3 Un tipo gentile
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Quella mattina Elena si alzò di buonumore.
Attraversò il salotto e si fermò, come al solito, davanti alla mensola del caminetto, dove la foto del marito le dava il buongiorno ormai da due anni. "Io ti parlo Riccardo, ma non sento risposte" sussurrò sconsolata.
Prese in mano la cornice e osservò intensamente l'immagine per imprimerla meglio nella mente, poi con decisione s'incamminò verso la camera da letto. Aprì le ante dell'armadio, tirò un cassetto contenente alcuni oggetti che gli erano appartenuti, depositò la foto rivolta con il retro all'insù e richiuse il cassetto con un profondo sospiro.
Aveva deciso. Avrebbe dovuto farlo da tempo quel gesto, anche se doloroso e irrispettoso, ma aveva la sua giovane e pesante vita da portare avanti e doveva essere forte. Lo avrebbe voluto pure lui a dispetto dei soli tre mesi di matrimonio vissuti insieme.
Inciampò sulle frange del tappeto per rispondere al telefono. Sapeva chi poteva essere a quell'ora del mattino.
- Tesoro, ho trovato in solaio una cosa che neanche immagini. Credo ti farà piacere vederla. Vieni in mattinata, perché nel pomeriggio non ci sono.
Elena aveva un dubbio. Ancora di pomeriggio. Ma dove andava? Era da un po' che la madre si comportava in modo strano, ambiguo, come se avesse qualcosa da nascondere. Ne avrebbe parlato con Lidia, dopo la partita di Bridge, perché sapeva che se lo avesse chiesto a sua madre le avrebbe detto di non preoccuparsi, che andava tutto bene. Sapeva qual era il suo ruolo, doveva proteggerla, consolarla, aiutarla e il suo scopo era quello di vederla sorridere come un tempo.
Passò davanti al ripostiglio e l'occhio si posò distrattamente sulla tela incompiuta. Era troppo bello quel quadro per lasciarlo a metà, avrebbe potuto andare sul posto e fare una foto alla stessa ora, nella stessa angolatura e avrebbe completato il dipinto. Aveva già pensato dove appenderlo, alla faccia di quello sbruffone che le tormentava il quieto vivere.
Fermò un attimo il pensiero e l'idea di andare nel luogo del delitto la investì in pieno. Voleva guardare in faccia quel maleducato che la stava mettendo in difficoltà.
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- Sei forte Elena - sbottò in una risata Alberto - gli hai scritto su un foglietto che è il re dei cafoni! Speriamo non s'incazzi di più - e continuò la risata.
- Ma dai Alberto - lo incalzò la fidanzata Brigitta, capelli castani a caschetto, un tipetto solare e divertente - ha ragione Elena, avrei fatto lo stesso anch'io. Se fosse stato una persona civile avrebbe parlato con lei, si sarebbero spiegati e tutto sarebbe finito lì - disse mettendo il vassoio sul tavolo - se vuoi Elena vengo anch'io con te, due donne contro un uomo pareggia il conto.
Elena ebbe un attimo di ripensamento. Ci mancava pure che lo zotico s'infuriasse ancora di più. Forse aveva esagerato di nuovo con le parole, ma il pensiero di Brigitta che la sosteneva le aveva tirato su il morale, e l'idea di andare a cercarlo, in fondo le piaceva.
Sarebbero andate insieme a cena in quel ristorante, avrebbe chiesto informazioni e avrebbe trovato il troglodita, ne era certa, e una psicologa infantile abituata a lavorare con bambini in un asilo, sarebbe stata più che utile alla causa di quello sconosciuto, che forse aveva la sindrome di Peter Pan.
- Io non posso venire - si scusò Giorgia - ho i compiti da correggere. Ho trovato troppi errori, sembra che la classe si sia messa d'accordo, ieri. Però la prossima volta ci sarò. E poi - guardò il marito mettendogli il bicipite teso davanti al naso - da un mese sto facendo pesi in palestra, quindi, tre donne contro un uomo è ancora meglio.
Lucio le tastò il muscolo floscio e scosse la testa fingendosi serio, mentre tratteneva a stento lo scoppio di una sonora risata.
- Fossi in te - intervenne ancora Alberto rivolto verso Elena - porterei due scatole di cioccolatini, una per l'avvocato e una per il suo arrogante cliente sconosciuto. Loro ti inviteranno a cena per ricambiare e tutto si sistemerà.
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Che Leonardo fosse un orso, Gisella lo sapeva da un pezzo. Da quando lo aveva conosciuto nel suo "Atelier del Benessere", come lo chiamava lei, aveva visto da subito un concreto, futuro cambiamento economico, dovuto alle tante conoscenze altolocate dell'avvocato, e avrebbe fatto di tutto pur di non lasciarselo scappare, e poi era un figo pazzesco, aveva visto con che occhi lo guardavano le sue ragazze, quando entrava lui.
Saune, massaggi, oli rilassanti, creme, manicure e tutto quello che c'entrava con il benessere, veniva offerto alla prima clientela per attirare più gente possibile, e quella volta all'avvocato toccò l'esperienza del massaggio proprio della titolare, la quale tenne ben saldo l'osso.
- Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? - gli sussurrò all'orecchio per non farsi sentire dalle ragazze in movimento, mentre gli massaggiava la schiena resa lucida e liscia dall'olio essenziale.
L'odore intenso arrivava alle narici di Leonardo, il volto incastrato nel foro del lettino da massaggio, gli occhi chiusi, il corpo rilassato e il bacino coperto da un caldo asciugamano di spugna bianco.
- Ricordo benissimo - le rispose calmo, ancora con gli occhi chiusi - hai fatto di tutto per accaparrarti questo pezzo di manzo. Volevi infilarti nelle mie mutande a tutti i costi e ti ho accontentata. Non è così?
Gisella, stizzita, aumentò la pressione del massaggio.
- Voglio qualcosa di più da te - gli rispose a voce bassa, ma decisa - lo so che vai con altre quando non vieni da me e non mi piace essere la seconda. È questo che non mi sta bene, caro Leonardo.
- Mi dispiace Gisella, ma io sono così, ho bisogno di sentirmi libero. Sai già che il lavoro mi porta via parecchio tempo e molta energia, e per questo vengo qui a rilassarmi. Noi due cerchiamo soltanto il piacere fisico uno dall'altro, vieni spesso nel mio appartamento e mi pare che te ne vada via soddisfatta ogni volta, quindi Gisella, cosa vuoi di più da me? So che ti fa comodo uno come me e non farmi dire di più, non ti farebbe piacere sentirlo.
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Elena entrò con l'auto nel parcheggio del ristorante. Lei e la sua amica si erano dedicate del tempo per prepararsi al meglio. Si erano date il cinque davanti allo specchio ed erano uscite, più convinte che mai, a colpire nell'orgoglio una persona in particolare.
Brigitta osservò curiosa l'edificio: un caseggiato a due piani, chiuso in una forma quadrata con all'interno un ampio cortile. Ad ogni angolo, tra due grosse colonne circolari, era posizionato un capiente vaso in cotto rosso, piantumato con sempreverdi ad arbusto, e due archi romani su due lati opposti accedevano esternamente ai campi di filari di viti, i quali si estendevano ordinatamente fino ai piedi dei Colli.
- Buonasera, mi scusi non abbiamo prenotato, ci sarebbe un tavolo per noi due?
Elena osservò la grande sala con l'alto soffitto lavorato a stucchi e legno e i preziosi lampadari in cristallo che illuminavano con una opaca luce soffusa i vari tavoli rotondi. Le tovaglie écru strusciavano fino a terra e le poltroncine in raso dello stesso colore davano un tocco di raffinatezza. I posti a sedere sembravano tutti occupati, tanto che il cameriere pregò le ragazze di attendere.
Elena non risistette a lungo e fermò una signorina in divisa che le passava a fianco.
- Mi scusi signorina, mi sa dire chi è il proprietario di questo ristorante e del terreno esterno?
La cameriera le indicò un ragazzotto accanto al bancone, tarchiato, muscoloso, maglietta bianca a maniche corte, dalle quali uscivano alcuni tatuaggi sui bicipiti.
Non era lui, pensò rattristita, e quando Ottavio si avvicinò per dire loro con dispiacere di non avere posto, Elena gli fece a raffica l'interrogatorio di terzo grado con modi affabulatori da professionista.
Venne così a sapere che aveva un fratello più giovane, alto, magro, piacente, che faceva lo chef su una nave e che sarebbe arrivato più tardi, in quanto fuori servizio per un mese intero, causa vacanze.
Tutta gongolante pregò il ragazzo perché trovasse loro un tavolo anche piccolo e sperduto, ma lo scongiurò di non mandarle via. Era molto importante incontrare e parlare assolutamente con il fratello, perché era proprio una questione urgente.
Ottavio per prima cosa guardò le pance alle due ragazze e constatò che non erano incinte. Tirò un sospiro di sollievo e gli balenò in testa una soluzione che aveva adottato altre volte, proprio perché c'entrava il fratello.
- Scusa Leo - la faccia rubiconda di Ottavio si parò davanti all'avvocato seduto al tavolo che aspettava la sua cena - ho un problemino e ho bisogno di un favore, non dirmi di no, altrimenti dovrò litigare con Rudy.
Leonardo diede uno sguardo sfuggevole e distaccato alle due signore dietro le spalle larghe di Ottavio, pensando a quanto fosse fortunato e sfacciato suo fratello Rodolfo.
Lavorare su una nave otto mesi all'anno equivaleva a fare la conoscenza di migliaia di donne, cosa che Rudy accettava con piacevole disinvoltura, e aveva la facoltà perfino di respingerle, tanto ne sarebbero arrivate altre subito dopo.
Gli raccontava spesso aneddoti incredibili e Leonardo gli invidiava l'esperienza di vita che a soli ventott'anni si era fatto sul campo, e sorrideva alla similitudine: era proprio un "campo" di battaglia durissimo, il suo.
- Ci scusi tanto, non vorremmo disturbare.
Leonardo si trovò davanti una donna da far mancare il fiato. Un senso di familiarità lo colse all'improvviso, obbligandolo a pensare dove poteva aver incontrato una delizia simile.
- Prego - Leonardo si alzò galantemente, indicando con la mano le sedie alle due ragazze, mantenendo lo sguardo fisso su una in particolare - non aspetto nessuno e la compagnia a tavola fa sempre piacere - e si lasciò sfuggire un sorriso sensuale da cascamorto professionista.
E intanto pensò al rapporto che potevano avere con Rodolfo. Erano state sedotte e abbandonate, gli volevano chiedere soldi, avevano tradito i mariti e volevano andare ad abitare da lui, avevano avuto un figlio da lui e chiedevano gli alimenti?
Lo avrebbe saputo di sicuro visto che Rudy avrebbe chiesto la sua consulenza, come era già accaduto in passato.
- Vedi Brigitta - Elena toccò il braccio dell'amica - quel soffitto è di fine settecento, guarda che lavoro straordinario!
- Quindi lei è una storica - le chiese incuriosito Leonardo.
- Oh lei è un architetto - gli rispose prontamente Brigitta al posto dell'amica - se vuole le do il suo biglietto da visita - lo tirò fuori veloce dalla borsetta e glielo porse sorridente.
L'avvocato ringraziò cortesemente e si mise il biglietto in tasca senza attenzione per non dimostrare troppa curiosità. Era invogliato a sapere di più su quella misteriosa bellezza.
Avrebbe indagato il giorno dopo, se non altro per deformazione professionale, ma già si sentiva arrapato e completamente ammaliato da quella splendida visione.
I capelli mielati lisci e lucidi, un viso perfetto, lineamenti dolcissimi, elegante in quel vestito azzurro al ginocchio che metteva in risalto le sue forme perfette. Le avrebbe accarezzate, toccate ed esplorate molto volentieri.
Avrebbe sbirciato più in giù, ma temeva di essere scoperto e non voleva dare l'impressione sbagliata, mentre sentiva le sue parti basse in fermento.
- Piacere Elena - gli tese la mano tremante, persa nella profondità degli occhi di quel misterioso ragazzo affascinante.
- Piacere mio - le strinse la mano esitando più del dovuto in uno scambio di elettricità catalizzante - io sono Leo.
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- Tu non hai visto quella ragazza, Amedeo! Non me la lascerò sfuggire. Contatterò il suo studio. Elena Franti e gli altri due soci Alberto e Lucio pincopallino - lesse il bigliettino da visita prima di appoggiarlo sulla scrivania, rilevando soltanto il nome della donna.
- E magari ti ritrovi un calcio sulle palle da uno dei due, che sarà di sicuro il marito o il fidanzato - lo incalzò il collega prendendolo in giro.
Un sorriso furbastro aleggiò sul volto di Leonardo e congedò l'amico con la scusa di avere alcune telefonate da fare.
-Ah, a proposito - il collega si fermò a metà strada - che hai deciso di fare con la signora Weill?
- Chi?
- La palombara isterica - sbottò Amedeo in una risata.
- Quella donna ha bisogno di una doppia razione di pena - gli rispose l'avvocato infastidito - mandale una lettera, falle capire ciò che ha fatto nel mandarmi le sue offese firmate e raddoppia la cifra. Così il marito, dopo averle comprato la Porche le firmerà un assegno da centomila euro e ne sarà felice.
Prese il cellulare sorridendo, un lampo di genio gli era passato davanti in quel preciso momento.
- Ciao mamma, scusa se ti chiamo a quest'ora, ma ho una cosa da chiederti - l'avvocato chiamò la madre, stupita della telefonata del suo unico figlio che non la chiamava quasi mai - mi sono ricordato ora che mi avevi parlato di un lavoro da fare nel salone grande. Avrei trovato l'architetto, lavora con due soci in uno studio in centro e secondo me è la persona giusta per quel lavoro...
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La Porche quel mattino proseguiva da sola per la strada che portava a casa Weill. Elena aveva la testa ancora alla sera prima, come se avesse fermato il tempo. Ricordò di aver dormito, sognando quello splendido ragazzo affascinante fino al mattino, e continuò anche sotto la doccia con immagini fantasiose che l'avevano risvegliata da un letargo di due lunghi anni.
Si vergognò, mentre si asciugava, per aver pensato in quel modo intenso ad un uomo che non era il suo Riccardo. Forse aveva sbagliato a togliere quella foto dalla mensola, pensò, mentre uno strombazzare d'auto le fece capire che doveva aumentare la velocità, vista la coda che si era formata dietro di lei.
Intanto il troglodita, l'uomo rozzo del mistero, non si era fatto vedere la sera prima. Il fratello di Ottavio aveva avuto un contrattempo che gli aveva impedito di andare al ristorante. Ma Elena era risoluta e avrebbe insistito come un ariete e non avrebbe lasciato andare la cosa, a costo di andare a cena in quel ristorante tutte le sere, e gli avrebbe portato pure i cioccolatini, come le aveva suggerito Alberto.
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- Tesoro guarda cosa ho trovato fra le cose di papà - la signora Wanda entrò in salotto con la custodia di un violino fra le braccia.
Elena ebbe un sussulto, riconobbe quella custodia di pelle nera, disegnata a piccoli fiori. Suo padre le aveva permesso di scegliere quella volta: "Scegli bene - le disse abbassandosi alla sua altezza - perché ti terrà compagnia per tanto tempo".
Ricordò con tenerezza le lezioni di Lena, l'insegnante russa, che le raccomandava la schiena dritta e spalle rilassate, il mento in posizione, le dita piegate sull'archetto che dovevano avere la forma a "orecchie di coniglietto" e la scala sol-re-la-mi che ripeteva di continuo sulle quattro corde.
E il ricordo di quel padre che amava così tanto, svaniva a mano a mano che il tempo passava, facendole ritornare una tristezza dolorosa nel petto che non sentiva da un po'.
Le mancavano la sua mania dell'ordine, i suoi sorrisi e gli abbracci consolatori, ogniqualvolta lasciavano una casa per cambiare di posto l'anno dopo. Nuova scuola, nuovi amici e un senso di vuoto dentro.
In compenso, quelle case affittate dopo la morte del padre, avevano reso bene in senso economico, permettendo loro di vivere agiatamente, e la madre se ne avvantaggiava tuttora.
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La segretaria mora, riccioluta, scattò in piedi appena vide l'avvocato uscire di tutta fretta dalle porte dell'ascensore e gli corse incontro premurosa. Afferrò la toga che le aveva buttato fra le braccia e con rigoroso rispetto, come fosse una reliquia la sistemò con cura nell'apposito armadio, poi corse subito nello studio a prendere disposizioni con atteggiamento devoto, come fosse davanti all'icona di san Nicola.
In fondo aveva una predilezione per quell'affascinante datore di lavoro e in cuor suo ne era perfino gelosa.
- Andreina, mi chiami questo numero e chieda della signora Franti, poi me la passi subito.
- Subito dottore - la donna uscì dallo studio impettita come un soldatino svizzero.
L'avvocato, nel suo completo serio, si accomodò sulla sedia girevole aspettando impaziente di sentire quella voce incantevole e poter fantasticare sulla splendida figura dall'altra parte del telefono.
Aveva passato una giornata d'inferno in tribunale con due udienze che sembravano non finire mai e aveva una voglia urgente di parlare con quella ragazza da sogno. Non si era mai sentito così predisposto verso una donna. Si sentiva leggero come avesse dieci chili di meno sul corpo e lo spirito allegro di un ragazzino con gli ormoni in subbuglio.
Quella cena inaspettata gli aveva destato una vitalità dentro che era rimasta sopita dai tempi dell'Università.
Aveva riposto in un angolino da allora il ricordo di quel primo e ultimo innamoramento di cui avrebbe voluto scordare il nome per sempre.
Un tradimento letale e proprio davanti ai suoi occhi, dopo che le aveva dichiarato tutto il suo amore, disposto a darle tutto e di più, le avrebbe donato anche la vita, e la vide sbaciucchiarsi con un altro proprio davanti a lui. Un attimo di smarrimento totale dove il corpo non esisteva più e l'anima troppo pesante sprofondava sotto terra insieme a lui.
Ma quella ormai era storia passata.
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