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Capitolo 1 Allyson



Il tempo, inesorabile, ci scorre via dalle mani, come granelli di sabbia soffiati dal vento.

Mi guardo attorno nella sala gremita di gente e osservo i loro volti. Hanno tutti la stessa espressione, quella di chi sta aspettando una risposta. Cerco di isolarmi dal vociare sommesso, dalle barelle che irrompono con un'altra emergenza, dai singhiozzi di chi una risposta l'ha già ricevuta e gli ha cambiato la vita per sempre. Mi stringo nelle spalle, il suo profumo a bruciarmi sulla pelle come un tempo che sembra esserci scivolato addosso troppo veloce, senza che ce ne rendessimo conto. Sono lì, fra le mura del campus della Tufts, con la mia vita ancora fra le mani, con i miei sogni nel cassetto ancora da aprire; poi, la sua voce: "Scusa, ho dimenticato i moduli, potresti farmi passare?"

Il suo sguardo mi era entrato dentro, silenzioso, si era arrampicato in me, lasciando alla mente il tempo di pensare chi si nascondesse dietro quelle pagliuzze verdi che non esprimevano nessuna emozione, ma solo un grande vuoto. Un mondo che avevo deciso di scoprire, come se fosse un libro da leggere, ma che portava il nome di Damon Sanders.

Flash veloci mi attraversano la mente fino a strapparmi il respiro: il campo da calcio, le sue labbra a coprire le mie, la sua voce a incidere sulla mia anima parole indelebili che nessuno potrà mai cancellare. Le urla, i pianti, le corse per fuggire da lui, per ritrovarmi di nuovo avvolta dalle sole braccia in cui mi sentivo a casa.

«Tieni», Cody mi porge una tazza di caffè facendomi trasalire dai pensieri; poi si siede al mio fianco, i lineamenti contratti, gli occhi persi sulle mattonelle bianche e la mano a stropicciarsi il volto: «Se la caverà».

Non proferisco parola, non riesco; è come se stessi guardando una vita che non mi appartiene, ma è tutto reale, lui è oltre quelle porte e nessuno è venuto a darci più notizie da quando siamo arrivati.

«E se non fosse così? Se questa volta l'avessimo perso per sempre?», la voce mi trema, la paura scorre nelle vene, il respiro si incastra nei polmoni e mi sento risucchiata dalle pareti bianche che si stagliano attorno a me.

Non puoi lasciarmi sola adesso, non puoi, ora che ho deciso di perdonarci, ora che sono qui per affrontare le fiamme dell'inferno insieme.

«Non dirlo, Allyson, non dirlo. Lui ce la farà. Cazzo, ce la deve fare!», si passa le mani fra i capelli e scatta in piedi, poi si incammina con ampie falcate verso le porte automatiche del pronto soccorso, scomparendo dalla mia visuale.

Prendo il cellulare dalla borsa. Sono le tre del mattino ma ho bisogno di lui, di mio padre. Compongo il numero e resto in attesa un paio di squilli affinché la sua voce assonata mi risponda.

«Ally, tutto bene?».

Le lacrime scivolano lungo il volto, guidate da quelle parole.

«No.... no non va bene per niente», singhiozzo.

«Cosa succede? Dove sei?», la preoccupazione nella sua voce.

«Damon... Damon è andato in overdose, siamo al General Hospital».

Pronunciare quella parola è una fitta al cuore.

Overdose.

Rimbalza con prepotenza sferzando la mente.

«Sto arrivando», dice.

Riaggancio senza aggiungere altro, mi lascio scivolare sulla sedia e aspetto; mi è rimasto solo questo, un tempo che scivola troppo velocemente dalla mia presa.

Come siamo arrivati a questo?

Come siamo riusciti a farci così male, Sanders?

Dimmelo, urlalo se necessario, ma basta che ti svegli, basta che possa sentire ancora la tua voce; non importa cosa mi dirai, voglio solo sentirti, come solo io ti sento.

«Ally?».

Batto più volte le palpebre, devo essermi addormentata.

«Papà», biascico appena tuffandomi fra le sue braccia, il conforto della sua presenza mi scalda il cuore.

«Sono qui, sono qui», ripete accarezzandomi i capelli, le mani strette a pugno sulla sua giacca; sto crollando, lo sento, tutto sta sfuggendo via dal mio controllo. Mi solleva il volto per incontrare lo stesso riflesso dei miei occhi: «Come è successo?».

Damon non gli è mai piaciuto, in lui ha visto solo chi mi ha portata a sprofondare in un baratro che poi mi ha inghiottita. Ma la verità è che forse per noi era inevitabile; così diversi ma che sotto la pelle avevamo le stesse cicatrici a tenerci uniti, a incastrarsi fra di loro senza che ce ne rendessimo conto.

«Ultimamente non era più in sé, e... e io non sono riuscita a evitarlo», mi accarezza la schiena.

«Non è stata colpa tua, Allyson, è lui che ha scelto la strada sbagliata da percorrere».

Scuoto il capo, in bocca il sapore delle parole amare che ci siamo sputati addosso.

«L'ho allontanato quando aveva più bisogno di me, quando ero l'unica persona di cui si fidasse veramente».

Gli ho voltato le spalle per ferirlo, come lui aveva fatto tante, troppe volte con me, ma non sapevo che l'avrei spinto oltre l'inevitabile.

Mio padre sospira e veniamo interrotti da Cody, dietro di lui la madre di Damon. Gli occhi gonfi e rossi di chi ha pianto per tutto il viaggio.

«Allyson», mi riconosce anche se ci siamo viste solo una volta nella clinica da Arleen, a Indianapolis. Mi alzo e lei inaspettatamente mi abbraccia; resto un po' con le braccia lungo il corpo, prima di posarle sulla sua schiena. «Ora vado a parlare con i medici», mi dice, sciogliendosi dall'abbraccio; la seguo con lo sguardo dirigersi verso quelle porte che sono chiuse da troppo tempo. Deglutisco a fatica e guardo Cody.

«Arleen?» chiedo.

«Verrà più tardi con Ella, forse».

Corruccio la fronte confusa.

«Come, forse?», Cody si lascia cadere sulla sedia con tutto il peso che in questo momento sta tormentando entrambi.

«Non gliel'ho detto, Allyson. Non ho avuto il coraggio di dirle di Damon».

Premo la mano sulla sua spalla: «Hai fatto bene».

Mi guarda sorpreso, i suoi occhi nocciola sono tristi e arrabbiati allo stesso tempo.

Un vorticare di pensieri disconnessi invade la mia mente, mentre il tempo sembra scorrere sempre più veloce, portandosi via un pezzo di lui alla volta. Il calore della sua pelle sotto i miei polpastrelli: "Sono qui", gli avevo sussurrato.

Il suo respiro irregolare.

"Non dovresti. Perché sei qui?", aveva biascicato, incastrando i nostri sguardi.

"Perché mi sono innamorata di uno stronzo", quelle parole sono esplose sulle mie labbra travolgendo entrambi.

L'ho amato quando ancora non conoscevo l'amore.

L'ho amato mentre mi scorreva dentro e cercavo di resistergli, ma era impossibile.

Lui è sempre stato tutto ciò che mai mi sarei aspettata e che ho desiderato più di me stessa, senza saperlo.

«Ally», mio padre mi scuote per una spalla, incontro lo sguardo di Klarissa che viene verso di noi, il cuore mi si ferma nella gabbia toracica.

«Damon... Damon è fuori pericolo», crolla fra le braccia di Cody che la sorregge in tempo e prendo a correre. Punto quelle porte blu che mi separano da lui, pochi passi e potrò vederlo, potrò urlargli addosso che mi ha fatto morire e rinascere in queste ore, ma prima che possa raggiungerle, Cody mi ferma strattonandomi per un braccio.

«Lasciami andare, devo vederlo!», la voce strozzata.

Mi dimeno colpendo il suo petto, ma è quando sento la mano di Klarissa sulla mia spalla che mi fermo e in quel momento si ferma anche il resto del mondo quando dice: «Ora non vuole vederti, Allyson». China il capo come se provasse vergogna e il cuore inizia a martellare nella gabbia toracica mozzandomi il fiato in gola. «Credo che non voglia che tu lo veda in questo stato».

Con i piedi ben piantati al suolo, cerco di sedimentare le sue parole: "Ora non vuole vederti". Continuo a sentirle rimbombare nelle orecchie.

Non vuoi vedermi? Bene, ma tanto lo sai che non me ne vado, perché ora non ti lascio più andare, Sanders. Ora non posso fare altro che aspettare, come ho fatto fino adesso ma, prima o poi, nel mio sguardo ci dovrai entrare, ti dovrai scontrare.

«Allyson, dove vai?», guardo mio padre intenzionato a portarmi via da questo posto, mentre con passo deciso torno a sedermi.

«Non me ne andrò finché non vorrà vedermi».

Aspetto, Sanders, ti aspetto.

Sono qui, te l'ho detto, non me ne vado.

SPAZIO XOXO:

So che mi state odiando e so che lo farete per gran parte del romanzo...

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