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20 Non ti ho persa, piccola (Epilogo)

20

Epilogo

Le linee sulla via d'acqua a Venezia, davano il senso della fretta come una scala mobile presa nel senso inverso. Leonardo era sballottato dentro il vaporetto affollato di turisti e dopo aver ammirato il traffico di natanti sul Canal Grande e incorniciata negli occhi la bellezza di Venezia, mise i piedi sulla terraferma con un dondolio d'inerzia ancora nel corpo.

- Prego dottore venga, il capitano la sta aspettando.

L'agente di polizia lo stava accompagnando alla questura e nel frattempo pensava all'incontro che avrebbe avuto con la sua Elena, arrabbiatissima e giustamente inviperita con lui. Sperava nell'aiuto del suo amico, perché non sarebbe stato facile farle credere un falso, ciò che aveva visto nella realtà. Perché lui e Gaia al ristorante, in posa inequivocabile, erano pura realtà.

Le calli strette, sconnesse, e l'odore salmastro, lo portarono ad un vecchio portone usurato dal tempo. L'interno era accogliente con il suo mobilio sobrio e moderno e non dava il sentore di un luogo di giustizia.
Si sarebbe aspettato di vedere celle sotterranee arrugginite, odore di muffa, via vai di delinquenti. Niente di tutto ciò, ma una calma e un silenzio inaspettati, interrotti a tratti da un lieve battito di pc e stampanti che davano il senso di operosità di un ufficio funzionante.

- Bene arrivato dottor De Vittis, mi segua, il capitano la sta aspettando - un secondo agente impettito lo accompagnò attraverso un lungo corridoio nella stanza dei colloqui ampia, luminosa, con una vista planare sul canale verdastro, appena ondulato in superficie, che tranquilizzava l'occhio.

- Non dire una parola! - lo zittì subito, appena il capitano alzò la testa - sei fortunato che sei in questura e non posso toccarti, ma ricordati la promessa, un pugno su quella faccia da cretino che ti ritrovi non te lo toglierà nessuno...

- Ssh, zitto, qui i muri hanno orecchie, che figura mi fai fare, qui sono un mastino per tutti. E smettila di fare la femminuccia offesa, faceva parte del piano. Ora siediti che ho un po' di cose da raccontarti - il poliziotto continuò indifferente con una punta di cinismo da "deformazione professionale".

- Fammi parlare con Elena, non sono venuto qui per vedere la tua bella faccia.

- Mi dispiace, non c'è.

- Come non c'è - gli si avvicinò infuriato con gli occhi fuori dalle orbite, mentre il capitano con la testa su alcuni fogli continuava con una calma serafica il suo discorso.

- Non potevo trattenerli in una cella Leo, li ho fatti accompagnare all'aeroporto e sono ritornati a casa.

- Sono, chi? - l'avvocato sbottò a denti stretti, infastidito e stanco.

- La tua lei e il suo lui. Li ho tenuti con una scusa fino a stamattina per darti il tempo di arrivare, ma l'inglese ha chiamato la sua ambasciata e ho dovuto lasciarlo andare, e insieme a lui, anche la tua lei. Mi avrebbero denunciato per abuso di potere, pensa che pivellini! - ridacchiò a mezza bocca.

- Io quello lo ammazzo, ci ha provato a Londra ed è venuto fino a qua per cosa, per portarmela via? E perché l'ha portata a Venezia, voleva rapirla? Cosa credeva di fare quel rozzo scozzese ingonnellato e senza mutande.

- Beh, per essere uno che usa il gonnellino è ben messo.

- Non fiatare tu! Se, e dico solo se, riuscirò a parlare con lei e farla ragionare, vedrò quanti pugni ti sconterò. Non è finita con te.

Uscì di tutta fretta senza salutare e senza rispondere al saluto degli agenti fuori dalla porta.

- Agente Rubin, accompagna quella testa di rapa del mio amico avvocato all'aeroporto. Se si rifiuta, seguilo e aiutalo nell'imbarco.

**

Elena sdraiata sul letto percorreva con la mente gli ultimi incredibili avvenimenti. Una notte passata in questura a Venezia, come una delinquente e senza un valido motivo, non sarà capitato a tutti, pensò.

George era stato fenomenale e quel capitano non aveva potuto fare altro che lasciarli andare. Un pensierino per una denuncia, quasi quasi le stava stuzzicando la coscienza. Non poteva più darla vinta a tutti quelli che la mettevano in difficoltà e che le creavano un disagio psichico non indifferente.

- Sei sicura che posso andare via angelo, e che non hai più bisogno di me, ti saprai arrangiare senza di me? - le disse il vichingo, mentre le teneva il volto fra le mani.

Le era stato vicino da amico fedele, ma era giunto il momento per i tre ragazzi di tornare a Londra, e a malincuore.

- Vieni qui - l'attirò a sé avvolgendole le sue grandi braccia attorno al torace e poi tirò fuori dalla tasca un pacchettino - questo è un regalino che ho preso a Venezia per te. Aprilo dopo che sarò andato via.

- George, ti ringrazio per tutto - lo tenne stretto a sé - non ti dimenticherò mai, sei l'amico più caro che ho.

- Avrei preferito avere un altro ruolo nel tuo cuore, angelo, ma ti auguro tutto il meglio. Sai che puoi contare su di me, su di noi - accennò agli altri due amici che parlottavano in disparte, mentre Elena ragionava ancora sulle parole sincere che si erano scambiati durante la notte.

Cominciò a salutarli con un magone nel petto, promettendo loro di andare ogni tanto a trovarli a Londra.

- Abbi cura di te, tesoro - Lorenzo le aprì una mano e le mise dentro un piccolo cuore di cammeo rosa, incastrato in una sottile catenina - pensa a noi, quando la metterai. È un piccolo ringraziamento per il tuo aiuto. Ti vogliamo bene.

**
Stava ancora pensando a loro, le mani intrecciate sotto la testa, quando il citofono di casa interruppe i suoi pensieri. In un attimo pensò a Brigitta, Giorgia, Alberto, Lucio.

Aveva tenuto spento il cellulare per troppo tempo. Li aveva soltanto avvisati della gita a Venezia, ma niente sulla triste storia con... non riusciva nemmeno a pronunciarlo, quel nome.

Un groppo in gola che non andava né su né giù, e si asciugò una goccia all'angolo dell'occhio, mentre andava ad aprire la porta.

- Tesoro!

Non seppe dire altro guardandola triste, bellissimo come non mai nel suo completo firmato e senza avere il coraggio di proseguire. La faccia stanca e un segno violaceo sotto gli occhi dicevano che non aveva dormito la notte prima.

Elena restò di sasso, con gli occhi arrossati e non riusciva più a trattenere il fiume che voleva straripare. Avrebbe voluto cacciarlo, ma rimase inerte e senza volontà. Nello stesso tempo lo avrebbe abbracciato stringendolo stretto e gli avrebbe solamente chiesto "perché".

- Sono qui perché dobbiamo chiarire...

- Non credo ci sia niente da chiarire, te ne puoi andare, non ho tempo da perdere.

Leonardo strinse i pugni lungo i fianchi, tutto d'un pezzo nel suo metro e ottantasette.

- È tempo perso, se ti dico che tutto quello che hai visto era solamente una finzione? - fece un passo avanti innervosito e risoluto a rimanere fermo, di piombo - è tempo perso, se ti dico che era tutta una messinscena per fare parlare e confessare Gaia, tutto preparato dal GIP e che solo io potevo fare, in quanto conoscevo l'imputata? È tempo perso il giro a vuoto che ho fatto a Venezia e solo per vederti e spiegarti? È tempo perso, se ti dico che non riesco a stare senza di te - cercò di avvicinarsi avanzando di un passo - che ho bisogno di te, che ti voglio da morire, che sono geloso da morire, che voglio passare il resto della mia vita solo con te? A proposito - cambiò espressione alzando un sopracciglio - cosa ti ha fatto quell'energumeno, ti ha toccata, ti ha baciata, ti ha fatto del male? - si avvicinò fino a toccarle il petto con il suo, entrandole negli occhi con lo sguardo penetrante.

- E tu - cercò di staccarsi usando la forza delle braccia senza riuscirci - con che faccia ti presenti qui, dopo avermi raccontato un sacco di balle? Mi hai lasciata sola e mi hai tradita. Solo bugie da te, come faccio a crederti? Ho passato una notte in questura come una delinquente, perfino la polizia mi ha presa in giro. E tutto il dolore che ho passato a causa delle tue donne. Mi dici che mi ami e che non l'hai mai detto a nessun'altra, che vai via per lavoro, e ti ritrovo a divertirti con la tua ex. Era davvero una finzione Leo? Perché eri molto credibile. E pensare che sembravi sincero con me. Hai dato tutto per scontato: facevi i tuoi sporchi comodi con lei e la stupida Elena intanto assorbiva tutto passivamente e ti accoglieva a braccia aperte. Giusto avvocato?
Mi chiamo Elena Weill, non Oca Giuliva!

Rimasero un tempo indefinito a combattere con gli sguardi puntati come armi, uno dentro l'altro. L'avvocato cominciò a smuovere la mascella in un tic nervoso, Elena era scesa a guardare la sua bocca, incapace di salire di nuovo ai suoi occhi. Un tormentone di sguardi sfiorati, voglie represse, intrighi di pensiero, un miscuglio di sensazioni che stavano per esplodere sconfusionatamente.

Elena si girò in uno scatto lasciandolo da solo.
Strani pensieri assillavano l'uomo, nella testa ormai stanca e piena di informazioni, con la triste e rassegnata sensazione di avere perso la sua donna nel momento in cui si girò di spalle, lasciandolo solo ad osservarla inerme, sconsolato e deluso. Ma sentiva che non era ancora una sconfitta. Non l'avrebbe mai accettata, avrebbe combattuto ancora per lei, per loro.

- Scusa - ritornò dopo essere uscita da una porta - questo è tuo - e gli ritornò l'anello, mettendoglielo in mano che tremava di rabbia, delusione, tanta tristezza e altrettanta rassegnazione.

L'avvocato rimase impalato, per la prima volta senza parole e senza idee, ma con tanto dolore che lo lacerava a morsi, come mai aveva provato nella sua movimentata vita di sciupafemmine.

Per la seconda volta una donna lo stava distruggendo.
Questa volta sarebbe sprofondato e non sarebbe più riuscito ad emergere, stava perdendo l'unica cosa preziosa che era riuscito a tenersi stretta, l'unica speranza di serenità che gli rimaneva.
Lui, che usava le donne a proprio vantaggio, stava per essere calpestato dalla donna che più amava, che gli aveva succhiato l'anima e stritolato il cuore.

**

Elena guardava fuori dalla finestra, le occhiaie degne di notti e notti insonni. Il viso scavato più del solito, si era rintanata in casa. Nemmeno sua madre era riuscita a convincerla ad uscire un po'. "Elena, amore, non fare come dopo la morte di Riccardo - le aveva detto Wanda, preoccupata - non farci stare male tutti, ancora".

Quel mattino stava osservando i passanti, svogliata e indifferente, soffermandosi sulle loro figure, le mosse, i diversi atteggiamenti e intanto sospirava, lasciando scorrere i secondi, la testa vuota e l'apatia dovuta ad ansia, come un'adolescente prima degli esami.

Osservò l'auto blu della polizia che si fermò, proprio davanti al suo cancello. Sobbalzò al suono del citofono, avrebbe voluto evitarlo, ma si affrettò ad aprire.

- Mi scusi, è lei la signorina Weill?

- Sì sono io - rispose in un sussurro.

- Abbiamo il compito di accompagnarla in questura per firmare il suo rilascio, avvenuto a Venezia.

- Può aspettare un minuto che mi cambio?

Elena non protestò, come sapesse già cosa fare, si mise un completo blu, pettinò i capelli, si aggiustò sui tacchi, raccolse la borsa in tinta, e seguì passiva l'agente.

**

- Signorina Weill - il capitano Aureli con il solito sorriso le diede la mano, facendola accomodare - è un piacere rivederla. Mi scuso per il trambusto di Venezia, c'è stato un equivoco, spero non se la sia presa con me. Mi deve solo firmare il suo rilascio e dopo non ci vedremo più, con tutte le mie scuse, ovviamente. Si accomodi, attenda cinque minuti e sarò da lei.

Il capitano entrò in un'altra stanza. Aveva un problema parallelo da risolvere.

- Scusa Leo, dove eravamo rimasti?

L'avvocato non rispose, seduto a testa bassa perso nei suoi pensieri.

- Bene, ti ho spiegato tutto, devi solo firmare il passaggio del caso all'altro tuo collega e sarai fuori da tutto. Sei a posto amico, tutto finito e grazie a te, il Caimano non si smentisce mai - gli diede una pacca al braccio aspettandosi uno scambio di battute come ai vecchi tempi, cosa che non avvenne.

Avrebbe voluto smuovere l'apatia dell'amico, ma non ottenne alcuna reazione. Lo rivoleva indietro cazzuto come prima, perché quell'atteggiamento non lo rispecchiava affatto. Non era il suo amico quello, e sapeva che doveva fare qualcosa, aspettava a lui agire.
Era arrivata l'ora del suo piano infallibile per sistemare le cose e metterle nelle caselle giuste.

- Vieni a firmare Leo?

L'avvocato si alzò, come fosse sotto comando e seguì apatico l'amico.
Entrò nella stanza e non si accorse di un'altra presenza. Sentì la serratura della porta chiudersi a chiave e un crepitìo sopra la testa. A quel punto si accorse di Elena, che nel frattempo si era alzata, sorpresa.

- Ragazzi - si sentì la voce del capitano da un piccolo altoparlante sopra la porta - vi ho chiusi dentro e vi avviso che non vi farò uscire, se prima non vi sarete chiariti - si sentì la sua risata inconfondibile - fate i bravi e fate pace. Ah, signorina Weill, ho cercato di dirglielo, ma mi ha sempre evitato come la peste, ora le dico e le confermo che Leo non c'entra niente con quella donna, anzi, per merito suo abbiamo sventato un giro grosso e pericoloso. Come amico di quel cazzone le dico che è un uomo affidabile, donnaiolo sì, ma fedele alla donna che ama, e lei cara Elena, se non l'ha ancora capito, è quella che lo porterà nella fossa, che lo scioglierà come un ghiacciolo al sole, che gli farà fare ciò che vorrà, perché ormai è infatuato di lei dalla punta dei capelli alla punta...

- La smetti stronzo! - l'avvocato sbottò, sorprendendo pure se stesso.

- Finalmente mi parli, scimmione. Vi lascio alle vostre chiacchiere. A più tardi ragazzi, o a domani, dipende da voi. Ah, vi voglio bene Bonnie and Clyde!

La situazione era ridicola, surreale e imbarazzante per entrambi.
L'avvocato fu il primo a rompere il silenzio.

- Scusa Elena è tutta colpa mia, anche questa volta hai ragione su tutto. Con te non ne faccio una giusta, sembro uno scolaretto alle elementari. Che situazione! Cosa pensa di fare quello sbruffone, se l'avessi saputo non sarei venuto qui e ti avrei avvisato di sicuro. Scusami ancora...

- Non è colpa tua. Anch'io mi sono comportata da bambina, avrei dovuto capire. Se solo mi avessi detto la verità...

- Non potevo Elena, avevo le mani legate - si fermò titubante - ma ora è tutto finito.

La guardò e osservò preoccupato le sue occhiaie, le guance un po' scavate e lo sguardo scialbo, sembrava dimagrita. Dov'era finito il suo brio, la sua vivacità?

- Dimmi Elena - prese coraggio e si avvicinò fissandola - perché non dormi e perché non mangi? E non dirmi che non é vero. Non vorrei essere io la causa, non me lo saprei perdonare.

- E tu? - alzò gli occhi tristemente - perché non dormi? Sono io la causa? Perché non saprei perdonarmelo. E starei male da morire - aggiunse in un filo di voce.

Ancora una volta gli sguardi parlavano per loro, i corpi fremevano, le mani prudevano, i petti battevano fuori controllo, mentre il placido capitano, ogni tanto sbirciava il monitor sulla scrivania ridacchiando, e controllava che nessuno dei due si facesse male a suon di baci, come aveva preventivato.

Leonardo si avvicinò, le prese le mani facendosi coraggio sempre di più, azzardando sempre di più. Sapeva come far cadere una donna fra le sue braccia, ma con Elena era come entrare in un negozio di cristalli con la cavalleria.

- Tesoro mio! - le sospirò sul collo.

Elena si sentiva stregata dal suo modo di fare e lo stava accogliendo e perdonando senza ritegno. Era soggiogata dal suo fascino, dal suo carisma, dai suoi tanti difetti e dai suoi tanti pregi. Era quello giusto per lei. Lo sentiva dai brividi che le procurava solo ad averlo accanto.
Il suo corpo le diceva di cedere e la testa insisteva per arrendersi e amarlo come non avrebbe mai amato nessun altro.
Quel corpo sodo, perfetto, quello sguardo che l'affascinava, quel petto che pulsava vivo insieme al suo, pensò socchiudendo un attimo gli occhi, sentendosi afferrare per le spalle.

- Solo tu mi fai impazzire - le confessò a denti stretti - non sono nessuno senza di te. Vuoi essere l'artefice della mia disfatta? - la scosse leggermente guardandola triste - allora lasciami, vattene per sempre e troverai la mia carcassa sul pavimento.

La prese più forte premendola al suo petto e si trovarono con le labbra incollate in un vortice di passione che li estraniava da tutto. Leonardo la strinse a sé, fino a farle mancare il fiato. Partì spontaneo con le mani sotto la giacca che frugavano vogliose.

- Leo, non lasciarmi più - gli ordinò senza vergogna.

- Piccola!

Continuò con teneri baci sul viso, il collo, le spalle, senza alcuna voglia di fermarsi. Scivolarono le spalline del reggiseno assieme alla giacca in un gesto veloce e involontario, la gonna si alzò lentamente con la mano di un automa, un massaggio profondo e delicato partì spontaneo sulla schiena morbida e calda. Sollevò con le sue grandi mani il fondoschiena sodo che adorava, e lo premette dolcemente gustandosi il senso di piacere che in quel momento lo esaltavano al massimo della follia.

Si stava assaporando appieno quel momento inaspettato, ma tanto sognato, bramato, sospirato.

Intanto lei continuava ad accarezzarlo in ogni dove, invasa da un senso di appagamento che la rendeva fragile. Stava cedendo e si donava, ancora una volta e senza ritegno, a quell'uomo irresistibile.

Un formicolio le attraversò il corpo e la incitava a volerne di più, lo voleva, e subito.
Oh sì, era un maestro nel provocare, e una sorta di piacere ritrovato li univa in un'unica voglia, un unico corpo, un unico respiro, legandoli fin dentro l'anima.

- Piccioncini! - il capitano crepitò dall'altoparlante - avete finito di scannarvi a furia di baci, perché mi servirebbe la stanza...

**

Il paradiso di Tramonte accoglieva i due cuori ritrovati e li coccolava con la sua pace e la tranquillità silvana, i suoi multicolori, i suoi odori intensi, i suoi silenzi rilassanti. E i rossi dei suoi tramonti che facevano volare la mente, avevano intrappolato la coppia in quello scrigno prezioso dal contenuto inestimabile.

Elena si lasciava andare facilmente e sfacciatamente, tra le braccia di Leonardo. Ogni volta che si passavano accanto si abbracciavano, attaccandosi uno all'altra come cozze sugli scogli, e le bocche si attraevano come poli opposti di una calamita, incapaci di staccarsi. Ogni stanza, ogni angolo della casa, avevano visto i loro corpi intrecciarsi abbarbicati come l'edera all'albero.

- Tesoro - le prese i capelli sulla nuca e li attorcigliò attorno alla mano come gli piaceva tanto fare e le attirò il viso accanto al suo, avvicinando le bocche che quasi si toccavano - domani ho una sorpresa per te - le sospirò accanto alla bocca, con l'idea di proseguire nel suo intento di seduzione fino alla fine - come ti avevo promesso.

- Mmm, non mi piacciono le sorprese - gli stampò la bocca sulla sua, assaggiandola - non sai mai cosa ti aspetta, ma mi fido di te - gli soffiò all'orecchio, prendendogli il lobo tra le labbra.

Uno scambio di impulsi e segnali partivano dalle mani che frugavano instancabili tra le pieghe più nascoste. Una passione intensa che iniziava da sguardi abissali, con occhi che gustavano ogni minimo dettaglio proibito e lo trasmettevano alle parti più sensibili, e continuavano con la voglia incontrollata che li adescava entrambi nella stessa pienezza di passione.

- Sto scoppiando piccola, non resisto più, mi stai torturando e ti meriti una punizione, sei d'accordo?

L'atmosfera a Tramonte bruciava di passione, come il rosso usto del sole che calava piano, indiscreto ma deciso, sul sipario della sera.

**

- Dove mi stai portando Leo? Oddio, sento l'odore e il rumore del mare.

- Tesoro, ci siamo quasi ora ti tolgo la benda. Questa è la mia sorpresa per te.

- Oh santo cielo, di chi è questa...

- È di mio padre, gliel'ho chiesta per una settimana. L'equipaggio è pronto per salpare, tu sei pronta?

Lo sciabordio nel suo ritmo cadenzato che sbatteva smorzato sulla prua, li stava accompagnando in un viaggio dell'anima, della mente, delle confidenze, delle confessioni, della comprensione, della passione sfrenata, sulla superficie cristallina, sfaccettata e poetica, nella visione di un rilassante azzurro infinito.

Erano soli, cullati dalla calma dello specchio argenteo, la costa in lontananza che li proteggeva e li salutava con ameni panorami da sogno.
Per Elena un mondo nuovo mai assaggiato, ma le labbra e il corpo del suo uomo, la facevano uscire di testa. Era un gustoso panorama marino che bramava assaggiare e la calmava in un rilassamento totale, come fosse sedata da un tranquillante.
Ancora una volta il suo uomo la stava coccolando e viziando con sorprese più grandi di quanto si aspettasse.
Sarebbe stato quello il loro futuro insieme?

Si sentì due braccia forti cingerle la vita da dietro. Amava sentire la pelle che si attaccava alla sua.
Ma quanto era bello il suo uomo!
La camicia azzura aperta che svolazzava al vento lasciando intravedere un petto scolpito e abbronzato, i capelli scompigliati che lo rendevano meno serioso, bermuda blu e piedi nudi, un marinaio affascinante con lo sguardo sbarazzino, ma penetrante e seducente.
Era solo suo.

- Allora, che mi dici piccola, ti piace la sorpresa?

- Oh Leo è tutto stupendo! Stavo solo pensando a noi due, a quante ne abbiamo passate, ma tutto questo me lo fa passare in secondo piano. Grazie!

- Sì, e siamo ancora insieme e più legati di prima. Ti prometto che staremo attaccati per tutta la vita, tesoro mio. Io e te siamo destinati a rimanere insieme. Lo vedi come siamo incastrati giusti io e te? - e le scansò le coppe del costume strisciando l'indice in mezzo ai seni che la fece rabbrividire - tu sei ciò di cui ho bisogno, sei la mia aria, il mio respiro. Non voglio altro dalla vita, piccola! - passò il dito sotto il bordo degli slip ricamati.

Le prese il mento con una mano e le stampò le labbra prepotenti sulle sue, mentre l'altra la spingeva verso di sé, a contatto vivo, pelle su pelle, il due pezzi di lei che intralciava e la camicia di lui che era di troppo.

- Dici che, se scendiamo di sotto staremo più comodi senza sguardi indiscreti? - le soffiò all'orecchio, facendola tremare, e sorrideva al pensiero di ciò che l'aspettava.

Lo avrebbe assaporato interamente, tra il legno di faggio odoroso dei lussuosi arredi, i comodi divani e i morbidi cuscini del grande letto che avrebbe tenuta nascosta la loro segreta e magica intimità, cullati dalle ipnotiche onde.

Intrecci di passione, di corpi sudati, i sospiri, i baci, le mani ingorde, curiose, gli occhi languidi, sognanti.

E tanta voglia di stare insieme, appiccicati per tutta la vita. Due parti di un intero che si cercavano continuamente. Due corpi mai stanchi uno dell'altro che si intersecavano e si incastravano alla perfezione. Due bocche che si cercavano fameliche, si desideravano e si esploravano avide.

Erano simbiosi di anime mescolate e miscelate nello spazio infinito del loro prezioso, immenso sentimento.

Un amore esplosivo, fantastico, unico, per sempre.

Perché quello era, e sarebbe stato soltanto: un semplice unico, magico amore, sulla collina di Tramonte!

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