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8 Inganno

8

Lo studio austero era illuminato dalle due ariose finestre che lasciavano filtrare un dorato e nitido chiarore mattutino.
Leonardo, le gambe allungate sotto la scrivania, lo sguardo perso in un punto imprecisato della stanza, giocherellava con la penna, quasi fosse il terminale di coda dei suoi pensieri, mentre un sorriso ebete gli maliziava la bocca al ricordo dell'insperabile e fortunosa serata passata con Elena nella sua Tramonte.

Mai, gli era capitato di desiderare così tanto una ragazza, di sbavare per un suo bacio, di tremare per un tocco, bramare il suo corpo, elemosinare un sì, come fosse la sua prima volta.
E lo strascico della magnifica serata se l'era portato fin dentro l'ufficio quel mattino, la giacca buttata sulla sedia, le maniche della camicia arrotolate sugli avambracci e la cravatta allentata.
E fu così che lo trovò il collega Amedeo, notando che la sua entrata non aveva minimamente scalfito i pensieri dell'amico, e gli si parò davanti nel vano tentativo di distoglierlo dall'incanto.

- Mi senti quando parlo, Rambo? - gli si avvicinò sventolandogli davanti al naso i fascicoli da visionare - noto, con un briciolo di stupore che stamattina Rambo ha il sorriso della vittoria, che guarda caso, ha soppiantato la sua quotidiana incazzatura. C'è qualcosa che mi devi dire, qualcosa che non so?

- Se ti dico che ho passato la più bella serata della mia vita su a Tramonte? - e allargò il sorriso stiracchiandosi con le mani dietro la nuca, ammiccando sornione e ritornando con lo sguardo vanesio puntato all'infinito, come a voler continuare il sogno precedente. Un comportamento mai sperimentato fino ad allora nel suo serioso ufficio.

- Con chi? - gli chiese ironico Amedeo con una punta d'invidia, pensando alla sua quasi monotona routine tra ufficio e casa, la scuola dei figli e le serate tranquille in famiglia.

- Nemmeno sotto tortura farei il suo nome.

- Allora immagino già chi è. È troppo facile amico - tirò a indovinare il collega mettendosi a sedere sul bordo del tavolo, un piede sopra l'altro.

- Ti dico solo - continuò Leonardo dondolandosi sulla sedia, come stesse seguendo il ritmo dell'elenco di ciò che stava per dire - gambe vellutate e sode, culo strepitoso che vedi solo sulle copertine di Playboy - e ne disegnò il contorno immaginario con gli indici - tette stratosferiche che puntano dritte verso di te per trafiggerti e spappolarti il cervello - e socchiuse gli occhi per concentrarsi meglio sul ricordo - un viso d'angelo, naso perfetto, occhi che incantano, bocca carnosa e sensuale, capelli setosi, pelle di pesca dal profumo inebriante che ti stordisce come una droga. E non vado nei particolari hard perché sono privati e non è roba per te, caprone. Ti basta? - gli strizzò l'occhio.

- Mi basta e avanza, stronzo bastardo fortunato che non sei altro. Sei perso, amico, non ti ho mai visto così "umano" - e gli diede un pugno di scherno sulla spalla.

Leonardo stava per replicare, quando sentì un piccolo trambusto fuori dalla porta, la quale si aprì con un tonfo sordo.

- Mi scusi dottore, non sono riuscita a fermarla - Andreina sbucò dalla schiena di Gisella - le ho detto che era occupato, ma non mi ha dato retta.

- Grazie Andreina, vada pure, mi arrangio io.

Il collega Amedeo, salutò con un cenno del capo la nuova arrivata, la mora peperina nel suo completo verde smeraldo che le strizzava le curve formose, e rivolse lo sguardo all'amico che pareva dire: "Ora sono cavoli tuoi", prima di uscire dallo studio.

- Finalmente soli, ciao amore - Gisella insisteva con quell'appellativo per stuzzicarlo, ma anche per farlo abituare, perché, prima o poi si sarebbe arreso, magari per sfinimento - cosa volevi dirmi? Usciamo stasera? Ho comprato un intimo che ti farà impazzire - e si avvicinò per baciarlo.

Leonardo si spostò con la sedia facendole cenno di sedersi di fronte a lui, con lo sguardo impassibile e due rughe d'espressione tra gli occhi, che non promettevano niente di buono.

- Io e te dobbiamo fare un discorsetto, e serio stavolta. Dimmi Gisella, cosa siamo io e te?

- Cosa vuoi dire Leo - la donna lo guardò sorpresa - siamo una coppia ormai, è da un po' che ci frequentiamo, ho conosciuto anche la tua famiglia alla festa, passiamo tanto tempo insieme e andiamo d'accordo. Non ci manca niente per essere una coppia, no? - e un brivido strano la mise in allarme, dopo quella insolita domanda che le irrigidì il corpo.

- Cosa intendi per coppia, Gisella? - rimarcò Leonardo mantenendo la sua impassibilità nel corpo e nel volto.

- Amore - Gisella si alzò e gli si avvicinò, sapendo del fastidio che gli procurava quella parolina che a lui risultava essere solo un anonimo epiteto, si sedette sulle sue gambe e gli prese il viso tra le mani.

Leonardo gliele spostò cercando di non irritarsi e la fece alzare di forza volendo mantenere le distanze.

- Quindi non hai detto a nessuno che siamo fidanzati e che ci sposeremo a breve, giusto Gisella? Perché sono stato chiaro con te fin da subito, solo sesso, ed eri d'accordo anche tu. In caso contrario, ognuno per la sua strada e amici come prima.

- Certo che non l'ho detto a nessuno, Leo - e lo guardò preoccupata - so come la pensi, però non puoi negare che ci sia una bella intesa tra di noi.

Si riavvicinò accarezzandogli il braccio e abbassandosi sulla scrivania per offrirgli il suo sfacciato decolleté in bellavista. Sapeva che avrebbe apprezzato e non avrebbe resistito a lungo, era sempre accaduto.

- Nemmeno a mia madre hai detto che sei la mia fidanzata da tanto tempo e che mi farai rigare dritto, dopo che ci saremo sposati, cioè a breve, Gisella?

La donna si spostò come si fosse scottata e si agitò per qualche secondo, pensando a una scusa per rimediare e salvare il salvabile. Pensava di averlo in pugno portando dalla sua parte anche la madre, ma l'avvocato era un osso duro, più di quanto pensasse.

- Ora farò alcune telefonate, compresa mia madre, per vedere se ciò che hai detto risponde al vero. Se così non fosse, ti prego di uscire da qui e non farti più vedere. Sai che odio le bugie, sai anche che non voglio nessuna relazione fissa, fidanzamenti, gelosie, obblighi forzati di nessun tipo e soprattutto, niente matrimoni in vista. Dovevo firmare la clausola da un notaio per venire a letto con te?

**

Gisella, dentro al rumoroso bar affollato, aspettava impaziente il suo ospite all'ultimo tavolo della sala, ormai satura dell'aroma di caffè a quell'ora del mattino.
Poco trucco, i capelli in una semplice coda di cavallo, jeans e camicetta, cercava di passare inosservata.

Non era certo la soluzione che si aspettava, la fine della relazione con Leo, e un senso di rabbia e vendetta la colpì in pieno. Non era mai stata vendicativa, ma quello che avrebbe perso lasciandolo la faceva uscire di testa.
Finché c'era lui tutto filava liscio, ma il debito che aveva contratto da quando aveva aperto il suo "Atelier della Bellezza" stava lievitando incomprensibilmente e non riusciva più a far quadrare i conti.

- Le do un consiglio - l'uomo nel suo serio completo scuro e la candida camicia sbottonata sul collo, si avvicinò con il viso, dopo aver appoggiato la tazzina del caffè sul tavolo - so che ha un "amico" facoltoso, sfrutti la sua conoscenza - e si tirò indietro il ciuffo di capelli neri che gli era caduto sulla fronte - immagino sia brava sotto le coperte - le consigliò in tono canzonatorio con un cipiglio spregiudicato e malizioso - lei non sa cosa farebbe un uomo per una mezz'ora di buon sesso - e le fece l'occhiolino.

Se non fosse stato il bastardo che era ci avrebbe fatto un pensierino su di lui: fisico massiccio, la palestra con lui aveva raggiunto l'obiettivo, alto, abbronzato come piaceva a lei, viso lineare, occhi scuri penetranti, sicuro di sé. Niente male, pensò Gisella, sarebbe stato perfetto, se non fosse per quel piccolo problema del lavoro deprecabile che faceva.

- Peccato che mi abbia lasciato due giorni fa - gli rispose picchiettando nervosamente le unghie laccate sul tavolo.

- Non è affar mio signora. Le scadenze sono scadenze e i miei soci non guardano in faccia nessuno. Potrebbe sempre ricattarlo, una come lei avrà sicuramente un asso nella manica. So già che saprà risolvere al meglio il suo problema.

E si alzò salutandola con un cenno del capo, le girò le spalle indifferente e uscì dalla porta del bar trascinandosi dietro il trillo del campanello e le maledizioni della donna, la quale, con un peso nello stomaco trattenne un sospiro profondo nel torace, che fece uscire di getto appena la porta si chiuse alle spalle dell'uomo.

**

Elena lasciò l'aeroporto, dopo aver scaricato sua madre assieme alle valigie e dopo averla lasciata nelle mani del suo generale.
Sorrideva all'idea di vederla in compagnia di un uomo che la proteggeva e la rendeva spensierata come una ragazzina per le strade australiane. Quel mattino sua madre l'aveva accolta raggiante sulla porta con i soliti esercizi vocali, segno evidente della sua felicità.

Ricordava tutte le volte quando entrava in camera e la svegliava con i suoi "grr e trr" e i vari vocalizzi per allenare la voce e le regalava sempre un sorriso gioioso che si portava a scuola per l'intera giornata, come fosse il suo portafortuna. "Tesoro - le aveva detto prima di partire - sei ancora in tempo, se non vuoi che vada dimmelo e io resto".
Come la faceva sentire in colpa, quella donna!

Un clacson in autostrada la fece tornare tra i vivi e subito il pensiero andò alla serata con Leonardo.
Un po' si vergognava per aver ceduto, così presto e così facilmente, in una semplice cena e a casa sua. Forse gli aveva dato l'impressione di essere una facile e lui ne aveva approfittato. Magari faceva così con tutte e se ci stavano, tanto meglio.
Ma come si sentiva diversa, dopo due anni di atonia fisica e mentale e quella sera aveva riscoperto nuovamente il suo corpo e la sua femminilità.

Quell'uomo sapeva come amare una donna e come metterla su un piedistallo. Si era assolta e giustificata per aver ceduto così spudoratamente, e poi non sapeva come confessarlo ai suoi amici che forse, come lei, avrebbero visto un tradimento alla memoria di Riccardo.

Perfino l'evidenza pendeva dalla parte sbagliata. Avevano chiarito e strappato le lettere di denuncia, buttandole come coriandoli sulle lenzuola, mentre brindavano con i calici in mano, lei tenendo il lenzuolo sopra il seno per coprirsi, lui fiero del suo corpo, senza nascondere le sue nudità. Certo, si poteva pensare che fosse andata a letto con lui per fargli ritirare le denunce, ma la verità era più semplice e scontata.
Come si era sentita amata e desiderata tra le sue braccia!

Si era capovolto il mondo quella sera a Tramonte e per la prima volta dopo due anni, non sentiva il dovere di informare i suoi amici di ciò che le stava accadendo. Era un racconto intimo e personale che, stranamente, riteneva solo suo e sarebbe rimasto nascosto tra le pieghe dei suoi ricordi.

**
Si sentiva leggera, su di giri, ottimista. La vita le sorrideva, e si dispiaceva per chi non riusciva a dare una svolta decisiva alla sfiga, come stava facendo lei. Niente e nessuno sarebbe riuscito a cambiarle l'umore, tutto merito di quell'avvocato piacione che era sempre nei suoi pensieri e che la faceva sentire un gradino più su dei comuni mortali. La dea bendata la stava compensando dei due anni passati nell'inferno.

Ripose i piatti nella lavastoviglie, sedette sul suo amato dondolo nel giardinetto interno, a osservare le piantine volute da Riccardo, ormai fiorite, che le davano un senso di pace ogni volta che le osservava.

Sarebbe andata a letto presto, il lavoro in ufficio l'aspettava la mattina dopo.
" Elena mi devi dare una mano con la barchessa dei Morgagni - le disse Lucio nello studio - puoi usare gli schizzi di Alberto e modificarli come vuoi tu. Starà via una settimana a Stoccarda con Brigitta per il raduno delle Harley. Me li vedo quei due maniaci con la tuta nera in pelle e i bicchieroni di birra a cantare il lied abbracciati. Fosse per lui, ci dormirebbe pure sopra quella moto, peggio di Taras Bul'ba con il suo cavallo".

Il suono del campanello la distrasse, accantonò i pensieri e corse al citofono. Non riuscì a capire bene, perché l'accento russo le storpiava il significato delle parole. Aprì la porta e si avvicinò al cancello, dopo aver sentito il nome "De Vittis" uscire dalla bocca della sconosciuta: alta, longilinea, elegante, capelli biondi, occhi di ghiaccio.

- Mi scusi, mi manda una sua amica - e girò la testa intorno, guardinga, per accertarsi che non ci fosse nessuno nei paraggi - la vuole mettere in guardia dal vostro comune amico, l'avvocato De Vittis - Elena drizzò le orecchie - la sua amica le fa sapere che non è quello che sembra. È un tipo violento, mi ha detto di farle vedere queste - e tirò fuori da una busta gialla alcune foto di giovani donne - le consiglia di lasciarlo subito e scappare lontano da lui. Stia attenta a quello che fa. Guardi - e le mostrò alcune foto di gente su un lussuoso yacht, con Leonardo al centro attorniato da ragazze dalle pose che non lasciavano dubbi sul tipo di festa che si stava svolgendo su quella barca.

Elena sentì le gambe molli, non voleva crederci, era uno scherzo, uno scherzo di cattivo gusto. Chi era quella donna, chi la mandava, quale amica?
Un attimo di smarrimento, aprì gli occhi, alzò lo sguardo e della sconosciuta non c'era più traccia. Non poteva averlo sognato, le aveva viste bene le foto. Poteva essere davvero violento e magari drogato. E c'era pure andata a letto. Quali rischi aveva corso, ed era tutto vero?

Non era certamente vecchia, ma ad essere presa in giro o imbrogliata alla sua età, come una scolaretta, no. Era troppo bello per essere vero e si pentiva di aver pensato ad una nuova fase della sua sfortunata vita, senza valutarne le conseguenze. L'ingenuità non doveva far parte della sua vita, era sola e avrebbe dovuto muoversi con giudizio, come le diceva spesso sua madre.

**
- Ciao Matteo, sono Elena.

- Elena, cosa succede, ti sento strana, stai piangendo, dove ti trovi?

- Sono a casa e non mi sento bene. Hai voglia di venire da me?

- Tra un quarto d'ora smetto il turno, aspettami che arrivo. Non muoverti da lì e se ti senti peggio, chiamami subito.

Non sapeva spiegarsi per quale strano motivo avesse chiamato l'amico cardiologo, ma si sentiva davvero a terra. Aveva bisogno di sfogarsi, perché di dormire il suo corpo non ne voleva sapere. Magari non gli avrebbe detto niente, avrebbe passato semplicemente la serata in sua compagnia, sapeva che poteva fidarsi di lui.

Non avrebbe nemmeno telefonato a Brigitta, né a Giorgia, non voleva farle preoccupare, facevano già tanto per lei.
Si sciacquò il viso, si rese più presentabile pettinandosi i lunghi capelli e aspettò l'amico sul divano, nel suo pigiama con piccoli ippopotami colorati e le gambe a penzoloni sul bracciolo, le quali non volevano collaborare con il resto del corpo.

**
Gisella correva da una stanza all'altra del suo centro benessere, sembrava una tarantolata e riprendeva nervosa ogni ragazza che le passava accanto, senza un vero motivo. Ne fermò una in particolare e la portò nel suo ufficio.

- Allora dimmi, l'hai trovata? Hai controllato il nome sul cancello? Hai fatto tutto quello che ti ho detto? Lo scherzo deve riuscire bene e ti darò l'aumento mensile e due mesi di ferie spesate, come promesso.

La ragazza sorrise al pensiero dello scherzo messo in atto dalla sua titolare a quell'amica che le aveva rubato il ragazzo, la quale si meritava tutto quello e altro, e pensò che le recite fatte ai tempi della scuola le fossero servite davvero, visto che le stavano fruttando parecchi soldi.

Gisella non stava nella pelle, si sentiva troppo furba: qualche foto taroccata, qualche bugia recitata bene e il suo piano avrebbe funzionato alla grande.
Rivoleva indietro il suo avvocato, doveva eliminare la concorrenza e sedurlo come sapeva fare lei, ma doveva giocare d'astuzia e pensava orgogliosa che la perfidia, a volte dava parecchie soddisfazioni, forse più dell'amore.
Il suo avvocato dopotutto aveva ragione: nemmeno lei amava l'amore. Ma l'avrebbe riconquistato a tutti i costi.
Si sentiva più astuta del suo Caimano, la regina più perfida della perfidia, e sorrise in una smorfia ghignante, pensando che, in fondo, i giochi erano solo all'inizio.

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