5 Un lui. Una lei
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Seduto sul comodo divanetto della sala bar, Leonardo si godeva il panorama dalla grande vetrata del moderno edificio.
Un soffice mare d'erba, interrotto da pozze d'acqua riflettenti l'azzurro del cielo, una distesa di dolci avvallamenti vellutati, un tappeto di sottili fili verdi che sembrava tessuto da mani di abili tessitrici, su antichi telai.
Ogni domenica mattina, giorno consacrato al suo hobby preferito, si riposava rilassando la mente nell'immenso prato verde da gioco.
Il Golf Club faceva parte del podere del conte Tinacci. La sua favolosa Villa dal lato opposto della strada, era meta continua di turisti. Una Versailles in miniatura con tanto di labirinto davanti, piante secolari, giochi d'acqua, fontane, giardini curatissimi, progettati con tutti i crismi degni di un Vanvitelli e disegnata da un parente del Bernini.
- Dottor De Vittis! Vedo che si è già stancato, ha fatto cilecca oggi? - l'uomo adiposo fece il suo ingresso trionfale con un sorriso sardonico, occhialini d'oro sul naso prominente e un'evidente calvizie che si ampliava ad ogni loro incontro.
- Carissimo procuratore, vedo che lei invece è soddisfatto delle sue performances di oggi.
- Beh, ho centrato la buca quarantuno in sole cinque mosse, con l'unico ferro quattro. Una soddisfazione appagante non da poco, direi. L'ho domata come un'amante, caro avvocato! - si pavoneggiò l'uomo.
- Ne sono sicuro, procuratore - gli sorrise lecchinoso Leonardo.
- A proposito - si girò andandosene con la sacca dei bastoni sulla spalla - mi saluti tanto suo padre e la signora. Andrei volentieri se mi chiamassero alla prossima festa. Quanto mi sono divertito su a Tramonte. Quelle erano feste! - si rivolse a una ragazza che sorrise civettuola, mentre sorbiva il suo caffè al bancone del bar.
Leonardo guidò l'occhio verso la stessa ragazza che gli passò davanti volutamente ancheggiante, capelli rosso corallo a caschetto, minigonna di pelle nera e camicetta attillata sul petto che sembrava scoppiare da un momento all'altro. La giovane lo squadrò dalle scarpe ai capelli, soffermandosi al centro dei pantaloni, fissandolo negli occhi per qualche secondo.
Conosceva molto bene la mimica delle donne e quella rossa birichina mimava trasparente.
- Finalmente mi hai degnato di uno sguardo - la rossa lo stuzzicò sedendosi accanto - è da tempo che ti osservo e non mi guardi nemmeno di striscio. Ti faccio così schifo?
- Ciao Corallo - Leonardo si avvicinò sfiorandole la gamba con le ginocchia aperte - e dimmi, perché dovrei essere interessato a te?
La rossa lo sfidò con lo sguardo altero fisso su di lui.
- Perché sono la più figa qui dentro. È da un po' che ti osservo e mi hai incuriosito, avevo voglia di conoscerti - e si avvicinò all'orecchio - specialmente dal petto in giù, comunque mi chiamo Magda.
- Comunque io sono Leo e i tuoi capelli mi hanno ispirato, Corallo!
La rossa gli rispose con una schioccante risata.
L'avrebbe portata volentieri nel suo appartamento del Club, ci passava la notte ogni tanto, quando ne aveva l'occasione, e quella rossa tentatrice si meritava una bella lezione.
Gli bastava evadere un po', staccare dal lavoro, niente gelosie, niente passioni amorose. Odiava quella parolina magica che lo faceva allontanare dal mondo femminile.
Come Gisella che lo sfiniva con telefonate e messaggi di possesso e gelosia da quando le aveva detto chiaro e tondo, ancora una volta, che non sarebbero mai stati una coppia.
E c'era quella bellissima e dolcissima Elena che non gli faceva fare sonni tranquilli e lo destabilizzava con pensieri indecenti da quando l'aveva incontrata. Era il suo pensiero fisso e giurò a se stesso che sarebbe stata sua in breve tempo.
Fece entrare la rossa nell'appartamentino adiacente al Club. Le afferrò la nuca e diresse prepotente la bocca sulla sua. Le mani della ragazza toccavano il corpo sodo dell'avvocato in ogni dove, affrettando impaziente i movimenti. Lo aveva solleticato abbastanza e Leonardo cominciò a togliersi i vestiti, lentamente. Amava avere tutto il tempo per trovare ispirazioni nuove ogni volta.
- Vieni in doccia con me Corallo, dopo passiamo ai giochi - gli sussurrò malizioso.
La ragazza non se lo fece ripetere e cominciò una gara a chi faceva prima a spogliare l'altro.
- Non pensavo mio padre conoscesse dei ragazzi fighi come te. Se lo avessi saputo prima, lo avrei accompagnato più spesso. Ma non mi piacciono i suoi amici e odio il Golf.
L'avvocato si fermò. Il tempo di elaborare le informazioni e le diede un bacio casto sulla fronte, le raccolse i vestiti da terra e la invitò ad uscire in fretta, perché si era ricordato di avere un impegno improrogabile.
Doveva solo calmare la voglia tra le gambe con una bella doccia fredda, non avrebbe certo messo a repentaglio la sua carriera per la figlia viziata e insoddisfatta del procuratore. Gliel'avrebbe fatta pagare di sicuro, e allora sì che avrebbe dovuto mettere a riposo e in congedo il soldato in allerta.
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Ultimamente era con la testa altrove. Anche in ufficio si trovava a leggere più volte la stessa pagina, senza aver capito niente.
- Conosco la faccia di uno che scopa troppo - gli disse il collega, dopo aver ripetuto la domanda fatta più volte in precedenza e senza aver ricevuto risposta.
Leonardo sembrava in crisi mistica, seduto a mani incrociate sulla comoda sedia in pelle, lo sguardo fisso sul cubo fermacarte di lucido acciaio che sembrava lontano chilometri dalla sua vista. Era la prima volta che gli capitava di essere disconnesso dalle pratiche sopra la scrivania.
- Magari! - Sospirò pensieroso l'avvocato, distogliendo lo sguardo e girando a casaccio la preziosa penna tra le dita - se ti dico che ho rifiutato una rossa, una scopata certa, per andarmene a casa e fantasticare con l'immagine di una donna fissa nella mente, mi dici che sono cretino?
La mente, senza volerlo, era su quel volto bellissimo e inarrivabile che desiderava e temeva: era un frutto proibito che non portava a niente di buono.
Desiderava quel corpo, lo pensava spesso, troppo spesso. La immaginava tremare sotto i suoi baci, fremere sotto i suoi tocchi e le sue carezze, sottomessa al suo piacere.
Ma allo stesso tempo la vedeva come un'amazzone espugnatrice dei suoi sentimenti repressi, la qual cosa lo intrigava e incuriosiva ancora di più, quasi fosse una sfida. Pensava lo avrebbe incatenato, imprigionato, poi mollato all'improvviso e messo in ridicolo, come gli era già successo.
Perché era quello che facevano le donne.
- Attento Leo - gli suggeriva con un pizzico di gelosia il collega, occhiali sulla fronte e carte in mano - quella è un fiore raro. Ti ubriaca con il suo profumo innocente e ti ritrovi il mattino dopo nel suo letto e con la fede al dito.
- Amico - rispose sovrappensiero l'avvocato, non del tutto convinto nella voce - deve ancora arrivare per me il tempo di immolarmi per una donna.
**
Elena diede un'ultima occhiata all'orologio.
Aveva deciso di andare a scattare quella foto, stesso posto, stessa ora e avrebbe ultimato finalmente il suo dipinto, e poco importava se non poteva usare il cavalletto "en plein air".
Quel Colle era diventato ormai un pensiero costante nella sua routine giornaliera, così quel pomeriggio prese la sua Nikon, regalo di Riccardo: "Non puoi lavorare senza gli strumenti giusti", le aveva detto nel giorno del suo ventitreesimo compleanno. Si mise la custodia a tracolla e uscì decisa.
L'aria fresca entrava sotto il leggero vestitino blu a fiori, donandole una strana sensazione e brividi di piacere sul corpo.
Fermò un attimo il pensiero, tornando con la mente a quel giorno e a quello strano incontro, prodromo di una serie di dispiaceri.
Sprofondò con i tacchi nell'erba maledicendosi per quella scelta infelice, chiuse l'occhio per focalizzare la posizione d'inquadratura nell'obiettivo e rimase ferma, ma l'occhio cominciò a seguire per conto proprio un altro soggetto.
Era l'auto costosa del suo troglodita, le sembrava fosse quella, che stava salendo su per la collina, alzando uno sbuffo di povere bianca lungo la strada tortuosa.
Un senso di rabbia le attraversò il corpo. Cosa ci andava a fare lo chef troglodita sopra il colle, pensava, e intanto il suo subconscio la spingeva a rimettere la macchina fotografica dentro la custodia e la portava svelta verso la strada bianca.
S'incamminò con i passi scomodi dei tacchi, guidata da rabbia, curiosità, un senso di giustizia, appagamento e vittoria, per quell'inaspettato e fortuito caso.
Finalmente avrebbe parlato con lo zotico, dopo tanta ricerca e segretezza omertosa degni di una spia di Queen Elisabeth.
Gli avrebbe chiesto un minuto per parlare da soli, in privato, trattenendosi dalle offese ovviamente, e avrebbe fatto una bella figura con l'affascinante avvocato: sarebbe arrivata prima di lui e senza il suo aiuto alla conclusione pacifica della vicenda con il suo cliente.
Il paesaggio che scopriva a mano a mano che saliva, la compensava della rabbia che le macinava dentro.
Ad ogni svolta e ogni curva della stradina, si fermava con lo sguardo per poter immortalare il più possibile quella varietà di foglie multiverdi, odori intensi di bosco, balsamo, corteccia e menta che s'insinuavano fin dentro i polmoni, e profumi dolciastri dei mille fiori che le solleticavano piacevolmente le narici.
Sarebbe rimasta a vita in quell'estasi paradisiaca finché, arrivata in cima si fermò, ormai sbollita dentro, ad osservare dall'alto il fondovalle.
Le sembrò di scrutare ubriaca con gli occhi di un volatile, ruotando sul panorama fin dove arrivava la vista, girandosi incantata, e il silenzio più totale evidenziava l'impercettibile fruscìo del vestito che seguiva leggero le mosse del corpo.
Il piccolo borgo dalle pareti rosa, ora che lo aveva di fronte, le apparve ancora più ameno. La cancellata in ferro battuto era aperta. Intravide una MG decapottabile di colore verde scuro e si girò quasi meccanicamente ad osservare il caseggiato: quattro elementi a due piani, ben tenuti, uno spiazzo davanti di sanpietrini in porfido grigiastro con sfumature rosa, e tutto protetto dalla graziosa chiesetta a lato.
Cominciò a datare mentalmente e collocare il tutto in uno stile eclettico, fine ottocento, scordandosi il motivo per il quale era salita lì sopra, troppo intenta ad immergersi nel suo mondo storico.
- Buongiorno, cerca qualcuno, posso aiutarla?
Fece un sussulto per la sorpresa, quando si accorse di una persona che le veniva incontro: camicia a quadri scozzesi e pantaloni écru da lavoro in panno pesante. Osservò una tasca in pelle usurata, proprio attaccata alla cintura di cuoio sgualcito, dalla quale usciva la parte arrotondata di un martello.
- Scusi tanto per l'invadenza, ma ho visto salire l'auto di un signore con il quale dovrei parlare, assolutamente.
Elena scrutò meglio l'uomo: alto, spalle larghe, viso abbronzato sotto il cappello di paglia che lasciava uscire un ciuffo ribelle di riccioli brizzolati, bocca carnosa sul volto rugoso e due occhi scuri e profondi che la osservavano incuriosito.
- Posso chiederle di avvisarlo, per favore, sempre se non creo disturbo? Gli dica che gli ruberò solo cinque minuti.
- Prego, entri, le chiamo mia moglie. Avviserà subito l'avvocato.
- Oh no, non disturbi l'avvocato, mi chiami solo il proprietario di quell'auto. Farò prestissimo.
- Appunto, l'avvocato De Vittis.
- Avvocato De Vittis? De Vittis Leonardo, per caso?- chiese attonita Elena - è il proprietario di questo posto?
- Certo, e non solo. Abita qui. Vede, laggiù è tutto suo, la campagna, l'azienda agricola, il colle, il terreno sottostante. Tutto suo e di suo padre, il notaio De Vittis...
- Mm mi scusi - balbettò Elena dopo una pausa di silenzio - devo aver sbagliato persona. Le chiedo davvero scusa per averla disturbata. Buona giornata.
La strada del ritorno, seppur con i tacchi, era molto più corta dell'andata, almeno così era sembrata ad Elena. E intanto che scendeva riesaminava i fatti, chiamando a raccolta nella memoria il lessico del suo famoso vocabolario degli improperi, appositamente rispolverato per lo zotico.
Cercò di scendere più in fretta che poteva e senza essere riuscita a sbollire la collera. Prese la sua Porche e si allontanò da quel posto, di nuovo con la brutta sensazione di un macigno nello stomaco.
Come aveva potuto non riconoscere quell'avvocato, era così affascinata da lui che non aveva visto la somiglianza con lo spocchioso e arrogante, cafone, rozzo troglodita?
E ora?
Non avrebbe più contattato quel personaggio, questo era certo.
L'avvocato!
Come avrebbe potuto guardarlo in faccia?
Era stata presa in giro, l'aveva offesa e sbeffeggiata con l'assurda richiesta di denaro, e magari rideva alle sue spalle, avendola riconosciuta fin da subito, e aveva pure raddoppiato la cifra del risarcimento.
La stava prendendo per i fondelli?
Ma quanto era stata stupida a cascare nella sua trappola!
La chiamasse pure in tribunale, se ne aveva il coraggio, non meritava la punta del tacco delle sue scarpe.
Aveva fretta di sfogarsi. In casa non aveva risposte dialogando con i muri, e sua madre era meglio lasciarla stare, felice tra le braccia del suo generale. Gli unici su cui poteva contare erano i suoi amici, sempre presenti alle sue chiamate, ben consapevole di quanto fosse difficile far crescere la sua triste e pesante vita in solitudine.
**
- Hai più sentito la signora Weill, Amedeo? - Leonardo non stava più nella pelle.
Voleva essere indifferente a quella donna, la sua reputazione di donnaiolo convinto era a rischio, ma il fatto che non si fosse più fatta vedere gli puzzava di bruciato. Uno sgarbo, un dispetto o era vendetta, uno scotto da fargli pagare. Intollerabile, per l'avvocato penalista detto "il Caimano".
Perché non insisteva con lui come facevano tutte le altre?
Erano due settimane che non riusciva a parlarle. Non rispondeva al telefono e allo studio gli dicevano che non c'era. Sembrava volesse sfuggirgli, ma ancora non ne capiva il motivo.
- Sai già dove abita, vai a trovarla, magari con la scusa di stracciarle davanti quella ridicola lettera - suggerì il collega.
- Non posso scoprirmi così tanto. Credi le farebbe piacere sapere che ho indagato su di lei e che sono io il denunciante che la ferisce con richieste assurde? Mi potrebbe accusare lei per abuso di potere e la mia reputazione andrebbe a puttane.
- Sì, ma ora sai che è vedova da due anni, figlia di un diplomatico, socia nello studio di Architettura, ventisette anni, senza uomini accanto, cosa non da poco, direi la più importante, ed è una figa pazzesca.
Leonardo sentì una stretta allo stomaco.
Ebbe un attimo di ripensamento.
Stava provando davvero qualcosa per quella donna e non era compassione. La stessa sensazione che aveva provato con "l'innominabile" al suo primo e unico innamoramento, e gli faceva ancora più male, ipotizzando un'altra simile situazione con Elena.
Ma questa volta era lui a sentirsi dalla parte del torto. Sapeva di averla insultata, ridicolizzata, presa in giro, e dopo le parole del suo amico sentiva ancora più forte la voglia di stringerla tra le braccia.
Avrebbe voluto accarezzarle quel viso di porcellana, attorcigliare fra le dita quei morbidi capelli setosi. Avrebbe voluto sentire il peso del suo bellissimo corpo sopra il suo e assaporare tutto di lei.
Non poteva sentirsi ancora così per una donna.
Se l'era promesso quella volta e doveva a quella promessa ciò che era diventato: il cinico avvocato che vinceva le sue cause nelle aule di tribunale, puntando la testa come un ariete, sapendosi invincibile.
Poteva rinunciare a tutto quello che si era costruito, ne valeva la pena, e per una donna?
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La pizza si stava raffreddando sul piatto davanti ad Elena, al tavolo del locale affollato, intenta com'era a raccontare nuovamente i fatti ai suoi quattro amici, cercando di contenersi e non risultare una pazza scatenata, psicopatica incompresa, tanta era la foga e la voglia di sfogarsi.
- Lascialo perdere e si stancherà da solo - le suggerì Giorgia - non c'è niente di meglio che l'indifferenza con i tipi come lui. Intanto esci con quel cardiologo da sogno. Se non fossi sposata ci farei un pensierino - sorrise guardando furba suo marito che si ritrovò a tossire imbarazzato con il pezzo di cibo in bocca andato di traverso.
- Sapete - rispose Elena - avete ragione, ha talmente insistito che accetterò un'uscita con il dottore. È un tipo carino e con la testa sulle spalle. Ma solo per un'uscita a cena, non fatevi idee malsane. E un certo avvocato figo, che vada al diavolo!
E alzò il bicchiere per brindare nella risata generale, ma si smorzò dall'arrivo di un'ombra gigante che arrivò incombente su di lei facendole spalancare gli occhi per la sorpresa.
- Buonasera a tutti! Ma guarda che bella sorpresa, come sta Elena? - il bronzo di Riace si avvicinò facendola tremare - mai, avrei creduto di trovarla qui stasera - le sorrise a sessanta denti - non l'ho più vista in giro, l'ho cercata spesso, mi sta evitando, per caso? - e osservò gli altri attorno al tavolo, quasi a cercare la risposta - la vedo più carina del solito stasera - ammiccò Leonardo con lo sguardo che tracciava ogni centimetro del suo corpo, mentre spostava seccato la mora appiccicata al suo braccio, la quale cercava in tutti i modi di far notare la sua presenza.
Elena ebbe un sussulto nel trovarsi davanti a quella statua di Prassitele. Non aveva la divisa elegante da avvocato e sembrava un semplice ragazzo qualunque: palestrato, jeans e camicia, che si divertiva come tutti i comuni mortali, passando una serata in compagnia.
Ben diverso da come l'aveva conosciuto: snob, supponente e arrogante.
E cavolo, quanto era bello!
E poi, chi era quella donna e perché si sentiva così gelosa nei suoi confronti?
- Infatti le vorrei parlare con urgenza - rispose Elena, rossa in viso dalla rabbia e stupita per essere riuscita a parlare. Non fosse stata la ragazza educata che era, gli avrebbe sputato in un occhio.
- Allora l'aspetto domani alle dieci nel mio studio, sia puntuale - le rispose strafottente, abbassando la faccia da schiaffi davanti al viso di Elena, incapace di trattenere la voglia di baciarle quella bocca fino a consumarla, anche davanti a tutti.
Salutò la compagnia con un cenno del capo e uno sguardo da seduttore assassino diretto ad Elena e spinse in avanti la mora con la fretta di andarsene.
Era strafelice per quell'incontro fortuito, ma arrabbiato per le modalità sbagliate, avrebbe voluto lei al posto della mora e vedere fin dove si sarebbe spinto, se fosse bastato soddisfare il desiderio in una notte e poi lasciarla andare, come faceva con tutte le altre.
Ma contrastava con quello che sentiva dentro, perché non vedeva l'ora che arrivassero le dieci del mattino dopo. Perché una scossa elettrica gli faceva fremere lo stomaco al solo fatto di averla davanti. E perché non avrebbe resistito a lungo senza un contatto fisico con lei.
Doveva odiare quella donna che gli stava rovesciando tutte le certezze di anni di lavoro passati a farsi un autolavaggio psicologico al cervello.
Ma il suo corpo gli diceva di sbrigarsi, aveva fretta di averla vicino, toccarla, stringerla, accarezzarla, assaporarla.
Troppa fretta. Troppo vicino.
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