18 Un po' di serietà
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Il Caimano andava su e giù per lo studio, una mano in tasca e l'altra che agitava una penna, sfarfallandola in bilico tra l'indice e il medio. Ad ogni passo la sua mente viaggiava tra i fascicoli del suo "amabile" cliente e la ex moglie di quest'ultimo, che era stata anche il suo peggior incubo dai tempi dell'Università.
- Ma quanto sono stronzo!
Si ripeteva a bassa voce scuotendo la testa di continuo.
Mai, avrebbe pensato di poterla incontrare del tutto casualmente, e constatare che era parte integrante nel processo. Un caso fortuito e del tutto inaspettato. Stava riuscendo a togliersi dalla testa la sua spinosa immagine, giorno dopo giorno, e averla rivista dopo tanto tempo lo aveva riportato indietro di anni. E l'aveva pure accontentata, portandola nell'appartamento sopra lo studio per parlare, dopo che aveva insistito con lui fino a farlo cedere.
La notte passata in bianco si era rivelata fruttuosa per il processo. Gaia gli aveva fornito notizie utili riguardanti la complicata figura dell'ex marito. Si era sfogata, a tratti buttando la testa sulla sua spalla, con una punta di commiserevole vittimismo.
La tentazione per Leonardo era forte, e averla ancora fra le braccia gli aveva suscitato un risveglio nel corpo e nel cuore che aveva tanto desiderato a suo tempo, ma che contrastava con la solida corazza che il famoso Caimano si era costruito con le donne, e proprio grazie a lei.
- Sto bene con te Leo - si avvicinò lecchinosa. Non la conosceva così, sembrava una gatta in calore - sono stata davvero fortunata ad averti ritrovato, sei ancora un bel ragazzo, sai? - e si staccò allontanandosi e riavvicinandosi con astuzia per stuzzicarlo da esperta.
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- Amedeo ci rinuncio. Rinuncio al caso. Non posso continuare con questo caso. Troppi conflitti d'interesse. Non sarei lucido - scuoteva la testa guardando lontano, camminando nervoso estraniato nel pensiero.
- Sei sicuro Leo? In fondo non è lei la tua cliente, non avresti dovuto nemmeno incontrarla...
- Non ci riesco - si fermò guardando un punto lontano oltre il vetro - pensa che la volevo sposare, cazzo, la donna della mia vita. L'ho odiata talmente tanto per quello che mi ha fatto che aspettavo un'occasione come questa per fargliela pagare. Ho passato la notte ad ascoltarla e ti confesso che stavo per cedere sotto le sue abili lusinghe. Non è rimasto niente della ragazza di allora. Che stronza!
- Dimmi la verità amico, ti stuzzica le parti basse e non riesci a resistere? Te la sei portata a letto? È per questo che vuoi rinunciare al caso?
Il Caimano era perso con la testa altrove. Immagini gli scorrevano davanti veloci: lui che l'amava, fino a chiederle di sposarlo e l'indicibile dolore nel vederla con un altro, la rabbia folle dei ricordi, i fascicoli del processo, il cliente complicato, lei che si confidava seducente con la testa sulla sua spalla, e lui che sentiva il corpo reagire con impulsi lontani, sopiti e mai dimenticati.
Gli tornavano alla mente le sue parole, la triste confessione dei tradimenti subiti da parte del marito: "Non sai quante volte mi sono data della stupida e quante volte ho pensato a come sarebbe stata la nostra vita insieme, io e te, Leo".
L'aveva dimenticata quasi del tutto, ed era tornata come un uragano nella sua testa. Qualcosa gli diceva che non doveva avvicinarla, era fuoco distruttivo. In fondo, qualche carezza e qualche abbraccio per compassione non avevano significato nulla.
O forse sì?
Il Caimano era distrutto dentro. Ma il suo cuore duro gli diceva che aveva già qualcuno che gli occupava ogni spazio possibile, che gli risanava le ferite e che gli era entrata completamente nell'anima. Qualcuna che certamente sarà stata in pensiero per lui tutta la notte e che lo faceva sentire un emerito verme vigliacco.
Quanto aveva ragione la sua coscienza, quando gli diceva che le donne erano complicate, che si potevano usare, ma non farle durare!
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Elena si stava godendo i salutari massaggi della doccia su a Tramonte. La notte tormentata, aspettando Leonardo invano l'aveva portata a meditare.
Leonardo le piaceva, eccome se le piaceva: serio, gentile, premuroso, bellissimo. Le aveva fatto capire che fra di loro era nato qualcosa di importante e di unico, la faceva sentire desiderata, sicura e protetta, tutto ciò che desiderava una donna.
Era un uomo affascinante ed era faticoso convincere se stessa a non essere gelosa, a non intromettersi nel suo lavoro complicato che gli prendeva tanto tempo, che richiedeva concentrazione, precisione e nessuna distrazione.
Ma non riusciva a stare senza saperlo al sicuro.
Avrebbe voluto sapere come aveva passato la notte. Si era preoccupata da morire non vedendolo tornare e al telefono non rispondeva. Aveva già vissuto una notte in pensiero per un uomo, ed era andata a finire male.
Sarebbe andata nel suo ufficio, gli avrebbe portato il caffè e avrebbe constatato di persona che era tutto a posto. Sì, avrebbe fatto così.
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Era ansiosa, quelle scale le ricordavano la prima volta che era andata nello studio con la famosa lettera in mano, e sorrise facendo l'ultimo gradino con la gonna stretta e i tacchi che le intralciavano i movimenti, ma non le importava, voleva piacere a Leonardo con il suo tailleur bluette, e quella mattina si sentiva particolarmente frizzante.
Era l'aria di Tramonte, diceva a se stessa, mentre raggiungeva la postazione della segretaria. Ma un caschetto rosso che sembrava riconoscere stava già parlando con lei sottovoce, gesticolando e facendo mostra di sé con la gonna corta e i tacchi altissimi.
- Le ho detto che voglio parlare col dottor De Vittis, è sorda? So che è in ufficio a quest'ora. Vuole essere licenziata? Sono la figlia del procuratore Solinas, lo chiami subito!
- Le chiamo l'avvocato Bonito...
- E cosa me ne faccio? Pensa che sia scema? Con chi crede di parlare...
- Glielo ripeto, il dottore non c'è signorina, e non le so dire quando torna, la farò richiamare al più presto - le rispose Andreina sbrigativa e irritata.
Elena pensò di andarsene, quella ragazza abbigliata da cubista voleva il suo Leo. Sarà stato per lavoro, certamente. Ma un tarlo le rosicchiava dentro lo stomaco. Non voleva essere gelosa, le avrebbe fatto troppo male.
Mentre scendeva le scale ricordò con un certo batticuore quella sera passata a baciarsi sul divano dell'appartamento di sopra, e senza pensarci un attimo invertì la rotta, "provare non costa nulla" pensò.
Aspettò il tempo di due squilli del campanello e amareggiata si girò per andarsene. Sentì un colpo al cuore quando riconobbe la donna che le aprì la porta, capelli neri raccolti in una coda, avvolta in una vestaglia blu, troppo grande per essere la sua.
- Buongiorno, lei chi è, cercava qualcuno? - le chiese con superiorità da padrona di casa, mentre tratteneva uno sbadiglio.
L'imbarazzo era grande per Elena. Temeva nel guardare oltre quella porta, non avrebbe voluto vedere quella sagoma maschile che conosceva e che adorava tanto. Aveva passato la notte con lei? Forse non c'era, forse era fuori e aveva offerto l'appartamento alla mora per un valido motivo.
Non l'aveva nemmeno riconosciuta o forse aveva fatto finta.
- Non importa, tornerò più tardi, buongiorno.
Non si accorse nemmeno di aver sceso le scale, si trovò fuori dal portone in un attimo, corse alla macchina e rimase con le mani sul volante senza sapere cosa fare, dove andare, non ricordava nemmeno perché fosse lì, aveva la testa in totale confusione.
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Leonardo osservava la donna che gli stava preparando il caffè nella sua cucina, con la sua vestaglia addosso, e pensò che non ci fosse più niente in lei che potesse scuotergli il petto, e si chiedeva perché mai l'avesse portata lì.
Averla avuta accanto tutta la notte, aveva sortito in lui un certo nervosismo e un pensiero malsano che si era da subito rimestato dentro. Ricordava la sua innocenza di un tempo, le sue forme da scoprire, i suoi baci dal sapore di burro cacao alla frutta...
Ritornò in sé.
L'aveva tenuta fra le braccia tutta la notte per consolarla, e si convinse che in fondo, non aveva provato niente, non provava più niente per quella donna. Un'estranea. I sentimenti provati per lei un tempo non sarebbero mai più tornati.
Quella donna non era la Gaia che aveva amato follemente, non la conosceva per niente.
Doveva correre subito dalla sua Elena e parlarle con sincerità. Era una donna intelligente, avrebbe capito.
- Scusa Gaia, ma non puoi rimanere - le disse di colpo con fermezza, rimanendo sulla sua figura in vestaglia nella sua cucina - è stato un errore farti stare qui, non avresti dovuto nemmeno cercarmi. Sono l'avvocato del tuo ex ed è tutto sbagliato, perciò ti chiedo di andartene il prima possibile.
- Ma Leo - gli si avvicinò accarezzandogli le guance con entrambe le mani, lasciando intravedere volutamente parte del seno scoperto - credevo ci fosse rimasto ancora qualcosa fra di noi, le carezze di questa notte me l'hanno dimostrato, sai. Per me è cosi, non ti ho mai dimenticato Leo e ho bisogno di te. Adesso che ti ho ritrovato non ti mollo più. Questa volta non ti deluderò, promesso.
Cercò di allontanarle quelle mani che un tempo avrebbe voluto con tutta l'anima, e proprio su di sé, ma un senso di fastidio gli fece prendere una drastica decisione.
- Mi dispiace, per me non è più così - cercò di ricacciare quell'immagine rivolgendo lo sguardo altrove - c'è un'altra nella mia vita ed è molto importante per me.
- Magari è quella biondina che era venuta stamatt...- si accorse di aver detto troppo.
Leonardo alzò un sopracciglio, capendo al volo l'ignobile giochetto. Una rabbia incontrollabile gli fece stringere i pugni lungo i fianchi, e il pensiero di Elena che si era trovata davanti un bel quadretto famigliare gli fece sudare freddo.
Sarebbe stato ancora più difficile spiegarle la notte passata fuori Tramonte, e sperava tanto che non fosse già scappata. Perché lui avrebbe fatto di peggio al posto suo, se l'avesse trovata con il suo ex, che avevano passato la notte assieme nel suo appartamento e con la sua vestaglia addosso...
- Mi spieghi perché hai pensato di aprire la porta di casa mia e di non dirmi niente? E se fosse stato importante? - si passò le mani tra i capelli - ti do dieci minuti di tempo per andartene. Se non sei fuori da qua entro dieci minuti chiamo le forze dell'ordine - la scorza del Caimano uscì fuori con tutta l'esperienza del mestiere - ti chiedo di dimenticare il mio nome e di stare alla larga da me in futuro.
Ritornò infuriato a raccogliere le sue carte e la sua borsa, doveva fare in fretta, Elena aveva la priorità su tutto.
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Non si era mai sentito in colpa nel salire l'adorata stradina bianca, controllata dagli alti cipressi che gli davano da sempre un senso di protezione e leggerezza d'animo, specialmente dopo un giorno di lavoro faticante che lo spompava come un palloncino bucato.
Aveva scelto di stare da solo per togliersi lo stress e godersi in pace la sua sana, solitaria libertà. Perché era questo che agognava dopo ogni processo, dopo ore passate in aula attenzionato, col fiato sul collo, dover tenere il filo e ragionare, secondo dopo secondo e concentrato al massimo.
E mentre l'auto saliva era con la mente in aula, questa volta con Elena di fronte e analizzava il da farsi, programmando il discorso e seguendo la dinamica dei fatti. Elena lo destabilizzava, gli annientava la personalità e gli disintegrava quei pochi neuroni stanchi.
Temeva la sua reazione e non avrebbe accettato una sua eventuale fuga, perché non si sentiva soddisfatto e non era appagato se non c'era lei.
Cosa stava per fare, come aveva potuto pensare a un ritorno con la donna che gli aveva fatto del male e che non gli interessava più, e come aveva potuto credere ad un ritorno di fiamma e pensare di cedere ad una come lei? Anche se per poco, si era vergognato e pentito solo per averlo pensato.
Come immaginava, non c'era traccia di Elena e cominciò ad ipotizzare dove potesse essere e dove poterla cercare.
Sospirò sprofondando sul divano.
Era stanco.
Non era più un ragazzino con la forza per rincorrere le gonne di una femmina e sarebbe stato faticoso impegnarsi in una spiegazione. Le donne volevano coccole e tanto tempo a disposizione, e lui non aveva più la fibra di un adolescente.
Si sdraiò sul comodo divano, le gambe incrociate, le mani sotto la testa e gli occhi chiusi a meditare, ragionare, considerare, sperare...
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- Che figlio di brava donna! - sbottò George, l'affascinante vichingo, che ascoltava attentamente assieme ai due amici ciò che Elena stava timidamente raccontando, mentre la cameriera del bar se lo mangiava con gli occhi sculettandogli davanti con il vassoio in mano e lo sguardo da gattamorta.
- Cosa conti di fare? - chiese Lorenzo ad Elena, dando un'occhiata intimidatoria alla cameriera per farla allontanare - io, se fossi in te, vorrei ascoltare la sua versione, così avrei un valido motivo per dargli una ginocchiata su quei, immagino formidabili, gioielli di famiglia - e si tirò indietro il ciuffo biondo con la mano in un gesto sensuale.
- Per il momento mi prendo una pausa da tutto - sospirò Elena sconsolata - non so cosa pensare né cosa fare. Magari è solo la mia fantasia. Magari non è come sembra.
- Magari è proprio come sembra, invece. Non puoi saperlo se non gli parli - Filippo buttò la sentenza rudemente, voleva farle aprire gli occhi per non farla soffrire oltre - ma fai sapere al tuo "mister culo sodo" che noi tre frequentiamo una palestra ben fornita a Londra.
George le spostò i capelli sulle spalle con lo sguardo in adorazione senza parlare, intento a mandare in su e giù il pomo d'Adamo.
- Ti posso parlare Elena, da soli?
Si alzarono ed uscirono nel guardinetto interno al locale, alcune sedie e tavolini bianchi e un lungo rettangolo d'acqua azzurrognola nel mezzo, attraversato da un ponticello di "Monet" a fare da compagnia.
- Sai che ci sono e ci sarò sempre per te, vero angelo? - le sussurrò all'orecchio passandole dolcemente le nocche delle dita sulla guancia - sono venuto qui per te, senza illudermi, certo, ma avevo una voglia matta di vederti - e rimase un attimo in silenzio - da quando ti ho vista entrare nel mio pub quella sera ho visto in te il mio angelo e non ti nego che un pensierino me lo sono fatto. Mi sei entrata dentro e faccio fatica a scacciarti, e sarei pronto a fuggire con te in capo al mondo. Se vuoi ce ne possiamo andare via anche subito, ti darei tutto. Sono pazzo lo so, ma per te sarei disposto a perdere tutto, a spaccargli la faccia, se ti farà soffrire - e la fece sorridere, mentre scuoteva la testa divertita.
- Sei meraviglioso George, saresti perfetto. Ma devo fare pace con i miei sentimenti prima, sono troppo incasinata in questo momento e non voglio farti star male, ti voglio troppo bene, non me lo perdonerei.
Si guardarono a lungo negli occhi, sotto l'attenzione degli altri due amici che li osservavano dalla vetrata, curiosi di sapere cosa avessero da dirsi quei due di così tanto importante, non più di quanto avessero già capito da tempo.
**
Non era riuscita a ritornare a Tramonte. Aveva un vuoto nella testa, incertezza, insicurezza. Non riusciva a stare ferma, camminava da una stanza all'altra di casa sua senza un motivo preciso e con la testa altrove, finché, decisa come non mai, dopo i saggi consigli dei suoi amici, tirò fuori dalla borsa il cellulare che era rimasto spento troppo a lungo in fondo alla borsa. Voleva risposte da lui.
Ci fu un momento di silenzio da entrambe le parti, un senso di impotenza che non faceva parlare nessuno dei due, poi l'avvocato ebbe il sopravvento.
- Tesoro, dovei sei - sospirò con la voce roca - sono tornato e non ti ho trovata ad aspettarmi. Torna da me, ti prego Elena, ho bisogno di te, della tua voce, dei tuoi occhi, del tuo viso, delle tue mani nelle mie, voglio te in questa casa vuota. Aspetterò e non mi alzerò dal divano, finché non sarai qui con me. Ho tanto da dirti, tesoro mio.
- Anch'io vorrei dirti tante cose Leo, siamo stati lontani per troppo tempo, non trovi? - cercò di tenere un tono neutro.
- Oh eccome - sorrise - una notte e un giorno sono un'eternità per me tesoro. Ti aspetto, fai presto o vengo a prenderti io - le ordinò ironicamente.
E chiuse subito la telefonata senza attendere una risposta. Voleva che tutto tornasse come prima. Aveva testato la reazione di Elena, ma dal tono della voce non traspariva emozione. Aveva bisogno di vederla.
Era ancora ad occhi chiusi, quando il motore della Porche lo fece scattare in piedi. Si ritrovò in un attimo sulla porta, ammirando davanti a sé la sua bellissima Elena, e scosse la testa pensando a cosa avrebbe perso se avesse preso la strada sbagliata.
Si guardarono per qualche interminabile secondo e l'impulso di abbracciarsi era così potente che si trovarono attaccati in un intreccio di braccia che non volevano staccarsi da quell'unico monolite.
- Vieni piccola, entriamo, abbiamo da fare noi due.
- Mi hai fatto preoccupare ieri notte, hai lavorato molto? - Elena cercò con astuzia la via più indifferente e neutrale.
- Voglio essere sincero con te. Sei la persona più cara che ho. So che sei passata allo studio e all'appartamento di sopra - si accorse dello sguardo abbassato di Elena e con la mano le tirò su il mento per guardarla negli occhi.
- Non so quello che hai pensato in quel momento, ma voglio darti la mia versione dei fatti. Ho bisogno che mi ascolti attentamente - le prese le mani nelle sue e notò il suo corpo che non stava fermo, come temesse ciò che stava per dirle.
- Dunque - continuò a voce bassa e calma - Gaia era la mia ragazza quando frequentavo l'Università...
Cominciò dall'inizio parlando con sincerità e cercò di non tralasciare nemmeno gli ultimi abbracci della notte precedente, facendo corrugare la fronte di Elena, che pensierosa immagazzinava curiosa, amareggiata, comprensiva, innamorata. Oh sì, più Leonardo raccontava, più il sentimento che provava per lui ingigantiva fagocitando se stesso.
- Mi sento vigliaccamente stupido, era talmente persuasiva che ci stavo cascando come l'ultimo allocco della covata. Non c'è stato, e non ci sarà mai niente con lei tesoro, credo che anche allora fosse solo infatuazione per entrambi. Forse le faceva ancora comodo il mio patrimonio. Ti giuro piccola, non c'è stato niente la scorsa notte, e mai ci sarà - le strinse le mani nelle sue, trasmettendole un calore terapeutico che la rilassava e la faceva stare bene.
C'era silenzio nel grande salone. Elena passava lo sguardo su di lui come un laser, non resisteva più, voleva sentirsi premuta addosso a quel corpo calamitante. Il profumo del suo dopobarba la faceva fantasticare, ricordando i tanti momenti intimi passati insieme, ripassando ogni piccola parte di quell'ammasso muscoloso e sensuale che la ubriacava. In quel momento non pensava più a niente, c'erano soltanto loro due.
Leonardo parve leggerle nel pensiero, si avvicinò guardando voglioso quelle labbra invitanti. I due corpi emanavano una potente attrazione e non aspettavano altro che la scintilla esplosiva.
- Piccola, quanto ti desidero, mi fai impazzire - e la trascinò sul grande divano nella parte più nascosta del salone.
- Leo, dimmi che mi vuoi davvero, che vuoi solo me. Non voglio dividerti con nessun'altra. Non voglio essere gelosa, ma...
La zittì con un bacio appassionato, primitivo, cavernoso, attaccandola al suo petto e la spingeva a sé con le mani aperte sulla schiena avvicinandola sempre di più, fino a farle mancare il respiro. Brividi e fremiti passavano da un corpo all'altro, concentrando l'elettricità nel punto d'incontro dei due corpi bollenti.
- Vieni con me piccola, non resisto più, ho bisogno di te - e la trascinò nella stanza, dove il grande letto li incitava ad avvicinarsi - questa sarà la nostra stanza dei giochi, da ora in poi.
- Da ora in poi? Sei sicuro di quello che dici avvocato, lo giureresti sopra il codice? - Elena lo guardò ironicamente negli occhi, vicinissimo.
- Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo prima, Elena. Sono stronzo, pervertito, arrogante, spregiudicato e aggiungi tu quello che vuoi. Ma, tesoro mio, credo proprio di provare per te quella cosa che non ho mai pronunciato per nessuna donna. Io credo di amarti immensamente, mia bellissima palombara, mi hai stregato dentro e fuori, mia adorabile ammaliatrice - e la baciò con urgenza non potendo resistere oltre - in questi ultimi tempi ho avuto modo di capire molto di noi due. Sono uno che ragiona Elena, non faccio e non dico niente a caso. Ehi! Ma che fai, amore mio, non voglio vederti piangere - e le tirò via col pollice la goccia salata - ti ho resa muta, vedo - e sorrise per rassicurarla - dimmi qualcosa amore, non piangere. Se mi vedessero dall'ufficio in questo momento, mi farebbero internare.
- Stupido troglodita, non vedi che sto piangendo perché sono felice? Che non parlo perché mi hai spiazzato e non so cosa dire? E ti amo anch'io, stronzo pervertito, arrogante, spocchioso, affascinante, bellissimo amore mio, che non sei altro!
Elena ancora una volta si trovò a vivere in un mondo a parte, e non era il suo mondo apatico, sofferto, incerto. Si sentiva al sicuro con l'uomo che le stava stravolgendo la vita.
Si trovò in un attimo stesa sul letto. Davanti a lei il "Bronzo di Riace" che si stava spogliando veloce, mentre lei cercava la zip della gonna per velocizzare tutto. Non poteva più aspettare.
- Oh no piccola - si appoggiò con le ginocchia stringendole i fianchi e ributtandola giù - la roba mia non si tocca, streghetta, solo io devo toglierti quella roba, cerca di ricordarlo in futuro.
E si buttò succhiandole e baciandole il collo per poi seguire il profilo dolce del suo volto, mordicchiando e ridendo, leccando e soffiando lento e famelico con le labbra a ventosa che assaggiavano ogni centimetro scoperto, mentre le mani esperte sapevano dove aprire, togliere, alzare.
- Dio santo, piccola, non ho mai visto tanta perfezione, cosa mi stai facendo, dove hai nascosto il Caimano? - le prese il volto fra le mani stringendole la bocca a cuore - facciamo un patto: ti voglio sempre con me, mai più fughe, mai segreti o bugie fra di noi, ci stai? Ho il codice a portata di mano se vuoi.
Aprì un cassetto accanto al letto.
- Chiudi gli occhi, tesoro e non aprirli finché non te lo dico io.
- Sai che uso la pillola...
- Chiudi gli occhi e non fiatare - le ordinò sorridendo e trafficando con qualcosa in mano - ora dammi la mano destra, da brava piccola.
Elena capì sentendo infilare qualcosa al dito e aprì subito gli occhi.
- Te lo dovevo dare alla festa davanti a tutti, ma credo che sia questo il momento giusto, dopo averti detto che ti amo da impazzire, perché questo fai, mi fai impazzire.
Si posizionò all'istante sopra quel corpo delicato, gentile, perfetto - ti voglio solo con questo anello al dito e nient'altro. Dimmi che mi ami. Dimmelo piccola, voglio sentirtelo dire ancora e ancora e ancora...
Elena aveva raggiunto il massimo, poteva anche morire, non desiderava di più dalla vita. Osservò felice quella grossa pietra luminosa, ma vedeva soltanto il suo significato: amore.
Si alzò con la testa, voleva baciarlo fino a sfinirlo.
E lui ricambiava con passione rude, famelica, instancabile.
La tortura dei baci portava Elena all'esasperazione, voleva di più, non poteva resistere oltre.
Il corpo fremeva, la bocca sospirava, il cuore le scoppiava, ma sapeva che doveva aspettare.
Leonardo aveva i suoi tempi.
Lui tormentava, fiaccava, esasperava e poi colpiva.
E sapeva colpire duro.
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