Capitolo 12 Damon
Ci soffermiamo a guardare il mondo ma non a osservarlo.
Vado sul retro del capannone, seguito da Arnold che mi infila fra le mani la mia parte.
«Non ti smentisci mai», commenta divertito mentre si accende una sigaretta e me ne offre una. Con un cenno della testa declino l'offerta.
«A quanto pare», rispondo, ma i miei occhi continuano a vedere quella mano cingerle la vita. Mi ha chiamato "vecchio amico", non posso ancora crederci. Se c'è stato qualcosa tra noi, non era di certo amicizia.
«Problemi?», chiede Arnold osservandomi mentre, assorto nei pensieri, mi rivesto infilandomi la felpa dalla testa.
«Nessuno», sibilo. Scrollo le spalle indifferente anche se sento l'aria che mi viene strappata via. Avrei potuto dirle molte, troppe cose, ma non ne ho avuto il coraggio, è questa la verità. Cosa mi sarei dovuto aspettare? Che mi aspettasse? Per egoismo, sì, ma solo ora che sono riuscito a guardare dentro di me, mi rendo conto che lei mi ha sempre aspettato. Ha accettato ogni mia cazzata, ogni cattiveria e si è spinta oltre ogni limite possibile per un'anima malata come la mia, mentre io ero troppo occupato a renderle la vita impossibile.
Non torno sui miei passi. Vedere quel sorriso sul suo volto è la prova che lei ora sta bene senza di me. Certo, era sorpresa di vedermi qui, penserà che sono il solito coglione a cui piace ficcarsi ancora nei guai, ma non sa che l'unico casino che sarei disposto a fare è quello di piombare nuovamente nella sua vita.
Esco nel parcheggio sul retro tallonato da Arnold mentre fendo la folla ancora gremita fuori. Mi avvio verso la sua auto e noto il ragazzo di Allyson che parla con un tizio.
«Cosa mi sai dire su quel tipo?», chiedo con un cenno del mento nella sua direzione.
«Kam Hanzel» risponde con noncuranza lasciando sbuffi di fumo disperdersi nella fredda aria della notte.
«Tutto qui? E l'altro chi è?», lo incalzo. Non mi piace il modo in cui è appartato con quel tizio, se c'è una cosa che non serve ad Allyson è di incappare in un altro coglione come me.
«È della Delta Sigma Iota e l'altro tizio è il suo ex ragazzo», mi blocco sul ciglio del marciapiede.
«Come, scusa?».
Arnold si volta mentre caccia le mani in tasca alla ricerca delle chiavi.
«Sì, il suo ex ragazzo. Sono stati insieme per...», cerca di raccontarmi la storia della sua vita ma a me non interessa questo.
«È gay?», continuo sbigottito. «Non esce con la bionda?», faccio finta di non conoscerla.
«Scherzi? Kam è un tipo in gamba, ma di certo non gli piacciono le donne».
Porca puttana. Ho frainteso tutto, sono solo amici... ma... ma perché lei allora non ha detto niente? Stringo gli occhi. Ha pensato che non fossi tornato a cercarla. È questo che ha creduto quando mi ha visto combattere. Che cazzo di casino.
«Andiamo a quella festa, allora, domani?», esclamo dal nulla salendo in auto.
«A quella della Delta Sigma alla quale non volevi categoricamente venire?».
Faccio spallucce, sfilandogli il pacchetto di sigarette dalla tasca del bomber. Ho proprio bisogno di fumare, anche un bicchierino non ci starebbe male, ma ho chiuso anche con quella merda. Fisso la fiammella che poco dopo fa diventare di un rosso vivo l'estremità della sigaretta.
«Ho cambiato idea. Problemi?», dico dopo aver sbuffato il fumo fuori in piccoli cerchi.
«Ti interessa Kam? Perché, amico, per me non ci sono problemi ma lui è talmente preso dal suo ex che...».
Scoppio a ridere e per poco non mi strozzo con la saliva.
«Tranquillo, Arnold, non ho nulla in contrario sulla vita sessuale di Kam. Ma amo ancora le forme sinuose di un bel corpo femminile».
Sorride innestando la marcia mentre usciamo dal parcheggio e i miei occhi la vedono con Jenna e Cristal; il mio cuore ha perso troppi battiti stasera, mi è costato anche un sonoro pugno sul volto, ma per la sua visione lo rifarei. Tu hai questo potere e non lo sai. Sai strapparmi la terra da sotto i piedi, inghiottire il mondo intero, perché l'unica cosa che riesco a vedere sei tu e nessun'altra, e non lo sai che sai farmi male con quel tuo sorriso che io ti ho negato per così troppo tempo.
«Quindi, perché ora vuoi venire?».
Sollevo gli occhi al cielo continuando a gustarmi il fumo che brucia appena la gola. Arnold è un tipo a posto, solo che è un piccolo pettegolo e in questo ammetto che è identico a Cody.
Sempre pronto a ficcare il naso ovunque.
«Se ti dico "cazzi miei", come risposta va bene lo stesso?».
Ghigna sollevando il volume della stazione radio della città che, guarda caso, sta dando un pezzo dei Muse. Quasi non posso credere che sia la stessa canzone che io e Al abbiamo ascoltato andando la prima volta a Boston, quando ancora ero ignaro che stessi giocando col fuoco e ora ne porto tutte le bruciature sul corpo. Ricordo ancora il suo naso arricciato mentre cercava di ripetere il nome del gruppo in modo disgustato. Cazzo, amo tutto di quella ragazza.
Abbasso il finestrino e butto la cicca fuori; dallo specchietto vedo piccole scintille rosse spegnersi sull'asfalto, mentre dentro di me ne sento una accendersi.
«Arrivati, coglione», esclama Arnold posteggiando fuori dalla Kappa Sigma. Scendo e imbocco le scale fino al portico. Quando entro, alcuni sono ancora in piedi.
«Come è andato l'incontro?», chiedono stravaccati sul divano in salotto. Con il pollice all'indietro indico Arnold alle mie spalle e mi dileguo nella mia camera. Non ho del tutto smesso di fare lo stronzo, ma ho imparato a non farlo con le persone giuste. Mi chiudo in stanza e prendo subito il telefono dalla tasca dei jeans, scorro sulla rubrica e premo il tasto di invio chiamata. Attendo un paio di squilli.
«Damon, stai bene?», bofonchia Cody con la bocca impastata dal sonno.
«Sì, mamma, sto bene», dico prendendomi gioco di lui che nel mentre si schiarisce la gola.
«Allora per che cazzo mi chiami alle... all'una del mattino?».
Non so da dove iniziare, sono eccitato e nervoso allo stesso tempo.
«C-chi è?», sento dire dall'altro capo del telefono.
«Figlio di puttana, sei a letto con mia sorella?», tuono.
Cody scoppia a ridere.
«Mi sono addormentato mentre le raccontavo la favola della buona notte. Cazzo, fratello, quando te ne farai una ragione?», mi mordo il labbro mentre cerco di scacciare dalla mente le immagini di loro due insieme.
«Cristo, è di mia sorella che stiamo parlando», ribatto.
«Sì, che è anche la mia ragazza. Allora, per cosa mi hai chiamato?», chiede con un tono di voce più basso.
«Ho visto Allyson. Cody, quello non era il suo ragazzo. Non so come spiegartelo ma si è creato un grande casino...».
Come se fosse una novità quando si tratta di me.
«Dove l'hai vista?», chiede.
«Ha rivisto Allyson?», incalza mia sorella.
Bene, la conversazione ha preso la piega di un triangolo. Non ho mai parlato a cuore aperto dei miei sentimenti per Al a mia sorella, ma forse un suo parere mi sarebbe utile.
«Metti il vivavoce», dico sofferente. «È venuta a un incontro».
Allontano la cornetta perché mia sorella impreca qualcosa a voce troppo alta e Cody la rassicura che va tutto bene, che non è come ai vecchi tempi ed è proprio così. Ora ho il controllo della mia vita e delle mie azioni. Guido io l'adrenalina, non mi faccio più guidare da lei fino a perdermi in qualche puttanata.
«A proposito, ma l'incontro non era saltato?», domanda Cody.
Cerco di sviare il discorso, dato che gli ho mentito per non fargli fare quattro ore di macchina solo per starmi col fiato sul collo e assicurarsi che tutto andasse bene.
«Mi ascoltate o no?», sbraito spazientito.
«Sì», rispondono all'unisono.
«Lei mi ha visto all'incontro, come ti stavo dicendo, e quindi ha pensato che non fossi mai andato a cercarla come le avevo promesso. Capite? Il tipo con cui l'ho vista è gay, ma lei, non lo so, per come si è comportata sembrava che mi volesse far intendere che stessero insieme», rifletto sull'esatto momento in cui ci ha presentato.
«Cosa vuoi dire?», chiede Arleen.
«Lui l'ha presentato semplicemente con il suo nome mentre io come "un vecchio amico"», dico sprofondando sul letto puntando gli occhi al soffitto.
«Allora, Damon, devi spiegarle tutto, avete entrambi frainteso. Devi dirle che sei andato a cercarla», dice con entusiasmo e la speranza nella sua voce. È bello poter parlare con lei come se tutto fosse finalmente tornato al proprio posto, anche se voltandomi in questo letto troppo grande non posso fare a meno di sentire quella brutta sensazione di vuoto che cerca di risucchiarmi.
«Già, Dam, devi parlarle il prima possibile. Si sentirà ferita per la seconda volta da te. Primo perché te ne sei andato via così e poi perché crede che tu non l'abbia cercata».
La sua voce, pur essendo a un passo da me, era così fredda e lontana, come se mi avesse davvero dimenticato.
«Non posso», sussurro espirando quasi tutta l'aria che ho in corpo.
«Cosa vuoi dire?», chiede allarmata mia sorella.
«Non deve tornare da me perché le sbatto in faccia la nostra promessa o perché le spiego i mille equivoci che si sono creati. Voglio che torni da me perché vuole ancora me, non il vecchio Damon, ma quello che si è ripulito per essere una persona migliore», ed è proprio ciò che ho intenzione di fare. Non potrei mai voltarmi indietro e chiedermi se sia tornata con me solo perché le nostre vite incasinaste ci avevano messo di fronte a un ultimatum. Lei deve innamorarsi di me... di questo Damon Sanders.
«Damon», mormora mia sorella.
«Uhm?», mugolo.
«Sono orgogliosa di te. Dimostrale chi sei ora e riprenditela».
Sorrido alle sue parole che arrivano come un forte abbraccio al quale vorrei aggrapparmi. Le prometto che domenica sarò da loro e poco prima di chiudere dico: «Cody, togli il vivavoce», poi attendo un paio di secondi. «Vedi di non fare stronzate, non voglio diventare zio, è ancora presto», rido beffandomi di lui.
«Fottiti, Sanders», chiudo la chiamata lasciando che il cellulare cada al mio fianco sul materasso.
Non so se sarò capace di riconquistare il suo cuore, se saprò riparare alle ferite che io stesso le ho inflitto, ma di una cosa sono certo, impiegherò tutte le mie energie, ogni respiro, per farle capire che posso vivere questa vita, questa mia seconda possibilità, solo se la avrò al mio fianco.
La giornata alla Northeastern University è trascorsa al meglio. Non frequento nessun corso di arte, erano tutti al completo al momento della mia iscrizione, ma farò in modo di riprendere dopo l'estate nei corsi autunnali. Mi ero scritto alla Tufts per questo, disegnare, ciò che mi aveva permesso di acquisire la borsa di studio.
L'ultima volta che ho toccato un pennello o che ho sfiorato una tela bianca, ero nel mio appartamento con Al. Sarebbe bello fermare il tempo in quei momenti che pensi non potranno mai svanire, dando per scontato ciò che ti circonda... gli affetti. Mentre, invece, ognuno ha un suo valore e siamo talmente persi in noi stessi da capirlo solo quando questo ci viene portato via.
«Sei pensieroso, Sanders, che ti succede?», chiede Arnold facendomi trasalire dai pensieri mentre mi preparo un sandwich.
«Niente, perché?», dico addentando il mio spuntino.
«È da ieri sera che sembri essere su un altro pianeta. Sempre convinto per la festa di questa sera?».
Annuisco senza entusiasmo, anche se mi sento dannatamente nervoso. Non so cosa farò se lei, alla fine, ci sarà e se, soprattutto, potrò parlarle. Imbocco le scale diretto nella mia camera, mi sento pervaso da troppe emozioni.
«Porca puttana, come ti sei ridotto Sanders», commento a me stesso. Solo qualche mese prima non mi sarebbe importato di niente e di nessuno; avrei continuato a portarmi a letto chiunque, senza preoccuparmi di cosa avrebbero provato o meno, poiché io stesso non provavo niente, se non la liberazione di dare sfogo al mio corpo. Ma lei è riuscita a portare il caos perfetto nella mia esistenza. Il suo sguardo e il suo sorriso mi tormentano anche ora mentre, come una cazzo di femminuccia, sono di fronte al mio armadio in cerca di qualcosa da indossare. Prendo alcune magliette, le guardo e le lancio sul letto; qualcuna cade per terra e la calcio col piede. Alla fine, scovo una camicia nera, è di Cody e credo che sia finita per sbaglio nella mia roba.
«Non è poi così male», esclamo ad alta voce scrutandola con attenzione. Non è il mio genere, non ha un dannato cappuccio da sollevare sulla testa, ma penso che per stasera potrebbe andare. Dopo una doccia, sono di fronte allo specchio che piego le maniche della camicia fino ai gomiti perché non voglio sembrare un damerino. Lascio i primi tre bottoni liberi, indosso un jeans bianco tutto strappato e infilo un paio di anfibi neri che ho fottuto ad Arnold.
«Sei lì dentro da un'ora. Muoviti!», protesta Arnold pestando il pugno alla porta. Gli faccio il dito medio anche se non può vedermi. Prendo la giacca di pelle, un goccio di acqua di colonia e sono pronto.
«Okay... andiamo», dico al mio stesso riflesso. Scendo le scale di tutta fretta.
«Alla buonora», esclamano gli altri.
«Ero al telefono e che cazzo!», abbaio.
Arnold apre la porta e si dirige verso la sua macchina.
«Andiamo con la mia», dico orgoglioso con un cenno del mento verso la Daytona blu elettrico.
«Da dove cazzo salta fuori?», quasi urla euforico con gli occhi che gli escono dalle orbite.
«Me la sono fatto portare, l'avevo lasciata nella mia vecchia città», spiego. «Bella, la mia bambina?», dico accarezzando la carrozzeria lucida. Arnold salta su senza indugiare e rido. Impugno il volante e gli scocco un'occhiata. «Ora ti faccio vedere come si guida», ghigno e il suo corpo si appiattisce contro il sedile del passeggero mentre ingrano la marcia e il suono degli pneumatici stride sull'asfalto. Il rombo dei cavalli risuona contro il tramonto di Boston che si dipinge di porpora. Sorpasso qualche macchina e vedo Arnold ridere di gusto, sovreccitato per la velocità con la quale ci spingiamo.
Raggiungiamo la confraternita Delta Sigma e il parcheggio è già gremito di macchine.
«Stasera ci divertiamo!», ulula Arnold e al contempo scendiamo dall'auto. Varchiamo la soglia e i ragazzi della confraternita stanno portando fusti di birra dalla cucina; quelli della squadra di football intrattengono qualche ragazza interessata ai loro muscoli, mentre la musica incomincia a diffondersi in tutta la casa, pompando forte i bassi che rimbalzano sulle pareti. Le mega casse, vicino a una consolle improvvisata accanto alle scale, fanno vibrare i vetri delle finestre.
«Vado a fare un giro», grido per sovrastare il frastuono. Faccio il giro della casa alla sua ricerca, attraverso la cucina e qualche ragazza ammicca un sorriso di quelli che ti danno accesso alla sua biancheria intima. Scuoto la testa e rido di me stesso. In un altro momento non avrei perso tempo a trovare la prima stanza libera, ma non stasera, non in questa vita. Esco nel retro che si affaccia sul giardino, vari gruppi di ragazzi e ragazze sono assiepati vicino al mega barbecue dove quelli della Delta stanno preparando degli hamburger. Mi volto per rientrare e la vedo dall'altra parte del giardino, sotto a un gazebo, che ride mentre chiacchiera con quelli che presumo siano i suoi compagni. È bella da mozzare il fiato. Indossa un vestito che aderisce come una seconda pelle al suo corpo, azzurro come il colore dei suoi occhi, i capelli sono raccolti lasciando il collo scoperto. Caccio le mani in tasca e mi avvicino. Che cazzo le dico? Sbuffo accorciando la distanza che ci separa.
«Ciao, Allyson».
La osservo trasalire, poi si volta lentamente, gli occhi sgranati per la sorpresa di vedermi.
«D-Damon... cosa fai qui?», mi mordo il labbro e fisso la punta consumata degli anfibi.
«Sono della Kappa Sigma. Io e gli altri siamo stati invitati alla festa», dico sollevando la testa per incrociare i suoi occhi che si distolgono subito dai miei.
«Ho capito», biascica.
«Sei qui con il...», provo a dire.
«Sì, sono qui con Kam», risponde alzandosi in punta di piedi mentre tenta di scovarlo in mezzo alla folla.
«Capito», dico ripetendo le sue stesse parole. «Posso offrirti da bere?».
Scuote subito la testa in segno di diniego.
«Dai, Allyson, è solo una bevuta con un vecchio amico», rimarco strizzandole l'occhio.
«Damon noi...», le sfioro la spalla con il dorso della mano, vedo le parole morirle in gola.
«Noi cosa, Al? Ti sto chiedendo solo di bere qualcosa con me», si tortura il labbro inferiore dove il rosso del rossetto che porta perde di una tonalità, e io sto per perdere tutto il mio autocontrollo.
«Solo una cosa», sentenzia acconsentendo.
«Va bene», rispondo.
Ci avviamo fino al salotto dove su un tavolo accostato alla parete è disposto ogni genere di alcolici.
«Cosa prendi?», domando allungandomi verso i bicchieri.
«Una birra», dice con tono sicuro.
«Da quando bevi? Se non ricordo male, tu e l'alcol non siete buoni amici», rido riempendole il bicchiere dalla spina.
«È meglio non parlare di ricordi. Fanno parte solo di un passato lontano», sibila prendendo il bicchiere dal quale butta giù un gran sorso. «Tu non bevi?».
Scrollo le spalle facendomi scivolare le sue parole.
«Non più», confesso con lo sguardo puntato sulla bottiglia di vodka.
«Berrò io anche per te», esorta chinandosi verso il fusto per riempirsi nuovamente il bicchiere.
«Vacci piano, Al».
I suoi occhi mi fulminano.
«Al?», ride scolandosi la birra fino all'ultimo goccio. «Divertente, Sanders, ma non siamo più a Medford e non sono più la Al che hai abbandonato», scandisce con freddezza mentre col dorso della mano si pulisce la bocca.
«Cristo, Al, per favore», la supplico.
«Cosa? Stai tranquillo, ora è tutto a posto, io sto bene...».
La anticipo prima che possa concludere la frase.
«Con Kam?», chiedo inarcando un sopracciglio, la lingua schiocca contro il palato mente pronuncio il suo nome.
«S-sì... esatto», risponde trafelata versandosi la terza birra. Non ci credo, sta dicendo una marea di cazzate per scatenare il vecchio Dam che non vedrà più.
«Sono felice per te».
Il bicchiere le scivola dalle mani riversandosi sul pavimento. «Tutto a posto?», chiedo poggiando la mano sul suo fianco, lei si irrigidisce e fa un passo indietro per allontanarsi dal mio tocco.
«Certo... mi è solo caduta. Scusa, vado a cercare Kam», mi passa accanto, la mia mano si chiude delicatamente attorno al suo polso.
«Io lo lascerei solo con il suo ex», soffio al suo orecchio.
La testa si china con lo sguardo impietrito contro il pavimento.
«Lasciami andare, subito!», ringhia divincolandosi dalla presa, passo la mano tra i capelli mentre sento i suoi passi allontanarsi. Mi giro in uno scatto e le corro dietro, la sua coda ondeggia a ogni passo.
«Allyson», la chiamo.
«Vattene, Damon!», tuona.
La tallono fino a raggiungerla, la faccio voltare facendola indietreggiare contro la parete del corridoio.
«Cosa ti sei messa in testa, che non sono venuto a cercarti?», chiedo respirando pesantemente, mi ero ripromesso di non dirglielo ma non posso, non se pensa che io l'abbia dimenticata. «Sono tornato da te appena ho potuto, ma tu eri tra le braccia di un altro. Ti ho visto sorridere, dannazione...», sospiro strattonandomi i capelli. «Eri felice e....».
Solleva la mano posandola contro il mio petto.
«Hai detto bene, sono felice, Damon. Anche io ho ritrovato me stessa in questi mesi in cui tu...», punta il dito indice contro di me, «sei scappato lasciandomi con un pezzo di carta fra le mani...».
Una lacrima riga il suo volto, la raccolgo col pollice accarezzandole la guancia.
«Non potevi stare al mio fianco, non volevo darti altro dolore. Non me lo sarei mai perdonato. Se non ce l'avessi fatta, se non ne fossi uscito, avrei visto i tuoi occhi odiarmi e non sarei sopravvissuto a questo», poggio la fronte contro la sua mentre i suoi occhi si socchiudono. «Piccola, sono qui, ora, per te».
La voce trema.
«E se fosse troppo tardi?», dice inchiodando il suo sguardo contro il mio e le sue parole mi risucchiano in una spirale capace di strapparmi il respiro.
«Lo... lo capirei, ma non vivrei più», ammetto a entrambi. «Dammi la possibilità di dimostrarti che sono cambiato sul serio», la imploro mentre il cuore non cessa di martellarmi nel petto.
«Sei talmente cambiato che combatti ancora...».
Premo le labbra contro le sue che sento irrigidirsi e sciogliersi poco dopo, mentre si schiudono dandomi accesso al paradiso che mi rimette finalmente al mondo. Mi strappa dalle fiamme di un inferno ormai lontano. Le lingue si cercano con disperazione, afferro il suo volto tra le mani per il timore di poterla perdere ancora. Lascio che la mia lingua incontri la sua facendole ricordare ogni frammento di noi, di come formiamo l'incastro perfetto dell'imperfezione.
«Al, ti prego...», soffio contro la sua bocca.
Si stacca da me quasi senza fiato e nei suoi occhi non vedo la scintilla di speranza che le sue labbra hanno acceso con prepotenza nel mio cuore.
SPAZIO XOXO:
Riuscirà Allyson a perdonarlo, a capirlo?
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