Capitolo 13 Allyson
Affrontiamo scalate, ripide salite, solo
per vedere il panorama della nostra vita.
Le sue labbra così morbide, il suo sapore che la memoria non potrebbe mai cancellare anche se volesse e le mani che mi tengono stretta a lui da farmi quasi perdere il terreno sotto i piedi. Riesce ancora a travolgermi, è qui di fronte a me dopo avermi lasciata senza fiato e finalmente riesco a riflettermi nel verde dei suoi occhi che brillano come giade al sole.
«Dam... io... io non so cosa dire», mi stringo nelle spalle dopo la sua supplica: un'altra possibilità? Ho perso ormai il conto di quante volte gli ho aperto il mio cuore, me lo sono fatta ridurre in un milione di pezzi e, come coriandoli di carta lasciati al destino del vento, mi sono chinata a raccoglierne ogni pezzo.
«Dimmi di sì», implora cercando la mia mano; mi irrigidisco quando chiude gli occhi e la sua bocca si posa leggera come una piuma baciando ogni nocca. Un tuffo al cuore mi mozza il fiato, seguito da brividi che tornano ad accarezzare il mio corpo, plasmato dal suo tocco come se fossi creta fra le sue mani. Lo sai che cosa scateni in me.
Lo sai che le tue parole sono le carezze che ho sempre desiderato e che il tuo tocco brucia su di me come se fosse fuoco. Lo sai che nel tuo sguardo potrei morirci, ora. Lo sai e lo so anche io, ma non posso.
Faccio un passo indietro sbattendo contro la parete alle mie spalle. Scuoto la testa più volte, senza ascoltare il mio cuore che grida contro la mia anima; un cuore che è sempre stato suo. Fin dal primo giorno che ci siamo visti, io gli appartenevo senza saperlo, è questa la verità.
«Non posso, mi dispiace», pronuncio tutto d'un fiato deglutendo a fatica.
Il palmo della sua mano si poggia contro il muro al fianco del mio volto.
«Guardami, Al, dimmelo guardandomi negli occhi», mormora con la voce che trema come il resto del mio corpo, troppo vicino al suo profumo che riesce a ubriacarmi di lui.
«Lo sai, lo sai che non posso. Damon, non puoi farmi questo. Non un'altra volta», lo scongiuro tenendo gli occhi puntati contro il suo petto che vedo sollevarsi sempre più rapidamente, il respiro mi colpisce in pieno volto. Si avvicina poggiando la fronte sulla sua stessa mano che chiude in un pugno. Lo scruto di sottecchi, gli occhi stretti, le narici dilatate. Non ci sono urla né colpi che mi facciano sobbalzare, solo il suo respiro irregolare che riesce a ferirmi come se mi stesse graffiando dalla disperazione.
«Non ti lascerò andare, mai, Allyson. Sappilo», si solleva, gli occhi sono rossi anche se non ha versato una sola lacrima; mi dà un bacio sulla fronte mentre con la mano indugia a sorreggermi il viso. «Noi ci ritroveremo sempre. Se dovesse servire un'altra vita per dimostrarti quanto sono pazzo di te, morirei in questo istante. Notte, Al», dice voltandosi e fendendo la folla fino a scomparire dal mio campo visivo.
«Tutto bene?».
Sussulto, mi volto verso Kam.
«Hai visto e sentito?», chiedo. Non ho mai parlato a lui di Damon, forse per il solo timore di essere giudicata. L'amore ti spinge a dimenticarti di te stessa, a perderti in quel turbinio di emozioni che possono farti sentire viva come non lo sei mai stata. Ma possono farti sentire anche solo un involucro vuoto, smarrita e alla ricerca della vita che ti è sfuggita di mano una volta di troppo.
«Ho sentito quel tanto che bastava. Ma è il tuo sguardo che non capisco», esclama poggiando la sua spalla contro la parete con la quale ormai sembro essere diventata una cosa sola.
«Cosa vuoi dire?», chiedo in attesa di una ramanzina.
«Lo hai lasciato andare anche se lo desideri con tutta te stessa».
Sorrido amaramente contro le sue parole... lo specchio della verità.
«Non possiamo avere sempre ciò che vogliamo. A volte incontri la tua metà perfetta nel momento sbagliato e in una vita che non puoi vivere al suo fianco», gli spiego voltandomi verso il mio amico che pensieroso si sfrega il mento.
«Ti ho detto di Chaise. Per lui ho fatto le peggiori cazzate, fino a perderlo. Ma ora sto cercando di rimettere insieme i pezzi...», mi mordo il labbro. So che anche lui è stato una testa calda e in parte lo è tutt'ora. Se in giro c'è una rissa, Kam non è di certo quello che la va a sedare, è colui che si fionda nel mezzo. Forse è proprio questo lato di lui, che mi faceva in parte ricordare Damon, ad averci uniti fin da subito.
«È diverso», sibilo.
«E sentiamo. Perché lo sarebbe?».
Fisso il pavimento ricoperto dalla moquette di un beige scolorito.
«Perché io sono andata oltre le cazzate, credimi», scivolo fino a sedermi a terra, la testa è tempestata di flashback in cui il dolore sovrasta la gioia di ciò che ci siamo lasciati alle spalle.
Kam si allontana un attimo, lo seguo confusa con lo sguardo per poi vederlo tornare poco dopo con in mano una bottiglia di whisky.
«Tieni», dice quasi gettandomela tra le mani.
«Non ho voglia di annegare i miei problemi nell'alcol», sentenzio sbattendogli la stessa bottiglia contro il petto muscoloso, dopo essersi seduto al mio fianco.
«Infatti, non annegherai nulla», spiega.
Aggrotto la fronte.
«E quindi vuoi semplicemente che mi ubriachi?», incalzo inarcando le sopracciglia.
«Tu bevi, poi vediamo cosa farai», dice restituendomi la bottiglia. «Siamo a una festa e alle feste si viene per divertirsi. Tu non ti stai divertendo e io da buon amico ti sto offrendo un biglietto per un giro sulla giostra». I suoi grandi occhi, del colore del ghiaccio, stanno stuzzicando la mia pazienza.
«Perché mi hai detto: bevi e poi vediamo?», domando svitando il tappo ancora sigillato. L'odore raggiunge subito le mie narici strappandomi un colpo di tosse.
«Così, giusto per dire qualcosa. Dai, butta giù», incalza sollevando il fondo della bottiglia.
Non so cosa abbia in mente, ma ha ragione; siamo a una dannata festa e, dato che il mio umore è più nero della notte stessa, forse bere un goccetto mi darà la giusta carica per dimenticare il suo sapore che ancora sento sulle labbra. Al solo pensiero il corpo freme. Ne butto giù un gran sorso. La gola mi va in fiamme e quando sposto la bottiglia sono completamente in apnea.
«Per la miseria...», esclamo pulendomi le labbra ancora umide con il dorso della mano, mentre Kam ride strappandomela per tracannarne anche lui un bel sorso.
«All'amicizia», esorta restituendomela.
«Al presente», rispondo io buttandone giù un altro sorso che mi infiamma il petto. «Accidenti a te, Kam, non potevi scegliere qualcos'altro?», chiedo a fatica.
«Credimi, baby, non c'è niente di meglio del whisky», risponde sicuro.
«Chaise?», chiedo.
Scuote il capo ridendo.
«Mi ha mandato un messaggio che non poteva venire, aveva da studiare... balle», sibila digrignando i denti mentre dà due belle sorsate.
«Ehi, tocca a me», gliela strappo dalle mani e la porto sicura alla bocca. Lascio che il liquido ambrato bruci la mia gola, anche se confesso che ora è meno fastidioso. «Agli stronzi come te», esclamo ridendo. «Anzi, come voi», aggiungo riferendomi a Damon, anche se non può sentirmi.
«Forse è stata una pessima idea farti bere», osserva.
«Troppo tardi», rispondo con un risolino che non sembra appartenere alla mia voce.
«Sei sicura?», ripete Kam seduto al mio fianco.
«Mai stata più ceeerta...», rido e un singhiozzo mi sale in gola.
Con la mano mi tappo la bocca.
«Prosegua», dice al tassista.
«Perché tu... sì, dico a te, Kam, non scei... sei, pardon... ubriaco?».
Ride sommessamente.
«Perché io so bere, baby, tu hai ancora molta strada da fare prima di stare al mio passo», spiega mentre il taxi ferma la sua corsa. «Ti accompagno alla porta?», chiede.
Scuoto il capo senza rispondere, perché non so cosa uscirebbe dalla mia bocca in questo momento. Apro lo sportello, metto un piede fuori ma quando faccio per tirarmi su, cado col culo per terra. Il manto gelido del marciapiede congela in uno schiocco di dita le mie natiche.
«Accidenti a te Kam...», biascico.
«Oh, Gesù! Allyson, ti sei fatta male?», domanda, gli occhi mi si riducono a due fessure vedendolo che trattiene a stento un sorriso. Mi aiuta ad alzarmi sporgendosi verso di me. Gli assesto un pugno al petto.
«Sei il peggior amico che potessi trovare», gli faccio notare spingendo l'indice contro i suoi pettorali messi in risalto da una maglietta aderente bianca.
«Domani mi ringrazierai», mi dà un bacio sulla fronte e aspetta che imbocchi il vialetto. I tacchi non aiutano, quindi mi fermo per levarli; barcollo al primo tentativo, rischio di stramazzare a terra al secondo ma alla fine vinco io e incedo trionfante tenendo entrambe le scarpe in una mano.
«Dovrei farti un video», continua Kam alle mie spalle.
«Fottiti», esclamo divertita; con lui mi escono dalla bocca le cose peggiori, per le quali mesi addietro mi sarei scandalizzata. Pesto il pugno sulla porta laccata di legno bianco. Muovo le dita dei piedi sul cemento freddo in attesa che mi aprano.
«Siete vivi?», urlo pestando un'altra volta contro la porta.
«Ehi, calma... chi sei?», chiede un tipo spalancandola con indosso un paio di boxer con motivo scozzese blu e verde.
«Forse dovresti rivedere la tua biancheria», gli faccio notare gesticolando animatamente contro i suoi indumenti e fiondandomi in casa senza chiedere permesso.
«Sanders? Dai, DS, ora ti fai chiamare così, giusto?», urlo biascicando mentre arranco fino alla scala. La luce si accende al piano superiore.
«Conosci questa squinternata?», chiede il ragazzo a Damon che, con indosso solo un paio di boxer neri aderenti e i muscoli tirati del petto, si precipita verso di me. Mi mordo il labbro mentre con lo sguardo non posso fare a meno di indugiare su ogni singolo muscolo che si contrae lungo i suoi passi.
«Questi sono dei boxer», faccio notare al ragazzo alle mie spalle, facendogli la linguaccia.
«Se la chiami un'altra volta così, finirai il semestre su un letto di ospedale», ringhia Damon verso l'amico.
Mi volto arricciando il naso con aria sostenuta.
«Esatto. Ti pastarà... ti pesterà, volevo dire, così tanto che non ti riconoscerà nessuno. Io lo so bene, sai?», incalzo con fierezza sfoderando un sorriso malizioso.
«Cristo, Al, quanto cazzo hai bevuto?», protesta prendendomi la mano e trascinandomi su fino alla sua camera.
«L'alcol è il mio migliore amico», esclamo battendogli la mano sulla schiena, come una pacca fra grandi amici.
«Lo vedo», ammicca chiudendo la porta della sua camera.
Sospiro guardandomi attorno. La stanza è un po' spoglia. Un letto matrimoniale al centro, due comodini ai lati, l'armadio di fronte sulla parete opposta e una scrivania sotto la finestra. Potrebbe quasi sembrare che non ci viva nessuno.
«Come sei arrivata sin qui?», chiede ansioso di sapere.
Mi volto incrociando i suoi occhi.
«Hanno inventato i mezzi pubblici o ti sei dimenticato anche di quelli?», scandisco, fingendo un sorriso.
Si rabbuia, la mascella che si contrae definendo alla perfezione i suoi lineamenti marcati.
«Quindi sei venuta fin qui per discutere?», chiede spalancando le braccia come un invito.
«Forse», sibilo giocando con una ciocca di capelli che intreccio alle dita.
«Fallo allora, Al. Dimmi tutto ciò che devi!», mi incalza con voce roca, che mi investe propagando un calore che parte dai piedi fino a raggiungere le guance che sento avvampare. Gli getto le braccia al collo stampandogli un bacio in bocca.
«Ti detesto con tutta me stessa», sussurro contro le sue labbra carnose.
«Al...», mugola. Con la lingua accarezzo il suo labbro inferiore che subito stringe fra i denti.
«Mi hai fatto passare le pene dell'inferno», aggiungo mentre le mani accarezzano i suoi bicipiti sodi, scendono lungo le braccia fino a intrecciare le mani nelle sue. «Non ti potrò mai perdonare per il male che mi hai fatto», incalzo, premendo le mani sui miei fianchi obbligandolo a stringermi forte.
«Al, devi fermarti...», mormora mentre gli mordo il labbro strattonandolo appena; lo succhio come se volessi risucchiare l'intero universo che ha fatto entrare i nostri due mondi in collisione e lo sento gemere di piacere. «Cazzo, Al...», soffia spingendomi contro il letto. Sobbalziamo insieme sul materasso. Si tiene sui gomiti, il suo corpo a coprire il mio.
«Però ti amo maledettamente e ti odio per questo», dico soffocando quelle parole in un bacio disperato, dove la mia lingua si muove frenetica regalandogli il dolore che ha lasciato nel corso di questi due mesi. Le unghie artigliano la sua schiena che si inarca spingendomi contro i suoi fianchi.
«Ti amo, piccola, non ho mai smesso di farlo neppure per un secondo», soffia con voce leggera ansimando come fosse un'altra delle nostre tante promesse.
Continuo a baciarlo, perdendomi nel suo mondo che sembro non ritrovare. La sua lingua esplora la mia bocca come se fosse la prima volta. Le mani scorrono dalla schiena alla sua testa, strattonando appena i capelli.
«Ti voglio, Damon», lo supplico. Si stacca sollevandosi sulle braccia, i palmi delle mani sprofondano sul materasso, le braccia tese incastrano il mio corpo sotto di lui. «Hai detto che mi vuoi, che mi ami», aggiungo sfidandolo.
«Infatti, ti amo e non ho alcuna intenzione di fare l'amore con te mentre puzzi di whisky, per poi pentirtene non appena sarai sobria».
Si alza con gli occhi che scorrono lungo il mio corpo; sono vestita, ma sotto quello sguardo magnetico è come se fossi completamente nuda. Mi siedo sul letto.
«Dove vai?», protesto mettendomi a rosicchiare l'unghia del pollice.
«A fare una doccia fredda, Al, devo sbollire», scrolla le spalle per poi sparire oltre la porta che richiude dietro di sé.
Sprofondo sul cuscino che avvicino ancora di più al mio volto. Il suo profumo è ossigeno per i miei polmoni. Chiudo gli occhi e malgrado la testa mi giri, riesco a sentirmi in pace con me stessa, sono dove voglio essere... con Damon. Provo a muovermi, ma sono bloccata e mi assale il panico. Apro gli occhi cercando di mettere a fuoco, trovando davanti ai miei occhi una parete bianca al posto della mia scrivania.
Lo sguardo scivola verso il braccio tatuato che mi stringe in vita. La notte precedente attraversa come un lampo la mia mente. Merda, che cazzo ho fatto? Ecco cosa voleva dire quel coglione con "bevi e capirai". Certo, disinibita dall'alcol, dove potevo mai finire se non tra le sue braccia? E adesso? Accidenti a te, Allyson Evans, brontolo contro me stessa, mentre il suo corpo si muove avvinghiandosi ancora di più contro il mio e il cuore rotola nel petto in una discesa dove alla fine sembra non esistere una pianura ad attendermi.
SPAZIO XOXO
E adesso che cosa succederà?
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