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Capitolo 8

«Stai bene?» domandò Ryan evidentemente preoccupato.

«Sì, benissimo» sorrisi falsamente. Peccato che mi conoscesse davvero bene per credere a una mia bugia. 

Mi guardò come per farmi una ramanzina sul fatto che gli stessi dicendo una menzogna e poi, intuendo avessi capito, mi rivolse parola: «Ti va di fare un giro?»

Acconsentii. Avevo ancora un'ora prima di dover recarmi nell'Istituto per pulire.

Iniziammo a passeggiare per il prato, finché non ci sedemmo a terra, sotto una grande quercia.

«Come vanno le cose?» domandò come un normale amico.

«Diciamo abbastanza bene»

Mi guardò pensieroso, per poi guardare alcuni intagli nel legno spesso dell'albero.

RYAN'S POV

«Chi arriva prima all'albero mangia l'ultimo pezzetto di cioccolato» propose Desy, con il suo animo birichino. Mi piaceva quella ragazzina, ma non era giusto, era mia amica.

Iniziammo a correre tra l'erba fresca del parco vicino a un grande istituto, dove sapevo che un giorno sarei andato con i miei migliori amici, Kyle e Desy. Eravamo così legati da parecchi anni che credevo nessuna forza ci potesse dividere, neanche il fato o, che ne so, Dio. Vedevo i loro volti, quello di Desy sempre allegro e spensierato e quello di Kyle sempre sorridente.

Toccammo l'albero quasi contemporaneamente, Desy ci batté per un soffio, era sempre stata la più veloce tra di noi, era per questo che scommetteva sulla velocità. 

Saltellò di gioia quando capì di essersi guadagnata il pezzetto di cioccolato della barretta che avevamo comprato, mentre io ed il mio amico ci appoggiammo all'albero sconfitti ed esausti dalla corsa. 

Porsi il cioccolato alla ragazzina sorridente di tredici anni, anche se in quel momento ne dimostrava a malapena cinque.

«Dividiamola» sussurrò prima che potesse metterla in bocca, facendomi cambiare idea. Era molta più matura persino di me e Kyle messi insieme. 

Spezzò un minuscolo pezzetto ciascuno e ce lo diede, tenendo per sé quello più grande, ovviamente.

«Avete una pietra?» domandò Kyle inaspettatamente. 

In risposta l'ironia di Desy non venne meno: «Per fare cosa? Lanciartela in testa per caso?»

La ragazza gli fece una linguaccia e lo stesso fece il nostro amico. Nel frattempo mi abbassai, avvistando una pietra, e la porsi a Kyle. 

Come sospettavo, voleva incidere i nostri nomi sulla quercia. Non credevo l'amicizia tra noi potesse mai finire, non credevo noi potessimo mai finire...

In quel momento stavo pensando se anche lei stesse rivivendo le mie stesse emozioni, la mia stessa nostalgia guardando la quercia e i nostri nomi. 

Difficile a dirsi, dato ormai l'odio nei confronti di Kyle, ma mi mancava quello che avevo, mi mancava quello che ero con loro. Cosa sarebbe potuto accadere se solo non avessimo, con le nostre azioni, sconvolto il corso della vita? Forse non avrei mai potuto scoprirlo, ma ormai non mi restava più nulla da perdere, più nulla da fare, se non provare a conquistare quello che da sempre avevo desiderato.

DESY'S POV

I ricordi riaffiorarono nella mia mente. Io, i miei amici, la corsa, la quercia e i nostri nomi. 

Guardavo Ryan e non capivo se stesse anche lui rivivendo tutto. I ricordi fanno male, ma non si può dimenticare. 

Il ragazzo dopo pochi minuti di silenzio si alzò e toccò lentamente con le dita i nostri nomi, come se si sarebbe rotto un filo che li univa se solo avesse premuto un po' di più.

«Non ti manca?» sussurrò. 

Non sapevo cosa rispondere, non ero una che dava libero sfogo alle proprie emozioni, piuttosto le teneva per sé, chiuse a chiave in una parte del cuore a cui nessuno avrebbe potuto accedere.

«A te?» domandai anche io, forse per scappare. 

Il vecchio Ryan mi avrebbe risposto "te l'ho chiesto prima io", ma eravamo solo dei ragazzini incuranti dei problemi che ci circondavano. Con gli anni avevamo imparato che non tutto era rose e fiori.

«Desy...» sussurrò, mi guardò un secondo e poi scosse la testa. 

I miei grandi occhi scuri si impiantarono su di lui, mentre anche io mi alzai e andai a toccare delicatamente i nostri nomi. Il tocco mi fece sussultare e portò vividi i miei ricordi, i miei sorrisi. 

Era da tanto che non mi divertivo in quel modo, per quello preferivo spesso crogiolarmi nel passato, piuttosto che vivere nel presente. La sua mano sfiorò la mia e dei brividi mi percossero da lì in tutto il corpo.

«Hai freddo? Ti posso dare la mia fel...» mi disse e toccò con l'altra mano il mio braccio, mentre io chiusi gli occhi per un secondo, fermando immediatamente le sue parole. Avevo già una sua giacca a casa, un'altra e mi sarei trasportata il suo armadio da me.

«No, sto bene. E comunque ho ancora la tua giacca a casa, se non vuoi che la tenga, ti conviene passarla a prendere»

«Forse la userò come una scusa» sussurrò tra sé e sé, senza che io capissi cosa intendesse dire. 

Ci guardammo negli occhi per un tempo che sembrò interminabile. Il suo dolce e puro viso mi immobilizzò e i suoi grandi occhi azzurri mi tranquillizzarono.

«Sarebbe bene che andassi» sussurrai provando a riprendermi, sempre però tenendo fissi i miei occhi nei suoi. 

Annuì debolmente e mi prese la mano che ancora era in contatto con la sua vicino all'albero. Intrecciò le dita con le mie per qualche secondo, il giusto che bastava per farmi ritrovare nella mia vecchia vita, protetta e isolata dalla cattiveria del mondo umano. Ma il presente era lì, pronto ad aspettarmi e a tendere le sue grinfie nella mia nuova vita.

***

Ritornai nell'Istituto stranamente non ancora del tutto vuoto e, per aspettare che si sfollasse, aprii il mio armadietto per prendere il mio diario segreto e scrivere. Avevo tanto bisogno e voglia di scrivere, soprattutto perché mi faceva andare avanti, oppure perché, sapendo di macchiare con l'inchiostro altre pagine, sembrava che la mia vita stesse proseguendo e che non fosse così vuota come in realtà la sentivo. Quel costante senso di vuoto era... non riuscii a terminare il mio pensiero che, non appena aprii l'armadietto, una grande quantità di pittura mi venne lanciata contro. 

Inizialmente non sapevo chi fosse l'artefice di quell'ingegnoso piano e non capii neanche il motivo. La mia faccia era davvero sconvolta e nello stesso tempo un moto di rabbia mi percosse. Mille emozioni viaggiarono dentro di me. Ero imbarazzata per gli studenti che, naturalmente, iniziarono a fissarmi e a ridere, chi sotto i baffi, meritevoli di ammirazione, chi sfacciatamente. Il suono delle mille risate rimbombò in tutto il corridoio, mentre io non sapevo che fare, quasi non riuscivo neanche a chiudere e aprire gli occhi per quanto fosse appiccicosa quella roba blu che mi copriva il viso e gran parte dei vestiti. Scappare o suonarle di santa ragione a quella persona che mi aveva fatto quello? Anche se avevo una vaga idea di chi potesse essere stata. 

Barbie, con le sue bamboline, mi passò a fianco: «È questo che succede a chi non sta al suo posto»

Detto questo, con aria trionfante, proseguì con le sue amiche su dei vertiginosi tacchi. 

Dovevo farle togliere quell'aria da 'sono la migliore', perciò le tirai una ciocca di capelli biondi ossigenati sporcandoli di blu elettrico, facendola girare di scatto, che quasi non cadde a terra perdendo equilibrio. Si ammirò la ciocca sporca e aprì la bocca, frustata, volendo dire qualcosa, ma senza un buon successo. L'abbracciai così da sporcare anche lei, un abbraccio che diedi quasi vomitando. Non si abbracciava la nemica.

«Devo dire che il blu ti dona alquanto» attaccai ironizzando e sorridendo di gusto. 

Rimase immobile, lanciando un grido che pensai avessi potuto perdere l'udito, perciò coprii immediatamente le orecchie, come tutti i presenti che assistevano alla scena e ridevano.

«Che sta...? Oh» arrivò Kyle, fermandosi e tenendosi lo stomaco per le troppe risate. 

Da quant'è che non lo vedevo ridere così? Tutto ciò mi fece essere soddisfatta del mio gesto. Barbie fece un cenno irritato e irritante, per poi girare i tacchi e andare via, seguita dalle sue due bamboline, ma non prima che mi avessero lanciato uno sguardo d'ammirazione. Non capivo per niente il loro comportamento, perché stare agli ordini di una che ti trattava da tirapiedi?

«Tu sei stata...» cominciò Kyle quando fummo rimasti soli, dopo che fui andata a sciacquare il viso.

«Sì sì, sono stata cattiva, non dovevo farlo, la pagherò e bla bla bla...» sbuffai sonoramente, girata di spalle, sicura che mi volesse dire cose di quel genere.

«No...» mi prese per un braccio, per farmi guardare lui. Eravamo così vicini che potevo sentire i suoi respiri, il suo calore.

«Sei stata una forza»

Non capivo neanche lui; un giorno la difendeva, l'altro mi dava ragione?

I suoi occhi scuri e profondi mi rapirono. Nessuno dei due aveva intenzione di interrompere quel qualcosa che c'era tra noi. Avrei voluto tanto sapere cosa fosse, ma purtroppo non potevo leggerlo nella mente. Come avrei voluto avere un potere del genere!

Dopo non so quanto, abbassai gli occhi e mi girai nuovamente di spalle.

«Dai, cominciamo» incitai con voce neutra. Prima iniziamo, prima finiamo.

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