UN AMORE DI LA' DAL TEMPO
Orléans, 1015 d.C.
L'era merovingia. Fu un'era di successi e prosperità per la Francia, sotto il regno e l'influenza del potere di Carlo Magno. Quell'era fu un vero e proprio sorgere di innovazioni e conquiste. Un periodo dove l'unificazione del paese sembrava fosse il leit motiv, seppure non sapessero nemmeno di che cosa si stava parlando. E fu proprio con l'avvento del feudalesimo, creato appositamente per evitare una sovranità centralizzata all'imperatore supremo, che l'unione del paese si fece sempre più forte e potente. L'imperatore sceglieva dalle famiglie nobili eredi che potessero governare le terre divise in modo che la popolazione non facesse riferimento solo al sovrano. La gente comune, del popolo, serviva il feudatario con dedizione e costanza. Quelli che venivano dalle famiglie più ricche venivano arruolati come cavalieri del feudo, mentre alcuni dei più poveri, quelli che prima lavoravano coltivando terre per i nobili, si cominciarono a dedicare completamente al feudatario, omaggiandolo di ogni loro servigio. E fu proprio durante il mio regno che, al mio cospetto, si erano presentate orde di uomini e donne che si dissero pronti a servire il mio assolutismo e potere.
Il mio nome è Harold d'Orléans deuxième, ma per comodità mi facevo chiamare Harry, soprattutto dalle persone che mi erano più vicine, tra cui la mia famiglia e i miei pochi amici, che fortunatamente potevo contare sulle dita di una mano.
Le mie origini sono per metà britanniche, da parte di mia madre, Anne Mary Cox, baronessa di Wessex, e per metà francesi, da parte di mio padre, il duca Jean Jacques d'Orléans. A soli vent'anni sono diventato governatore di uno dei feudi più centrali e rispettati di Orléans, dopo essermi sposato in matrimonio combinato con la contessa Nicole de Lavoisier. Non fraintendetemi, ho sempre voluto bene a mia moglie ed ho avuto una stima colossale di lei, era una donna stupenda e una gran governatrice al mio fianco. Siamo cresciuti insieme, fin da bambini, quando le nostre famiglie avevano già progettato il fatto che ci saremmo dovuti sposare una volta cresciuti e imparato i doveri e gli onori della nobiltà. Ma non la amavo. Ero giovane, volevo trovare l'amore perfetto, e di sicuro non era lei la donna della mia vita, o meglio l'amore della mia vita.
E' anche d'obbligo dire che la lussuria, l'abbandonarsi al piacere sessuale, era l'ordine del giorno nella nostra società. Ma il tutto andava fatto di nascosto, si dovevano stabilire dei veri e propri sotterfugi per poter amarsi senza che nessuno ci potesse mettere becco. Se si avesse voluto fare del sano sesso, o addirittura amare una persona al costo di perdere il regno e il proprio potere, avrebbe dovuto essere un'azione completamente occultata agli occhi del popolo, della nobiltà e dei commenti indiscreti.
Anche l'orientamento sessuale era una questione che doveva ritenersi esclusa da quello che i principi nobili prevedevano, soprattutto quella del feudatario. Noi governatori avevamo il compito di presiedere il nostro feudo, soddisfare le richieste del nostro popolo e della nostra servitù, a patto che non fossero desideri fuori dal mondo, e sposarci con donne del nostro ceto sociale, per distogliere la popolazione da qualsiasi tipo di pettegolezzo e giudizio negativo nei nostri confronti. Ed è quello che fui costretto a fare io, come vi dicevo, per non cadere nel ridicolo. Ma il mio orientamento sessuale era di un altro tipo. A me piaceva il mio stesso sesso, e i miei genitori ne erano totalmente al corrente. Tuttavia, non potevano permettere che io mi mettessi in cattiva luce per un capriccio, come lo chiamavano loro. Eppure non avevano capito che non era un capriccio, il mio. Era solo il desiderio di amare fedelmente la persona che avrebbe rapito il mio cuore, e quella persona sarebbe stato un uomo, in gran segreto o no.
Quello che vi voglio raccontare riguarda proprio questo. Voi credete nell'amore a prima vista? Io evidentemente sì. Mi successe davvero di innamorarmi non appena misi gli occhi su un ragazzo, particolarmente bello, quanto misterioso. Sì, mentre avevo giurato fedeltà a mia moglie. E sì, mentre, a detta di tutti, il mio compito principale era quello di far credere alla gente che fossi innamorato follemente di lei. Sapevamo tutti benissimo che un matrimonio combinato non avrebbe mai portato dei frutti maturi, ma il pensiero comune non aveva neanche una briciola di coraggio per poter ammettere che tutto questo era fondamentalmente vero.
Quel giorno lontano credevo che fosse iniziato come tutti gli altri. I miei impegni di governatore aumentavano più il tempo si scandiva. E proprio quel giorno, il mio compito fu quello di accogliere i nuovi servi, che sarebbero arrivati da un altro regno molto più lontano. Erano stati scelti per me dal mio primo e fedele vassallo, e io non avevo nemmeno idea di che facce avessero. Mi importava solo che avessero saputo il modo migliore per servire me e i loro superiori .
"I miei ossequi, popolo! Vi accolgo con gioia nel mio regno. Siate liberi di richiedermi qualsiasi cosa di cui avete bisogno, senza eccedere troppo. Vi raccomando solo di rispettare le regole di siffatto reame. Chiunque verrà colto infrangere le leggi, ahimè, gli verrà inflitta una pena, che potrà rivelarsi leggera o pesante, dedotta dalla mole di importanza del torto che fate. Vi auguro dunque un buon lavoro", e me ne tornai all'interno della mia stanza da letto, scostando violentemente le tende che adornavano il balcone dai cui potevo controllare il mio regno.
Ma uscii di nuovo subito dopo ad osservare la mia servitù che, in massa, si stava spostando verso le proprie attività che il mio gentil vassallo gli affidò.
E fu proprio in quel momento che lo vidi.
Notai il ragazzo più bello che i miei occhi avessero mai avuto il piacere di vedere ed ammirare. Non tanto alto, magrolino, ma ugualmente in forma, si potevano notare i muscoli quando alzava le braccia per sollevare un peso. I suoi capelli castani era come se fossero fatti di morbide piume, il ciuffo sudato e disordinato gli scendeva sulla fronte, altrettanto grondante per la fatica e la quantità di lavoro che gli era stata assegnata. Non riuscivo a scorgere altri particolari, a parte un sedere sodo e tondo che lasciava spazio all'immaginazione, proprio perché eravamo abbastanza lontani. Ma vi posso giurare con tutto il mio cuore che era una meraviglia, una meraviglia fatta persona.
Chiamai dunque il mio vassallo.
"Edward, al mio cospetto", dissi fermo, senza far trasparire nessuna emozione ed evitando dunque di far scoprire il mio piano.
"Agli ordini, sua eccellenza", il mio vassallo si presentò nella mia camera, inchinandosi ed abbassando il capo, fino a che non gli avrei dato il permesso di alzarlo.
"Chi è costui?", scostai leggermente la tenda con una mano e lo indicai con un cenno del capo.
"Chi, per grazia divina? Indicatemi meglio, vostra altezza", il vassallo alzò lo sguardo e puntò gli occhi sulla marmaglia di schiavi che lavoravano al di sotto del balcone, nello spiazzo di terra al di fuori del castello.
"Quel ragazzo che sta lavorando la terra vicino al ponte levatoio...chi è, di grazia?", insistetti ancora una volta, indicandolo per bene col dito, ma senza farmi vedere e rimanendo nascosto dietro il tessuto pesante della tenda. I miei occhi brillavano di passione e contentezza, ma la rabbia di non poter far trasparire quelle emozioni mi saliva in corpo e mi attanagliava le vene.
"Mi duole informarvi che non conosco ancora l'identità di ogni servo che lavorerà per il vostro feudo...", disse il vassallo, abbassando il capo e dispiacendosi visibilmente.
"Informatevi, per tutti gli dei...voglio qualsiasi buona novella sul suo conto", alzai il tono di voce, facendo leggermente spaventare il mio vassallo, che subito si alzò.
"Sarà fatto, eccellenza", lasciò la stanza, inchinandosi nuovamente.
Il mio vassallo fece ciò che gli chiesi senza indugiare un secondo di più. Si informò sia prima indirettamente, sia poi direttamente sul suo conto, e mi riportò quelle informazioni di cui avevo bisogno. Si chiamava Louis William Tomlinson, era un ragazzo inglese trasferitosi in Francia con la famiglia, per prendere servizio presso un feudatario, che per mia fortuna, fui proprio io. Ero al settimo cielo di aver avuto la fortuna anche solo di respirare la sua stessa aria. L'unica informazione però che non riuscii a captare, dispiacendomi non poco, fu quella del suo effettivo orientamento sessuale, e a dirla tutta era proprio ciò di cui mi interessava più di ogni altra cosa. Non sapevo se potevo farlo entrare nelle mie grazie, non sapevo se potevo amarlo incondizionatamente come si fa tra due innamorati. Certo, di sicuro l'avrei scoperto, ero molto determinato. Ora toccava a me agire. Dovevo trovare il momento più propizio per poterlo conoscere di persona, sedurlo e, chissà, addirittura amarlo.
Lo osservavo ormai da diversi mesi, di nascosto, dal balcone della mia camera, mentre svolgeva brillantemente il suo lavoro nei pressi del ponte levatoio.
"Qual splendore si pone dinanzi ai miei occhi, giacché nulla simile vidi nella mia vita? Cosa sei per caso, oh, fanciullo? Un dolce demone venuto a tentarmi? Dispiega le ali tue e vieni verso di me, solo così saremo appagati...", scrivevo frasi di questo genere ogni giorno, il mio calamaio e la mia piuma d'aquila erano stanche di dedicarsi completamente a buttar giù rime su quel ragazzo misterioso.
Non riuscivo a smettere di fissarlo, non smettevo di fissare il suo meraviglioso corpo che si muoveva ritmicamente in base a quello che il lavoro gli dettava di fare. I suoi muscoli e la sua fronte sudata mi mandavano in visibilio, le sue gambe e il suo sedere fasciati da quel paio di pantaloni di stoffa leggera mi mandavano letteralmente ai matti. Mi piaceva da matti, anzi. Non lo conoscevo, non sapevo nulla di più, nulla di diretto che potesse essere uscito dalla sua bocca. Chissà quale voce angelica aveva. Ma vi posso assicurare che me ne innamorai sempre di più ogni clessidra che passava. Era insolito che un governatore si innamorasse del suo schiavo, perché tutti si vedevano più propensi a crearsi fama e potere, piuttosto che dedicarsi alla ricerca dell'amore vero. Ma io no, io lo stavo cercando di nascosto, ed ero sicuro di averlo trovato. Quel ragazzo doveva essere mio. Perché io potessi amarlo, onorarlo e rispettarlo per la persona meravigliosa che sicuramente sarebbe stata. Lo diceva il suo corpo, tutto di lui lo diceva.
Aspettai perciò quel momento favorevole per poter iniziare a tastare il terreno. Mia moglie era in procinto di partire per la contea da dove arrivava per partecipare al matrimonio di un suo lontano cugino, al quale io non avevo potuto prendere parte. Non potevo di certo lasciare il regno scoperto o, per giunta, nelle mani di qualche vassallo incompetente. Lei capì, e lasciò il regno quella mattina d'autunno. Sarebbe tornata con l'avvenire dell'equinozio di primavera, il normale periodo di tempo dedicato a un matrimonio tra nobili o feudatari, con annessi e connessi.
I miei genitori, anche loro, non erano presenti in città, e quindi il regno si colmò della mia solitudine. Ma era una solitudine felice e soddisfatta, che di sicuro non mi fu sfavorevole e di troppo peso. Avrei potuto conoscere di persona quel servo che mi aveva rapito il cuore, e che speravo diventasse il mio amante. Doveva essere di nascosto, non mi importava nulla ugualmente.
Mi rinchiusi nella mia stanza da letto, e feci chiamare al mio cospetto il servo dal mio vassallo. Poi ordinai che nessuno mi venisse a disturbare durante l'incontro. Nessuno, e per nessun motivo. O avrebbero subito le conseguenze. Dovevo rimanere solo con lui, e farmi conoscere da quella bellezza per quello che ero veramente.
Non ero un sovrano cattivo, anzi magnanimo e con un cuore d'oro. Un cuore giovane, che era stato occupato precocemente da un matrimonio contro la mia volontà, e che doveva esser al più presto risanato dal vero amore. Morivo dalla voglia che quel servo ricambiasse il mio amore repentino nei suoi confronti. Non so dirvi ora come ora se avessi rischiato di perdere il regno per amarlo incondizionatamente per il resto della mia vita, ma le ipotesi su questa questione, che offuscavano la mia mente, erano molteplici.
Ero seduto alla mia scrivania mentre stavo scarabocchiando con inchiostro e piuma su dei fogli, nuovamente, come facevo da un po' di tempo. Ero usuale scrivere quando le giornate riservavano dei momenti morti e vuoti, e scrivevo di lui. Tuttavia in quel momento stavo scrivendo più per emozione e vergogna, che per noia. Stavo aspettando il servo che avevo mandato a chiamare. Bussarono al portone di legno massello della mia camera e il rumore metallico del chiavistello risuonò in tutta la mia camera.
"Entrate!", diedi il permesso al vassallo di aprire la porta della mia stanza e di farsi avanti.
Il ragazzo entrò timidamente nella mia camera, spinto dal vassallo che la abbandonò subito dopo, con lo sguardo abbassato e le mani unite davanti al suo ventre.
"Vostra eccellenza, mi avete fatto chiamare? Spero di non aver causato nulla di grave durante lo svolgimento del lavoro...", disse con voce debole, quasi impaurita, e si inginocchiò.
Com'era pacato e introverso. Ma no, non avevi combinato nulla, se non aver rapito il mio cuore brutalmente!
"Alzatevi, non c'è bisogno che vi inginocchiate", gli rivolsi la parola, cercando di mantenere un contegno autorevole.
"Mi date del voi? A un povero servo come me? Non merito codesto trattamento", disse dubbioso e quasi sconcertato dal mio comportamento.
"Sì, vi do del voi, non importa che siate un servo o un nobile", annuii, "...avete una dignità che deve esser rispettata, e io come vostro sovrano ho il dovere di farlo...", spiegai sinceramente, per chiarire la sua perplessità.
Si prostrò di nuovo, ma senza toccare il pavimento, per ringraziare della mia gentilezza nei suoi confronti.
"Al di là di ciò, vi ho mandato a chiamare perché mi piacerebbe scambiare due chiacchiere con voi...sono il sovrano, questo è vero, ma farmi conoscere dalla mia servitù è uno dei doveri che osservo più fedelmente...", spiegai ancora.
"Vi volete far conoscere dalla servitù? E come mai avete scelto proprio me, un povero schiavo che non altro vuole che rendervi fiero del mio lavoro?", domandandomi ciò, alzò finalmente lo sguardo e vidi l'ultimo dei particolari del suo corpo che mi colpì ancora di più di tutto il resto. I suoi occhi. Due brillanti cerulei che mi colpirono nel profondo dell'anima. Piccoli, ma infettanti le più belle emozioni che due occhi avessero mai trasmesso alla mia persona. Era una meraviglia umana. Mi sorpresi di quella sua domanda, il fatto che fosse uno schiavo non lo faceva valorizzare neanche per un millesimo di secondo.
Lo feci accomodare su una sedia della mia scrivania, e gli chiesi di presentarsi, di raccontarmi qualcosa di sé.
"Mi chiamo Louis Tomlinson, ho diciannove anni e mi sono trasferito qua in Francia con la mia famiglia per servire fedelmente un feudatario, e siamo stati indirizzati alla vostra famiglia...cosa vi posso dire di più? La mia vita non è così interessante come al contrario possiate pensare, vostra altezza", spiegò tenendo lo sguardo diretto verso il suo grembo.
"C'è qualcos'altro che vi ha portato qua?"
"Sì, in effetti c'è qualcos'altro", disse incerto, tacendo per qualche istante, "...volevo trovare l'amore, l'amore vero, che non ho trovato mai in Britannia...ma cosa sto dicendo? Perdonatemi per la mia sfacciataggine, non volevo di certo buttarvi in faccia i miei problemi...scusatemi, tolgo il disturbo se vi fa sentire meglio...", mi disse portandosi le mani a coppa sul viso, come per nascondere il suo imbarazzo, e tentando di alzarsi dalla sedia.
"No!", lo bloccai, alzando la mano davanti a lui, "Vi prego, non andatevene...ho chiesto io di vedervi, e non voglio che ve ne andiate prima che questa conversazione sia terminata...", dissi fermo, facendolo sembrare un ordine. Poi continuai, "L'amore è sempre stato un argomento di cui non sono mai riuscito a parlare con nessuno, e ora siete arrivato voi, come se foste un messaggero di Cupido...parlatemi ancora dell'amore, ditemi che cosa ne pensate...parlatemi di come lo vorreste...", gli risposi, toccandogli una spalla per tranquillizzarlo.
Mi guardò con stupore. Probabilmente mai si sarebbe immaginato che il suo governatore potesse parlargli in quel modo, potesse chiedergli di continuare a raccontarsi per conoscerlo meglio, potesse chiedergli di parlare di un argomento tanto profondo. Ero un governatore, ed era vero, ma quel ragazzo mi distruggeva internamente. Avrei dato la vita per poterlo sedurre prima e poi amare, e se ci fossi riuscito l'avrei fatto come mai avessi amato nessuno.
"Volete davvero che io continui a raccontare?", chiese incredulo, sbarrando gli occhi, poi abbassando lo sguardo e sorridendo amaramente, "No, non credo...ve ne pentireste voi di quello che sto per dirvi, e io mi pentirei a mia volta...mi caccerete via, come hanno fatto tanti padroni prima di voi..."
"Vi prego, proseguite, dico davvero...non fate di tutta l'erba un fascio, io non sono come gli altri governatori, ve lo assicuro...non vi giudicherò, qualsiasi cosa stiate per dirmi", cercai di tranquillizzarlo sul fatto che non fossi un sovrano severo o punitore, e che davvero mi interessava sapere l'opinione del mio popolo, su tante cose. Tralasciando il fatto che su di lui volevo sapere ogni cosa, perché lui era un caso a parte.
"Se è questo il vostro desiderio, continuerò...ma vi prego di non giudicarmi, l'hanno già fatto in troppi...mi demoralizzereste di meno se mi cacciaste via senza dire niente...", disse serio, ma il tono di voce dava indizi di tristezza.
"Non lo farò...", dissi scuotendo la testa. Fece un sospiro profondo, prima di decidersi a scaricare la vergogna, poi finalmente parlò.
"Mi piacciono gli uomini, eccellenza...non ho mai trovato l'amore perché è proibito, la mia sessualità è proibita e discriminata, perché nessuno vuole delle persone come me nel proprio regno...nessuno riesce ad ammettere a se stesso la propria condizione sessuale...io l'ho ammessa, ma me ne pento a questo punto, perché non troverò mai l'amore...", mentre mi diceva quelle parole, gli scese una lacrima sul suo viso abbronzato dall'ultimo sole dell'estate cocente. Mi avvicinai, gli alzai il mento per farmi guardare dritto negli occhi, per mischiare il mio verde smeraldo col suo azzurro cielo incantevole. Sorrisi e risposi a quel suo sproloquio.
"No, tu non devi pentirti di niente, non devi pentirti della tua scelta sessuale...mai, per nessun motivo al mondo...come ho fatto io, del resto...", dissi, ed abbassai lo sguardo a mia volta, rialzandolo poco dopo, "...piacciono gli uomini anche a me, Louis, e per queste regole assurde ho dovuto accettare il matrimonio combinato...tu non sai cosa vuol dire per me sopportare il fatto di essere visto per quello che appaio, ma non per come sono veramente. Ma se potessi ora trovare l'amore vero, giuro che lascerei tutte queste ricchezze, perché l'amore è la ricchezza più grande e magnifica che posso desiderare! Sarebbe così un sacrilegio far governare un regno a due uomini, che si amano? Io lo farei, se solo fosse possibile...oh, cielo, ma vi ho dato del tu...perdonatemi, non succederà ancora...", mi dispiacqui di quel mio errore, un governatore non doveva mai dare del tu, nemmeno ai propri servi.
Non seppi da che parte nacque quella confidenza in lui, fino a poco prima non aveva avuto nemmeno il coraggio di iniziare una frase senza che io lo incitassi a parlare, a raccontare, ad espletare i suoi pensieri. Ma fece davvero ciò che gli sembrò più giusto e mi colmò il cuore quel suo gesto. Era comunque titubante, non sapeva se con quel gesto avrebbe infranto la condizione sovrano-servo. Ma, ripeto, lo fece davvero. Louis mi prese le mani con le sue, come per proteggermi, e si fece guardare in viso un'altra volta.
"Lo immaginavo, sapete? Siete troppo gentile per essere un sovrano a cui piacciono le fanciulle...", mi disse, ridacchiando. Poi si portò le mani alla bocca, per zittirsi, come se si fosse accorto di essersi rivolto al suo governatore in maniera poco consona.
Io non capii più nulla. L'effetto che mi faceva quel ragazzo era impagabile, mi trasmetteva delle emozioni che mi facevano tremare, che mi facevano male al cuore. Lo presi per la mano e lo feci alzare. Guardai ancora quel luccichio che l'azzurro dei suoi occhi sprigionava incondizionatamente. Non resistetti altri istanti, quel ragazzo mi stava mandando a fuoco l'anima. Mi avvicinai lentamente al suo viso e lo baciai, facendo combaciare le mie labbra piene con le sue morbide e fini. Chiusi gli occhi per vivermi quel bacio focosamente. Mossi le labbra contemporaneamente con le sue, che accettò di ricambiare. E lui non fu da meno. Tuttavia, poco dopo si ritrasse.
"Oh cielo, perdonatemi, vostra altezza...non so cosa mi sia preso...non volevo...io-...me ne vado...", credeva davvero fosse colpa sua, quando il bacio glielo avevo dato io. Si sentiva inferiore semplicemente perché era diventato uno dei miei servi.
"NO!", alzai la voce e lo trattenni per il polso. La morbidezza della sua pelle mi fece rallentare la presa, eppure non avrei mai voluto lasciare andare quel braccio, "Non andartene, ti prego...ti desidero, Louis...mi hai colpito dal primo momento che ti ho visto...e ti osservo da mesi, dico davvero...la storia dell'incontro nella mia camera era tutta una scusa, il mio scopo era quello di vederti da vicino e sedurti...sei bellissimo, e vorrei provare ad amarti, se me lo concedi...", sputai tutta la verità. Non seppi nemmeno io con quale coraggio, ma dovevo dirglielo. Non aspettavo altro da tempo. Una meraviglia di quelle proporzioni nella mia vita.
Questa volta si avvicinò lui. Mi prese il viso tra le mani. E mi baciò ancora. E mentre mi baciava, mi parlò di nuovo.
"Non dovremmo...", bacio, "...fare...", bacio, "...quello che stiamo facendo...", bacio, "...ma non riesco nemmeno io a resistervi...", bacio, "...siete meraviglioso...", bacio, "Non dovreste provare ad amare qualcuno del vostro ceto sociale?".
"Smettila di darmi del voi...dammi del tu...e no, Louis, io voglio amare te, qua non si tratta di ceti sociali, ma di amore...vuoi amarmi?", il coraggio da parte di entrambi stava uscendo a fiumi, e io me ne rallegrai. Sia da parte sua, che mi baciò con una passione fulminea, sia da parte mia, che lo stavo trattando come se già fosse mio, come se fosse la parte complementare che stavo cercando e che avevo trovato. O forse lo era, e io ero felice di averlo trovato e di averlo introdotto nella mia vita in uno schiocco di dita.
Fece cenno di sì con il capo, sorridendo, ed io lo baciai ancora, questa volta chiedendo il permesso di accedere all'interno della sua bocca perfetta, per unire la mia lingua con la sua, altrettanto perfetta. Il bacio fu umido e passionale. Non avevo mai baciato nessuno in quella maniera.
"Siete sicuro che posso darvi del tu? Non mi sento in dovere di farlo...", disse incerto, quando cessai di baciarlo mio malgrado.
"Vuoi amarmi, Louis?", gli chiesi di nuovo, scandendo bene le parole, per fargli capire che l'unica cosa che mi interessava era amarlo e venerarlo come se fosse la mia musa.
"Si, lo vorrei...ma siete sposato, e siete il mio feudatario...cosa penseranno di me? Di noi? E di voi?", mi rispose, esitando un attimo prima di parlare, ma poi dando enfasi a tutta la domanda, "Ve lo potete permettere?"
"E allora dammi del tu, e amami...non aspettavo altro da mesi, non mi interessa il mio matrimonio, e nemmeno i pettegolezzi di tutta quella plebaglia là fuori...mi interessa solo amare te...", gli risposi baciandolo ancora.
E continuando a baciarci, ci spogliammo dei nostri vestiti, così simili ma così diversi, in quanto a tiratura. I suoi erano stracci e consumati, i miei perfettamente ordinati e tenuti bene. Ma ai miei occhi quell'ordine era solo una corazza. Fino a che non mi liberai di ogni centimetro di stoffa, non potei sentire la libertà che il mio corpo voleva esalare. Erano stracci anche i miei, e senza quegli stracci sentii tutto l'amore che provavo davvero per quel ragazzo.
Ci sedemmo sul letto, completamente nudi. Le nostre erezioni erano quasi completamente possedute dalla passione e, mentre lo baciavo, lo feci sdraiare di fianco a me. Non avrei voluto smettere di assaporare quelle labbra fantastiche e zuccherine che gli erano state create. Lo accarezzavo facendo dei piccoli scarabocchi con le dita su tutto il corpo mentre lasciavo altrettanti piccoli morsi e baci su ogni area. Scesi poi lentamente verso il suo inturgidimento e lo baciai teneramente prima, poi lo leccai più avidamente lungo la sua estensione. Fu tempo di inglobarlo completamente nella mia bocca, ma gli diedi solo qualche enfatizzata con essa, perché volevo amarlo in tutt'altro modo, volevo farlo mio nel modo più romantico possibile.
"Harold, non vorrei mai sovrastare il tuo potere...", disse ansimando ed abbandonandosi completamente ai miei tocchi.
"Harry, per cortesia...detto ciò, sei libero di fare ciò che credi su di me, non aspettavo altro...amami, ti prego, Louis, non posso resistere oltre...", dissi alzando il capo e guardandolo nei suoi occhi azzurri, che brillavano per la lussuria e la passione che stava provando.
Cambiammo posizione e Louis mi sovrastò il basso ventre mettendosi a cavalcioni su di esso e facendo sfregare le nostre eccitazioni insieme. Era una sensazione magnifica, non sentivo nemmeno il suo peso sopra di me, preso com'ero dalla voglia di fargli sentire il mio amore per lui. Ansimavo dal piacere che mi faceva provare, e lui con me. Mi leccai le dita, bagnandole con la mia saliva, per poterlo preparare. E poi, invertii di nuovo le posizioni dei nostri corpi, mettendomi sopra di lui in mezzo alle sue gambe completamente divaricate.
"Sei pronto ad amarmi come mai hai fatto con nessuno, Louis?", dissi, poi lo baciai di nuovo sul ventre, sentendo la morbidezza della sua pelle sulle mie labbra.
"Si, Harry...sono pronto...", così gli infilai prima un dito, lui digrignò i denti e serrò gli occhi per il dolore iniziale. Chissà da quanto non faceva l'amore con qualcuno, chissà se le ultime volte che aveva trovato un uomo, quest'ultimo lo aveva trattato come si meritava.
"Ti faccio male?", chiesi d'istinto, non volevo assolutamente che potesse sentirsi a disagio o che non potesse provare piacere.
"No, co-continua, ti pr-prego...ne ho b-bisogno...", mi disse tremando e balbettando, ma gemendo e stringendomi involontariamente il dito coi muscoli del suo canale.
Feci come mi pregò. Inserii un secondo dito e poi un terzo, muovendoli sincronicamente per fargli provare un'estasi diversa da quelle che aveva provato in precedenza, mentre mi davo qualche colpo al mio rigonfiamento. Quando urtai, non so se per sbaglio o perché volevo davvero farlo arrivare all'apice dell'emozione, il suo maledetto ammasso di nervi, cominciò ad ansimare più forte e con più coinvolgimento.
"Harry, voglio sentirti dentro di me...ti scongiuro, ho bisogno di te...", mi chiese, pregandomi ed afferrandomi il polso con una mano per fermare i miei movimenti al suo interno. E così feci. Allineai il mio pene con la mia punta rossa, gonfia ed arrabbiata, desideroso di esser sanato dentro di lui, alla pari della sua apertura e lo feci scivolare al suo interno lentamente. Quando fui completamente all'interno di Louis e non appena lui si abituò a quell'intrusione, cominciai piano a muovermi.
Lui si aiutava con spinte del bacino verso di me, ansimando e urlando dall'eccitazione che gli scorreva nelle vene. Colpii il suo punto ancora qualche volta, facendolo urlare sempre di più, sempre più forte.
"Harry, ti prego...continua, possiedimi...sono il tuo schiavo...", disse tra i gemiti.
"Louis, ti voglio...ti voglio...ahh, ti prego, dimmi che mi vuoi...ahh", ansimai anch'io, rispondendogli, facendogli sentire la mia voce, che dava vita ai pensieri più reconditi della mia mente verso di lui.
"Ti voglio, ti voglio...continua, ti prego, ti scongiuro...ho bisogno di te e del tuo corpo..."
Ancora qualche spinta e mi riversai dentro di lui, i miei colpi contro il suo fascio di nervi lo fecero venire a sua volta, lui in mezzo ai nostri stomaci, dipingendoli di bianco e permettendo ad essi di attaccarsi, come se fosse stata una promessa, come se già i nostri orgasmi avevano in programma un amore repentino per noi.
Rimanemmo uniti ancora per qualche istante, mi spinsi ancora dentro di lui fino a che il respiro tornò regolare e fino a che il mio pene fu tornato alla normalità. L'uno nelle braccia dell'altro provammo ancora qualche orgasmo usando solo le nostri mani ed al secondo rilascio copioso di piacere di entrambi, ci sdraiammo sul letto, stanchi e felici, con ancora il respiro dispnoico.
"Forse ti amo...", gli dissi, abbracciandolo e guardando il soffitto.
"Come puoi amarmi, dopo aver fatto l'amore con me una sola volta...?", mi disse, guardandomi negli occhi, ma senza districarsi dalla mia presa. Il suo sguardo era sincero, ma perplesso.
"Ti ho amato dal primo momento che ti ho visto...sei stato come l'ascesa rischiarata di un angelo nella mia vita, non avevo mai visto nessuno possedente una bellezza di queste proporzioni, come la possiedi tu...dico sul serio, e lo dico proprio perché sono il tuo governatore...mi sono stancato di comandare sul regno con a fianco una donna, per quanto io possa stimare mia moglie e volerle bene...voglio continuare ad esistere amando te, intraprendendo una relazione con te, e se questo vuol dire perdere tutto, perdere il potere e perdere le ricchezze, sarò disposto ad accettarlo, pur di stare con te...vuoi vivere questa relazione con me?"
I suoi occhi si illuminarono di una luce piena di felicità. Sembrava che gli avessi fatto una vera e propria dichiarazione, e da una parte era veramente così. Tornò a guardare verso il basso, tenendomi sempre stretto, come se avesse paura di perdermi. Ma come potevamo perderci dopo l'amore che avevamo consumato incondizionatamente, dopo il piacere e l'amore che gli avevo fatto sentire? Io non volevo di certo perderlo. Lui era l'amore, e io ero la contentezza fatta persona. Mi rispose poco dopo, abbozzando un sorriso, che io sentii che si stava formando dal movimento che il suo viso fece appoggiato alla mia pelle nuda.
"Credo di sì...ti confesso che, fin dal giorno in cui ci hai accolti nel castello, avevo cominciato a guardarti di nascosto, un po' come hai fatto tu...ma io non potevo spingermi oltre, tu sì, io potevo solo immaginare e fantasticare sul tuo corpo e il tuo viso...sono contento tu l'abbia fatto, credevo di dover continuare a scrutarti senza che te ne accorgessi, e invece sono felice...tuttavia vorrei solo che prima sistemassimo le nostre vite...io devo dire ai miei genitori che mi sono innamorato del mio governatore e che lui ricambia, e tu dovrai far capire alla nobiltà che amare un uomo non è sbagliato...però, sì, forse ti amo anch'io, Harold!", e mi abbracciò forte, appoggiando la testa sul mio petto nudo. Si rimangiò le parole poco dopo, dicendomi invece che mi amava, e che non era un forse. Era una certezza, una delle poche che ebbe nella vita.
Si, lo amavo anch'io ed anche la mia era una certezza. Era molto presto per dirlo effettivamente. Ma quel ragazzo mi rubò l'anima e il cuore e io lo rubai a lui, per farlo mio. Per l'eternità. Fino a quando i nostri giorni durarono. E durarono parecchio, vivendo l'amore reciproco che provavamo l'uno per l'altro e la vita che ci eravamo ricreati, lasciando qualsiasi nostro affetto per crearne uno nuovo e potente tra di noi.
E' vero, non ci si poteva amare tra persone dello stesso sesso. Ma noi ce ne siamo fregati di tutto e di tutti. Io amavo Louis, quel ragazzo che il destino mi riservò, e lui amava me, il suo governatore, e mai nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che provavamo l'uno per l'altro. Mai. Nemmeno con l'evolversi di quella società, che più che esser meschina e vendicativa non era. Cosa poteva essere però una folata di meschinità contro l'amore? Contro quel sentimento che dominava su tutto? E che paradossalmente aveva iniziato anche a governare il mio essere e quello del mio bel servo, che era in poco tempo diventato la persona che amavo di più?
Niente, non poteva essere niente.
Nessuno mi avrebbe vietato di amarlo illimitatamente, come invece richiedeva la mia morigeratezza. Ho seguito l'istinto, e nessuna scelta fu più azzeccata.
"Mi amerai per sempre, Louis?", chiesi, stringendo ancora il suo corpo tra le mie braccia e beandomi delle sensazioni meravigliose che mi trasmetteva.
"Fino a che le stelle non smetteranno di brillare...fino a che i mari non interromperanno il loro ciclo...fino a che il mio cuore non cesserà di battere...perché ti appartiene, come il tuo conviene a me...per sempre", mi disse, dopo aver sospirato e sorriso di nuovo.
"Sono felice di essermene andato e di aver interrotto quella vita malsana che chiunque voleva farmi continuare a vivere...e il mio cuore appartiene a te, mio caro Louis...ti amo"
Nota dell'autrice
...scrivere che vissero per sempre felici e contenti, come si scrive alla fine di ogni fiaba, sarebbe un eufemismo. Non sappiamo realmente come vissero a quel tempo, e non sappiamo nemmeno come mi sia venuto in mente di descrivere una così remota era. Quello che sappiamo di certo è che non tutti i lieto fine sono scontati come nelle fiabe, ma quel lieto fine che possiamo ritenere tale non è che la descrizione di un nuovo inizio. E quello che noi nel presente riteniamo sia reale, quando sarà il momento di rivelarlo al mondo intero, sarà sicuramente il loro nuovo inizio. Con il nostro supporto. Che non si dissiperà tanto facilmente, quanto quel barlume di speranza che ci hanno depositato in mano regnerà fino a che non vedremo la felicità brillare in quella mescolanza di azzurro cielo e di verde foresta.
Verde Harry e Azzurro Louis. Lo sguardo dell'amore.
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