«Sei in debito, mettiamola così», lo guardo inarcando un sopracciglio.
«Non è mai un bene essere in debito con te», scoppia in una fragorosa risata, che per un secondo riesce a staccarmi dai pensieri che attanagliano la mia testa.
«Allyson?», sollevo il volto.
«Cody?».
Mi sorride raggiante, si sposta dal cofano della sua macchina sulla quale è appoggiato venendomi incontro.
«Lo conosci?», bisbiglia Kam. Annuisco cercando di sorridergli. «Cosa... Cosa fai da queste parti?», domando.
Cody si caccia le mani in tasca guardando verso Kam.
«Ti aspetto in macchina», pronuncia quest'ultimo allontanandosi.
«So tutto, Ally», mi mordo il labbro non riuscendo ad aggiungere altro. «Ti ricordi quando insieme siamo andati a cercarlo?». Come potrei dimenticare quella corsa a perdifiato mentre a ogni passo perdevo le speranze di trovarlo. Annuisco. «Sappiamo tutti che lui non era più in sé. Non so dirti cosa abbia fatto o per quale ragione, ma di sicuro non era abbastanza lucido per rendersene conto».
Mi stringo nelle spalle, ricordando i suoi occhi dilatati dallo schifo che gli scorreva nelle vene, le sue parole ancora a echeggiare nelle orecchie: "Me la sono scopata". Rabbrividisco e cerco di scacciare dalla mente quegli attimi.
«Quindi... quindi tu pensi che sia suo?», chiedo stringendo i denti talmente forte che la mascella mi fa male.
«Non posso dare una risposta a questo, ma se dovesse esserlo, non l'ha fatto per ferirti. Lo conosco e credimi quando ti dico che non esiste nessuna ragazza che abbia mai amato che non sia tu».
In bocca sembra di avere sabbia mentre cerco di deglutire una verità alla quale non riesco più a credere.
«Posso?», una voce familiare mi giunge da dietro le sue spalle. «Allyson, giusto?», chiede Arleen porgendomi la mano.
Non può ricordarsi di me, ma io non potrei mai dimenticare il suo sguardo, lo stesso identico di chi mi ha portato via la mia vita, deciso a non restituirmela.
«Piacere», dico con un lieve imbarazzo mentre mi presento. Mi sorride dolcemente.
«Avrei voluto conoscerti in un'altra occasione», la guardo e sono felice di vedere come si è ripresa.
«O-ora devo andare», cerco di dire prima che la sua mano si posi sulla mia spalla.
«Non sopporterebbe il tuo odio, Al...».
I piedi si inchiodano al suolo come pronuncia il mio nome in quel modo. Trattengo il fiato, scrollo le spalle e con passo svelto raggiungo l'auto di Kam.
«Portami via», quasi grido dal dolore che sento farsi spazio nel petto.
Fisso il mio riflesso allo specchio per la decima volta negli ultimi dieci secondi. Non so nemmeno perché mi stia guardando. Ho messo la felpa del campus e un jeans, eppure non riesco a schiodarmi da lì. Nei due precedenti giorni, dopo aver parlato con Cody e Arleen, non ho più avuto sue notizie. La tentazione di chiamarlo solo per sapere se sta bene è più forte del desiderio di volerlo odiare. Sì, ho desiderato con tutta me stessa che il dolore si tramutasse in odio perché avrebbe reso tutto più semplice, ma le cose non vanno mai come si spera. Questo lo so meglio di chiunque altro. Basta un battito di ali di una farfalla perché nell'emisfero opposto si scateni un uragano.
«Sei sicura di volerci andare?», chiede Kam per la ventesima volta.
«Ti ha detto che ha l'esito, prima chiudo questa faccenda e prima posso voltare pagina», cerco di convincere me stessa.
Jenna e Cristal volevano venire per starmi vicine, ma questa volta devo affrontarlo da sola. Solo io, lui e i nostri problemi.
«Non essere precipitosa», mi avverte premuroso Kam.
«E tu inizia a prepararti per domani; ho dovuto saperlo dal tuo ragazzo e non dal mio migliore amico che siete tornati insieme», lo ammonisco additandolo mentre mi lego i capelli in una coda alta. Si rabbuia.
«Non è così importante», lo spintono per una spalla.
«Come scusa?», chiedo corrugando la fronte.
«Tu stai soffrendo e io dovrei dirti che sono felice?».
Sorrido di fronte alla sua costante voglia di proteggermi.
«Sì, avresti dovuto, perché so quanto hai sofferto e da quanto stavi aspettando il suo perdono», dico accarezzandogli il braccio.
«Forse non sono l'unico che aspetta di essere perdonato».
Lo fisso dritto nel mare dei suoi occhi.
«Tu non sei Damon».
Scrolla le spalle.
«E non esisterà nessun altro Damon nella tua vita, Allyson. Non vivrai mai più ciò che hai vissuto con lui; per quanto può averti fatto male, era tutto vero. Ti ha reso la donna che sei ora. Quando incontri un amore come il vostro, sai che è per sempre», commenta tenendomi per entrambe le mani.
«Non esistono le parole "per sempre"...», mando giù a stento quelle parole amare come il sapore delle lacrime che mi hanno accompagnato in queste notti. Chiudere gli occhi significava trovarsi di fronte due pozze verdi che mi imploravano.
«Ti accompagno fino alla confraternita», annuisco prendendo la giacca; scendiamo le scale per andare incontro al mio destino che però è stato scritto dagli altri... da lei, che me lo sta portando via. «Qualsiasi cosa tu decida di fare, io sono con te», dice appena che mi accomodo al lato passeggero, poi allaccia la cintura e avvia l'auto che borbotta mettendosi in moto.
«Lo so», mi limito a rispondere, rosicchiando l'unghia del pollice man mano che svoltiamo via dopo via, azzerando la distanza dalla verità.
La confraternita ha un aspetto diverso ai miei occhi mentre Kam posteggia. La osservo, sollevo il volto verso la sua finestra e trattengo il fiato.
«Ti aspetto in macchina?».
Scuoto la testa.
«Avrò bisogno di fare due passi», confesso.
«Ti stai arrendendo ancor prima di sapere, ancor prima di lottare», mi ammonisce.
«Non puoi lottare quando la partita è già persa in partenza», dico scendendo dall'auto; chiudo lo sportello, faccio un lungo respiro e un passo dietro l'altro raggiungo la porta dietro la quale scoprirò la risposta che potrebbe cambiare per sempre la nostra vita.
Busso. Il portone si apre.
«Ciao, Allyson», esclama Arnold con un sorriso forzato.
«Ciao. Damon è in casa?», annuisce spalancando la porta per lasciarmi entrare.
«È in camera sua... è da due giorni che non esce da lì».
Chino il capo e percorro gli ultimi gradini per raggiungerlo.
Non busso, mi sta aspettando. Entro e il suo volto si solleva; è seduto con i gomiti premuti sulle ginocchia, le mani unite in un pugno sorreggono il viso che porta i segni del nostro paradiso sgretolato.
«Ehi...», sussurra.
«Ehi», ripeto chiudendo la porta alle mie spalle, le mani che restano aggrappate alla maniglia dietro la schiena perché credo che se la lasciassi, cadrei in ginocchio.
«Come... come stai?», si alza facendo un passo verso di me, il suo profumo mischiato al tabacco inebria il mio respiro.
«Non è importante, ora. Sono qui solo per sapere cosa hai da dirmi», cerco di non abbassare quel fragile rifugio dietro al quale mi sono imposta di nascondermi, di proteggermi.
«Al... ascoltami prima di dire qualsiasi cosa», mi implora.
«È tuo!», esclamo con quanto fiato riesco a tirar fuori e il cuore si spezza; lo sento il casino che fa dentro di me facendomi tremare. Il suo sguardo scivola verso la moquette, fissando la punta degli scarponi logori. «L'ho sempre saputo, una parte di me pregava che non fosse così, ma quando mi hai detto che era incinta, sapevo che poteva essere solo tuo. Sarà la peggior stronza che esista al mondo, ma abbiamo una sola cosa che ci accomuna...», indico lui che incrocia il mio sguardo, «tu... è sempre stata innamorata di te, a tal punto da essere usata pur di averti», dico mostrandogli una realtà che forse non era in grado di vedere.
«Non ricordo... non ricordo molto di quel periodo, è successo poco prima che andassi in overdose», ammette con vergogna. «Passavamo molto tempo insieme, ma... ma sai bene che non ho mai provato niente per lei...», cerca di spiegare camminando a piccoli passi avanti e indietro per la stanza.
«Partorirà tuo figlio, diventerai padre», sibilo con la voce che si incrina, mentre l'incubo inizia a prendere vita e mi avvolge senza lasciarmi una via di fuga per evadere, per non portare i segni di ciò che si spezza di fronte ai miei occhi.
«Non so se sarò un buon padre, Al... non so più nulla della mia cazzo di vita, se non che la voglio passare con te».
Rido amaramente di fronte alle sue parole.
«Ci sono sempre stata...», mormoro.
«Non dirlo, Al! Non ti azzardare a dirlo!», grida portandosi le mani alla testa.
«Ora non posso più. Questa vita... la tua vita, non mi appartiene».
Si fionda su di me intrappolandomi con le mani poggiate con forza ad ambo i lati della mia testa. Chiudo gli occhi, la mente sferzata dai nostri momenti felici.
È questo che porterò con me, Sanders, è la sola cosa che mi resta di noi, che riesca ancora a farmi sorridere. Mi restano solo ricordi che sbiadiranno col tempo, quando tu sarai lontano, vivendo una nuova vita che non è più la nostra.
«Non ti lascio. Io non ti lascio», soffia contro le mie labbra sulle quali posso sentire il sapore amaro delle lacrime. Inchiodo i miei occhi ai suoi.
«Sono io che ti lascio, questa volta», la testa sprofonda nell'incavo del mio collo.
«Non lo fare», mi scongiura, sento il calore della sua pelle contro la mia. La serratura della porta scatta, la sua mano preme contro il legno per richiuderla. «Non lo fare», ripete provando a incastrare il suo sguardo al mio.
Non ti posso guardare, ora, perché in quello sguardo ci potrei morire, e tu lo sai, sai che per te farei qualsiasi cosa, ma non questa volta.
«Lo devo a me stessa», si morde il labbro facendo un passo indietro.
«Non mi arrendo, Al... mai, finché avrò un solo respiro da emanare, io lotterò per riaverti».
Apro la porta.
«Prenditi cura di te, Sanders», dico correndo giù per le scale. Un tonfo echeggia alle mie spalle, non mi volto mentre altri rumori di pezzi che cadono in frantumi si susseguono e siamo noi, pezzi sparsi in un universo incasinato, pezzi che non riusciranno più a incastrarsi per quanto ormai sono rotti, ridotti solo in schegge impazzite capaci di ferire. Siamo noi e fa male, tu mi hai fatto male.
Arnold mi ferma alla fine delle scale.
«Ci penso io a lui», promette.
Annuisco tirando su col naso. Mi fiondo fuori, investita dall'aria gelida che mi punge il volto umido dalle lacrime che non cessano di scorrere. Sollevo la testa verso la finestra della sua camera, intravedo la sua sagoma muoversi furente di rabbia.
Mi stringo nelle spalle abbracciando il mio corpo.
«Ti amerò per sempre, DS», sussurro a me stessa l'unica verità che nonpotrà mai cambiare nella mia vita, lui, perché non esisterà nessuno dopo Damon.
SPAZIO XOXO
I Dallyson ancora una volta divisi, era inevitabile
lo so mi odiate e fate bene, ma mi farò perdonare
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