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Capitolo 18 Damon

Urli contro un cielo dal quale vuoi strappare le sue stelle.

Non ho il tempo di capire cosa stia succedendo. La luce che viene verso di me mi abbaglia impedendomi di vedere oltre il mio naso. Sento solo che non posso seguire quella luce e devo fare subito qualcosa. D'istinto, mosso dall'adrenalina che attraversa il mio corpo, apro la portiera in uno scatto e l'aria sferza il mio volto quasi strappandomi dal sedile dell'auto. Mi butto, sento l'asfalto gelido toccare ogni parte di me. Una folata di vento mi sfiora la schiena, un brivido la percorre per poi udire un boato squarciare la notte, mentre sento gli pneumatici stridere fortemente sulla strada.

Continuo a rotolare su me stesso come se fossi una trottola impazzita. Sbatto contro quelli che sembrano essere sassi, poi il fruscio dell'erba ghiacciata che quasi scricchiola sotto al mio peso mentre termino la mia corsa sbattendo contro la corteccia di un albero; il fiato mi si mozza nel petto. Un attimo di silenzio. Apro gli occhi che per tutto questo tempo, che è durato un'eternità, ho tenuti chiusi, la testa confusa seguiva solo il desiderio di farcela, di scappare. Poggio la mano sui ciuffi d'erba e gemo quando cerco di sollevarmi; stringo il labbro tra i denti e premo la mano sul costato.

«Cazzo, devo essermi incrinato qualche costola», mormoro a fatica.

«Damon!», le sue grida mi trafiggono e spaccano il silenzio nel buio della strada.

«Al...», sussurro a me stesso.

Sono disperate, fendono l'aria squarciandola e posso sentire i singhiozzi colmare lo spazio che ci circonda. Arranco verso il ciglio della strada, guardandomi attorno ancora smarrito e dolorante. Quando i piedi pestano il grigio dell'asfalto, gli occhi seguono il nero delle gomme marchiate sull'asfalto, scruto con attenzione quelle strisciate fino a scorgere un tir in mezzo alla provinciale.

«Damon, no!», lo sguardo si sposta su di lei. Kam è alle sue spalle, lei in ginocchio a terra grida il mio nome al vento, a un cielo nero colorato solo dalle sfumature di una mezza luna. Le mani fra i capelli, li strattona come a volerseli strappare. I piedi camminano da soli, li trascino piegandomi sul lato del fianco che non mi duole.

«A-Al», sibilo battendo i denti.

Kam si volta, lo sguardo vitreo, Al imita il suo stesso gesto e si muove lentamente, come se avesse timore di voltarsi verso di me, verso la mia voce.

«Piccola...», aggiungo facendo un altro passo contro i suoi occhi azzurri colmi di lacrime, le guance rigate solcano il suo volto spaventato. Si solleva a stento dal manto stradale, inclina la testa verso di me.

«D-Dam...», biascica battendo più volte le palpebre. «Damon», ripete buttandomi le braccia al collo.

«Piano, piano...», dico trattenendo il respiro. Il tizio del camion scende dal lato guida. «Dobbiamo tagliare la corda», esclamo dando un'occhiata a Kam che annuisce.

«Dobbiamo portarti all'ospedale. Sei ferito?», le sue piccole mani scaldano la mia pelle mentre mi sorregge il viso per scrutarmi con attenzione.

«Sono solo ammaccato, niente ospedali», sentenzio, poggiandomi a lei per raggiungere l'auto di Kam ancora in mezzo alla strada. Allyson apre la portiera per farmi sedere e solo in quell'istante noto le mani tremarle insieme alle labbra. Kam mette in moto e parte dando gas, una nuvola di fumo bianco si solleva in aria. «La tua macchina. Risaliranno a te», dice guardando ora me, ora la strada di fronte a lui.

«Non era intestata a me...», sussurro guardando Allyson al mio fianco sul sedile posteriore. Ci separa un respiro, sento la sua rabbia montarle addosso malgrado il silenzio. La conosco come lei conosce me. Sapeva che le stavo mentendo come io sapevo che, come al suo solito, non mi avrebbe dato ascolto, ma ero certo che non avrebbe potuto trovarmi.

«Cosa vuoi dire?», chiede con le braccia incrociate al petto mentre continua a tirare su col naso. Detesto vederla così per causa mia. Volevo solo tenerla lontana da quella gente.

«Da quando combatto, per ogni evenienza, ho intestato la macchina a un nome inesistente. Non potevo rischiarare che se arrivassero gli sbirri, potessero risalire a me dalla macchina», spiego con la vergogna di un'altra parte di me fatta di segreti e bugie.

«Ma... ma chi sei?», gli occhi ridotti a due fessure puntati addosso bruciano, riescono a mangiarmi tutti i miei pensieri, provocando una fitta al petto. Quello sguardo era da troppo tempo che non lo vedevo sul suo volto. Allungo la mano per incontrare la sua che ritrae, stringendosi sempre di più nelle spalle.

«Per piacere», la supplico.

«Mi hai mentito. Ancora una volta, Dam, e per cosa? Un incontro al Masters? Scherziamo? Sei tornato da Jack?», parla a raffica quasi senza respirare, gesticola animatamente, gli occhi spiritati, la frustrazione e la delusione si mescolano alle parole che traboccano senza sosta, come un fiume che ha deciso di rompere gli argini e travolgermi.

«Non si tratta di Jack e non te l'ho detto...», gemo dal dolore, mi piego appena in avanti, le sue mani sono subito sulla schiena.

«Dam, cosa succede?», domanda allarmata.

«Credo di essermi incrinato qualche costola», lo so perché mi era già capitato in un incontro anni prima.

«Dobbiamo andare all'ospedale, allora», insiste imperterrita. Scuoto il capo in senso di diniego, cercando di respirare piano per evitare quelle fitte lancinanti.

«Devo solo mettere una fascia e stare a riposo», spiego incontrando i suoi occhi velati ancora dalla paura. «Non ti ho mentito per ferirti», confesso.

«Ma l'hai fatto comunque...», mormora. «Mi hai ferito, Dam. Mentre mi portavi a casa, dopo la nostra giornata insieme, ho sperato che mi dicessi la verità ma non l'hai fatto. I tuoi occhi non sono più un segreto per me, ora riesco a guardarti dentro, ti vedo dove tu non hai ancora imparato a guardarti».

Ho sempre voluto che guardasse dentro di me per capire chi fossi. Anche se lei lo aveva sempre fatto sin dal nostro primo incontro. I suoi occhi erano diversi, osservavano curiosi i miei tatuaggi e la sua testa faceva troppe domande. Ora, invece, ha tra le mani quasi tutte le risposte della mia vita. Non avere il controllo mi destabilizza ancora perché è l'unica cosa che mi rende vulnerabile, come se camminassi su un filo sospeso nel vuoto.

«Ho mandato un messaggio a Kam quando ancora ero in auto con te. Ho fatto solo finta di entrare in casa, in realtà è arrivato lui e ti abbiamo seguito», aggiunge.

Schiocco la mascella che si contrae.

«Non te l'ho detto per proteggerti», provo a dire.

«Ah, sì, e da chi? Sentiamo...», risponde sarcastica digrignando i denti dalla rabbia.

«Da persone che mi hanno fatto un favore e ora gliene devo uno io. Ti ho spiegato di Sebastian. Sono stato sincero su tutto. Non voglio semplicemente metterti in pericolo, è così difficile da capire, cazzo?», tuono serrando le mani in due pugni lungo le ginocchia. Inizio a sentire tutti i dolori avvolgere come una coperta il mio corpo.

«Sai cosa è difficile capire, Damon? Se mai mi potrò fidare di te!», mi volto in uno scatto e leggo il pentimento di quelle parole dipingerle il volto. Scuoto la testa quasi ridendo con l'amaro che brucia la mia gola. «Io... io volevo».

Sollevo la mano verso di lei.

«Ho capito, non aggiungere altro».

Sprofondo sul sedile di pelle marrone, le luci della città si stagliano di fronte a noi, illuminando a giorno tutto ciò che ci passa a fianco, mentre mi perdo nelle sue parole che mi ronzano ancora in testa, mi rotolano in fondo all'anima e restano lì a galleggiare e a tormentarmi.

«Ti porto alla confraternita?», chiede Kam che per tutto il viaggio ha fatto finta di non esserci, mentre per l'ennesima volta il mio tentativo di essere una persona migliore per lei è andato a puttane. Forse è vero che non si può cambiare. Quando qualcosa inizia a marcire dentro di te, non la puoi fermare, continua a prendersi ogni cosa, anche se lotti per evitarlo. L'auto si ferma di fronte all'enorme casa.

«Grazie, Kam».

Lui abbozza un sorriso imbarazzato. Apro la portiera, poi faccio leva su di essa ed esco fuori dalla macchina. Chiudo lo sportello e subito dopo sento lo stesso rumore, mi volto, solo l'auto di Kam ci separa azzerando le distanze tra noi come riparte.

«Perché non sei andata via con lui?», dico zoppicando, la supero e mi dirigo sotto il portico d'ingresso.

«Perché hai bisogno di me».

La prendo per le spalle, affondando le dita contro il tessuto che la ricopre.

«Non ho bisogno che lo fai per pietà. Al, sei stata abbastanza chiara poco fa e non ti biasimo. So che sto continuando a creare casini che avevo promesso a entrambi che sarebbero stati soltanto un lontano ricordo. Ma devo inchiodare Sebastian, deve pagare per tutto e non ti posso promettere che mi fermerò, perché questo non accadrà mai finché non sarà dietro alle sbarre», tuono, con l'immagine degli occhi socchiusi di Cindy che occupa la mia mente. L'ultimo ricordo che ho di lei è talmente devastante da strapparmi il cuore dal petto.

«Non volevo dire le cose... le cose che ho detto. Ero spaventata. Ho visto la tua auto trascinata e schiacciata da quel camion...», Una lacrima scivola sulla guancia, poso le mie labbra a raccoglierla e il suo sapore salato si sprigiona sulla mia bocca con la quale indugio contro di lei. «Credevo fossi lì dentro... credevo di averti perso. Dannazione, Damon!», pesta i pugni contro il mio petto e la lascio fare finché il ritmo rallenta e le sue mani afferrano la mia maglia in due pugni. Il volto si solleva verso di me. «Devi dirmi perché eri lì», ordina.

Annuisco senza proferire parola, apro la porta e la conduco dentro afferrando la sua mano che stringo nella mia. «Dovresti avvisare tuo padre che sei da me», le ricordo mentre saliamo le scale, la casa è immersa nel silenzio.

Entriamo nella mia camera, guardo i jeans strappati, la maglia logora mentre la sento rassicurare il padre al telefono.

«Ti saluta», dice in un sussurro non appena chiude.

«Ho promesso anche a lui che mi sarei preso cura di te», confesso dandole le spalle, poi mi siedo sul letto che cigola sotto il mio peso.

«Perché eri lì?».

Mi volto, è in piedi vicino alla finestra, gli occhi scivolano sui suoi indumenti logori quasi quanto i miei.

«Abbiamo bisogno di una doccia».

Si guarda addosso.

«Non cambiare argomento», protesta.

«Abbiamo tutta la notte per parlare, una doccia non ce lo impedirà», la incalzo allungando la mano verso di lei.

«Che c'è?», chiede con un'alzata di spalle.

«Beh... dovresti aiutarmi», dico soffocando una risata non appena le sue guance avvampano di vergogna.

«I-io... io non credo che... Dam... Ehm».

Scoppio a ridere.

«Non ci credo, dopo tutto ciò che abbiamo passato ti vergogni di me?», mette il broncio indispettita.

«Non pensi che sia un tantino diverso discutere dei tuoi casini dal ritrovarmi nuda di fronte a te?», biascica timidamente fissando il pavimento della stanza.

La sua dolcezza mista alla sua ingenuità mi rapiscono, fatico a trattenermi, mi mordo il labbro e il desiderio di assaporare quel lato di lei si propaga come un fuoco dentro di me.

«Puoi farla vestita, però resta il fatto che mi devi aiutare», indico il mio corpo malconcio.

Al solleva gli occhi al cielo avvicinandosi.

«Dove sono gli asciugamani?».

Con un cenno del mento indico l'armadio nella parete. La fisso muoversi nella mia camera, seguo come le sue mani aprono le ante, il corpo che si piega in avanti alla ricerca di ciò che ci serve. Non ho mai perso la testa in questo modo per nessuna. È come rendersi conto di respirare per la prima volta, guardare colori che compaiono nel grigio dei tuoi giorni. Sarei potuto morire... tremo. Per la prima volta in vita mia ho avuto paura ed è stato differente da quando sono svenuto per l'overdose. In quel momento ero nell'oblio della mia vita contorta, ora sarei stato strappato a tutto quello che sto cercando di ricostruire.

«Devo prenderti altro?», chiede Al con in mano due asciugamani, facendomi trasalire dai pensieri. Scuoto la testa, mi alzo con un grugnito di dolore. Mi segue nel corridoio della Kappa Sigma mentre tutti dormono ignari di cosa sia accaduto. Apro la porta del bagno lasciandole il passo. Come entriamo, la chiudo a chiave alle nostre spalle.

«D-dove... dove li metto?», chiede nervosa, così glieli prendo di mano posandoli sul ripiano in marmo del bagno.

«Lo sai che non ti farei mai niente che tu non volessi?», chiedo incatenando il suo sguardo imbarazzato al mio che la desidera. Non conosci un simile desiderio finché non ti ritrovi a esserne schiavo.

Mi spoglio sotto il suo sguardo, la bocca viene torturata dai suoi denti che la mordono, la trattengono in una morsa e credo quasi di impazzire di fronte a quella visione. Afferro i lembi della maglia e mi blocco, non riuscendo quasi a muovermi per il dolore.

«Ti aiuto», dichiara tirandomela via dalla testa. Ci fissiamo, occhi negli occhi, le mani che delicatamente toccano il bordo della sua maglia, la sollevo appena senza staccarmi dal suo sguardo. Abbozzo una smorfia di dolore mentre mi muovo. Sento le sue mani posarsi sulle mie, la maglia le copre appena il volto mentre la tira via e la chioma dei suoi capelli si libera ricadendole sulle spalle nude. Si copre d'impulso abbracciando il suo petto. La pelle candida è in netto contrasto con la mia, la mano accarezza la sua spalla fino a raggiungere le sue mani intrecciate.

«Non hai bisogno di coprirti. Sei perfetta».

La voce roca esce quasi a fatica, mentre un turbinio di emozioni si impossessa di me. Allungo le mani dietro la sua schiena e slaccio il reggiseno che cade a terra, lasciando ai miei occhi la visione delle sue forme tonde e sode; slaccio anche i jeans, che lenti scivolano sulle sue cosce, che stringe a contatto con i miei polpastrelli che la sfiorano venerandola. Mi sporgo verso il box, apro l'acqua calda della doccia e il vapore incomincia a saturare l'aria circostante, infilo le dita nei bordi dei suoi slip, la sento sussultare, mi protendo verso il suo orecchio.

«È solo una doccia, piccola», la rassicuro posandole un bacio sulla tempia. La desidero, ma non farei mai qualcosa che non voglia anche lei. Scivolo verso il basso, i suoi piedi si sollevano dal pavimento liberandosi dall'ultimo pezzo di tessuto che la avvolgeva. Sfilo i boxer trattenendo il fiato per il costato che mi mozza il respiro a ogni movimento, li calcio in un angolo del bagno, il suo viso è rivolto verso la doccia, i vetri appannati iniziano a far scivolare rivoli d'acqua lungo il vetro temperato.

«Vieni», la prendo per mano conducendola sotto il fiotto d'acqua che ci investe. I cappelli si bagnano aderendo alla sua pelle. Sorrido di fronte al suo viso angelico che accarezzo con il semplice gesto delle dita che si mischiano all'acqua. Chiude gli occhi mossa dal mio tocco, le mani premono sui suoi fianchi mentre mi sporgo verso il suo volto; le sfioro la bocca che morbida si schiude senza esitazione, esploro il suo essere facendomi inghiottire dalla sua purezza che si mescola alla parte più dannata di me.

Non dimentico ciò che ero, perché mi ha portato a essere ciò che sono. La testa si piega dalla parte opposta alla mia. Ci smarriamo insieme in quel bacio fatto di piccoli pezzi di noi che ci appartengono, sono sempre lì sospesi e si incastrano alla perfezione solo quando stiamo insieme. Perché due anime come le nostre non possono conoscere distanze che le separino.

«Al...», mugolo contro la sua bocca, piccole gocce di acqua scorrono sui nostri corpi nudi. Inclina il capo, invitandomi ad assaporare ogni centimetro di lei. Le solletico il collo, mordo appena la spalla e piccoli baci seguono le linee sinuose del suo corpo perfetto. Le mani che scivolano sulle sue curve plasmandole sotto al mio tocco, si soffermano, giocano sentendo i suoi respiri mozzarsi in gola mentre scoprono un nuovo universo. La sento sussultare quando sfioro delicatamente la sua parte più intima, con uno scatto all'indietro preme la schiena contro le piastrelle mugolando qualcosa di incomprensibile. Premo le mani sui suoi fianchi che prendono a muoversi da soli contro il mio volto, si dimenano e io sprofondo in lei, smarrendomi nel suo nuovo sapore che si sprigiona nella mia bocca.

«Sai di buono, piccola», gemo aggrappandomi a lei e il paradiso mi sfiora la schiena, coprendomi di brividi che si propagano in tutto il corpo.

«Mia», grugnisco succhiando forte.

Le sue mani affondano nei miei capelli, strattonandoli.

«D-Dam...», geme.

«Cosa, piccola, cosa vuoi? Dimmelo».

Continuo a torturarla con altri baci che la marchiano dove nessuno l'ha mai toccata.

«Te... voglio te, solo te», mugola contorcendosi sulla mia lingua.

Sollevo gli occhi per non perdermi una sola espressione del suo volto, sentendo il suo corpo fremere sotto il mio tocco. È bellissima, ansima, la bocca semi aperta e gli occhi chiusi. Voglio immortalare questo attimo mentre per la prima volta scopre il suo corpo, le unghie mi affondano sulle spalle e come un urlo di liberazione pronuncia il mio nome, scandendone con dolcezza ogni lettera.

«Damon...», esplode sulle sue labbra portandomi quasi al limite.

Quando raggiungo il suo viso, mi soffermo a guardare quanto tutto ciò l'abbia resa ancora più bella di quanto già non lo sia. Le lascio il tempo di tornare dall'oblio in cui l'ho accompagnata per la prima volta.

I suoi occhi scivolano via dai mie. Con due dita sotto il mento la obbligo a guardarmi.

«È tutto quello che credo di aver aspettato per una vita intera», confesso più a me stesso che a lei.

Ti ho aspettata senza sapere che esistevi, ma io ti ho aspettata nei miei giorni bui, non sapendo che le ali di un angelo mi avrebbero strappato dal mio inferno.

Ti ho aspettato e non lo sapevo.

«Cosa... cosa vuoi dire?», balbetta timidamente, prendo la spugna e la insapono con gesti circolari.

«Questo, Al... noi. Io non ho mai fatto nulla del genere con nessuna ragazza», spiego fissando la schiuma che copre la sua pelle, la pelle che le mie mani hanno toccato, baciato e che l'hanno sentita fremere sotto di me. Mia. Ripeto a me stesso con qualcosa di nuovo e puro che si annida dentro di me.

«N-non... non prendermi in giro, Damon», si rabbuia strappandomi dalle mani la spugna.

«Al...», tento di dire.

«Posso finire di lavarmi da sola?», sbatto il palmo della mano contro le piastrelle facendola sussultare.

«Cazzo, no, non puoi», deglutisco a fatica. «Possibile che ancora non lo hai capito? Più di dirti che ti amo, che nella mia vita c'è posto solo per te non so proprio che altro fare», espiro gettando fuori tutta l'aria che ho nel petto.

«Mi sono... mi sono sentita stupida... Io...», trattiene le labbra in una linea dritta.

«Perché non hai avuto altre esperienze? È questo che intendi?», annuisce.

«Allora siamo in due», prendo le sue mani posandole contro il mio petto. «Lo senti? Sei tu che lo fai correre così. Sei tu che riesci a incasinarmi la testa. Sei solo tu che sai leggermi dentro. Posso aver avuto altre ragazze, ma ti giuro su ciò che vuoi che era solo sesso. Tu per me sei diversa... Al, tu mi hai salvato da me stesso», la stringo a me e lei non oppone resistenza, accoccolandosi tra le mie braccia.

«Ho solo paura», ammette.

«Anche io», bacio la sua fronte.

Ho una paura fottuta di perdere tutto questo. Non potrei vivere senza di lei. Il suo profumo non inebria solo le mie narici, ossigena i miei polmoni. I suoi baci nutrono il mio corpo, la sento scorrere dentro di me, ormai lo so che dipendo da questa ragazza dagli occhi grigio-azzurri e il viso d'angelo che ha trovato la chiave del cuore di un Demone.

«Ora finiamo di lavarci, credo di non resistere più a starti così vicino senza uno strato di tessuto che ci separi», esclamo ridendo.

«Chi... chi dice che devi resistere...», ammicca con le guance rosse per aver avuto tanto coraggio nel pronunciare quelle parole.

La scruto da capo a piedi, famelico di possederla. Scaccio dalla testa ogni pensiero.

«Voglio che quel momento sia perfetto, quando arriverà», soffio contro la sua bocca.

«Ora non lo è?», chiede con la voce che trema.

«No, oggi non lo è. Voglio che siamo finalmente liberi da tutti i casini. Non devo preoccuparmi di altro che di te... allora e solo allora sarà perfetto. Credimi, Allyson Evans, sto facendo appello a tutto il mio autocontrollo...», strofino il pollice contro le sue labbra, mentre con la lingua inumidisco le mie, «per non sollevarti di peso e possederti in questo preciso istante», mormoro con voce roca. Torniamo in camera, avvolti dagli asciugamani e ci stendiamo sul letto esausti.

«Come vanno le costole?», domanda sfiorandomi appena con l'indice.

«Devo solo stare a riposo, anche se fare quei numeri nella doccia non mi ha giovato», le scocco un'occhiata scherzosa. Per tutta risposta prende il cuscino e se lo preme contro il viso.

«Ti odio, Damon Sanders», bofonchia.

«Qualche minuto fa non mi sembrava proprio», le bacio la spalla nuda. Il cuscino arriva dritto contro la mia faccia. «Va bene, va bene, me lo sono meritato», sollevo le mani in segno di resa. «Un tir che stava quasi per investirmi per stasera credo che basti», le sue sopracciglia si inarcano mostrando due linee dritte sulla fronte corrugata. «Immagino tu voglia sapere perché ero al Masters, giusto?».

Si mette a sedere sul letto.

«Immagino sia il minimo dopo esserti approfittato di me», sorride maliziosa.

«Direi che è più che giusto, ma a una condizione, solo se potrò continuare ad approfittarne», propongo intrecciando le mani sul ventre mentre fisso il soffitto, trattenendo una risata.

«Vediamo...», di sottecchi la vedo battere l'indice contro il mento. Adoro quando lo fa. «Diciamo che si può fare...», commenta con finto disinteresse.

«Può andare? Stai scherzando, Evans? Credevo di doverti imbavagliare per attutire le tue grida», mi copro il volto in attesa di una sua reazione.

«Comportati bene, Sanders, perché da adesso in poi so come minacciarti», mi fa notare e scosto due dita dagli occhi per guardarla. Mi piace come tutta la tensione si sia sciolta tra noi, non esistono barriere che ci limitino o che ci separino.

«Non sei seria, vero?», chiedo mettendo in scena la faccia da cucciolo abbandonato.

«Serissima, attento a te», ribatte sicura di sé. «Ora, però, basta segreti», aggiunge.

Le racconto di Jeremy, del losco giro di incontri che ha e del fatto che lui stesso era presente la sera dell'incidente di Arleen. Le dico che Alec ci aveva venduti boicottando l'incontro che avevamo proprio contro di lui, nel quale era stato messo nero su bianco che dovevamo perdere.

«A volte succede che ci siano incontri truccati dagli organizzatori stessi per restituire favori o farne di nuovi», le spiego, i suoi occhi mi scrutano con attenzione in attesa di ogni sillaba che pronuncio. Continuo a confessarle di aver incontrato Jeremy pochi giorni dopo esser stato dimesso dalla clinica. «Lui ha scoperto che Alec ci aveva venduti, sapeva che l'aveva fatto contro un nuovo tizio che si stava immettendo nel giro. Non ne era affatto felice. Conosco quelle persone e credimi che non si fanno scrupoli a tagliare fuori una persona. Mi sono offerto di pensarci io ad Alec. Sapevo che non poteva rinunciare alla mia offerta...».

Sospira mentre si porta le ginocchia al petto.

«Non dirmi che è quello che penso?», mi implora.

«Solo due incontri», ammetto senza esitare.

«Perché?», chiede non comprendendo.

«Perché malgrado odi Alec con ogni fibra del mio essere, non vorrei mai che facesse una brutta fine. Anche se poi, quando ho saputo di Sebastian, ho pensato anche che avrebbe potuto tornarmi utile», la mascella schiocca mentre ripenso alla conversazione che abbiamo avuto.

«L'hai fatto per salvare il culo ad Alec dopo tutto quello che ti ha fatto?».

Annuisco senza sapere neppure io cosa aggiungere. È vero, Alec mi ha tradito e mia sorella ha rischiato la vita a causa sua, ma non sono un animale o, per lo meno, non lo sono più.

«Damon, perché mi hai tenuta all'oscuro, io ti avrei...», tenta di dire con lo sguardo sulla spugna dell'asciugamano.

«Capito? Non è vero, Al, e poi non è questo il punto. Loro non devono conoscere la mia più grande debolezza o non ne uscirò più», le spiego, con i brividi che mi percorrono la schiena mentre la vedo in piedi ai lati della gabbia.

«Cosa vuoi dire?», aggrotta la fronte confusa.

«Sanno che non ho nulla da perdere e che non ho paura, ma non è vero, un tempo forse era così. Ma ora ho te e se lo sapessero, saprebbero anche come ricattarmi e io non potrei sottrarmi, Al. Preferirei morire che saperti in pericolo a causa mia».

Le sue mani afferrano le mie.

«Scusa, è colpa mia, sono stata un'idiota. È tutta colpa mia», dice stringendo forte le sue dita attorno alle mie.

«Va tutto bene, siamo qui insieme ora ed è questa l'unica cosa che conta veramente».

La tiro a me e il mio corpo si adatta al suo come una seconda pelle, perché noi ci incastriamo, uniti dal filo invisibile che continua a tenerci insieme. Il suo respiro si regolarizza quando la cingo in vita, sprofondando con il viso nell'incavo del suo collo e cullato dal profumo del suo corpo, lascio che questo giorno finisca.

La porta cigola nell'aprirsi e sbatto le palpebre cercando di capire che ore sono. Al dorme pacifica al mio fianco, mi volto in uno scatto e vedo Arnold sulla soglia che osserva la scena disorientato; lo fulmino con lo sguardo e facendole scudo col mio corpo, gli vieto di indugiare oltre.

«Che cazzo vuoi?», mimo con la bocca. Mi fa cenno di uscire, così sgattaiolo fuori con addosso ancora l'asciugamano, voltandomi ancora una volta verso di lei, i capelli sparsi a ventaglio sul cuscino. Chiudo la porta alle mie spalle. «Non si usa più bussare?», ringhio.

«Scusa, non sapevo avessi visite», solleva le mani in segno di resa e sono quasi tentato di pestargli il muso.

«Non è una visita, è la mia ragazza», scandisco.

«Comunque ti cercano. Ti ho chiamato per questo», dice scomparendo lungo le scale verso il salotto. Lo seguo e raggiungo il portone ancora spalancato. Quando mi affaccio, le mani si serrano in due pugni.

«Che cazzo ci fai qui?», sbraito, dimenticandomi che al piano superiore, nel mio letto, c'è lei che dorme.

«Dobbiamo parlare!», pronuncia d'un fiato, gli occhi che mi scrutano con attenzione, nei quali lampeggia qualcosa che non riesco a capire.

«Non abbiamo niente da dirci, credo che ci siamo detti già tutto», ricordo nauseato dal vorticare disconnesso dei ricordi del passato.

«È qui che ti sbagli, Damon...», ribatte e il suono della sua voceartiglia la mia schiena in uno schiocco di dita.

SPAZIO XOXO

Chi è alla porta, ma soprattutto cosa dovrà dirgli?

Voi vi siete fatte un'idea?

si accettano scommesse...

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